GEORG WILHELM FRIEDRICH HEGEL
L’arte e l’apparire sensibile dell’idea
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L’arte, dal lato della sua suprema destinazione, è e rimane per noi un passato.



A cura di Claudia Bianco


 

 

Il testo conosciuto con il titolo di Estetica non è un’opera pubblicata da Hegel (1770-1831) – come la Fenomenologia dello spirito (1807) , la Scienza della logica (1812-1816) o l’Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio (1817,1827) – bensì nasce dalla rielaborazione e dall’integrazione, da parte del discepolo Heinrich Gustav Hotho (1802-1873) , di una congerie di materiali diversi , la cui ossatura portante è costituita dagli appunti presi da numerosi uditori dei corsi universitari sull’estetica tenuti da Hegel prima a Heidelberg (nel1818) e poi a Berlino (1820-21,1823,1826,1828-29) .

All’inizio dell’Introduzione Hegel sostiene che l’estetica non deve essere intesa né come “scienza del sentire”, seguendo le tesi avanzate da Baumgarten, né come una disciplina che prende in considerazione i sentimenti suscitati dalle opere d’arte, bensì come “filosofia dell’arte” avente per oggetto il “bello artistico” , superiore, nella sua spiritualità, rispetto al bello naturale,  Se in Kant la trattazione del bello riguardava tanto il bello artistico quanto il bello naturale, e il sublime era considerato esclusivamente come sublime naturale, nell’estetica di Hegel, in virtù del principio secondo cui “tutto quel che è spirituale è superiore a ogni prodotto naturale”, l’essenza della bellezza risiede nell’arte in quanto prodotto dello spirito: “l’opera d’arte è tale solo in quanto, originata dallo spirito, appartiene al campo dello spirito, ha ricevuto il battesimo di spirituale e manifesta solo ciò che è formato secondo la risonanza dello spirito”.  Di qui deriva la legittimazione dello statuto filosofico e scientifico dell’estetica: essendo lo spirito pensiero in divenire e l’arte manifestazione dello spirito, nel pensare l’arte lo spirito pensa se stesso in una delle proprie forme, e questo pensarsi dello spirito è proprio ciò che definisce la filosofia.

Il fine dell’arte, secondo Hegel, non è né l’imitazione della natura né il tentativo di suscitare sentimenti e purificare le passioni, né l’ammaestramento o il perfezionamento morale: il vero scopo dell’arte è “rivelare la verità sotto forma di configurazione artistica sensibile”.  Nel bello artistico si ha la manifestazione sensibile della verità, la rivelazione concreta e individuale dell’universalità dello spirito , “l’apparire sensibile dell’idea”.  In  questo senso l’arte è essenzialmente mediazione e conciliazione tra spirito e materia, universale e particolare, infinito e finito, pensiero e sensibilità: essa è un prodotto dello spirito con il quale questo dà vita a una prima forma di “conciliazione tra ciò che è semplicemente esterno, sensibile e transeunte , ed il puro pensiero, tra la natura e la realtà finita e l’infinita libertà del pensiero concettuale”.   L’opera d’arte è dunque al tempo stesso sensibile e spirituale, si offre alla nostra apprensione sensibile e al contempo rivela attraverso di essa il proprio contenuto spirituale: “Perciò il sensibile nell’opera d’arte, in confronto con l’esistenza immediata della cosa naturale, è elevato a semplice parvenza, e l’opera d’arte sta nel mezzo tra la sensibilità immediata e il pensiero ideale.  L’opera d’arte non è ancora puro pensiero, ma, nonostante la sua sensibilità, non è più semplice esistenza materiale, come le pietre, le piante, la vita organica”.  A differenza delle pur varie forme del bello naturale, l’opera d’arte reca in sé un momento della vita dello spirito e fa appello a un pensiero capace di comprenderla nella sua essenza: essa “è essenzialmente una domanda, un’apostrofe , rivolta ad un cuore che vi risponde, un appello indirizzato all’animo e allo spirito”.

In quanto manifestazione, mediazione e conciliazione, l’opera d’arte costituisce una delle forme del percorso lungo il quale lo spirito si libera dall’esteriorità della natura per ritornare alla piena comprensione di sé.  Come è noto, il sistema hegeliano esposto nell’Enciclopedia  parte dalla logica (dell’essere, dell’essenza e del concetto) per trattare della filosofia della natura (nei suoi momenti meccanici , fisici e organici) e concludere poi, passando attraverso i gradi della filosofia dello spirito soggettivo e oggettivo, con il Sapere assoluto inteso come piena e trasparente autocomprensione dello spirito.  In questo percorso teleologicamente orientato, la posizione storico-epocale dell’arte come manifestazione sensibile della verità precede quelle della religione e della filosofia.  Mentre la religione esprime l’assolutezza dello spirito nell’interiorità della rappresentazione e del sentimento, e la filosofia nella pura concettualità del pensiero, l’arte, in quanto fondata su un fare e un produrre, pone lo spirito in opera , lo istituisce come ente finito e sensibile.

