FRANCESCO GUICCIARDINI

La buona fortuna degli uomini è spesso el maggiore inimico che abbino, perché gli fa diventare spesso cattivi, leggieri, insolenti; però è maggiore paragone di uno uomo el resistere a questa che alle avversitá. ("Ricordi", 164)

Vita e opere
Bibliografia
Il pensiero e il confronto con Machiavelli
I "Ricordi"
Giudizi su Guicciardini
Testi integrali di Guicciardini

Vita e opere

FRANCESCO GUICCIARDINIFrancesco Guicciardini nacque da nobile famiglia nel 1483 a Firenze. Dopo aver compiuto studi umanistici e giuridici, nel 1508 sposò Maria Salviati, appartenente a una famiglia di antica nobiltà, che ne rafforzò l'influenza politica. Ebbe una serie di incarichi da parte dello Stato fiorentino, per conto dapprima della Repubblica, poi dei Medici. Questo primo periodo di attività politica va dal 1508 al 1516 ed è segnato da importanti incarichi pubblici: dal 1511 al 1513 Guicciardini fu ambasciatore in Spagna presso re Ferdinando il Cattolico e nel 1514 e 1515 ebbe posizioni di primo piano nell'amministrazione di Firenze. Risalgono a questo periodo le Storie fiorentine, che abbracciano il periodo compreso fra il 1378 e il 1509, e soprattutto il Discorso di Logrogno, uno scritto di teoria politica ove Gucciardini sostiene una riforma in senso aristocratico della Repubblica fiorentina, proponendo un sistema affine a quello veneziano. Tra il 1516 al 1527 Guicciardini lavora per la curia pontificia, al servizio dei papi Medici: prima Leone X, poi Clemente VII. E' lui a tessere le iniziative che portano alla lega di Cognac contro Carlo V. Di questo periodo è il Dialogo del reggimento di Firenze, in due libri, ultimati nel 1526. Guicciardini immagina una discussione svoltasi a Firenze nel 1494, due anni dopo la morte di Lorenzo il Magnifico. Gli interlocutori sono il padre dello scrittore, Piero, Paolantonio Soderini e Pier Capponi, tutti ferventi repubblicani, a cui si contrappone il vecchio Bernardo del Nero, legato al partito mediceo. Quest'ultimo, partendo da un'impietosa analisi dei fatti e non da idee preconcette, dimostra ai tre amici quanto illusoria sia la loro fede repubblicana, sostenendo che il regime democratico presenta più numerosi e gravi difetti di quello monarchico. Bernardo ammette tuttavia la difficoltà di restaurare il potere mediceo nelle circostanze presenti, proponendo in alternativa alla costituzione democratica un governo misto, che preveda un gonfaloniere a vita, un Consiglio Grande per l'elezione dei magistrati, un senato per la preparazione delle leggi e per la trattazione degli affari di maggiore importanza. Emerge sin d'ora la convinzione che in politica non si possono dare delle regole assolute, teorie generali o dottrine sistematiche valide in ogni tempo ed in ogni luogo. Un terzo breve periodo coincide con la restaurazione della Repubblica a Firenze dopo il sacco di Roma, fra il 1527 e il 1530. Costretto alla vita privata per aver servito i Medici, Guicciardini scrive in propria difesa tre orazioni: Consolatoria, Accusatoria, Defensoria. Ritiratosi a Roma, completa la composizione dei Ricordi e compone, nel 1529, le Considerazioni intorno ai Discorsi di Machiavelli sulla prima Deca di Tito Livio. Attraverso un'analisi precisa e rigorosa dell'opera di Machiavelli, Guicciardini cerca di dimostrare che i suoi ragionamenti, in apparenza così serrati e convincenti, sono in realtà infondati ed arbitrari. Il dissenso non si riferisce solo a singoli aspetti della trattazione, ma investe più a fondo, e in generale, i fondamenti stessi della filosofia della storia, su cui Machiavelli basava il suo pensiero. La storia romana non conserva, per Guicciardini, nessun valore esemplare, dal momento che non ci sono, nella storia, leggi e modelli assoluti, che permettano di comprendere e di valutare la realtà. La visione del mondo che ne deriva risulta cosi tutta relativa e frammentaria, senza più riuscire a ricomporsi nella totalità di un sistema teorico capace di offrire criteri certi ed indiscutibili. I Ricordi accompagnano vari periodi dell'attività di Guicciardini diplomatico e uomo politico, nutrendosi di questa lunga e complessa esperienza. Di qui il carattere dell'opera (il titolo significa propriamente "cose da ricordare" e quindi, per estensione, "pensieri", "riflessioni"), che muove dalla realtà per affrontare, con un pessimismo amaro e disilluso, problemi più generali. Si tratta di riflessioni che possono offrire un utile insegnamento ma che non hanno, tuttavia, una validità assoluta, in quanto la realtà non obbedisce a leggi universali, conservando un andamento sempre mutevole e imprevedibile. Di qui deriva anche la struttura del libro, in cui i "ricordi" si susseguono indipendentemente l'uno dall'altro, senza fondersi in un quadro complessivo e unitario, dando vita a una specie di "anti-trattato", in quanto rinunciano a una compiutezza sistematica e totalizzante del discorso. Dopo la caduta della Repubblica di Firenze e la restaurazione del potere mediceo (1530), Guicciardini rientrò a Firenze, ricoprendo varie mansioni per conto dei Medici e di papa Clemente VII, ma dopo il 1534, il nuovo papa Paolo III non gli affidò più incarichi di rilievo. D'altronde il nuovo duca, Cosimo de' Medici, diffidava dell'atteggiamento antimperiale di Guicciardini, cosicché nel 1537 egli preferì ritirarsi nella villa presso Arcetri (Firenze), dove lavorò alla Storia d'Italia, la sua opera più vasta e impegnativa. Morì nel 1540 senza aver potuto rivedere la redazione definitiva dell'opera. Scritta fra il 1537 e il 1540, la Storia d'Italia abbraccia gli avvenimenti compresi fra il 1492 (anno della morte di Lorenzo il Magnifico) e il 1534 (anno della morte di Clemente VII), comprendendo i fatti più luttuosi della storia recente - dalla calata di Carlo VIII (1494) al sacco di Roma (1527) - in cui si consuma la "ruina d'Italia", che rappresenta in centro di interesse principale dell'autore. L'opera muove da un'impostazione storiografica nuova e moderna, che supera decisamente l'angusta prospettiva municipale della storiografia tradizionale: lo sguardo dello storico esce ormai dai confini di Firenze per abbracciare le vicende dell'Italia nel suo insieme, a loro volta inserite e spiegate nel quadro della grande politica europea, in cui la nostra penisola svolgeva un ruolo allo stesso tempo secondario, e tuttavia tragicamente rilevante.

