GREGORIO DA RIMINI



A cura di Enrico Gori


 



INTRODUZIONE
Gregorio da Rimini potrebbe essere stato l'ultimo grande Scolastico del Medioevo. Fu il primo pensatore a conciliare gli sviluppi della tradizione post-occamista ad Oxford e la tradizione post-auriolana a Parigi: questa sua sintesi ebbe un impatto duraturo sul pensiero europeo. Attraverso un grave fraintendimento della sua dottrina, Gregario è stato qualificato come tortor infantium (torturatore dei bambini), poiché avrebbe condannato alle pene eterne i bambini che muoiono senza il battesimo: niente di ciò; Gregorio espone le due sentenze e non si pronuncia per nessuna delle due. È, stato detto che egli fu antesignanus nominalistarum (antesignano dei nominalisti). Gregorio da Rimini ( conosciuto anche come de Arimino, Ariminensis, tortor infantum "il torturatore di infanti" e doctor acutus o autenticus) nacque a Rimini intorno al 1300. Entrò nell'ordine mendicante degli Eremiti di S. Agostino, studiò teologia a Parigi dal 1323 circa al 1329, e insegnò in diversi istituti agostiniani italiani, prima a Bologna, poi, dopo il 1338, a Padova e Perugia. Quasi certamente, Gregorio, mentre si trovava in Italia entrò in contatto con le opere degli Scolastici di Oxford degli anni '20 e '30, in particolar modo con Guglielmo di Ockham, Adam Wodeham, Richard Fitzralph e Walter Chatton. Gregorio tornò a Parigi nel 1342 per un anno di preparazione alle lezioni sulle Sentenze di Pietro Lombardo, che tenne nel 1343-1344. Gregorio divenne probabilmente “Maestro di Teologia” nel 1345, ma continuò a revisionare il suo commento fino al 1346, eliminando alcuni passaggi. Nel 1347 tornò in Italia per insegnare a Padova, dove rimase fino al 1351. Successivamente insegnò al nascituro istituto di Rimini fino al 1357, dove fu eletto priore generale degli Agostiniani, succedendo a Tommaso di Strasburgo. Gregorio morì a Vienna verso la fine del 1358. L'opera più importante di Gregorio è il commento a primi due libri delle Sentenze. Il primo ci è pervenuto in venti manoscritti completi, mentre del secondo ne rimangono circa dodici. L'opera fu stampata varie volte dal 1482 al 1532, ristampata nel 1955, e finalmente edita nel 1979-1984 in sei volumi. Alcune parti sono state tradotte, o si stanno traducendo, in francese, tedesco e inglese. Oltre ai commenti scritti e alle sue lettere, scritte durante il priorato, gli sono state attribuite anche opere minori, come un trattato sull’usura, il De usura, stampato a Reggio Emilia nel 1508 e a Rimini nel 1622, e un trattato sulle quattro virtù cardinali, De quatuor virtutibus cardinalibus. Il suo trattato sull’intensione e remissione delle forme, De intensione et remissione formarum corporalium, contiene l’incipit Circa secundum partem huius distinctionis ed è, quindi, solo un estratto dal commento delle Sentenze (libro primo, distinzione 17, parte II).

