IL RAPPORTO FILOSOFIA - MATEMATICA

A cura di Diego Fusaro

Non entri chi non sa la matematica ( Platone )


Platone e Einstein
INDICE
INTRODUZIONE
I NUMERI DEI PITAGORICI
L'ATOMISMO DI DEMOCRITO
I NUMERI IDEALI DI PLATONE

INTRODUZIONE

Da sempre vi é un rapporto indisgiungibile tra la matematica e la filosofia:già nell' antichità vi erano stati notevoli tentativi di avvalersi della matematica in ambito filosofico e non : anzi , é bene dire che spesso la matematica finiva lei stessa per essere una forma di filosofia : prendiamo il caso di Eratostene , vissuto tra il 280 e il 200 a.C. , che arrivò , anche se in modo piuttosto rudimentale , a calcolare il valore della circonferenza della Terra in modo molto preciso ( addirittura più preciso di Cristoforo Colombo ) . Interessanti sono anche le vicende del filosofo Talete , che oltre a calcolare l' altezza delle piramidi sfruttando l' ombra da esse proiettata , diede vita al famoso teorema che porta il suo nome e che dice che un fascio di rette parallele determina su due trasversali insiemi di segmenti proporzionali . Ad avvalersi della matematica furono anche i pitagorici e Platone stesso , il quale diceva che se é vero che le sensazioni possono ingannarci é altrettanto vero che la matematica ci dà certezze inconfutabili : che 2 + 2 = 4 é vero sempre , sempre lo é stato e sempre lo sarà . C' era la convinzione che la realtà fosse interpretabile in termini matematici : i pitagorici dicevano : " il numero é il principio " ; in altre parole essi si erano accorti che tutti gli enti come caratteristica hanno la misurabilità ; non a caso il pitagorico per eccellenza , Pitagora , elaborò il teorema che porta il suo nome che dice che in un triangolo rettangolo la somma dei quadrati costruiti sui cateti é equivalente al quadrato costruito sull' ipotenusa . Ci si era già spesso serviti della matematica per interpretare il mondo fisico : pensiamo al cosmo platonico , formato dai 5 solidi regolari o agli atomi democritei dotati di caratteristiche esclusivamente quantitative . Tuttavia , nonostante si fosse intrapreso il cammino dell' uso della matematica , con Aristotele essa passa in secondo piano e dovrà aspettare per tornare in auge fino al Rinascimento . Viene spontaneo chiedersi perchè ad un certo punto il metodo matematico , che pareva il più appropriato , venga messo da parte per poi essere ripreso nel 1400 e per diventare , infine , con Galileo lo strumento principale per lo studio della realtà . Per capire il motivo di quest' abbandono durato grosso modo 2000 anni va detto che per poter costruire un' applicazione sistematica della matematica é necessario avere strumenti materiali ed efficaci : non basta dire , per esempio , che vi é rapporto matematico tra i fenomeni , ma bisogna anche dimostrarlo , come farà Galileo , il quale arriverà a dire quali sono questi rapporti . L' intuizione platonico - pitagorica di interpretare la realtà con la matematica era buona , ma in fondo non avevano i mezzi idonei per farlo ed é quindi giusto che sia prevalso Aristotele e la sua concezione qualitativa : é indubbiamente vero che per noi moderni parlare di qualità come i colori , i sapori e gli odori é assurdo oltre che impreciso , ma a quei tempi aveva più senso dire " é caldo " che non tirare in ballo rapporti quantitativi che non posso dimostrare . E' ovvio che dire che una cosa era calda o fredda ( in modo qualitativo ) era più efficace che non scervellarsi in misurazioni che non potevano essere corrette ; l' intuizione che la quantificazione della realtà fisica fosse fondamentale l' avevano già avuta , come detto , i pitagorici e Platone stesso , ma non avevano avuto successo proprio perchè privi di un armamentario strumentale portante : é molto suggestivo il modello cosmico in termini quantitativi proposto da Platone , con i 5 solidi regolari ciscuno con le sue qualità ( il tetraedro rappresenta il fuoco , per esempio , perchè spigoloso come una fiamma ) ma non può reggere se paragonato a quello qualitativo di Aristotele con i 4 elementi ( terra , acqua , aria , fuoco ) : quest' ultimo é più semplice ma più sensato , perchè il primo mi mette di fronte a quantità senza però spiegare fino in fondo come vadano intese e quali siano i rapporti : già Epicuro rifiutava la composizione degli elementi e del cosmo sulla base dei 5 poliedri regolari , che Platone non era stato in grado di dimostrare indivisibili : se non sono indivisibili , diceva Epicuro , perchè mai si dovrebbe ritenere che le altre figure siano formate da questi , se questi a loro volte sono formati da altri ? In altre parole é inutile dire che la realtà é fatta di quantità se non sono in grado di quantificare , perchè finirò per fare come i pitagorici , che , non potendo fare della matematica un uso effettivo , finirono per provare a cogliere delle somiglianze tra le caratteristiche dei numeri e quelle della realtà ( per esempio per loro il numero due corrispondeva