Bibliografia

Storie fiorentine (1508-1510)
Diario di Spagna (1512)
Discorso di Logrogno (1512)
Relazione di Spagna (1514)
Consolatoria (1527) : è un discorso rivolto a se stesso, in cui cerca di dimostrare i motivi che ha per non rattristarsi.
Oratio accusatoria (1527) : immagina di essere un fantomatico accusatore di tutte le colpe possibili (e anche oltre), in uno stile declamatorio e populista.
Oratio defensoria (1527) : è il vero stile di Guicciardini: secco, scientifico ed efficace, con cui smonta una ad una le accuse che si era appena inventate. Quest'ultima orazione appare mutilata nella forma in cui ci è giunta.
Del reggimento di Firenze Considerazioni intorno ai "Discorsi" del Machiavelli sopra la prima deca di Tito Livio (1528)
Ricordi (1512-1530)
Le cose fiorentine (1528-1531)
Storia d'Italia (1537-1540) : La Storia d'Italia dal 1490 (morte di Lorenzo il Magnifico, e discesa in Italia di Carlo VIII di Francia), al 1534 (dopo il sacco di Roma da parte dei Lanzichenecchi, morte di papa Clemente VII), scritta da un protagonista "alto funzionario e consigliere di tre papi", con ambizioni di classicismo (si ispirava ai commentarii di Cesare), ma con una grande modernità.

