Per una definizione di estetica: Baumgarten, Croce, Gentile, Anceschi

 

Di Roberta Musolesi

 

 

 

L’analisi di questo tema prendendo in esame la definizione di estetica riportata da uno dei manuali in uso nei licei, ad esempio il De Bartolomeo – Magni, nel volume 0 dedicato ai temi; in questo testo l’estetica viene definita come la scienza filosofica del bello, definizione che viene presentata senza problematicità

In effetti, il termine estetica deve la sua origine etimologica al greco aistesis (sensazione) e la sua accezione moderna all’opera di Baumgarten . Alla luce di queste considerazioni, la definizione dell’estetica come scienza filosofica del bello appare immediatamente impropria ed anche riduttiva, oltre che errata: se si pone in relazione questa stessa definizione con l’etimologia, risulterà evidente che essa in effetti  nulla ha a che vedere col bello, ma che invece è riferibile alla sensazione. L’unica informazione corretta presente nel testo è il riferimento a Baumgarten (à illuminismo tedesco, allievo di Wolff) , che è il primo autore che parla di estetica come disciplina filosofica specifica. Per tracciare quindi una storia dell’estetica bisogna partire da Baumgarten che:

1)     ha coniato il termine esteticaà aesthetica, termine neolatino di origine settecentesca

2)     conia questo termine per designare una nuova scienza filosofica: l’estetica infatti è un’articolazione della gnoseologia. Baumgarten distingue infatti

-         gnoseologia superior à logica, cioè scienza della conoscenza concettuale

-         gnoseologia inferior à scienza della cognitio inferior, cioè della conoscenza sensibile, che ha la sua matrice nella sensazione, da cui aistesisà estetica. Questa gnoseologia inferior non è solo conoscenza sensoriale, ma è anche intesa come sentire, cioè come sentimento, quindi come sentire emotivo e come facoltà immaginativa che produce non noemata (idee), ma phantasmata.

La novità di Baumgarten sta nell’aver attribuito rilevanza alla conoscenza sensoriale e sentimentale: questo processo di rivalutazione, pur essendo già stato avviato a partire da Leibniz, viene portato a pieno compimento da Baumgarten stesso, che la riscatta definitivamente facendola divenire conoscenza a pieno titolo e con piena dignità, anche se permane una distinzione gerarchica, che comunque separa due ambiti conoscitivi autonomi e autosufficienti.

La prima fondamentale definizione dell’estetica come disciplina filosofica specifica non ha quindi a che fare con col bello, ma solo con la conoscenza sensibile, di cui si configura come scienza. Quindi

 

Estetica = scientia cognitionis sensitivae

 

Questa tuttavia non è l’unica definizione, anche se è quella fondamentale, in quanto l’estetica viene definita  anche come

 

Estetica = ars pulchrae cogitandi à arte del bel pensare,

dove pensare è esercizio della conoscenza sensibile

 

 

Estetica = Theoria liberalium artium à teoria delle arti liberali

 

 

A questo punto è necessario verificare se è possibile trovare una relazione fra queste diverse e apparentemente inconciliabili definizioni.

L’estetica è definita pertanto da Baumgarten come scientia, ars e theoria, con termini cioè che dal suo punto di vista sono sinonimi in quanto indicano la FILOSOFIA. Tale significato appare tuttavia più evidente nella prima e nella terza definizione e meno nella seconda, che tuttavia ha una sua storia semantica: Baumgarten infatti riprende una valenza semantica antica, cioè quella di ars che coincide con episteme, cioè con la riflessione teoretico-speculativa, quindi con la filosofia, significato questo che permane anche nel Medioevo e nel Rinascimento. L’arte pertanto ha sempre a che fare con la conoscenza, anche se è legata alla produzione, e si distacca nettamente dalla semplice esperienza che è un fare imitativo, in cui cioè non si conoscono le ragioni che spingono a produrre e ci si limita ad imitare dei gesti.

Ars ha quindi:

§        valenza fattiva

§        valenza teoretico-speculativa che ricompone le tre definizioni precedentemente date, e cioè:

o       scientia cognitionis sensitivae

o       ars pulchrae cogitandi, cioè esercizio teoretico-speculativo non fine a se stesso, ma finalizzato al raggiungimento della perfezione, che è la bellezzaà finalità prammatica

o       theoria liberalium artium: le arti liberali emergono perché esse sono quelle attività in cui la conoscenza sensibile, guidata dall’estetica, raggiunge la sua perfezione, cioè la bellezza.

In sintesi, l’estetica è una scienza che ha per oggetto la conoscenza sensibile e che mira a guidarla al raggiungimento della sua perfezione che è la bellezza, il cui raggiungimento si consegue mediante le arti  liberali, sempre che l’esercizio di queste si attenga alle regole operative indicate dall’estetica stessa.

L’estetica quindi ha un campo di applicazione composito, caratterizzato da 3 diverse componenti reciprocamente connesse:

§        CONOSCENZA SENSIBILEà raggiunge la sua perfezione, che è la bellezza, mediante le arti liberali

§        BELLEZZA à è la perfezione della conoscenza sensibile che si raggiunge nelle arti liberali

§        ARTI LIBERALI à attività dell’uomo che attinge dalla conoscenza sensibile.

 

La grande novità di Baumgarten sta proprio nella capacità di tenere uniti e reciprocamente collegati i tre ambiti.

Detto questo, è necessario tuttavia analizzare a grandi linee l’evoluzione cui va incontro l’estetica dopo Baumgarten, analisi che ne metterà in evidenza la problematicità. Contemporaneamente a Baumgarten, infatti, anche Kant utilizza il termine “estetica” nella sua estetica trascendentale, che conserva il termine di derivazione baumgartiana, anche se solo con il puro significato etimologico: estetica in Kant, cioè, è tutto ciò che attiene all’ambito della sensibilità, quindi l’estetica trascendentale è la scienza delle forme a priori della conoscenza sensibile. Altra differenza che si pone fra l’accezione kantiana e quella di Baumgarten è nella qualificazione. L’estetica trascendentale kantiana è la scienza che studia le condizioni a priori della conoscenza sensibile; Kant affronta tematiche estetiche (à problema del bello, del sublime e del gusto) nella Critica del Giudizio, ma non utilizza in questo contesto il termine estetica.