Con queste tesi Hegel si distanzia nettamente da tutta l’estetica settecentesca da quella kantiana, accusando la prima di essersi fermata all’analisi psicologica, empirica e soggettiva  delle passioni e dei sentimenti suscitati dalle opere, e rimproverando alla seconda di non essere giunta alla perfetta conciliazione, nel bello, di quegli opposti (universale e particolare, ragione e sentimento, soggetto e natura) che pure aveva individuato con chiarezza.  Il sentimento, secondo Hegel, non può costituire il perno della riflessione sul bello e sull’arte: esso è “una forma del tutto vuota dell’affezione soggettiva”, e “la riflessione sul sentimento si accontenta di osservare l’affezione soggettiva e la sua particolarità, invece di immergersi profondamente nella cosa, nell’opera d’arte, e lasciare perciò andare la semplice soggettività e i suoi stati”.  La concezione hegeliana dell’arte è quindi segnata da un abbandono della centralità che avevano in Kant i temi del sentimento e del giudizio e il loro ruolo nel ridefinire la comprensione trascendentale dell’esperienza.  Ciò non significa, però, che l’arte sia considerata come altra rispetto al sensibile: al contrario, il carattere sensibile dell’opera d’arte viene ribadito, ma è reinterpretato alla luce della concezione dell’arte come manifestazione della verità e presentazione dell’assoluto.  Il problema della verità dell’arte si pone infatti, in Hegel, solo nell’ambito della concezione dell’apparire: “La parvenza stessa è essenziale all’essenza; la verità non sarebbe, se non paresse ed apparisse, se non fosse per qualcosa, per se stessa tanto quanto per lo spirito in generale. (…).

Lungi dall’essere semplice parvenza, ai fenomeni dell’arte è da attribuire, di contro all’effettualità abituale, realtà più alta ed esistenza più vera”.  La natura sensibile dell’opera d’arte non è dunque mera parvenza bensì manifestazione e fenomeno della verità.  Essa è il luogo in cui si conciliano un sensibile spiritualizzato e uno spirituale sensibilizzato.

L’Estetica , nell’edizione redatta da Hotho, si suddivide in tre grandi sezioni, dedicate rispettivamente all’”idea del bello artistico o l’ideale”, allo “sviluppo dell’ideale nelle forme particolari del bello artistico” e al “sistema delle singole arti”.  Per quanto riguarda la prima sezione, Hegel sostiene che l’ideale non è l’idea come tale, quale cioè una logica metafisica deve concepirla come l’assoluto, ma l’idea in quanto si è foggiata a realtà ed  è entrata con questa realtà in unità immediatamente corrispondente”.  L’ideale che si manifesta nel bello artistico è la perfetta conciliazione di idea e forma concreta, la loro configurazione sensibile e figurativa, che è possibile solo là dove il contenuto rappresentato dall’arte non è irraggiungibile nella sua astrattezza ma suscettibile di essere concretizzato in un’opera.

La descrizione delle diverse modalità in cui si realizza la conciliazione di idea e forma, spirito e materia, pensiero e intuizione, costituisce la base a partire dalla quale Hegel distingue le varie forme in cui il nello artistico si è manifestato nel corso del cammino dialettico e teleologicamente orientato dello spirito: arte simbolica , arte classica e arte romantica..  In questo scheda triadico, in cui ogni momento deve essere compreso secondo la verità che vi si manifesta, l’arte classica ha una posizione e funzione centrale rispetto a quella simbolica , ancora incerta, disorientata, immersa in un’esteriorità che non è in grado di padroneggiare, e un’arte (quella romantica) ormai spinta dall’avvento di una nuova tendenza dello spirito a ritrarsi nella soggettività e nell’interiorità, avviandosi però in tal modo inesorabilmente alla propria dissoluzione e alla consumazione di qualsiasi possibilità di esprimere l’assoluto come tale.  Se nell’arte simbolica “l’idea non ha ancora trovato in se stessa la forma, vi aspira soltanto, si sforza ad essa “, in quella classica si ha “la libera impressione adeguata dell’idea nella forma peculiarmente appropriata, secondo il suo concetto, all’idea stessa, con cui essa può quindi giungere a una libera, completa concordanza. Con ciò , soltanto la forma classica dà la produzione e l’intuizione dell’ideale compiuto e lo pone come realizzato”. L’equilibrio raggiunto dall’arte classica, che trova la sua più compiuta espressione nella rappresentazione della figura umana, viene perso con l’arte romantica, il cui oggetto è costituito dalla “libera spiritualità concreta” e nella quale predominano l’interiorità, l’intimità soggettiva, il sentimento individuale.