al genere femminile , il tre al maschile , il cinque al matrimonio perchè 3 + 2 = 5 ) . Gli unici campi in cui i rapporti matematici ipotizzati dai pitagorici e da Platone potevano essere concretamente verificati erano quello musicale e quello astronomico : il suono di una lira varia in rapporto col variare delle corde dello strumento e in cielo esiste un ordine preciso e le stelle con ciclicità ritornano in determinate posizioni . Nel 1400 invece assistiamo finalmente al recupero della matematica , che , come abbiamo detto , era stata lasciata in disparte da Aristotele fino al Medioevo ; come mai ? In primo luogo va detto che il Rinascimento é caratterizzato dal recupero dell' antichità e dal disprezzo per tutto ciò che é medioevale o inerente a quel periodo : ebbene Aristotele nel Medioevo era stato il filosofo più inflazionato , il " maestro " di tutti gli altri , come dice Dante e di conseguenza i Rinascimentali non lo apprezzano e preferiscono altri filosofi , quali Platone , i pitagorici e i neoplatonici , per esempio . La rinascita della matematica va quindi ricollegata all' anti - aristotelismo . Tuttavia nel 1400 - 1500 non vi é ancora la possibilità ( che ci sarà invece nel 1600 a partire da Galileo ) di una misurazione vera e propria della realtà e si fa un uso pre - scientifico della matematica . L' esempio più significativo di quest' uso della matematica é senz' altro rappresentato dal tedesco Cusano : il suo punto di partenza sono le verità scientifiche delle quali si serve per arrivare a verità che vanno oltre la scienza , verità che si possono giustamente definire metafisiche : egli per definire il rapporto che intercorre tra la nostra conoscenza e Dio dice che é lo stesso rapporto che si instaura tra un poligono inscritto e la circonferenza alla quale é inscritto : il poligono e la circonferenza , per definizione , non saranno mai uguali tuttavia man mano che si moltiplicano i lati del poligono ci si avvicina sempre di più alla circonferenza ; così l' uomo può avvicinarsi sempre di più a Dio senza mai raggiungerlo definitivamente . Sempre Cusano sostiene che la conoscenza consiste nell' instaurare rapporti di proporzione tra quello che già non conosciamo e quello che non conosciamo ancora ; é come se nella nostra mente avessimo degli " attaccapanni " dirà in seguito qualcuno : ogni nuova conoscenza va collegata , confrontata e proporzionata alle precedenti : in fin dei conti il paragone usato da Cusano per descrivere il processo conoscitivo é quello dell' equazione dove bisogna trovare la x ; si deve stabilire un rapporto e cavare fuori la x : tutti i rapporti conoscitivi vanno così . Cusano arriva perfino a paragonare Dio ad una cerchio il cui centro é dappertutto e la circonferenza non é da nessuna parte . Quello di Cusano é un uso della matematica piuttosto simile a quello fatto da Platone , che stimava moltissimo la matematica ( non a caso diceva : " Dio sempre geometrizza " ) e le attribuiva un valore propedeutico per la filosofia ; inoltre va senz' altro ricordato che , una volta constatato che il vero mondo é quello intellegibile delle idee , Platone non aveva esitato a dare maggior valore ai numeri ideali rispetto alle idee stesse : i numeri ideali non sono altro che le essenze stesse dei numeri ( il numero ideale 7 é l' essenza del 7 , e così via ) e in quanto tali non sono sottoponibili ad operazioni aritmetiche : mentre il 7 " sensibile " ( del nostro mondo ) é molteplice ( in un' espressione scritta su una lavagna può comparire più volte ! ) , il 7 ideale é unico : ciascuna idea risulta collocabile in una precisa posizione del mondo intellegibile , a seconda della sua maggiore o minore universalità e a seconda della forma più o meno complessa dei rapporti che essa intrattiene con le altre idee : in altre parole per Platone le idee stesse sono regolate dai numeri ideali . Tuttavia , ritornando a Cusano , che si avvicinava molto a Platone per l' uso della matematica , va detto che molti altri pensatori di quell' epoca si avvicinavano invece all' uso pseudo - matematico dei pitagorici : Giordano Bruno , che ha una concezione della matematica che sfuma con quella della magia , é uno di questi . Con il 1600 e con Galileo ci sarà una vera e propria rivoluzione scientifica : la matematica in questo periodo riveste essenzialmente due funzioni : da un lato viene usata come strumento di indagine della realtà , dall' altro essa diventa modello metodologico anche per cose non strettamente quantificabili : una cosa é dire " affermo che il mondo fisico é fatto di quantità e lo indago servendomi della matematica " ( ed é quello che fanno tutti gli scienziati ) , un' altra cosa ( più strettamente filosofica ) é dire " se il metodo di ragionamento della matematica funziona così bene in ambiti matematici , perchè non provare ad usarlo anche fuori dagli ambiti matematici ( per esempio in ambiti politici , metafisici , ecc. ) ? " E' in questo