Quindi già fin dal momento della sua creazione e della sua definizione, il termine estetica assume significati diversi da quelli proposti da colui che l’ha coniato. Quindi è possibile evidenziare:

¨     un uso polisemico del termine estetica

¨     un processo continuo di “sdefinizione”, cioè di assegnazione di accezioni diverse da quelle originarie, con conseguente moltiplicazione e variabilità di significati.

A dimostrazione del processo di continuo definirsi cui va soggetta l’estetica si può, ad esempio, prendere in esame la posizione di Hegel in proposito. Egli attribuisce  alla riflessione estetica un campo di applicazione che attiene all’ambito della conoscenza sensibile, così come accade in Baumgarten, ma il significato che il termine “estetica” assume nel pensiero hegeliano è diverso da quello baumgartiano.  L’estetica per Hegel infatti è filosofia dell’arte bella: in questo caso l’estetica non ha nulla a che fare con la pura percezione sensoriale e l’attenzione viene calata sull’arte e sulla bellezza. Con Hegel quindi si va incontro ad un ulteriore processo di ridefinizione dell’estetica: il bello non è il bello di natura, ma è il bello dell’arte. Allo stesso modo con il Positivismo, parallelamente al rilievo attribuito alle scienze in generale e delle scienze umane in particolare, alle quali viene applicato il metodo proprio delle scienze della natura, si ha un nuovo mutamento del campo di applicazione dell’estetica: accanto all’estetica filosofica si affianca un’estetica scientifica che attinge il suo apparato concettuale e il suo strumentario dalle scienze, in particolare quelle umane.

 

A questo punto è possibile affrontare l’analisi di un altro aspetto importante, quello cioè relativo al rapporto fra arte e sistema. Partendo dagli esempi riportati, risulterà evidente che la presenza del sistema dietro la riflessione estetica ha una notevole rilevanza sul destino della riflessione estetica stessa; dove c’è un sistema infatti c’è anche una definizione perché:

a)     il sistema prescrive i criteri

b)    dentro al sistema non ci possono essere più idee della stessa cosa, ma può sussistere al contrario una sola idea che legittima e viene legittimata dal sistema stesso.

Il sistema è quindi una sorta di mosaico, in cui ogni nuovo tassello deve necessariamente inserirsi nel sistema stesso. Tutte le volte che ci troviamo di fronte quindi ad un sistema, cioè ad un assetto rigido, tutti gli elementi che vi debbono entrare sono necessariamente definiti in modo univoco; le  estetiche precedentemente individuate, quella baumgartiana, quella kantiana, la hegeliana e quella positivistica, sono accomunate dall’avere una natura sistemico-definitoria, accanto e di contro alla quale, possiamo individuare  invece l’impostazione sistematico-comprensiva. Le caratteristiche di queste due differenti impostazioni metodologiche possono essere così schematizzate:

 

Estetica sistemico-definitoria

Estetica sistematico-comprensiva

¨     L’organizzazione del sistema è rigida

¨     Il sistema si impone e si sovrappone alla realtà costringendola dentro le proprie maglie

¨     Le domande sono che emergono sono:

-         che cos’è l’arte?

-         che cos’è il bello?

Queste domande non sono neutre, ma imprimono alla nostra definizione una direzione ben precisa: nel sistema la domanda porta necessariamente alla definizione, con conseguente riduzione dell’orizzonte conoscitivo ed esclusione di ampi settori dell’esperienza.

Es.: CROCE à si chiede: che cosa è l’arte? La risposta, condizionata dal sistema, è che l’arte è intuizione-espressione.

¨     L’organizzazione del sistema è flessibile e mutevole

¨     Il sistema non si impone alla realtà, ma cerca di organizzarla senza costringerla e modellandosi su di essa. Costruisce quindi un ordine senza imporlo, ma ricavandolo, al contrario, dalla realtà stessa.

¨     Le domande sono:

-         che cosa intendiamo per arte?

-         che cosa intendiamo per bello?

In questo caso si rinuncia a formulare una definizione e ci si apre ad accogliere l’esperienza nelle sue molteplici manifestazioni. L’atteggiamento seguito è quindi quello del COMPRENDERE, cioè del disporsi ad accogliere e cogliere il senso delle varie definizioni d’arte, senso che viene colto grazie all’impostazione non sistemica, ma sistematica.

Gli esiti cui perviene questo tipo di  riflessione sono sempre esiti momentanei che si pongono come ipotesi, cioè punti di partenza per una nuova ricerca, per cui:

-         si può dire dell’arte qualcosa di diverso a seconda del periodo

-         l’arte è pensata come “vivente estetico”, quindi come qualcosa di mutevole

-         l’arte è quindi:

§        indefinibile, cioè non definibile se non in modo relativo

§        così come il bello, essa è  continuamente definibile mediante definizioni che non sono verità assolute, bensì verità relative e provvisorie à non c’è tuttavia scetticismo o nichilismo e alla verità unica si contrappone la molteplicità delle verità, ciascuna delle quali ci dice qualcosa di vero sull’arte

Es.: ANCESCHI à prende posizione nei confronti dell’estetica crociana, in particolare rispetto all’atteggiamento del filosofo che definisce l’arte prescindendo dall’esperienza vivente dell’arte stessa e procede solo sul piano speculativo.