Nella terza e ultima parte il discorso sulle forme d’arte generali (simbolica, classica, romantica) e sul rapporto in esse tra idea e forma è riportato ai diversi generi artistici individuati in architettura, scultura, pittura, musica e poesia,  Se l’architettura , nella sua elaborazione materiale della natura inorganica, appare come un genere artistico fondamentalmente legato alla forma d’arte simbolica, la scultura è invece il genere in cui si esprime con maggiore perfezione l’ideale della forma d’arte classica: “in essa l’interno spirituale, a cui l’architettura è solo in grado di accennare, si installa nella forma sensibile e nel suo materiale esterno, ed i due lati si plasmano l’un l’altro in modo tale che nessuno dei due prevalga. (…) ad opera della scultura lo spirito deve restare in immediata unità, quieto e sereno, nella sua forma corporea, e la forma deve essere animata dal contenuto di un’individualità spirituale”.  Con pittura, musica e poesia prosegue la graduale liberazione dello spirito dalla materia e il distacco rispetto all’accordo armonico con la materia che caratterizzava la scultura come momento emblematico dell’arte classica. La pittura , avendo per oggetto “ il render visibile come tale”, è maggiormente spirituale della scultura, ancora legata alla pesantezza della materia, mentre nella musica è l’intera dimensione della spazialità ad essere oltrepassata dialetticamente in direzione di una “idealità temporale” con cui “ il suono scioglie l’ideale, per così’ dire, dal suo incatenamento materiale”.  La poesia , infine, rappresenta la manifestazione più spirituale della forma d’arte romantica: in essa “il suono, estremo materiale esterno della poesia, non è più il sentimento che risuona, ma un segno per sé privo di significato”.

Con la poesia l’arte perviene al culmine della propria capacità di liberazione dello spirito dalla materia e dalla sensibilità.  L’idea ora non ha più bisogno di concretizzarsi in un materiale esterno sensibile, ma “si effonde solo nello spazio interno e nel tempo interno delle rappresentazioni e dei sentimenti”.  E’ questo il momento in cui l’arte “va oltre se stessa”, giunge al compimento del proprio ruolo di forma dello spirito assoluto, e trapassa nella religione e nella filosofia,  Già nella Fenomenologia dello spirito era presente il tema di una morte o fine dell’arte, ossia del superamento e dell’inveramento dell’arte nella religione e nel sapere assoluto.  Se l’arte intuisce l’assoluto e lo manifesta nel sensibile, tocca però alla religione rappresentarlo e alla filosofia portarlo alla compiuta autocoscienza, e questo impianto sistematico, impostato nella Fenomenologia, è ripresentato nelle due edizioni dell’Enciclopedia (1817 e 1827) e fa da sfondo alle Lezioni di estetica.

Parlare di fine dell’arte significa quindi ricordare che l’arte rappresenta solo una forma limitata e finita di manifestazione dell’assoluto, in cui può venire alla luce solo un certo grado di verità, quella passibile di essere rappresentata nel sensibile.  Come ogni determinazione finita, anche l’opera d’arte è parte di un movimento dialettico e trova la propria verità nel tempo e nel divenire, nell’”inquietudine “ che spinge ogni finito oltre se stesso. Ogni determinazione finita è in se stessa contradditoria, e implica la spinta inesorabile verso il proprio tramonto.  Lo spirito procede attraverso le sue figure e i suoi momenti secondo il ritmo della Aufhebung , quel movimento secondo cui ogni contenuto determinato è tolto dialetticamente  per essere inverato ed elevato a uno stadio successivo.  Lungo questo cammino, compito della filosofia è conoscere l’idea nelle sue manifestazioni e nei suoi successivi modi di comprendersi.  A questi appartiene l’arte, che ha il suo prima nella natura e il suo poi , il suo superamento, nella religione, dove la verità si dà nella fede e nell’interiorità, e nella filosofia, dove la verità si dà finalmente nella forma propria, quella del concetto, al di là di ogni estraniazione. A differenza di Schelling (1775-1854) , che nelle pagine finali del Sistema dell’idealismo trascendentale (1800) presentava l’intuizione artistica come forma più alta di intuizione dell’assoluto, per Hegel l’arte non è il modo supremo di rivelarsi della verità.  Avendo perso il suo intrinseco legame con il divino e, in quanto forma superata di manifestazione dello spirito, “l’arte, dal lato della sua suprema destinazione, è e rimane per noi un passato”.






La filosofia e i suoi eroi