GREGORIO NELLA STORIA DELLA FILOSOFIA
Sebbene Gregario abbia goduto di particolare attenzione da parte degli storici del pensiero medievale, comprendere la sua posizione nella storia della filosofia non è facile. Gregorio scrisse in un periodo considerato unanimemente decadente, fideistico, in contrasto con il periodo in cui operò, per esempio, Tommaso d’Aquino; questo punto di vista storico rendeva di per sé difficile una valutazione oggettiva del Riminese. Gli storici hanno definito Gregorio un nominalista, un termine, questo, vasto e vago se applicato ai pensatori trecenteschi; un termine che, quando veniva usato, tendeva a confondere e a offuscare le differenze tra di essi, come per esempio tra Ockham e Gregorio. Al contrario di Tommaso d’Aquino, Enrico di Gand e Duns Scoto, Gregorio fu attivo in un periodo che, fino ad ora, è stato ben poco studiato: ciò rende la contestualizzazione di Gregorio difficile e le affermazioni su di lui precarie. Solo attenti studi diacronici di problemi filosofici specifici possono fornire un quadro preciso del ruolo di Gregorio nella storia della filosofia, e finora pochi studi di questo genere sono stati portati avanti. Generalmente, quello che si sa è che Gregario fu il primo ad introdurre nell’Università di Parigi le innovative idee sviluppatesi nelle scuole inglesi tra Ockham e Bradwardine. Da Gregorio in poi, i nomi di Adam Wodeham, Richard Fitzralph, Walter Chatton, William Heytesbury, Thomas Buckingham, Richard Kilvington, Robert Halifax e altri divennero estremamente popolari tra gli studenti parigini. Gregorio fu profondamente influenzato anche dai contemporanei nella sua università, sia in negativo sia in positivo. L’impatto di Pietro Aureolo è stato a lungo considerato il più consistente, ma studi recenti hanno reso noto che altre figure, come Francesco di Marcia, Tommaso di Strasburgo, Gerardo Odone e Michele di Massa, ebbero un’influenza decisiva sul pensiero del nostro autore. Più chiara è l'importanza di Gregorio nel tardo Medioevo e durante la Riforma. Numerosi scolastici, dopo il 1350, copiarono numerosi brani delle sue opere. Tra le figure importanti che plagiarono Gregorio spiccano Giacomo il Cistercense di Eltville, Pietro d'Ailly ed Enrico di Langenstein, ma anche pensatori di rilievo come Ugolino di Orvieto, Marsilio di Inghen e Pietro di Candia (Papa Alessandro V) conoscevano bene l'opera di Gregorio. Sono pochi filosofi del tardo '300 a non aver risentito della sua influenza. L'impatto di Gregorio all'interno e all'esterno dell'Ordine Agostiniano continuò nel XIV secolo. Nella celebre disputa sui contingenti futuri nell'Università di Lovanio (1465-1474), numerosi partecipanti citarono la posizione di Gregorio o la fecero propria. Naturalmente, il fatto che solo i primi due libri del commento gregoriano godettero dell'attenzione pubblica, significa che l'impatto diretto di Gregorio è da ricercarsi negli argomenti trattati nei detti volumi piuttosto che quelli trattati nei libri III e IV, come l'Immacolata Concezione e l'Eucaristia, che avevano a loro volta delle discussioni filosofiche intorno a sé. Forse l'elemento più rilevante del pensiero e dell'influenza di Gregorio è la sua adesione al pensiero di Agostino. Gregorio fu tra gli Scolastici il più attento lettore di Agostino, tanto da attaccare Pietro Auriolo per le citazioni errate del pensatore di Tagaste. L'interesse di Gregorio per le opere di Agostino è stato ritenuto centrale per lo sviluppo di un metodo storico-critico nella teologia filosofica, specialmente nell'Ordine Agostiniano, in parte anticipando i metodi moderni. Insieme a tale metodo, Gregorio fece parte di un generale tentativo di "canonizzare" i principali scritti di Agostino e separare le opere autentiche dal corpus pseudo-agostiniano. Inoltre, Gregorio citò svariate volte e con molta perizia il maestro di Ippona nelle sue opere, incluso il commento alle Sentenze, che, quando non fu plagiato, fu spesso usato come fonte per gli studi su Agostino. Non è quindi una sorpresa se le idee di Gregorio coincidono spesso con quelle di Agostino. Il tipo di Agostinismo