 

¨     BENEDETTO CROCE

 

Se si volesse condensare in una formula efficace la filosofia crociana, si potrebbe affermare che essa è uno storicismo assoluto. Per Croce infatti tutta la realtà è Spirito, cioè vita spirituale, e lo Spirito è storicità, in quanto la sua vita si dispiega interamente nella storia: fuori dalla storia non si danno né vita, né attività. In ciò Croce concorda con Hegel, di cui riprende alcune tesi di fondo, e da questa scelta di campo deriva la definizione data di storicismo, in quanto tutto si riduce a storia, assoluto, perché non ammette un fine all’agire che possa andare oltre i confini della storia umana: la realtà è storia e ogni conoscenza è conoscenza storica. Croce tuttavia si distacca da Hegel, a cui rimprovera di aver sostenuto che la “natura” sia altra cosa dallo Spirito, mentre essa non è altro che una parte di vita spirituale. Altro appunto che viene rivolto da Croce alla filosofia hegeliana è di aver appesantito eccessivamente la dialettica, rendendola rigida e meccanica con l’abuso dei tre termini, tesi, antitesi e sintesi, che hanno finito per isterilire la vita stessa dello Spirito. Croce riforma la dialettica hegeliana, distinguendo la vita dello Spirito in due momenti fondamentali:

1)     conoscenza (o forma teoretica)

2)     azione (o forma pratica)

La vita dello Spirito, secondo Croce, si svolge quindi in un alternarsi di conoscenza e azione che si consuma nella storia. Questo suo modo di concepire la storia, che Croce riprende da Vico, ha inoltre alcune conseguenze fondamentali:

1)     la piena identità di storia e di filosofia à tutto ciò che accade nella storia è razionale e segna un progresso e i momenti di crisi o di decadenza, che Croce stesso non nega, vengono visti nella prospettiva di un futuro (positivo) che essi stessi preparano  e quindi considerati dotati di razionalità. E’ chiaro che sarà necessario precisare i termini di questa razionalità: tutto ciò che accade nella storia è razionale perché non può non accadere e perché c’è sempre un motivo che spiega ciò che accade, motivo che comunque è riconducibile alla storia stessa e non a cause trascendenti;

2)     la riduzione della conoscenza scientifica a “pseudoconcetto” à le scienze della natura vengono relegate ad assumere un ruolo di secondo piano in quanto rispondono unicamente al nostro interesse utilitaristico di operare nel mondo fisico per sfruttare a nostro vantaggio le cose della natura. Le scienze, per Croce, non sono discipline conoscitive in senso teoretico, ma semplici conoscenze pratiche, cioè schemi operativi che servono a ordinare il nostro sapere empirico circa il comportamento dei fenomeni naturali e a conservarlo in modo tale che ad asso sia possibile attingere in qualsiasi momento. Con Croce quindi la scienza perde la posizione di preminenza che aveva avuto nel positivismo e subisce una radicale svalutazione storica.

Dopo questa premessa generale di ordine filosofico, l’opera cui si potrebbe far riferimento per la presentazione del pensiero estetico di Croce, è l’Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale, in cui, come già appare evidente dal titolo, l’estetica viene posta in una relazione di uguaglianza con la scienza: questa coincide in effetti con la filosofia, che, per Croce, è pensamento concettuale delle categorie dell’essere. Esse sono:

1)     le fondamenta di tutta la realtà nel suo vario e molteplice manifestarsi

2)     l’universale che fonda la realtà nel suo molteplice dispiegarsi

3)     l’universale che si contrappone al molteplice.

Il compito della filosofia, per Croce, è quello di individuare come l’essere regga la realtà nel suo molteplice manifestarsi.

L’essere, per Croce, coincide con lo spirito che è attività, e in particolare:

1)     attività conoscitiva à spirito teoretico à conoscenza di

§        individuale à spirito estetico

§        universale à spirito logico

2)     attività pratica à spirito pratico  à si esplica in

§        volizione dell’individuale à spirito economico

§        volizione dell’universale à spirito etico

 

A questa quadripartizione dello spirito corrisponde una quadripartizione della filosofia, che è unica, ma può assumere come campo di riflessione concettuale ora la propria attività conoscitiva, dell’individuale o dell’universale, ora la propria attività pratica, come volizione dell’individuale o dell’universale; pertanto la filosofia si suddivide per Croce in:

1)     estetica: lo spirito svolge un pensamento concettuale di sé medesimo come conoscenza dell’individuale

2)     logica: lo spirito svolge un pensamento concettuale di sé medesimo come conoscenza dell’universale

3)     economica: lo spirito svolge un pensamento concettuale di sé medesimo come volizione del particolare

4)     etica: lo spirito svolge un pensamento concettuale di sé medesimo come  volizione dell’universale.

 

Anche in Croce, così come era per Hegel, esiste una dialettica fra le varie attività dello spirito, ma la dialettica crociana è completamente diversa da quella hegeliana degli opposti (tesi, antitesi, sintesi che rappresenta il superamento ed anche l’annullamento dei primi due termini) e si pone invece come dialettica dei distinti: nessuna attività dello spirito viene annullata in una sintesi superiore, ma

1)     esiste una mutua e reciproca implicazione fra le varie attività dello spirito

2)     le attività dello spirito rimangono distinte

3)     nessuna di esse viene annullata.

Ciò comporta due fondamentali conseguenze:

1)     in Croce non c’è, così come si evidenzia in Hegel, la morte dell’arte perché l’arte non viene annullata da un momento di sintesi superiore, ma permane insieme alle altre attività dello spirito in un rapporto di reciproca implicazione, cioè di circolarità;

2)     viene sancita l’autonomia dell’estetica e dell’arte che non possono avere finalità etiche, utilitaristiche o logiche. In particolare l’estetica acquisisce nella riflessione crociana una duplice accezione:

§        categoria dell’essere: l’arte è attività dello spirito estetico, cioè dello spirito che è rivolto alla conoscenza dell’individuale, quindi alla domanda “Che cosa è l’arte?” la risposta che viene data da Croce è che l’arte è lo spirito nella sua attività conoscitiva rivolta verso l’apprensione dell’individuale. L’estetica in questo caso è estetica trascendentale in quanto rimanda ad una categoria dello spirito, cioè ad uno dei fondamenti della realtà nel suo complesso;

§        attività concreta, quindi attività produttiva, pertanto alla domanda “L’oggetto  concreto che ho di fronte è arte o no?”, domanda che comporta uno slittamento al piano empirico, la risposta viene data da un’estetica ad hoc, che riguarda cioè solo un ambito specifico della realtà, quello cioè costituito dall’arte come opera e attività produttiva.

Nell’opera del 1902 Croce formula inoltre alcuni asserti identificativi, cioè con connotazione positiva e che ci dicono che cosa l’arte è, ed alcuni asserti negativi, che dicono cioè che cosa l’arte non è. Gli asserti identificativi positivi sono riconducibili a:

-         l’arte è intuizione

-         l’arte è espressione

unificati nella definizione dell’arte come intuizione-espressione.