periodo che si afferma il meccanicismo ( già propugnato da Democrito ) , che è l'immediata conseguenza della quantificazione della scienza : la connessione necessaria con cui in matematica le diverse proporzioni geometriche o le diverse operazioni aritmetiche e algebriche discendono le une dalle altre diventa in fisica la necessità con cui la causa è connessa con l'effetto . Solo in questa maniera posso arrivare a leggi fisiche . In altri termini il meccanicismo , come dice Cartesio , consiste nel ridurre tutto ad estensione e movimento , eliminando dal modo di indagare la realtà ogni riferimento agli aspetti qualitativi e badando solo a quelli quantitativi , riducibili a quantità , perchè gli altri o non esistono o preferisco non prenderli in considerazione . Misurabile é quindi l' estensione , il movimento ; non potrò indagare le qualità ( i colori , i sapori , gli odori , ecc . ) . L' immagine che meglio descrive il mondo visto in chiave meccanicistica é quella del tavolo da biliardo che ben spiega come la causalità venga ridotta a urti tra corpi ( il mondo é un insieme di enti materiali che si urtano ) , facendo così venir meno il complesso apparato delle quattro cause di Aristotele ; in paricolare nella tradizione aristotelica l'analisi qualitativa della natura era strettamente connessa con la prospettiva finalistica . Però non scompaiono tutte e 4 le cause aristoteliche perchè parlando di urti tra corpi é evidente che si parla anche di causa efficiente ( l' urto ) e causa materiale ( ciò che si urta é pur sempre un corpo ) . Non vengono invece più prese in considerazione la causa formale , che era quella che esaminava soprattutto le qualità ( le forme ) , e soprattutto quella finale ( gli urti non avvengono certo in vista di un fine ) perchè non possono essere oggetto di un' indagine quantitativa . Anziché in termini di " cause finali ", la nuova scienza interpreterà quindi le connessioni tra i fenomeni come " cause efficienti " e meccaniche . Ma questo nuovo metodo di approccio con la realtà ha due sfumature : la prima , più debole e più metodologica , consiste nel dire che la realtà é matematicamente interpretabile ( si limita ad indicarmi come studiare la realtà ) ; la seconda , più forte e più ontologica , dice che la realtà é fatta di realtà quantitative . Galileo dirà che la natura é come un libro e come tutti i libri é scritto in caratteri ; i caratteri di questo libro sono matematici : ma Galileo é ambiguo : vuole dire che la matematica é l' alfabeto per interpretare il libro della natura o é ciò che la costituisce ? Galileo diceva : " Io veramente stimo il libro della filosofia esser quello che perpetuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi ; ma perchè é scritto in caratteri diversi da quelli del nostro alfabeto , non può esser da tutti letto : e sono i caratteri di tal libro triangoli , quadrati , cerchi , sfere , coni , piramidi ed altre figure matematiche , attissime per tal lettura " . Per poter interpretare questo libro e leggerlo , come per qualsiasi altro libro , bisogna imparare l' alfabeto . L' alfabeto in cui questo particolare libro é scritto é l' alfabeto matematico ; se prima di leggere questo libro fisico che é la natura bisogna conoscere l' alfabeto della matematica , allora per Galileo prima di studiare la fisica bisogna studiare la matematica . E' un' ottima rappresentazione del rapporto che Galileo ha instaurato tra matematica e fisica , rapporto che é sostanzialmente quello in vigore ai giorni nostri . Ma quest' affermazione del libro della natura risulta ambigua perchè può significare due cose ; Galileo riprende essenzialmente idee platonico - pitagoriche ; l' idea che il libro della natura sia scritto in caratteri matematici era ben presente nel Timeo di Platone : c' erano i 4 elementi fondamentali ( terra , acqua , aria e fuoco ) apparentemente si distinguono in termini qualitativi , ma in realtà nella loro radice profonda si distinguono in termini quantitativi : ciò che distingue un elemento da un altro é la forma geometrica delle particelle di quell' elemento . La forma del fuoco era piramidale : il fuoco brucia apparentemente per caratteri qualitativi , ma in realtà per caratteri quantitativi : la fiamma é fatta a forma di piramide spigolosa e proprio perchè spigolosa ci dà l' impressione di bruciare . La novità di Platone rispetto ad Empedocle che aveva elaborato questo sistema dei 4 elementi e ad Aristotele che verrà dopo , é che per lui queste manifestazioni qualitative sono apparenti , esteriori , ossia nascondono le manifestazioni più profonde , quelle quantitative . Il fuoco é diverso dalla terra perchè ha forma geometrica diversa : l' uno é piramidale , l' altra cubica , dice Platone . Da un certo punto di vista Platone aveva preso quest' idea da Democrito , che aveva detto che ci sono qualità che esistono " fusei " ( per natura ) e " nomo " ( per convenzione ) ; la forma e la dimensione degli