Il pensiero e il confronto con Machiavelli

La grande, infamante accusa che il Guicciardini muove al Machiavelli è di essere un "utopista" invece che un "realista". Sul piano teorico, il confronto con le posizioni di Machiavelli è condotto soprattutto nelle Considerazioni intorno ai Discorsi del Machiavelli sulla prima deca di Tito Livio, scritte intorno al 1529 in due libri e rimaste incompiute. In esse Guicciardini sottopone ad analisi minuta singole affermazioni o particolari nuclei teorici di Machiavelli. Si tratta di riflessioni volte piuttosto a criticare e decostruire il pensiero di Machiavelli che ad avanzare proposte alternative o a costruire un diverso sistema concettuale. Nonostante la comune visione laica, fondata sulla "realtà effettuale", mentre Machiavelli, in una prospettiva classicistica, tende a "parlare generalmente" e a stabilire regole universali basandosi anche sulla lezione della storia, Guicciardini rimane ancorato a un empirismo assoluto e radicale: egli crede solo all'esperienza e alla necessità di giudicare caso per caso, in quanto ogni evento o fenomeno storico è unico e irripetibile e non può quindi essere analizzato a partire da categorie astratte e universali. Machiavelli, inoltre, pur consapevole del limite opposto dalla Fortuna all'agire umano, crede tuttavia nella storia come costruzione razionale e umana e trova nella virtù il fondamento e la legittimazione della libertà dell'uomo e della sua capacità attiva ed energica di costruire e modificare la storia secondo i suoi fini e i suoi progetti. La meditazione del Guicciardini parte, invece, dal riconoscimento amaro dell'incapacità, da parte del singolo, di riuscire a modificare il corso degli eventi e di ridurli in schemi razionali. C'è in lui la coscienza di un'estrema complessità e irrazionalità del reale, che non si lascia esaurire da nessuna formula. Vano è dunque pretendere di stabilire norme generali d'azione, dato che una realtà sempre imprevedibile sconvolge gli schemi in cui vorremmo costringerla. Alla virtù del Machiavelli egli sostituisce pertanto la "discrezione", che è la capacità di analizzare e comprendere i fatti singoli nelle loro infinite sfumature, per poter inserire la propria azione nel loro corso tumultuoso, senza venirne travolti, salvaguardando il proprio "particulare", cioè il proprio interesse, i propri scopi e progetti. Si può in certo modo affermare che, nel suo pensiero, la Fortuna vinca la virtù, e la fiducia rinascimentale nella capacità costruttiva dell'uomo nel mondo appaia ormai in declino. Questo spiega perché Guicciardini si dedichi esclusivamente alla storiografia, intesa come ricostruzione e comprensione a posteriori degli eventi e delle loro cause, rifiutando la forma del trattato politico, inteso, come in Machiavelli, come codificazione di un sistema organico di leggi e norme universali finalizzate a guidare e sostenere l'azione politica di costruzione della storia. Anche il Guicciardini, come il Machiavelli, crede che l'uomo sia un fenomeno della natura soggetto a leggi fisse ed immutabili, ma, a differenza del grande amico, ritiene che l'uomo sia naturalmente portato più al bene che al male e se fa nella realtà più spesso il male che il bene, ciò è dovuto al fatto che le tentazioni sono tante e la coscienza umana debole, ma ancora di più al fatto che proprio facendo il male l'uomo riesce più facilmente e più spesso a realizzare il proprio tornaconto. Questo tornaconto personale, che il Guicciardini chiama "particulare", è in effetti la molla che fa scattare tutte le azioni umane: esso il più delle volte corrisponde al benessere materiale, al potere, ma può anche nobilitarsi corrispondendo all'interesse dello Stato, alla gloria, alla fama. Per realizzare il "particulare", sia in senso politico che in senso domestico, non è possibile rifarsi alla storia e trarre insegnamenti da fatti già accaduti per risolvere i fatti del presente, perché nella storia i fatti non si ripetono mai: anche quando una circostanza presente sembra riflettere un episodio della storia passata, in effetti la situazione attuale è ben diversa, diversi essendo gli uomini che si trovano ad affrontarla. Quindi non c'è da sperare in una scienza della politica, ma contare esclusivamente sulla propria "discrezione", cioè una qualità innata nell'uomo, ma che solo pochi posseggono in misura rilevante, che fornisce la capacità di intuire di volta in volta la scelta da operare, la strada da percorrere, per realizzare il proprio vantaggio e difendersi dai pericoli della vita. Però se la storia non può darci leggi universali di comportamento, la nostra esperienza personale può bene affinare in noi la "discrezione". E l'uomo deve attenersi esclusivamente al suo rapporto contingente con la realtà, perché è vana e semplice esercitazione mentale il volersi interessare di cose soprannaturali ed invisibili. E nel rispetto di questa considerazione, egli condivide col Machiavelli la necessità di badare solo alla "verità effettuale", ma della situazione italiana contemporanea dà una valutazione diversa: per luì non è possibile fare dell'Italia di quel tempo uno stato unitario, e propende invece per una confederazione di piccoli stati, possibilmente retti a repubblica ma governati comunque da "savi". Egli è contrario al potere temporale dei papi (anche se li servì per proprio tornaconto) e condivide col Machiavelli il desiderio di vedere l'Italia liberata dagli stranieri. Significativo a tal riguardo è il seguente pensiero del Guicciardini: "Tre cose desidero vedere innanzi della mia morte; ma dubito, ancora che io vivessi molto, non ne vedere alcuna: uno vivere di repubblica bene ordinata nella città nostra; l'Italia liberata da tutti e barbari; e liberato il mondo della tirannide di questi preti". Non è un caso che il Guicciardini - a differenza del Machiavelli - fece una notevole carriera politica. Ma chi è stato più "premiato" dalla storia? Chi dei due ha potuto beneficiare di una maggiore realizzazione storica dei propri ideali? Si può forse dire che il Guicciardini fosse più "realista" del Machiavelli quando pensava di potersi opporre, con le sole risorse del papato o di una Lega provvisoria dei maggiori Stati italiani, alla potenza di nazioni come la Spagna o la Francia? Era forse più realista del Machiavelli quando rifiutava l'idea di costituire un esercito non mercenario? Nella fattispecie la politica del Guicciardini ha avuto più successo di quella del Machiavelli, ma non si può dire che abbia avuto anche più ragioni. L'ideale del Machiavelli, relativo all'unificazione nazionale, non è forse fallito anche per l'opposizione di politici miopi come il Guicciardini? Chi ricordiamo oggi più volentieri: il passionale lungimirante Machiavelli o il freddo calcolatore Guicciardini? La prospettiva di lungo periodo ha dato ragione al Machiavelli, anche se il rifiuto ostinato, trisecolare, di accettare il suo ideale, ha fatto regredire così tanto l'Italia, rispetto ad altre nazioni europee, che ancora oggi ne risentiamo. Se poi volessimo fare i sofisti, dovremmo mettere in discussione anche il valore contestuale del presunto "realismo" del Guicciardini, quello che lui praticava nell'ambito ristretto delle circostanze particolari, dei casi specifici. Egli infatti s'è sempre comportato come un aristocratico, lontano dalle masse popolari: ad es., quando ha cercato di spiegarsi i motivi della profonda crisi di Firenze, ne ha attribuita la responsabilità ai grandi personaggi della politica, alle rivendicazioni dei ceti subalterni, alla sfortuna... E' forse questo il vero "realismo"? Si può essere allo stesso tempo "realisti" e "opportunisti"? L'opportunismo di chi pensa solo al "particulare" è forse una garanzia di vero successo? Il suo unico trattato teorico-politico è il Dialogo del reggimento di Firenze, composto tra il '21 e il '25. In esso Guicciardini auspica per Firenze un governo "misto", sul modello di quello oligarchico-veneziano, che superi i difetti della signoria e del regime repubblicano. Prevede due magistrature formate dai rappresentanti delle famiglie più illustri e più ricche, aventi al vertice un gonfaloniere nominato a vita. L'aristocrazia che Guicciardini difendeva era quel ceto di magnati, astuti e intelligenti, che avevano saputo assumere il controllo dei traffici commerciali e delle industrie, alleandosi con la nuova borghesia mercantile e finanziaria. Per lui questa classe era la sola ad essere esperta nell'arte di governare, sia a livello politico-amministrativo che militare. Guicciardini è un