Questi asserti vengono poi specificati attraverso alcuni asserti negativi, che sottolineano che:

-         l’arte, poiché è intuizione, non è percezione poiché la percezione è apprensione di un dato individuale reale, mentre nell’intuizione si ha mescolanza di dati reali, irreali e immaginativi. Nell’intuizione c’è una forte componente attiva, con valenza inventiva, a differenza della percezione che è passiva;

-         l’arte, in quanto intuizione, non è sensazione perché nella sensazione si ha una forte valenza di passività e c’è un coinvolgimento sensoriale; l’attività dell’arte è invece ideativa.

In Croce quindi il momento elaborativo dell’intuizione non ha nulla a che fare con la dimensione sensoriale, ma ha una esclusiva natura ideativa.

Asserire che l’arte è intuizione coincide quindi con l’affermare che essa è attività del conoscere che:

1)     prescinde dalla distinzione fra realtà e irrealtà

2)     non ha  carattere di passività

3)     è attività mentale.

A questo primo asserto si connette il secondo, che afferma che l’arte è espressione. Croce vuole sottolineare il carattere attivo dell’intuizione-espressione che è messa in forma e produzione di immagini. L’intuizione trova espressione in parole, colori e suoni, ma questo momento dell’espressione non deve essere confuso con il momento della traduzione in espressione artistica: l’espressione in definitiva è un processo  mentale e quindi non è necessaria l’estrinsecazione percepibile attraverso i sensi. Quando non c’è espressione significa che non c’è intuizione; finchè pertanto non si dà espressione ad un’intuizione non si dà intuizione: l’attività intuitiva è elaborazione di un’intuizione che si fa espressione e viceversa. L’espressione quindi è espressione interiore e fra il momento espressivo e quello intuitivo c’è coessenzialità, in quanto lo spirito tanto intuisce quanto esprime.

L’arte in definitiva per Croce è una sola  e il fatto che si diano materiali diversi appartiene alla dimensione empirica; l’arte pertanto non può essere suddivisa nel sistema delle arti, che quindi non ha alcuna rilevanza nell’elaborazione dell’intuizione e assume un valore puramente classificatorio. Il compito del critico è quello di risalire oltre l’insieme della manifestazione concreta per cogliere l’intuizione-espressione.

Ciò che in effetti Croce intende con il termine “arte” trapela dall’analisi di due diverse opere,  Aesthetica in nuce (1927), traduzione italiana della voce “estetica” elaborata da Croce per l’Enciclopedia Britannica, e Breviario di estetica. In queste opere, infatti, emerge chiaramente sia che cosa l’arte non è per Croce (Aesthetica in nuce), sia cosa essa è (Breviario di estetica). Dalla lettura di queste opere è possibile ricavare che, per Croce, nell’ambito dell’arte non possono entrare in gioco né l’intelletto, né principi etici o utilitaristici e ciò sia nel momento più propriamente intuitivo che in quello giudicativo: per Croce infatti è possibile esprimere mediante l’arte un contenuto disdicevole sul piano etico, senza che l’oggetto rappresentato debba essere necessariamente giudicato su questo piano. Con queste affermazioni Croce prende le distanze dall’estetica intellettualistica, orientata al vero, da quella edonistica, orientata alla fusione di intuizione e piacere, a quella pedagogica ed educativa, che unisce l’etico e l’utile insieme, e giunge a formulare un nuovo asserto sull’arte, quello cioè con cui ne afferma l’autonomia:

-         costitutiva: l’esercizio dell’arte non ha bisogno del concetto e del rapporto con utile ed etica

-         di fini: l’arte non può avere fini eteronomi, cioè fuori dall’arte stessa, ed è finalizzata a sé medesima.

Dalla lettura dei due brani sarà poi possibile giungere ad altri fondamentali conseguenze:

-         ciò che in un’opera letteraria non è riconducibile all’arte, e in particolare alla poesia idillica, deve essere escluso (vedi il Leopardi dello Zibaldone o delle Operette morali, o molte parti della Divina Commedia di Dante);

-         per il concepimento dell’arte, la poetica e la retorica non hanno alcune rilevanza, in quanto momenti di riflessione e prescrizione operativa, quindi legati alla dimensione pratica e concettuale, cioè a settori distinti dall’attività dello spirito e diversi dall’attività estetica;

-         solo il filosofo può pronunciarsi sull’arte e stabilire che cosa essa sia; ogni altra forma di riflessione è priva di valore veritativo;

-         l’estrinsecazione fisica dell’arte non ha alcuna rilevanza perché l’arte come categoria è già completamente realizzata nel momento in cui viene concepita, con conseguente esclusione delle posizioni e delle idee espresse dagli artisti che puntano la loro attenzione su tecniche, strumenti e materiali.

 

GIOVANNI GENTILE

 

La definizione che è possibile attribuire al pensiero di Gentile è quella di attualismo: alla radice di ogni contenuto, secondo Gentile, c’è sempre un punto di riferimento ineludibile, l’atto del pensare. Tutti gli aspetti della realtà si pongono e sono pensabili solo nella misura in cui possono essere riferiti ad un Soggetto puro che li pensa. Per Gentile quindi  tutta la realtà è pensiero, dove con “pensiero” non si deve tuttavia intendere il pensato, cioè i contenuti del pensiero, bensì l’attività stessa del pensare. Il soggetto dell’atto del pensare è per Gentile poi l’Io puro trascendentale, cioè lo Spirito universale che non si identifica con nessuno dei soggetti empirici e si riconosce come soggettività ed attività pura, condizione di ogni altro soggetto ed attività. Tutto ciò che è prodotto è figlio dell’atto che è puro fare, cioè dello Spirito che è atto puro; tale atto puro, che innanzitutto pone se stesso, viene definito da Gentile autoctisi, termine preso in prestito dal greco ad indicare proprio questo processo di autoposizione e di autocreazione.