atomi per lui sono quantitative e oggettive ( " fusei " ) , ossia esistono di per sé ; quelle che invece chiamiamo qualità ( sapore , odore , colore ) per lui sono l' effetto qualitativo sui nostri organi di senso di queste quantità : esistono solo per convenzione , come effetto soggettivo sui nostri organi di senso . Ora la posizione di Democrito , quella di Platone e quella di Galileo sembrano uguali ; pare che tutti e tre vogliano dire che ciò che esiste per davvero nella realtà sono le forme geometriche . Però in Galileo non é chiarissimo ( probabilmente perchè non era neanche chiarissimo nella sua testa , visto che esulava un pò dai suoi interessi ) se é convinto che nella realtà esistano solo gli aspetti quantitativi e che gli aspetti qualitativi siano solo la manifestazione esteriore e coglibile soggettivamente di queste quantità , oppure se é convinto che le caratteristiche quantitative sono le uniche analizzabili in termini matematici ( e quindi rigorosi ) e sono quindi le uniche cose da prendere in considerazione . Sono due affermazioni diversissime : posso limitarmi a dire che nel mondo esistono alcune caratteristiche quantitative e altre qualitative ; le uniche studiabili in termini matematici saranno ovviamente quelle quantitative . Siccome solo la matematica consente di dare interpretazioni rigorose della realtà ( leggi fisiche ) e solo le cose quantitative possono essere oggetto d' esame della matematica , studierò solo le cose quantitative . Gli altri aspetti della realtà non mi interessano , non li tengo in conto perchè tanto non sono oggetto di misurazioni rigorose . Spesso Galileo sembra dire semplicemente questo , senza avvicinarsi così alle tesi di Platone e Democrito , senza cioè sostenere che esistano solo le quantità e che le qualità siano solo un' apparenza superficiale . E' ben diverso dal dire che la realtà é fatta solo di aspetti quantitativi . Nel caso esistessero , comunque , le caratteristiche qualitative Galileo le escluderebbe senz' altro dal suo ambito di indagine . Quando per esempio studia la gravità , dice ( ammettendo quindi che esistano le cose qualitative ) di non porsi il problema di sapere cosa sia la gravità ; sarebbe un' indagine qualitativa della realtà la ricerca dell' essenza della gravità ; Aristotele aveva proprio agito così , in termini qualitativi : lui non si é mai posto il problema di trovare in termini quantitativi la legge matematica in base alla quale le cose cadono , bensì si chiedeva cosa fosse la gravità : e rispondeva dicendo che essa non é altro che la tendenza naturale dei corpi a raggiungere il loro luogo naturale . Egli esamina la realtà ma non formula leggi scientifiche . Galileo fa l' opposto : non si occupa di che cosa sia la gravità ( dice di non voler " tentare l' essenza " , trovare l' essenza ) , ma come si comporta , la sua legge di comportamento . La differenza di atteggiamento tra Galileo e Aristotele viene generalmente sottolineata dicendo che Galileo non si chiede nè il cosa nè il perchè , ma il come ; Aristotele invece si chiedeva proprio questo : che cosa é e perchè si comporta così ? Ed in fondo queste due domande finivano per essere la stessa cosa : nella teoria delle quattro cause infatti Aristotele si chiedeva per 4 volte perchè ; ma 2 di questi perchè finivano per essere " che cosa ? " ; quando si chiedeva la causa materiale ( " di cosa é fatto ? " ) e quella formale ( " che forma ha ? " ) , si chiedeva contemporaneamente cosa e perchè . Galileo invece vuole sapere il come ; apparentemente é una ricerca più superficiale di quella aristotelica , ma non é così : si cerca di scoprire la legge matematica del comportamento . Per lui non é importante sapere che cosa sia il peso , ma sapere che i corpi pesanti si muovono secondo una determinata legge matematica . E da Galileo in poi le leggi fisiche non dicono il che cosa e il perchè , ma il come : nelle leggi dei gas non mi si dice che cosa é un gas e perchè agisce così , ma solo come si comporta : a temperatura costante volume e pressione sono inversamente proporzionali ( per esempio ) : al comportamento di una grandezza corrisponde quello di un' altra : c' é solo il come . Altre volte però Galileo sembra abbracciare tesi meccanicistiche ; il meccanicismo é il vedere il mondo come puramente quantitativo . Per sostenere la tesi che esistano solo caratteristiche quantitative Galileo usa l' esempio del solletico : una piuma é un oggetto indubbiamente materiale - quantitativo : tuttavia quando facciamo con essa il solletico ad un' altra persona , essa suscita un effetto qualitativo ( il solletico appunto ) . In realtà si é fatto notare che quando fa quell' esempio dice " vo pensando che " : mentre é certo che sul piano metodologico bisogna tenere in considerazione solo le caratteristiche quantitative , sul piano metafisico gli viene un sospetto dettato dal fatto che mentre non riesco ad immaginare che le caratteristiche quantitative