politico conservatore: guarda con sospetto e diffidenza i tumulti popolari (ad es. quello dei Ciompi), l'assolutismo del principe e ritiene irrealizzabile l'idea di uno Stato nazionale. La sua preoccupazione principale è quella di conservare i vecchi istituti comunali e corporativi. I Ricordi politici e civili: sono oltre 400 pensieri di natura politica e morale, di varia lunghezza, composti tra il '25 e il '30, destinati ad esser letti dai familiari e dai discendenti (pubblicati, come molte altre sue opere, solo verso la metà dell'Ottocento). In essi Guicciardini ribadisce il principio rinascimentale dell'autonomia della politica, totalmente separata dalla religione e dalla morale; sostiene che la storia è un prodotto degli uomini, non della provvidenza, anche se la fortuna ha una parte rilevante nelle vicende degli uomini. Gli uomini che fanno la storia sono quelli che hanno intelligenza, forza, astuzia, abilità, autorità. Il popolo non fa "storia". Gli avvenimenti storici sono indecifrabili se riferiti a uno schema teorico predefinito col quale li si vorrebbe interpretare. Nella storia le eccezioni, le circostanze fortuite, particolari, i necessari "distinguo" rendono impossibile una comprensione globale o generale della realtà. I fatti vanno compresi nelle loro circostanze particolari, caso per caso. La virtù che il politico deve possedere, a tale scopo, è la discrezione, che è la capacità di discernere con acume, sulla base dell'esperienza, i singoli fatti (prevale dunque l'analisi sulla sintesi). In questo senso il Guicciardini si oppone al Machiavelli: non accetta il richiamo costante agli antichi (perché secondo lui il passato non può aiutarci a vivere il presente, non essendoci una concatenazione logica dei fatti storici), né apprezza lo sforzo di trarre dalla storia delle leggi universali. I fatti non possono essere ricondotti entro una visione unitaria, né si può risalire dal particolare al generale: il futuro resta imprevedibile. Di qui il forte pessimismo intellettuale del Guicciardini, che si manifesta anche nella concezione dell'uomo: a suo giudizio, infatti, la natura umana è fondamentalmente incline al male, almeno nel momento stesso in cui accetta di vivere in società. E questa inclinazione è immutabile. Alla politica idealista e di ampio respiro del Machiavelli, Guicciardini oppone una politica che lui definiva "realista" ma che sarebbe meglio definire "opportunista": la politica di quel diplomatico, esperto nell'arte di negoziare e consigliare, molto attento al proprio "particulare", cioè alla propria dignità, reputazione e carriera politica (ad es. in religione egli avrebbe voluto farsi luterano, ma restò cattolico; odiava il clericalismo, ma si era adattato a servire il papato). Per "particulare" non si deve intendere il tornaconto materiale. Nelle Considerazioni sopra i Discorsi del Machiavelli (1530), Guicciardini contesta che l'unificazione nazionale sia un obiettivo preferibile all'equilibrio tra le varie entità politiche esistenti e sostiene invece che l'autonomo sviluppo delle varie città e signorie, oltre ad essere causa di benessere economico, corrisponde meglio alle antiche consuetudini degli italiani. L'opera più importante, sul piano storiografico, è la Storia d'Italia, in 20 volumi, composta tra il '36 e il '39. E' il capolavoro di tutta la storiografia del '500. Tratta gli avvenimenti che vanno dalla discesa di Carlo VIII alla morte di Clemente VII. E' l'unica ch'egli compose espressamente per la pubblicazione. Guicciardini è il primo che raccoglie in un quadro le vicende di tutta Italia, ed è anche il primo che pone a fondamento della narrazione documenti autentici e originali: di qui la sua pretesa imparzialità. La differenza principale fra la sua storiografia e quella del Machiavelli la si riscontra anche nel giudizio che dà della Repubblica fiorentina. Mentre il Machiavelli aveva ricercato nelle passate vicende della città le prove della fragilità del piccolo stato corporativo rispetto alle nazioni europee emergenti; il Guicciardini invece addebitava il declino della città alle passioni e agli errori di singoli e famosi personaggi, vissuti negli ultimi 40 anni, oppure alle pretese delle classi più popolari o addirittura all'influsso negativo della fortuna.