L’Io trascendentale gentiliano non rimane tuttavia chiuso in se stesso, ma è attività che come tale si articola in tre momenti:

1.     arte: è il momento della tesi, in cui lo Spirito sottolinea la soggettività che si trova nel sentimento. Il mondo dell’arte è per Gentile il frutto della fantasia dell’artista, un fatto del tutto personale, che non si presta ad una comprensione oggettiva. L’arte è il mondo in cui predomina il sentimento;

2.     religione: è il momento dell’antitesi dello Spirito, in cui lo spirito proietta fuori di sé un oggetto che egli crede estraneo ed altro da sé. Dimenticando che è totalità, lo Spirito si sottomette al suo oggetto e lo venera, ma Dio altro non è che una creazione dell’Io che nella religione appare erroneamente come soggetto cui l’uomo deve sottomettersi. Per natura e scienza vale, in Gentile, lo stesso ragionamento sviluppato per la religione: esse sono creazioni dell’Io puro, ma in realtà appaiono come mondi indipendenti rispetto al Soggetto e si ha così il grave errore della scienza che, come affermano le filosofie naturalistiche, deve inchinarsi di fronte alla natura di cui deve saper cogliere le leggi. Ma secondo Gentile il vero legislatore non è la natura, ma è l’Io puro, quindi nella religione e nella scienza prevale l’oggettivismo e quindi il dogmatismo e il naturalismo.

3.     filosofia: è il momento della sintesi perché rappresenta l’unità dei momenti precedenti; essa è quindi il momento in cui si superano gli opposti unilateralismi rappresentati dal soggettivismo dell’arte e dal naturalismo di religione e scienza. La filosofia per Gentile è autocoscienza dello Spirito, la consapevolezza cioè che chi dà senso al mondo e a Dio è solo lo Spirito trascendentale. .

L’arte, in quanto aspetto soggettivo dello spirito, è quindi costitutivamente insufficiente e di per sé contraddittoria; per questi motivi deve essere necessariamente integrata dalla religione, la quale tuttavia, come coscienza dell’oggetto, è anch’essa manchevole e ha bisogno dell’integrazione dell’arte; tale integrazione avviene nella filosofia, in cui i due momenti dell’arte e della religione giungono alla loro sintesi. Ciò significa che:

-         concreta è solo la sintesi realizzata dalla filosofia

-         arte e religione vivono esclusivamente nella filosofia: non può esserci arte che non sia contemporaneamente religione e filosofia

Questo modo di concepire l’arte comporta tuttavia la negazione all’arte stessa dello statuto di categoria trascendentale e la riduzione alla sfera del pensiero pensato, difficoltà che Gentile cercherà di risolvere a partire dal 1921 e che avrà effettiva risoluzione in Filosofia dell’arte (1931). In quest’opera Gentile prende le distanze dall’approccio empirico al problema dell’arte a favore di  un approccio genuinamente filosofico: egli ricerca infatti quale sia il ruolo dell’estetica nelle attività dell’uomo e mette in luce che il concetto di arte non riguarda una classe di oggetti, ma una condizione costitutiva delle attività umane, che è alla base sia del conoscere che dell’agire. L’arte non è qualcosa di estrinseco e di accessorio per la vita umana perché, differentemente da ciò che accade nella conoscenza di un fatto storico o di un oggetto materiale, trasforma colui che ne fa esperienza proprio perché è il principio stesso di tutta l’esperienza. Quindi poiché l’arte, secondo Gentile, appartiene a ciò che vi è di più intimo nell’uomo, il problema dell’arte non è una curiosità, ma un vero problema filosofico. Sempre in Filosofia dell’arte, giunge a parlare di universalità dell’arte stessa fondandola sulla nozione di sentimento. Questo, inteso non nella sua accezione psicologica e volgare, ma in senso filosofico e gnoseologico, coincide con la soggettività immediata e concreta: il sentimento infatti o è del soggetto o è il soggetto stesso ed è quindi sentimento immediato dell’esistere e, in quanto tale, sentimento di piacere. Il sentimento quindi non è pensiero, ma è condizione dello stesso pensiero trascendentale e di ogni esperienza: è la condizione estetica e trascendentale dell’attività logica del pensiero e, visto che nella prospettiva di Gentile il pensiero coincide con tutta la realtà, il sentimento è la condizione di ogni realtà e di ogni attività dello spirito. Quindi l’esperienza estetica non è un’esperienza particolare, ma coincide con l’esperienza umana in generale.

Sul sentimento si basa inoltre la tesi più audace dell’estetica gentiliana, quella cioè dell’inattualità dell’arte: il sentimento è la condizione del pensiero, ma, nel momento in cui si esprime,  si dilegua in pensiero stesso, annullandosi quindi in ciò di cui è condizione. Quindi, in quanto sentimento, l’arte è inattuale: come condizione del pensiero e dell’esperienza è onnipresente, ma i concreti prodotti artistici non sono mai esclusivamente arte. Allo stato puro pertanto l’arte, secondo Gentile, non c’è e per attuarsi deve entrare nella dialettica concreta dello spirito, perdendo così la sua purezza. Differentemente da Hegel, per il quale l’arte muore per far posto alla religione, per Gentile l’arte muore nelle singole opere d’arte, in quanto attraverso di essere trapassa in pensiero. La morte dell’arte, quindi, viene sostituita dall’inattualità dell’arte, non tanto dell’arte di ieri piuttosto che quella di oggi, ma dell’arte di sempre in ogni momento della storia, perché la morte dell’arte consiste nel passaggio dialettico mediante il quale l’atto dello spirito eternamente si fa.

Tale modo di concepire l’arte ha alcune conseguenze fondamentali che allontanano nettamente le tesi di Gentile da quelle di Croce:

-         non è possibile distinguere fra ciò che è arte e ciò che non lo è perché l’arte vive morendo, cioè integrandosi in altri momenti dello spirito;

-         viene messa in discussione l’autonomia disciplinare dell’estetica, che in Gentile confluisce direttamente nella filosofia. Poiché non ci sono forme distinte dell’attività spirituale, ma più momenti di un unico atto che è lo spirito, l’arte non possiede un contenuto specifico che le garantisca autonomia: l’opera d’arte non è soltanto arte, ma anche riflessione e pensiero;

-         viene proposta da Gentile una diversa applicazione delle teorie estetiche alla critica letteraria: mentre Croce, che distingue l’arte dalle altre sfere dello spirito, separa nettamente la poesia dalla non poesia e si rivolge ad artisti puri, fondamentalmente quelli che si esprimono nella poesia lirica, Gentile, che considera l’arte come condizione stessa del pensiero, si occupa soprattutto di artisti filosofi, come Dante, Manzoni e Leopardi.

