ARTHUR SCHOPENHAUER
L’arte e la volontà
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La musica [...] non esprime il fenomeno, ma soltanto l’intima essenza, l’in sé di ogni fenomeno, la volontà stessa.



A cura di Claudia Bianco


 

 

Il pensiero di Arthur Schopenhauer (1788-1860) si sviluppa a partire dalla rielaborazione di alcuni temi kantiani e da una netta presa di posizione contro la filosofia hegeliana , e sfocia in una complessa visione metafisica della realtà che costituisce il presupposto imprescindibile per comprendere la sua concezione dell’arte.  Alla visione hegeliana della storia come progressiva rivelazione comprensione di sé dello spirito attraverso il superamento dialettico dell’esteriorità, Schopenhauer contrappone quella di un mondo interamente mosso e dominato da un principio irrazionale, la volontà .  Nella sua opera principale, Il mondo come volontà e rappresentazione (1819) , egli riprende e reinterpreta la distinzione kantiana tra fenomeno e noumeno ossia tra ciò che si manifesta all’interno delle forme trascendentali del soggetto conoscente si costituisce progressivamente come oggetto, e la cosa in sé, insesperibile e quindi in conoscibile.  In Schopenhauer la distinzione kantiana è radicalizzata e accostata a quella platonica tra mondo sovrasensibile delle idee e mondo sensibile del divenire: alla dimensione del fenomeno, inteso come pura apparenza e rappresentazione , si contrappone la dimensione soggiacente della volontà, che per Schopenhauer è la vera e propria “cosa in sé” , il sostrato metafisico dell’esistente.  In quest’ottica Platone e Kant sarebbero accomunati dall’aver entrambi giudicato “il mondo sensibile come un’apparenza che non ha in sé alcun valore, che possiede un significato e una realtà derivata solo in virtù di ciò che vi si esprime (la cosa in sé per Kant, l’idea per Platone)”.

Il dominio della rappresentazione è quello della conoscenza concepita come rapporto tra soggetto e oggetto vincolato alle forme dello spazio e del tempo e al principio di causalità., vero e proprio principio di ragion sufficiente per la comprensione del mondo fenomenico.  I modi in cui il soggetto comprende i rapporti causali tra gli oggetti inscritti nel mondo della rappresentazione sono quattro, e Schopenhauer li espone in dettaglio nella dissertazione del 1813 intitolata Sulla quadruplice radice del principio di ragion sufficiente: a) il principium rationis sufficientis fiendi, cioè del divenire, che manifesta la causalità fisica nelle cose naturali; b) il principiom rationis sufficientis cognoscendi, cioè del conoscere, che regola la relazione logica tra le conclusioni e le premesse; c) il principium rationis sufficientis essendi, cioè dell’essere, che, presiedendo ai rapporti tra le parti dello spazio e del tempo, regola la concatenazione degli enti aritmetici e geometricim fondando la necessità delle conoscenze matematiche; d) il principium rationis sufficientis agenti, cioè dell’azione, che è la causalità naturale vista non dalla parte dell’oggetto ma da quella del soggetto, e che regola i rapporti tra le azioni facendole dipendere da motivi, stimoli, eccitazioni, presiedendo così alla necessità morale.  

Al  di sotto del mondo della rappresentazione – concepito da Schopenhauer quale mondo del fenomeno inteso come apparenza e inganno – sta la volontà, che è il fondamento della rappresentazione stessa.  La via d’accesso al mondo come volontà è, per il soggetto , il corpo , e il corpo proprio, costante,ente attraversato da una volontà di vivere che si traduce in azione.  Un corpo, quindi, che rivela, al di sotto della pluralità distinta dei fenomeni conosciuti secondo i principi di causalità e di individuazione, l’esistenza di una volontà intesa come principio unico e fondamentalmente irrazionale , un “impulso cieco” capace però di un “oggettivarsi” nel mondo della rappresentazione. “unica e identica in tutti gli esseri, (la volontà) vuole sempre e dappertutto la stessa cosa, e cioè oggettivarsi nella vita, nell’esistenza, in una varietà infinita di esseri e di forme, la quale non è altro che tutta una serie di adattamenti alle varie condizioni esterne, paragonabile alle molteplici variazioni di uno stesso tema” .  I diversi modi con cui la volontà si oggettiva nel mondo sono chiamati da Schopenhauer “idee nel senso platonico”, e devono essere intesi come modelli eterni capaci di concretizzarsi e individualizzarsi in una molteplicità di fenomeni.  Tali diverse forme di oggettivazione della volontà si dispongono per gradi di complessità crescente; al grado più  basso si trovano le forze generali della natura (come la forza di gravità o il magnetismo9; seguono, quindi, in un processo ascendente, le forze che governano la vita delle piante e degli animali; infine , nell’uomo, la volontà diviene ragione, agisce secondo motivi determinati e al tempio stesso produce lotta, conflitto, aggressività volta all’autoaffermazione.