I "Ricordi"

I "Ricordi" sono una nutrita raccolta di pensieri ed appunti sparsi, raccolti da Guicciardini. Massime morali e consigli politici si mescolano in un'opera che manca della sistematicità de "Il Principe" o della stessa "Storia d'Italia" del Guicciardini. Vivamente polemico contro lo stato della chiesa, sotto cui ha servito in alte cariche per molti anni, Guicciardini è stato bollato da De Sanctis per la sua ipocrisia, tesa solo al raggiungimento del proprio "particulare". Queste sono le principali tematiche affrontate nei "Ricordi":

VI - La discrezione e l’ingratitudine
L’uomo non può dominare gli eventi, perciò è impossibile dare consigli d’azioni universalmente valide, dettare principi generali e assoluti. Non resta che prender le cose per il loro verso, giudicandole caso per caso, nelle loro infinite sfumature. E’ evidente qui il contrasto con Machiavelli.

XI - L’ingratitudine
C’è nel Guicciardini un senso di nostalgia per gli uomini nobili e puri.

XV, XVI, XVII - Le ambizioni umane
I ricordi furono scritti dopo il ritiri alla vita politica, dopo, cioè, la sua esistenza e tutto il suo lungo prodigarsi gli apparivano nella luce amara dell’insuccesso e della vanità. Alla fine di questo pensiero il prevalente tono pessimistico passa in secondo piano: il desiderio dell’onore e della gloria appare una necessità imprescindibile dell’animo umano. Anche questo è un pensiero autobiografico come quello contenuto nel 15.

XXVIII - La corruzione del clero
La critica del Guicciardini non riguarda in alcun modo il contenuto della religione cattolica, ma si appunta sulla corruzione morale delle gerarchie ecclesiastiche assai evidente in quei tempi, da cui prese le mosse la protesta di Martin Lutero. L’autorità della Chiesa che il Guicciardini vorrebbe vedere sminuita è quella politica, che egli avverte in netto contrasto con gli ideali veri del cristianesimo. Ma Guicciardini mette le mani avanti: "Non combattete mai con la religione, né con le cose che pare che dependono da Dio; perché questo obietto ha troppa forza nella mente degli sciocchi". (Ricordi, 31)

XXX - La fortuna
Guicciardini afferma, al contrario di Machiavelli, che un sovrano potrebbe salire al trono unicamente grazie alla fortuna a lui favorevole. La fortuna quindi è molto più importante della virtù propria di ogni uomo.

XXXII - L’ambizione
Guicciardini divide l’ambizione in negativa e positiva. Negativa quando, per realizzare i propri progetti chi detiene il potere non si fa scrupolo di calpestare i valori fondamentali dell’uomo (la coscienza, l’onore, l’umanità).

XXXVI, XXXVII - Le relazioni sociali
L’uomo nelle relazioni politiche-sociali deve sapersi porre: la dissimulazione e la menzogna possono servire come strumento utile alla realizzazione dei propri scopi.

XLIV - L’essere e l’apparire
La famiglia deve saper educare il proprio figlio e dargli una buona morale.

LX, LXI - Le "Varie nature degli uomini"
Guicciardini avverte l’estrema complessità del reale e l’impossibilità dell’uomo di dominarlo pienamente, di imprimervi il suggello della propria razionalità; e avverte inoltre l’estrema precarietà del nostro vivere.