dottrinale di Gregorio, influenzato dalla tradizione Francescana più che dalla variante domenicana di Giles di Roma, divenne il fulcro del pensiero degli Eremiti Agostiniani. Quindi, nel XVI secolo esistevano scuole di pensiero Egidiste e Gregoriste, ed una via Gregorii era riconosciuta in molte università come quella di Wittenberg, l'università di Martin Lutero. Il fatto che ogni libo del commento alle Sentenze sia stato stampato sei volte tra il 1482 e il 1532, serve a spiegare perché le idee di Gregorio somiglino a quelle luterane e calviniste. Anche durante la Controriforma, il pensiero di Gregorio trovò terreno fertile in Francisco Suarez. Non è difficile fare una lista delle posizioni filosofiche di Gregorio, e non è difficile spiegare il suo rapporto con Ockham. Sulla filosofia naturale, ad esempio, d'accordo con Ockham, Gregorio era un nominalista e sfruttava il principio del "rasoio di Ockham" per negare l'autonomia di variazione, tempo e moto. Gregorio ritiene anche che il mondo potrebbe essere eterno ed è possibile un infinito. Ma in questi casi si preferisce forse conoscere le idee dei predecessori di Gregorio, come Francesco di Marcia, per valutare l'originalità e le fonti del pensiero gregoriano e per evitare che una possibile lista rimanga tale. Di conseguenza, ci si concentrerà su argomenti sui quali le teorie di Gregorio e dei suoi predecessori hanno fatto maggior luce. Più chiara è l'importanza di Gregorio nell'ultimo Medioevo e durante la Riforma. Molti scolastici dopo il 1350 copiarono diversi brani dalle sue opere. Tra le figure più importanti che plagiarono Gregorio o si servirono dei suoi insegnamenti, spiccano il cistercense Giacomo di Eltville, Pietro d'Ailly ed Enrico di Langestein, ma anche altri importanti pensatori quali Ugolino di Orvieto, Marsilio di Inghen e Pietro di Candia conoscevano bene l'opera di Gregorio. Sono pochi i filosofi dell'epoca che non furono influenzati dall'Ariminensis. L'impatto delle idee gregoriane dentro e fuori dall'Ordine Agostiniano fu vivo anche nel XIV sec. Nella celebre disputa sui contingenti futuri all'Università di Lovanio (1465-1474), ad esempio, vari partecipanti citarono passi da Gregorio, o fecero proprie le sue posizioni. Naturalmente, il fatto che solo i libri I e II del commento di Gregorio siano circolati significa che l'impatto diretto del filosofo è da ricercarsi negli argomenti discussi in tali testi piuttosto che in quelli trattati nei libri III e IV, come l'Immacolata Concezione e l'Eucaristia, che ebbero a loro volta i loro argomenti filosofici. Forse l’elemento più centrale del pensiero e dell’influenza di Gregorio è il suo rapporto con Agostino e la natura di questo rapporto. Gregorio fu un attento lettore di Agostino, il che gli permise di contestare Pietro Aureolo e le sue lacunose citazioni da Agostino. L’interesse di Gregorio per l’opera di Agostino è stato spesso considerato centrale nello sviluppo di un metodo storico-critico nella filosofia teologica, specialmente all’interno dell’Ordine Agostiniano, precorrendo in parte i metodi moderni. Coerente con tale metodo, Gregorio fece parte di un movimento volto a “canonizzare” i testi agostiniani e separare il materiale apocrifo. Le citazioni di Agostino venivano riportate con grande precisione nell’opera di Gregorio, tanto che il suo Commento alle Sentenze fu spesso usato come fonte per studi su Agostino.
Ne segue che le idee di Gregorio erano in gran parte agostiniane. Lo speciale agostinismo di Gregorio, influenzato dalla tradizione francescana, dominò ben presto la filosofia e teologia degli Eremiti Agostiniani. Così, già nei primi anni del XVI secolo vi erano scuole di pensiero Egidiste e Gregoriste, e in molte università era presente una “via Gregorii”, specialmente a Wittenberg, l’università dell’agostiniano Martin Lutero. Il fatto che ogni libro del Commento sia stato ristampato 6 volte tra il 1482 e il 1532 aiuta a far luce sull’importanza delle idee di Gregorio per lo sviluppo successivo di quelle di Lutero e di Calvino. Il pensiero di Gregorio potrebbe essere sopravvissuto in Suarez in epoca post-riformista.