Di fronte a questo quadro metafisico dominato dall’irrazionalità della volontà e dalla lotta perenne che ha luogo all’interno delle sue diverse forme di oggettivazione (tensione verso la vita, istinti animali, egoismi individuali), all’uomo affidato il compito etico- conoscitivo di sottrarsi alla volontà di vivere che lacera il mondo della rappresentazione, e le vie di questa liberazione sono descritte nel terzo e quarto libro del Mondo, che costituiscono rispettivamente l’estetica e l’etica del pensiero di Schopenhauer.  Il compito dell’arte è condurre il soggetto conoscente a liberarsi della propria individualità e del proprio asservimento alla volontà per cogliere le idee nella loro purezza,  La conoscenza rappresentativa, fondata sul principio di ragion sufficiente e avente per oggetto la pluralità dei fenomeni individuali e delle loro relazioni, deve essere superata in direzione di una conoscenza che contempla l’oggetto singolo per cogliervi l’idea, al di fuori di ogni correlazione con altri oggetto.  Una volta attinto questo livello di conoscenza, “il soggetto cessa di essere puramente individuale, e diviene soggetto conoscente puro e libero dalla volontà”, “limpido specchio dell’oggetto” capace di essere “di là dal dolore, di là dalla volontà, di là dal tempo”.  L’arte è dunque “ la specie di conoscenza in ci è contemplata la vera essenza del mondo, nel suo sussistente all’infuori e indipendentemente da ogni relazione (…), specie di conoscenza in cui sono contemplate le idee, che sono l’oggettività immediata e adeguata della cosa in sé, della volontà”.

L’arte è opera del genio e ha per fine quello di cogliere le idee eterne per poi riprodurle e comunicarle all’interno di diverse forme espressive, come l’architettura, la scultura, la pittura, la poesia: “la sua origine unica è la conoscenza delle idee; il suo unico fine, la comunicazione di tale conoscenza”.  Il genio, “dono innato”, è la capacità di portare al grado supremo la possibilità insita in ogni uomo, di astrarre dalle cose particolari e dalle loro relazioni per divenire “soggetto puro della conoscenza!, un soggetto che finisce per perdersi nell’intuizione, dimenticando la propria individualità. Il tema kantiano del disinteresse della contemplazione estetica assume qui la valenza metafisica di una vera e propria liberazione della coscienza dalla propria sottomissione alla volontà.

A partire da questa concezione dell’arte si chiarisce il significato della bellezza e la distinzione tra bello e sublime.  Bello è ciò che è oggetto di una contemplazione estetica , ossia ciò che nella sua individualità lascia trasparire l’assolutezza dell’idea e conduce il soggetto contemplante a divenire puro soggetto conoscente, libero da ogni volontà.  Tale contemplazione estetica, però, può essere attinta in diversi modi, ed è qui che viene in luce la differenza tra bello e sublime : “Finché questo atteggiamento della natura d’offrire se stessa, finché il significato e l’evidenza delle sue forme, esprimenti le idee che vi s’individualizzano  sono le solo condizioni che ci elevano dalla conoscenza delle semplici relazioni (conoscenza che è al servizio della volontà) alla contemplazione estetica e alla dignità di soggetto di conoscenza libero da ogni volere, fino allora ciò che agisce in noi non è che il bello, e non altro che sentimento del bello quello che vibra in noi.  Ma supponiamo che quegli oggetti, le cui forme significative c’invitano alla loro contemplazione, siano in relazione d’ostilità con la volontà umana in generale, quale si oggettiva nel corpo umano; supponiamo che tali oggetti le siano funesti, che la minaccino con una strapotenza vittoriosa di ogni opposizione, o che la riducano al nulla con la loro smisurata grandezza; se, nonostante tutto ciò lo spettatore non pone attenzione a questa relazione ostile con la sua volontà; (…) se, in qualità di soggetto conoscente puro e libero da ogni volontà, limitandosi a concepirne le idee, estranee a ogni relazione; se lo spettatore si trattiene quindi con piacere in tale contemplazione e se, infine, in conseguenza di tale atteggiamento, si eleva al di sopra di se stesso, della sua persona, della sua volontà, al di sopra di ogni volontà, allora davvero il sentimento che lo riempie sarà il sentimento del sublime”.