 

LUCIANO ANCESCHI

 

Prima di analizzare in dettaglio il pensiero di Anceschi, è necessario far riferimento alle diverse vie che la riflessione estetica imbocca dopo Croce. Dopo Croce, si ha il recupero di forme di riflessione filosofica diversa sull’arte, orientate cioè sia al recupero dell’arte stessa nella sua concretezza, sia al tentativo di pervenire ad una sua comprensione.

Poniamo, ad esempio, a confronto l’estetica di Pareyson e quella di Anceschi, definite post-crociane, sia perché successive a Croce, ma anche e soprattutto perché in aperta polemica nei confronti dell’affermazione e in un certo senso dell’imposizione del paradigma interpretativo di Croce stesso:

 

PAREYSON

ANCESCHI

Anche Pareyson, come Croce, assegna all’estetica il compito, analogo a quello della filosofia, di definire la realtà che di volta in volta incontra nel tentativo di coglierne la verità. Lo scopo della sua ricerca è quindi quello di individuare l’elemento fondativo della realtà nella sua mutevolezza e nel suo essere molteplice. In questo senso, Pareyson propone, in modo del tutto analogo a Croce, un’estetica di tipo sistemico-definitorio, anche se con un’impostazione metodologica completamente diversa da quella crociana:

-         Croce: il metodo scelto è quello che procede “dall’alto verso il basso” à per via puramente speculativa, viene formulata un’idea dell’arte, che viene poi calata sulla realtà concreta, la visione e l’interpretazione della quale risultano essere da questa stessa idea “forzate” e condizionate à carattere riduttivo dell’idea di arte;

-         Pareyson: il metodo scelto è quello di percorrere una via “all’insù”, procedendo cioè dall’esperienza concreta dell’arte per individuarne l’essenza, in virtù della quale dare giustificazione dell’esperienza concreta dell’arte nella sua molteplicità e varietà. In definitiva la definizione univoca di arte, poiché deriva dall’esperienza, è in grado di giustificarne la poliedricità e la  multiformità.

la domanda guida è “CHE COSA E’ L’ARTE?”

L’estetica di Anceschi è sistematico-comprensiva, nel senso che non propone una definizione dell’arte che risponde alle esigenze di un sistema, ma propone un metodo per la comprensione dell’esperienza vivente dell’arte

LA DOMANDA GUIDA E’:

“CHE COSA INTENDIAMO PER ARTE?”

 

Appare quindi evidente che la domanda che guida la riflessione di Anceschi, differentemente da quella di Croce e di Pareyson, apre la strada al molteplice e all’eterogeneo e ci porta a comprendere le molteplici definizioni dell’arte, sia quelle già date, sia quelle eventualmente ancora formulabili. La riflessione di Anceschi quindi:

-         è una riflessione comprensiva, disposta cioè ad accogliere il  molteplice e l’eterogeneo;

-         è disposta ad aprirsi al molteplice senza lasciarsene spaventare e interrogandosi per trovare le ragioni e il senso della molteplicità e dell’eterogeneità.

Ciò comporta necessariamente che la riflessione:

-         non avrà il carattere della passiva ricezione, ma si configurerà come sforzo attivo di comprensione;

-         avrà il carattere della sistematicità, cioè della ricerca dell’ordine e del senso;

-         avrà il carattere della “ricerca”: riflettere sull’arte cercando di comprenderla porta a risultati che saranno sempre e solo provvisori e momentanei, punto di partenza, a loro volta, di una nuova ricerca.

 

L’estetica di Anceschi, come già evidenziato dallo schema sopra presentato, è quindi orientata a proporre un metodo per la comprensione dell’esperienza vivente dell’arte, per la comprensione cioè di quello che egli definisce vivente estetico. Il vivente estetico, per Anceschi, è un ambito in cui si verificano costantemente dei processi di trasformazione, in cui tutto si modifica, si svolge e si configura nel modo più vario, per poi eventualmente anche morire. Il vivente estetico pertanto è assimilabile al concetto di organismo, che assume le più varie configurazioni e sfugge alle definizioni, che bloccano ed isteriliscono la vita.

Il vivente estetico è uno spazio, per Anceschi, divisibile in due ambiti:

-         ARTE COME COSA FATTA, cioè arte nella sua fisicità

-         ARTE COME COSA PENSATA, cioè discorso ed idee dell’arte. In questa seconda accezione sarà necessario richiamare la classe sul significato che può assumere il genitivo “dell’arte”:

o       dell’arteà genitivo oggettivo: l’arte è l’oggetto del discorso, quindi apparterranno a questo ambito tutte le idee dell’arte formulate da chi fa dell’arte l’oggetto del suo discorso

o       dell’arteà genitivo soggettivo: l’arte è soggetto di riflessione quando a riflettere si di essa sono gli artisti

L’arte quindi come cosa pensata è l’ambito delle idee dell’arte formulate da soggetti esterni (filosofi e critici) ed interni all’arte stessa (artisti).

I caratteri dell’arte come cosa pensata sono riconducibili a:

1)     molteplicità di idee e di arti

2)     eterogeneità: si danno nell’arte cose diverse e idee diverse, che spesso entrano in conflitto fra loro, quindi altro carattere sarà la

3)     conflittualità: ogni opera d’arte ha il desiderio e mostra l’intento di cancellare tutte le altre

4)     comune pronuncia assoluta: tutte le idee dell’arte sono definizioni (cioè assumono la forma di “l’arte è…”; es.: per Schopenhauer l’arte è intuizione eidetica, per Croce invece è intuizione-espressione) e ciascuna pretende di essere valida in modo assoluto. Ciò non vale solo per le idee dell’arte formulate dai filosofi, ma è applicabile anche alle idee di arte formulate dagli artisti.

Tutti coloro che in definitiva si esprimono sull’arte ritengono di potersi esprimere enucleando la Verità sull’arte stessa.

Anceschi cerca di analizzare ciascuno di questi caratteri facendo emergere un evidente paradosso: queste idee sull’arte, che sono tutte risposte alla domanda “Che cosa è l’arte?” si esprimono certamente in forma assoluta, ma sono fra loro molto diverse; come si conciliano allora assolutezza ed eterogeneità?