PRESCIENZA E CONOSCENZA
Per molti versi Gregorio fu più un teologo che un filosofo, poiché abbondava con i passi dalle Scritture nelle sue premesse e procedeva per deduzione. Nella sua teologia deduttiva, Gregorio dedicava molte pagine a definire i suoi termini e ad esplorare esaustivamente le implicazioni di possibili soluzioni, una pratica che rende le sue Sentenze piacevoli da leggere e gli valgono un posto tra i classici della filosofia. Nelle distinzioni 38-41 del Libro I, Gregorio affronta il problema della prescienza divina e i contingenti futuri e il dilemma della predestinazione e del libero arbitrio. Le posizioni di Gregorio a riguardo sono state oggetto di studio per decenni, e recentemente gli storici hanno tentato di porre Gregorio nel suo contesto parigino e Ossoniano. Inoltre, il soprannome di Gregorio, "torturatore di infanti", deriva in parte dalle sue posizioni riguardo la predestinazione. Di conseguenza, discutere su questi argomenti fornirebbe un'esauriente introduzione alla noetica gregoriana e alla posizione nella storia del filosofo.
Gli argomenti di Gregorio sono diretti soprattutto a Pietro Aureolo e ai teologi di Oxford. Per conservare la contingenza degli eventi derivanti dalla volontà umana, Aureolo afferma che le proposizioni su avvenimenti futuri non sono né false né vere, ma neutrali, quindi Dio non sa se l'Anticristo verrà, poiché l’asserto "L'Anticristo verrà" non è né vero né falso. Gregorio, tuttavia, preferì concentrarsi sugli elementi summenzionati. Gregorio comprese che la teoria di Aureolo sulle proposizioni sui contingenti futuri era quella esposta da Aristotele nel De interpretatione, capitolo IX. Gregorio non aveva difficoltà ad ammettere che Aristotele avesse sbagliato. "[Ciò] è in apparenza una buona scusa, ma è in verità un'accusa, per il fatto che le assurdità che derivano [da questa affermazione] non ci convincono che [Aristotele] non lo pensasse, ma ci convince che non deve averlo pensato... Inoltre, teologi moderni [come Aureolo], grandi maestri, hanno detto che la conclusione [negare la verità determinata alle proposizioni sui contingenti futuri] non solo era nelle intenzioni del Filosofo, ma anche che è verissimo e dimostrato...." Per Gregorio, dunque, Aureolo aveva ragione a dire che Aristotele negava il Principio di Bivalenza per le preposizioni sui contingenti futuri. Aureolo pose due regole base per tali preposizioni:
1) se una proposizione sul futuro quale "Socrate correrà" è vera, sarà vera immutabilmente e inevitabilmente, poiché non potrebbe essere falsa.
2) Il significato di tale preposizione sarà necessariamente e volta in essere.