esistano senza le cose cui si riferiscono , invece le qualità sì : riesco ad immaginare il giallo senza immaginare ciò cui si riferisce , un' illusione . E' solo un sospetto che tutto sia in termini quantitativi ; è un sospetto che però non riesce a dimostrare del tutto . E' certo che vadano studiate solo le caratteristiche quantitative , ma gli viene il sospetto dal solletico , dal fatto che certe caratteristiche si possono separare dall' oggetto , che effettivamente il mondo sia fatto di caratteri matematici . Si era accorto di un possibile controsenso tra due affermazioni che lui fa : una volta detto che non " tenta le essenze " diventa contradditorio fare affermazioni metafisiche : se voglio esaminare solo il come , mi contraddico se esamino come sia fatta la realtà : solo in termini quantitativi ? O anche in termini qualitativi ? Quello che in Galileo é solo un' osservazione metodologica e un sospetto metafisico , diventa un' affermazione definitiva metafisica in Cartesio , Hobbes e così via ; l' immagine del mondo nel 1600 sarà essenzialmente meccanicistica . C' é una grossa differenza : per Galileo il meccanicismo é un metodo di indagine , un meccanismo metodologico , il come approcciare con la realtà . Non é del tutto lecito il passaggio da meccanicismo metodologico a meccanicismo metafisico - ontologico : non c' é un passaggio logico che porti a dire che il metodo corretto di indagare la realtà sia l' uso delle caratteristiche quantitative e che quindi esse sono le uniche che esistano . Sarebbe vero il contrario : se sapessi che la realtà é fatta in termini puramente matematici , allora potrei dire che l' unica materia per studiarla é la matematica : i platonici e i pitagorici la pensavano così . Per dirla in una frase sola , dalla scienza galileiana é derivata una metafisica meccanicistica . Interessante é l' idea di esaminare con il metodo matematico , il più preciso a nostra disposizione , anche realtà non propriamente matematiche ; Cartesio dirà che così come per risolvere un problema complesso occorre scomporlo in più parti semplici da ricomporre una volta risolte , anche con il pensiero bisogna agire così : " dividere ogni problema preso in esame in tante parti quanto fosse possibile e richiesto per risolverlo più agevolmente " . E' evidente come in questo caso venga applicato il metodo matematico anche quando la matematica non é applicabile : Cartesio , che oltre ad essere grande filosofo fu anche illustre matematico ( pensiamo al piano cartesiano ) tanto da arrivare a proporre un metodo di indagine della realtà assolutamente matematico , unendo filosofia e matematica , che da sole , a suo avviso , erano inefficaci : la filosofia si occupa in modo non rigoroso di cose reali , la matematica si occupa in modo rigoroso di cose non reali. Ma é interessante notare come Cartesio metta anche in dubbio la fondatezza delle verità matematiche in un primo tempo, avanzando la bislacca ipotesi del genio maligno : chi non ci dice che siamo stati creati da un genio malvagio che impiega tutta la sua onnipotenza per ingannarci , per farci credere che 2 + 2 = 4 , per farci prendere per certe cose false ? Senz' altro é un' ipotesi non ragionevole , ma molto interessante; poi Cartesio , durante il suo percorso filosofico , smaschererà questa ipotesi bizzarra e dimostrerà una volta per tutte l' inconfutabilità delle verità matematiche , arrivando addirittura a sostenere , sulla scia di Galileo , che lee verità evidenti , ossia quelle matematiche ( del tipo 2 + 2 = 4 ) l' uomo le conosce alla pari di Dio ; nelle verità evidenti la differenza di conoscenza tra Dio e uomo non é qualitativa ( 2 + 2 = 4 lo so io come Dio ) , ma quantitativa ( Dio conosce molte più verità evidenti rispetto all' uomo ) . Interessante é poi quanto fa Spinoza una generazione dopo Cartesio : egli applica all' etica il metodo matematico ( la sua opera più importante si intitola : " Etica dimostrata alla maniera della geometria " ; di fatto i numeri non vi compaiono , ma si possono trovare teoremi , definizioni , corollari ... ) , o quanto fa Hobbes che lo applica alla politica e arriva perfino a sostenere che pensare non é altro che fare calcoli : quando dico che la rana é verde sommo l' attributo " verde " alla sostanza " rana " , quando dico che la rana non é verde sottraggo l' attributo " verde " alla sostanza " rana " . Non c'é poi da stupirsi se la prima calcolatrice l'abbia inventata un filosofo, Pascal , vissuto anch' egli nel 1600 , il secolo della matematica e della fisica. Tuttavia il primitivo modello di calcolatrice elaborato da Pascal verrà rielaborato e perfezionato da un altro grande filosofo del 1600 , Leibniz , una sorta di genio universale la cui cultura spaziò nei più vasti campi . Egli si contende con l'altro grande filosofo e scienziato di quegli anni ( Newton ) l' invenzione del calcolo infinitesimale; egli sentiva così forte la presenza di un ordine, al di là della