La ricerca di Anceschi mira a cercare di capire se il paradosso sia reale o apparente, punta alla ricerca di un senso all’interno dell’eterogeneità delle idee sull’arte, mediante un comprendere che sia in grado di salvaguardare l’eterogeneità stessa, spiegata però nel suo darsi. Per far ciò mette in atto due distinte operazioni di epochè:

1)     sospendere il giudizio rispetto al caos, evitando di giudicarlo immediatamente come tale;

2)     evitare di giungere subito alla definizione e quindi alla domanda “Che cosa è l’arte?”, che richiede necessariamente una risposta in termini definitori.

In virtù di queste due azioni di riduzione, Anceschi riesce ad accostarsi al caos delle diverse idee dell’arte e le riconduce a tre diversi soggetti riflettenti:

1)     filosofo o scienziato, la riflessione dei quali si concretizza nell’estetica

2)     artista, la cui riflessione prende corpo nella poetica

3)     critico, la cui attività di materializza nella critica.

Estetica, poetica e critica sono quindi, per Anceschi, tre diverse forme di riflessione che corrispondono a tre diverse postazioni riflessive, cioè a tre diversi punti di vista da cui osservare l’arte: il filosofo, lo scienziato e il critico osservano l’arte come soggetti esterni e non implicati nel fare artistico concreto, l’artista invece è un osservatore “interno” e direttamente coinvolto nel fare artistico. A queste diverse postazioni riflessive corrispondono diverse funzioni:

1)     filosofo o scienziato: la funzione svolta dalla loro riflessione è teoretico-speculativa, quella cioè che tende ad un sapere per il sapere;

2)     artista: la funzione della sua riflessione è prammatica, cioè è finalizzata al fare e deve valere come criterio operativo, quindi tende ad un sapere per fare;

3)     critico: la funzione della sua riflessione è valutativa, nel senso che il critico si chiede che cosa è l’arte perché è alla ricerca di un criterio di giudizio

Inoltre,  secondo Anceschi, ogni soggetto riflettente è una persona inserita in un contesto specifico cui reagisce in modo personale; queste differenti reazioni individuali non sono altro che fattori moltiplicanti che spiegano la molteplicità e l’eterogeneità delle idee dell’arte, molteplicità ed eterogeneità che giungono quindi ad avere un senso ed una giustificazione.

Relativamente al carattere della comune pronuncia assoluta, al fatto cioè che ciascuna  di queste idee dell’arte si presenta in forma definitoria, con automatica esclusione di tutte le altre idee dell’arte, Anceschi osserva che filosofo e scienziato, artista e critico, pur dalla loro differente postazione riflessiva e nella loro diversa funzione, sono accomunati dal porsi la medesima domanda, e cioè “che cosa è l’arte?”, domanda alla quale vengono date risposte diverse, ma accomunate dal fatto di essere tutte delle definizioni. La stessa domanda “che cosa è” pretende una risposta di tipo definitorio, ma ciò non spiega ancora il perché della definizione stessa. Secondo Anceschi per risalire alla radice della comune pronuncia assoluta delle diverse idee dell’arte è necessario porsi dietro i soggetti riflettenti ed osservare che cosa li muove a riflettere.

In definitiva, i vari soggetti riflettente, artista, filosofo, scienziato, critico, sono accomunati da:

-         medesima domanda: che cosa è l’arte?

-         risposta che si esprime in termini definitori

-         comune istanza di riflessione, che impone la domanda e spinge alla risposta. Questa comune istanza di riflessione è, secondo Anceschi, un’istanza di scelta, che impone la necessità della domanda, la necessità della risposta e la comune pronuncia assoluta.

L’istanza di scelta per il filosofo è la scelta del sistema: se egli decide di riflettere sull’arte all’interno di un sistema, questo stesso sistema ci impone la definizione, perché al suo interno non possono esistere due diverse idee della stessa cosa, ma può sussistere solo quella che convalida il sistema stesso e ne viene, nello stesso tempo, convalidata.

Per l’artista la scelta è connaturata al sua stessa attività di fare arte, in quanto fare significa scegliere, quindi ridurre ed assolutizzare. Scegliere, per l’artista, significa assumere come assoluto un criterio operativo che può variare nel tempo, ma che in ogni singolo momento vale in modo assoluto.

Per il critico infine la scelta non è l’opera da fare, ma è il giudizio da formulare; la scelta è quindi connaturata anche nel lavoro del critico che ha necessariamente bisogno di un criterio dotato del carattere di assolutezza.

Quindi l’istanza di scelta che accomuna tutti i soggetti riflettenti spiega la comune pronuncia assoluta e quindi il fatto che tutte le idee dell’arte si esprimono in forma definitoria. Alla comune pronuncia assoluta, tuttavia, non corrisponde un’effettiva assolutezza perché ogni idea è il risultato di una riflessione portata avanti da una dimensione di parzialità e di particolarità: ogni soggetto riflettente, come abbiamo già visto, riflette da una particolare postazione riflessiva, sulla base di una precisa funzione e condizionato da un particolare contesto storico e temporale. La parzialità delle idee dell’arte è quindi pienamente giustificata: nessuna di esse è la Verità, ma tutte sono vere e concorrono nella loro molteplicità a costituire l’idea di arte.

Da ciò dovrebbe quindi risultare evidente che per Anceschi l’arte, come insieme delle definizioni che nel tempo di essa sono state date, è nello stesso tempo:

-         indefinibile: non può essere definita una volta per tutte

-         perennemente definibile: è costantemente definita perché la necessità della definizione è da ricondurre all’istanza di scelta, fattore che spinge ciascun soggetto riflettente, dalla sua diversa postazione riflessiva e in virtù della sua differente funzione, a porsi la domanda “che cosa è l’arte?”

Anceschi quindi individua, nella riflessione sull’arte, due diversi piani:

-         piano della scelta: essa porta inevitabilmente alla domanda “che cosa è l’arte?” dalla cui risposta scaturisce necessariamente una definizione

-         piano della comprensione: orientato alla ricerca di un senso e che conduce alla formulazione non di definizioni, ma di ipotesi, cioè di provvisori punti di approdo che divengono punti di avvio per nuove ricerche.