La base delle affermazioni di Aureolo è la teoria modale: l'immutabilità e la necessità sono la stessa cosa. Se qualcosa è immutabile, non potrà essere diverso da ciò che è, e di conseguenza è necessario. Gregorio rispose con una vigorosa ed esauriente difesa della bivalenza e con un'altra teoria modale. La sua difesa della Bivalenza comprendeva una lista dettagliata di regole sulle proposizioni. In breve, Gregorio riteneva che il principio di Bivalenza fosse universalmente applicabile, e Aristotele aveva sbagliato ad ammettere un'eccezione riguardo alle proposizione. Aureolo poneva l'accento sulla semplicità divina e la necessità piuttosto che sulla libertà divina e la contingenza, affrontando uno dei problemi fondamentali della teologia cristiana: se Dio è assolutamente semplice e necessario, qual è la fonte della contingenza? La spiegazione di Aureolo è da cercarsi nel rapporto di Dio con gli eventi nel tempo, ma tale affermazione non soddisfaceva Gregorio, che era convinto dalla profezia biblica che Dio conosce il futuro, e dalla logica che il Principio di Bivalenza è universale. Il problema diventa: se Dio sa se Socrate correrà, e la frase "Socrate correrà" è vera, forse che Socrate non correrà necessariamente? La risposta di Gregorio è una versione della “opinio communis”, una posizione radicata nel pensiero scotista e nella tradizione parigina, perfezionata più tardi da Ockham e gli oxfordiani posteriori spostandola sulle proposizioni. È possibile che Ockham fosse influenzato da Aureolo nella sua concentrazione sulle proposizioni contingenti futuri, come alcuni pensano, ma non c'è nulla che faccia supporre che Ockham conoscesse le posizioni di Aureolo, e comunque, dopo Scoto, era naturale pensare che le proposizioni contingenti future erano di primaria importanza. L'opinio communis si basa sulla libertà divina di preservare la contingenza nel mondo: ogni cosa, oltre Dio, è contingente, poiché Dio vuole e agisce liberamente e contingentemente quando crea, perciò è logicamente impossibile per le cose non essere state o essere state. Allo stesso tempo, la posizione comune afferma l'immutabilità divina e la conoscenza determinata delle cose. Il fatto è che le proposizioni vere sul futuro sono sempre state vere e lo sono immutabilmente, anche in maniera determinata, ma sono solo contingentemente vere e non in maniera necessaria. Così dicendo, Gregorio nega l'equazione aureoliana di necessità e immutabilità. La posizione di Gregorio si basa su un utilizzo interessante dei comuni mezzi e distinzioni logici sviluppati a Parigi e Oxford nel corso del secolo precedente, come la distinzione tra i sensi di proposizione divisi e composti, e quella tra contingenza assoluta e condizionale. Lo scopo di queste distinzioni era fornire un modo di spiegare la contingenza degli eventi, ma così facendo si ammetteva la contingenza ultima di tutto tranne Dio. In ogni caso, lungi dall'essere un'affermazione della "contingenza radicale" del mondo, come alcuni storici hanno supposto, era il solo modo che avevano i teologi di salvare un po' di contingenza dalla minaccia del determinismo logico e divino assoluto. In effetti, Gregorio ed altri ammettevano che, se Dio conosce il futuro, il futuro era necessariamente “ex suppositione”, sebbene non in modo assoluto poiché è logoicamente possibile per Dio, ente immutabile, di conoscere altro. Aureolo, Pietro da Rivo, Pomponazzi e Lutero avrebbero considerato tali sforzi deboli e inutili. Le posizioni di Gregorio, pur non essendo originali, sono straordinariamente chiare e precise. Egli evidenziava perfino problemi nelle discussioni che approvava del tutto, come quelle occamistiche. Tutto ciò che Gregorio sostiene si trova in Francesco di Marchia, Michele di Massa, Landolfo Caracciolo, Adam Wodenham e altri, ma nessuno di questi teologi l'ha mai esposto in maniera così precisa e organizzata. Un altro elemento della teoria modale gregoriana che merita attenzione è la contingenza o necessità del passato. La “opinio communis” riteneva che il passato è in qualche modo necessario in senso forte, anche se non è assolutamente necessario. Pare che Gregorio non si sia spinto così lontano da dire che il passato è necessario (oltre la normale necessità “ex suppositione”), ma fa una sorta di distinzione modale tra il passato e il futuro. Quindi si può affermare che Gregorio non pensava che Dio potesse cambiare il passato.