molteplicità presente nel mondo, da dire: 'se segnassimo a caso dei punti su un foglio di carta , si potrebbe individuare sempre e comunque un'equazione matematica tale da rendere conto di quanto fatto'. E' interessante quanto ha sostenuto il pensatore scozzese David Hume nel Settecento: a suo avviso la matematica è una mera "relazione tra idee", un far emergere il predicato attraverso l'analisi del soggetto. Ad esempio, l'espressione "il triangolo ha 3 lati" è una relazione tra idee in quanto è implicito nel concetto di triangolo il fatto di avere tre lati, per cui nel dire che il triangolo ha 3 lati non si aggiunge qualcosa al soggetto, anzi, lo si estrae da esso analiticamente. Per Hume svolgere un'espressione algebrica significa prendere il concetto in questione, analizzarlo, ed estrarne le conseguenze, con l'ovvio risultato che l'intera matematica finisce per essere nient'altro che un'enorme tautologia, in cui si esprime ciò che è implicito. Questi giudizi, da Hume definiti "relazioni tra idee", Kant li ribattezzerà "giudizi analitici a priori": analitici perchè implicano un'analisi tutta interna al concetto del soggetto, e a priori perchè non derivano nè dipendono dall'esperienza, ma sono veri ancor prima di essa. Tuttavia Kant non è d'accordo con Hume sul fatto che la matematica sia costituita da giudizi analitici a priori, poiché altrimenti essa finirebbe per configurarsi come una ripetizione eterna di concetti già presenti, seppur solo implicitamente, nei numeri stessi; al contrario, dice Kant, la matematica ha per oggetto cose assolutamente certe, poiché a priori e dunque non smentibili dall'esperienza, ma anche arricchenti, in quanto non è una pura e semplice relazione di idee per cui dal concetto di 3+3 si desume analiticamente il 6. Se così fosse, del resto, la matematica perderebbe di valore e, con essa, anche la fisica newtoniana, di cui Kant è strenuo difensore: la matematica deve dunque dire cose assolutamente certe ma che, nello stesso tempo, arricchiscano la conoscenza ed è per questo che i giudizi che la costituiscono sono "sintetici a priori". quando mi trovo di fronte all'espressione 7+5=12 non è vero che analizzo i concetti di 7 e di 5 e ne estraggo il 12 come relazione tra idee; al contrario, 7+5 è un materiale di lavoro, un'indicazione dell'operazione che devo svolgere. Ne è un fulgido esempio il fatto che i bambini contino servendosi di oggetti materiali, come ad esempio le palline: le raggruppano e le affiancano una alla volta e, una volta sommate, ottengono il risultato. Ed è quello che, secondo Kant, facciamo anche noi mentalmente. Ora, è evidente che un'operazione di questo genere non rientra nell'ambito delle relazioni tra idee, dei giudizi analitici a priori. Si tratta di un'operazione sintetica, di costruzione (e non di analisi), ma nessuno si sognerebbe per questo di considerarla a posteriori, come derivata solo e soltanto dall'esperienza, sebbene si usino materialmente delle palline: ciascuno di noi considera le verità matematiche del tipo 7+5=12 come assolutamente certe, e le certezze derivano dall'apriorità, ovvero dalla non-smentibilità empirica. Che la matematica non sia smentibile dall'esperienza risulta evidente dal fatto che se un prestigiatore infila prima 7 e poi 5 palline in un recipiente e, mostrandoci il contenuto, non vediamo 12 palline, abbiamo la certezza che c'è stato un trucco, nessuno penserebbe mai che possano essere più o meno di 12. Questo vuol dire che se anche l'esperienza ci fa vedere che 5+7 non dà 12, noi continuiamo ad essere certi che 7+5 dia 12; tutto questo dimostra l'apriorità (sono giudizi certi, non derivati nè sconfessabili dall'esperienza) e la sinteticità (sono giudizi costruiti nel corso della dimostrazione) della matematica. Per il grande pensatore inglese novecentesco, Bertrand Russell, 'La matematica non possiede soltanto la verità, ma anche la bellezza suprema, una bellezza fredda ed austera, come quella della scultura': egli scorge nella matematica una forma di bellezza, proprio perchè i passaggi matematici, nel loro rigore e nella loro freddezza, sono espressione di una verità inconfutabile e, come avevano insegnato Platone e san Tommaso, ciò che é vero é anche bello, anche se non sempre ciò che é bello é vero. Un altro grande pensatore del Novecento, Edmund Husserl, si occuperà di matematica, ed in particolare del concetto di numero: esso a suo avviso deriva da un atto unitario della mente, che dirige intenzionalmente la sua attenzione su molteplicità di oggetti riuniti in 'aggregato' specifico (ad esempio un insieme di mele). A partire da questo, esso procede a ricavare per astrazione il concetto generale di aggregato, concepito come come collegamento collettivo delle unità costitutive di una molteplicità; procedendo a contare tali unità, si arriva al concetto di numero. Husserl riconosce l' esistenza autonoma dei numeri come forme generali, cioè come strutture rappresentative