Una volta chiarite la natura e la funzione dell’arte e del piacere estetico che è all’origine sia dell’attività poetica del genio sia della fruizione delle sue opere, Schopenhauer presenta una descrizione della specificità estetica-conoscitiva dei generi artistici, secondo una vera e propria gradazione che va dal grado più basso di oggettivazione della volontà a quello più alto. 

Il grado più basso è quello dell’architettura: considerata come arte bella e prescindendo dalla sua destinazione ai fini pratici, “nel qual caso essa è al servizio della volontà, e non della conoscenza pura”, essa favorisce l’intuizione di alcune idee relative ai gradi inferiori di oggettivazione della volontà, come “il peso, la coesione, la rigidità, la durezza”.  Ogni edificio, contemplato come opera, esibisce la lotta tra il peso che lo trascinerebbe verso il basso rendendolo una massa informe, e la rigidità che gli conferisce forma e verticalità.  Altri generi artistici – come l’arte del giardinaggio, la pittura di un paesaggio, la pittura e scultura che riproducono forme animali, la raffigurazione scultorea del corpo umano o la pittura storica – consentono di cogliere idee che esibiscono forme gradualmente pi- complesse di oggettivazione della volontà.  Al vertice di questa scala ascendente troviamo la poesia, che si differenzia dalla storia per la sua capacità di rappresentare la natura umana nella varietà delle sue aspirazioni e delle sue motivazioni, e in particolare la tragedia, nella quale viene in luce “la lotta spaventosa della volontà con se stessa” nel grande quadro delle sofferenze umane: “ sia di quelle provenienti dal caso e dall’errore che governano il mondo sotto la forma di un destino fatale, con una perfidia che cha quasi l’apparenza di una persecuzione intenzionale, sia di quelle che hanno sorgente nella stessa natura umana, cioè, o nell’incrocio degli sforzi e delle volizioni degli individui, o nella malvagità e nella stoltezza della maggioranza degli uomini “.

Con la tragedia l’arte accede al grado supremo della sua capacità di condurre al di là della conoscenza vincolata alle forme della rappresentazione, Ciò che subentra è la “perfetta conoscenza dell’essere del mondo; conoscenza che, agendo come quietivo della volontà, produce la rassegnazione, la rinunzia, non soltanto alla vita, ma alla stessa volontà di vivere”.  Al di là della tragedia rimane solo una forma d’arte, che appare come totalmente isolata dalle altre; si tratta della musica , che per natura non è una copia o una “ripetizione di qualche idea degli esseri di questo mondo”  bensì , come le idee , una vera e propria forma di oggettivazione della volontà: “ la musica, infatti, non esprime il fenomeno, ma soltanto l’intima essenza, l’in sé di ogni fenomeno, la volontà stessa”.  In essa la melodia ci racconta gli impulsi, gli slanci, i movimenti della volontà nel suo dipanarsi del mondo come rappresentazione, e l’uomo accede alla conoscenza di quella che è la verità metafisica fondamentale: “Soltanto la volontà esiste; la volontà, cosa in sé, e sorgente di tutti i fenomeni.  La coscienza che la volontà prende di sé, l’autoaffermazione o l’autonegazione che si decide a trarne, ecco il solo avvenimento in sé”.  Di fronte a tale verità il piacere estetico assume la forma di una consolazione , di uno spettacolo grandioso capace di liberarci dal dolore e dalla sofferenza e di condurci più in là , anche se in forma momentanea e transitoria, sulla via della rassegnazione e della negazione della volontà di vivere.






La filosofia e i suoi eroi