Anceschi parla di compossibilità di scelta e comprensione, fra le quali quindi non si dà separazione e che si configurano invece come modi congiunti di esercizio del pensiero. La comprensione infatti porta alla considerazione ampia dell’esperienza dell’arte, quindi ad assumere posizioni più meditate e responsabili, la scelta invece, effettuata sempre con decisione e convinzione, è sempre un  atto compiuto con assolutezza, ma che, alla luce della comprensione, dovrà necessariamente essere rivisto per essere ribadito, confermato o magari modificato. Per comprendere come in effetti si possa dare la compossibilità fra scelta e comprensione è sufficiente prendere in esame l’opera di Anceschi in quanto critico. In Lirica nuova egli presenta un panorama della poesia italiana del Novecento, che inizia tuttavia con il nome di Capuana, e che esclude decisamente futuristi e crepuscolari a favore dell’ermetismo; in questa antologia ha prevalso sicuramente l’atteggiamento della scelta decisa operata nella convinzione dell’assoluta validità del criterio individuato, quello cioè per cui la poesia italiana del Novecento è solo la poesia ermetica. In un’altra antologia, Lirica del Novecento, compaiono invece anche i crepuscolari e i futuristi e quindi l’atteggiamento che guida l’analisi di Anceschi è in questo caso riconducibile a quello della comprensione, la più ampia possibile, tale quindi da inglobare tutti i possibili orientamenti della poesia del Novecento.

Alla classe, suddivisa in gruppi, saranno sottoposti alcuni brani tratti da Che cosa è la poesia?, nato da un corso universitario tenuto presso l’università di Bologna nell’anno accademico 1980-81. Il carattere didattico dell’esposizione e la chiarezza del linguaggio rendono a mio avviso quest’opera adatta ad un utilizzo in ambito liceale. Uno dei brani su cui potrebbe cadere la scelta è sicuramente l’introduzione, che riprende alcuni temi affrontati dai ragazzi nel corso della prima lezione.  


Volendo quindi tirare le fila di tutto il percorso svolto è possibile schematizzare come segue:

 

ESTETICA DI CROCE

Estetica sistemico-definitoria

ESTETICA DI ANCESCHI

Estetica sistematico-comprensiva

l’unica forma di riflessione legittimata a pronunciarsi sull’arte è la riflessione filosofica, con conseguente svalutazione di tutte le altre forme di riflessione e di tutto ciò che non ha il sigillo della filosofia

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Croce si accosta all’arte con un atteggiamento che è fortemente condizionato dal suo modo di concepire l’arte, a sua volta rispondente alle esigenze del suo sistema; sulla base di questo approccio il Seicento, ad esempio, viene giudicato da Croce come un secolo senza poesia perché nessuna delle esperienze del barocco corrisponde alla sua stessa idea di poesia

vi è il riscatto di tutte le forme di riflessione sull’arte, quelle cioè portate avanti dalla filosofia, dalla poetica e dalla critica, che propongono idee aventi tutte la medesima dignità concettuale

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Anceschi si accosta all’arte con un atteggiamento completamente diverso rispetto a quello di Croce; il  Seicento, ad esempio, è valutato non solo come un secolo ricco di tanta poesia, ma è anche un periodo in cui questa grande produzione poetica è stata sostenuta da numerose e molteplici riflessioni sul loro stesso fare artistico espresse dagli artisti stessi . Quindi il giudizio che Anceschi esprime sul Seicento ne determina non solo il riscatto di un secolo di poesia, ma anche la rivalutazione e il riscatto della poetica, che Croce invece tendeva a svalutare

 

La storia dell’estetica di Croce risente delle idee che Croce stesso elabora in merito, a loro volta condizionate dalle esigenza del sistema, e viene quindi costruita sui criteri fondamentali rappresentati dalle definizioni

 

 

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La storiografia anceschiana è una storiografia comprensiva, in quanto non muove da una definizione preliminare e, nella ricostruzione storica, non fa riferimento solo agli asserti formulati dalla filosofia, ma dà spazio anche alla riflessione degli artisti e di tutti i pensatori che non sono né filosofi né artisti, ma che comunque  riflettono sull’arte

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L’estetica di Croce non può e non vuole riconoscere legittimità ad altre forme di riflessione

l’estetica di Anceschi riconosce validità anche ad altre forme di riflessione, che vengono tuttavia assunte non in modo acritico, ma vengono richiamate alla consapevolezza dei propri limiti e non assumono pertanto validità assolutaà la posizione teoretica cui Anceschi fa riferimento è la NEOFENOMENOLOGIA CRITICA, in cui

 

§        NEOFENOMENOLOGIA: richiamo ad Husserl, soprattutto nella necessità del ritorno alle cose stesse, che per Husserl sono essenze, mentre per Anceschi sono i fenomeni della realtà concreta nella loro datità;

§        CRITICA: richiamo a Kant, in particolare per il riferimento alla consapevolezza di un limite: tutti coloro che riflettono sull’arte apportano un contributo fondamentale alla riflessione complessiva sull’arte stessa, ma nessuno di questi contributi può essere considerato esaustivo

 

Bibliografia

- Luciano Anceschi, Che cosa è la poesia?, CLUEB, Bologna, 1998, pagg.23-35

-         Domenico Massaro, La comunicazione filosofica. Vol.3 tomo A, Paravia, 2002, pagg. 340-347 e 348-352

-         Norbert Schneider, Storia dell’estetica, Neri Pozza, Vicenza, 2000, pagg. 145-152

-         Franco Restaino, Storia della filosofia. Vol. 4/2, Utet, Torino, 1999, pag. pag. 115-118

-         Gianni Vattimo (a cura di), Estetica moderna, Il Mulino, Bologna, 1977, pagg. 40-41 e 195-219

-         M. Vegetti, F. Alessio, F. Papi, Filosofie e società. Vol. 3, Zanichelli, Bologna, 1992, pagg. 335-338

-         F. Vercellone, A. Bertinetto, G. Garelli, Storia dell’estetica moderna e contemporanea, Il Mulino, Bologna, 2003, pagg. 177-192



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