costanti del soggetto, le quali condizionano l'attività conoscitiva. A questo punto, però, dopo che abbiamo citato il concetto di numero, viene spontaneo chiedersi in che cosa consista la differenza tra matematica e filosofia ; la vera differenza che possiamo ravvisare tra di esse é che mentre la matematica si serve dei numeri per svolgere espressioni , equazioni , sistemi e quant' altro , la filosofia si chiede se i numeri esistano o meno , proprio come fece Husserl . E' una domanda più difficile di quanto possa sembrare che trova le sue origini ai tempi di Platone e di Aristotele ; per il primo i numeri esistono realmente , come enti dotati di essere : se ho un gruppo di 6 libri significa che esso partecipa all' idea del 6 ( il numero ideale 6 ) , dice Platone : il ragionamento che lo porta ad attribuire consistenza ontologica ai numei é essenzialmente questo ( in parte già accennato ) : I Numeri ideali sono le essenze stesse dei numeri ( il numero ideale tre é l' essenza del tre , e così di seguito ) . In quanto tali , essi non sono sottoponibili ad operazioni aritmetiche . Il loro status metafisico é ben differente da quello aritmetico , appunto perchè non rappresentano semplicemente numeri , ma l' essenza stessa dei numeri . In effetti , non avrebbe senso sommare l' essenza del due all' essenza del tre e così via . I Numeri ideali , quindi , costituiscono i supremi modelli dei numeri matematici . Inoltre , per Platone i Numeri Ideali sono i primi derivati dai Principi primi , per il motivo che essi rappresentano , in forma originaria e quindi paradigmatica , quella struttura sintetica dell' unità nella molteplicità , che caratterizza anche tutti gli altri piani del reale a tutti gli altri livelli . Inoltre , Aristotele ci riferisce : " Platone afferma che , accanto ai sensibili e alle Forme ( idee ) , esistono enti matematici intermedi fra gli uni e le altre , i quali differiscono dai sensibili , perchè immobili ed eterni , e differiscono dalle Forme , perchè ve ne sono molti simili , mentre ciascuna Forma é solamente una e individua " . Platone ha introdotto questi " enti matematici intermedi " per i seguenti motivi : i numeri su cui opera l' aritmetica , come anche le grandezze su cui opera la geometria , non sono realtà sensibili , ma intellegibili . Però , tali realtà intellegibili non possono essere Numeri Ideali nè Figure geometriche ideali perchè le operazioni aritmetiche implicano l' esistenza di molti numeri uguali ( pensiamo ad esempio ad un' equazione dove , per dire , il numero 6 può comparire diverse volte ) e le dimostrazioni e le operazioni geometriche implicano molte figure uguali e molte figure che sono una variazione della medesima essenza ( pensiamo a molti triangoli uguali e molte figure che sono variazioni della medesima essenza , ossia triangoli di vario tipo : equilatero , isoscele ... ) . Invece , ciascuno dei Numeri Ideali ( così come ciascuna forma ideale ) é unico , e inoltre i Numeri Ideali non sono operabili . Se si tiene presente questo , risultano chiare le conclusione platoniche sull' esistenza di enti matematici aventi caratteri " intermedi " fra il mondo intellegibile e il mondo sensibile . In quanto sono immobili ed eterni , gli enti matematici condividono i caratteri delle realtà intellegibili , e cioè delle idee ; invece , in quanto ve ne sono molti della medesima specie , sono analoghi ai sensibili . Il fondamento teoretico di questa dottrina sta nella convinzione radicatissima in Platone , di genesi eleatica , della perfetta corrispondenza fra il conoscere e l' essere , per cui ad un livello di conoscenza di un determinato tipo deve necessariamente far riscontro un corrispettivo livello di essere . Di conseguenza , alla conoscenza matematica , che é di livello superiore alla conoscenza sensibile , ma inferiore alla conoscenza filosofica , deve corrispondere un tipo di realtà che ha le corrispettive connotazioni ontologiche . Questa dottrina non scritta ( e solo allusa nei dialoghi ) é essenziale per comprendere l' impianto ontologico e gnoseologico della Repubblica , e quindi costituisce un tassello assai importante del sistema platonico . Inoltre , spiega assai bene l' importanza pedagogica che Platone attribuiva alle matematiche , che nell' Accademia dovevano preparare i futuri dialettici e politici nello Stato ideale . Si noti che , in questa complessa prospettiva teoretica , Platone non fa dipendere la sua metafisica e la sua dialettica dalla matematica e dai suoi metodi , ma , al contrario , " fa dipendere la matematica dai principi metafisici in modo strutturale " . Appunto in quanto deriva dai principi metafisici con tutto ciò che da questo consegue , la matematica ne può presentare un' immagine , che aiuta a risalire al modello originario e quindi a preparare la mente alla dialettica che di essi tratta . Aristotele invece prende come punto di partenza della sua fisica che tutte le cose materiali che