PREDESTINAZIONE
La predestinazone era l'argomento principale delle distinzioni 40-41 dei commenti alle Sentenze, libro I. La predestinazione può essere considerata una branca più prettamente teologica della prescienza e dei contingenti futuri, argomenti di natura più filosofica, che erano stati esaminati nelle distinzioni 38-39. Come per la prescienza, Gregorio procede con cautela, definendone i termini e considerando le possibili posizioni. L'inclinazione agostiniana di Gregorio si manifesta qui più che altrove. Dalla Lettera ai Romani, 9.13, dove Paolo commenta il passo di Malachia, 1.2 ("Giacobbe ho amato ma Esaù ho odiato"), Gregorio desume che Dio sceglie attivamente chi salvare e chi dannare, teoria, questa, chiamata della “doppia predestinazione”, o “doppia elezione particolare”. La questione principale è definire il collegamento tra la volontà e le azioni umane e la loro salvezza o dannazione, predestinazione e reprobazione: gli uomini sono attivamente responsabili della loro salvezza o dannazione, o tutto è a discrezione della volontà divina? La risposta tradizionale è che gli uomini sono responsabili della loro meritata dannazione, mentre la salvezza dipende unicamente da Dio. Sebbene vi fossero numerose interpretazioni e aggiunte a riguardo, Pietro Aureolo sembra essere stato il primo scolastico a proporre una alternativa seria. Aureolo aveva già tentato di allontanare Dio dall'esistenza terrena, per preservare la necessità divina e la contingentia rerum. Aureolo applica la sua teoria alla scienza della salvezza e afferma che Dio stabilisce delle regole secondo cui certi gruppi di persone saranno salvati e altri verranno dannati, senza una scelta nel dettaglio da parte di Dio. Tale affermazione conservava l'immutabilità divina e ammetteva la simmetria nella reprobazione e nella predestinazione: il fattore determinante è la presenza o assenza di un' ostacolo alla grazia. Per Aureolo, la presenza di un ostacolo è una causa positiva di reprobazione, mentre l'assenza è una causa negativa o privativa di predestinazione. Aureolo credeva di evitare accuse di pelagianesimo negando la causa positiva di predestinazione nell'eletto. Sembra che Ockham si sia appropriato dei suoi argomenti principali, mentre Walter Chatton di Oxford e Gerardo Odone e Tommaso di Strasburgo di Parigi ammettevano una causa positiva di predestinazione nell'eletto, cosa che li avvicinava alla tanto biasimata dottrina pelagiana. Gregorio reagì affermando che entrambe le cause nell'eletto sono tacciabili di pelagianesimo. Gregorio si mantenne su posizioni tradizionali per quanto riguarda la predestinazione: essa è a discrezione della benigna volontà divina. Tuttavia, la critica di Aureolo della asimmetria dell'opinione tradizionale portò Gregorio ad affermare che non solo gli eletti non partecipano attivamente alla loro predestinazione, ma neanche la reprobazione contribuisce alla dannazione. In breve, non c'è altra ragione per la salvezza o la dannazione dell'uomo, tutto parte dal volere imperscrutabile di Dio: non siamo in grado di sapere perché alcuni sono salvati ed altri dannati. Questa, dopotutto, secondo Gregorio, era la teoria autentica di Paolo e Agostino. La coerenza di Gregorio è ammirevole, così come quella di Aureolo. Aureolo, vista la fallacità della tradizionale teoria dei contingenti, proponeva una alternativa Così facendo conservava il ruolo causale degli uomini nella reprobazione, forse a detrimento della partecipazione alla predestinazione, abbracciando posizioni pericolosamente vicine al pelagianesimo. La teoria di Auriolo non era perfetta ma era coerente. Gregorio invece concordava con l'opinio communis sulla prescienza, ma sulla salvezza forniva una conclusione logica condivisa anche da Aureolo. Posto che l'azione e la volontà divina sono l'unica fonte di salvezza e dannazione, lo saranno anche della contingenza. La salvezza e la dannazione sono naturalmente contingenti, ma non al libero arbitrio umano, ma alla volontà divina. Secondo Gregorio, chiunque fosse d'accordo avrebbe dovuto necessariamente concordare con la teoria della Doppia Predestinazione. Lutero e Calvino concorderanno con Gregorio, ma non vedranno l'utilità della opinio communis, che, per loro come per Auriolo, non preserva la contingenza del volere umano.

 

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