vediamo intorno a noi esistono ; per Aristotele non esistono da soli e separatamente quelle cose che per Platone esistevano ( in particolare quelle caratteristiche quantitative che Platone diceva esistere di per sè) , come gli enti matematici , i numeri : per Platone c'era il triangolo in sè e poi gli altri triangoli sensibili . Per Aristotele è l'opposto : esistono i triangoli materiali e poi quello immateriale , che però non può mai esistere come realtà autonoma . Platone aveva minuziosamente dimostrato che noi quando dimostriamo ci riportiamo all'idea di triangolo . Per Aristotele esistono prima i triangoli materiali e poi quello immateriale : quello "ideale" per Aristotele non è nient'altro che una nostra creazione , siamo noi che facciamo un'astrazione : esso esiste solo come risultato di un processo di astrazione da noi operata . Due libri hanno la forma di parallelepipedo : Platone direbbe che imitano l'idea di parallelepipedo . Per Aristotele no , è l'opposto : si fa un processo di astrazione dove poco per volta si tirano fuori le caratteristiche : i due libri non hanno colori uguali , quindi tolgo i colori ; hanno scritte diverse , quindi tolgo le scritte ; sono imprecisi , tolgo le imprecisioni ; privato di tutte le caratteristiche mi rimane solo più la forma di parallelepipedo : il processo consiste essenzialmente nell'asportare via le differenze tra i due libri . Diciamo che la matematica indaga cose che di per sè non esistono perchè le si creano con l'astrazione e che indaga cose immutevoli perchè il parallelepipedo è sempre esistito . Per Platone il parallelepipedo esiste nell'iperuranio , per Aristotele nel mondo terreno , nei due libri , per esempio . La fisica studia quel mondo fisico che Platone non amava : le sostanze materiali che di per sè esistono ma sono mutevoli . In particolare la fisica studia gli enti naturali . Di conseguenza per Aristotele i numeri ( e noi siamo più propensi a pensarla come lui come cultura generale ) non hanno esistenza propria , ma " parassitaria " come qualsiasi altro " accidente " : accidente é ciò che per esistere ha bisogno di una sostanza cui riferirsi ( il giallo per esistere ha bisogno di una casa o di un vestito , per esempio , perchè di per sè non esiste ) ; alla stessa maniera i numeri per esistere devono avere sostanze cui riferirsi : non esisterà di per sè il 3 , ma esisteranno gruppi di 3 cose ( 3 libri , 3 cavalli , 3 case ... ) . Tuttavia , se li penso , in qualche modo dovranno pur esistere i numeri ! Ma viene spontaneo chiedersi : e se nessuno contasse più , i numeri continuerebbero a esistere ? Un'altra domanda che riguarda strettamente l'ambito filosofico è perchè la matematica sia applicabile al mondo fisico : come possiamo applicare formule matematiche al mondo che ci circonda? Una prima risposta a tale quesito fu data dai Pitagorici e da Platone: a loro giudizio, esistendo effettivamente i numeri nella realtà e non essendo pure e semplici "invenzioni" della mente umana, essi saranno naturalmente la chiave di lettura della realtà stessa, di cui fanno effettivamente parte. Diversa e, per molti versi più complessa, è la risposta di Kant: secondo Kant noi non percepiamo le cose come esse effettivamente sono in sé, ma come ci appaiono, modificate dalle nostre strutture mentali e dal fatto stesso di essere percepite nello spazio e nel tempo. Infatti, tutte le realtà con le quali veniamo a contatto esteriormente le percepiamo filtrate dallo spazio, mentre tutte le percezioni che abbiamo nella nostra interiorità sono scandite dal tempo; ma poiché ciò che percepiamo "fuori" di noi in qualche modo lo interiorizziamo, riceveremo filtrate nel tempo anche le percezioni a noi esterne. Il tempo diventa allora il filtro tanto delle sensazioni esterne quanto di quelle interne, risultando pertanto superiore allo spazio. Ora, dice Kant, lo spazio e il tempo sono i fondamenti, rispettivamente, della geometria e dell'aritmetica , nel senso che costruisco le figure geometriche nello spazio ed effettuo i calcoli aritmetici nel tempo: vale a dire che l'aritmetica è costruita nel tempo (prendo mentalmente l'unità e l'aggiungo), mentre la geometria è costruita nello spazio (traccio figure in esso), ma anche nel tempo, poiché tendo ad interiorizzare tutto ciò che è fuori di me: il che implica che si possa applicare l'aritmetica alla geometria, proprio perchè hanno in comune l'essere nel tempo. Non c'è poi da stupirsi se si possono applicare la matematica e la geometria al mondo come ci appare, filtrato dallo spazio e dal tempo: il mondo al quale applico la matematica è inquadrato nello spazio e nel tempo, proprio come la matematica e la geometria. Ne consegue che la matematica deve per forza essere applicabile al mondo come esso ci appare, e tuttavia non è detto che essa sia anche applicabile al mondo come è in sè, indipendentemente dall'essere da noi percepito.

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