Giudizi su Guicciardini

BATTAGLIA (Da Mitografia): "Agli idoli esclusivi dello stato e del principe, in cui il Machiavelli impegnava tutto il reale, il Guicciardini sostituisce il ritmo stesso della storia e della vita e, insieme, dilata la prospettiva all'intera società umana. Il mondo storico e psicologico del Machiavelli, alla fine, può risultare molto semplice e quasi elementare; mentre la realtà del Guicciardini si rivela quanto mai complessa e problematica. Il suo realismo è più autentico, anche se meno generoso.
Leopardi ha detto: "Il Guicciardini è forse il solo storico tra i moderni che abbia e conosciuto molto gli uomini e filosofato circa gli avvenimenti attenendosi alla cognizione della natura umana, e non piuttosto a una certa scienza politica, separata dalla scienza dell'uomo e per lo più chimerica."
S'introduce, nel sistema del Guicciardini, il principio della vita e dell'esperienza che sono fatte di compromessi, di espedienti, di controlli lenti e guardinghi, d'infinite circospezioni e simulazioni. E' questa nuova scienza dell'uomo ad amareggiare il lettore, che vuol sentirsi illuso, e a fare invece del Guicciardini uno dei più grandi scrittori di realismo, senza dubbio il più responsabile rivelatore del disinganno moderno."
"Mentre il Machiavelli sente la vita e la realtà come una perenne sfida, per il Guicciardini si tratta di una logorante resistenza, che assai spesso mozza il fiato e concede scarse e ingrate soddisfazioni."
"Forse la maggiore suggestione che ispira la pagina di Guicciardini è che la sua analisi non si limita al campo della politica, ma investe tutta la dimora umana."

LA "SOSPENSIONE"
"... nessuna cosa è sì trista che non abbia del buono; nessuna sì buona che non abbia del tristo: donde nasce che molti stanno sospesi." Questa sospensione è il destino dell'uomo e della storia, è l'anima dell'esperienza.

BATTAGLIA (da Le Epoche):
1. Relazione fra Guicciardini e la scuola del realismo toscano. Come Machiavelli.
2. Le "Osservazioni" al Machiavelli: Il Machiavelli non vede le persone, ma i tipi, non considera i fatti ma i loro schemi. Al contrario Guicciardini si immerge nelle cose, le saggia ad una ad una nel loro spessore, le rispetta per se stesse.
Il fatto è che Machiavelli s'interessa di storia per verificare il suo sistema, mentre Guicciardini ha la disponibilità del vero storico (cioè quella apertura e rispetto verso gli eventi, che non vanno forzati o mutilati o gonfiati).
Machiavelli aveva lo stato e il Principe come idoli esclusivi della sua meditazione e alla fine può apparire perfino semplice ed elementare rispetto alla stima complessa e problematica che del reale fa il Guicciardini.
Rifiutandosi di schematizzare bene e male, coscienza e interesse, utile e dannoso (rifiutandosi di dire per regola che tutti gli uomini sono così o così, che chi si comporta così necessariamente otterrà il tale risultato), egli cerca di liberare la dottrina del Machiavelli da quello che di meccanico e automatico essa ha.

PASQUINI (Da Introduzione ai Ricordi): "Frutto del crollo di ogni illusione politica e di una coatta rinuncia alla milizia politica, i Ricordi del 1530 rivelano davanti alla realtà lo sguardo disincantato e lucido del moralista di razza. Non è un caso che nei momenti in cui la storia si richiamerà a certi eterni princìpi della psicologia e del comportamento umano ritorneranno i temi e le parole stesse dei Ricordi..."
"un laborioso itinerario ha condotto Guicciardini a fondare, nei Ricordi, un nuovo genere letterario, quasi senza precedenti nella letteratura occidentale. In Italia purtroppo i Ricordi non faranno scuola... diversamente in Francia: Montaigne, La Rochefoucauld, Pascal, la Bruyère e B. Graciàn in Spagna e Francis Bacon in Inghilterra."
"la vera differenza tra Machiavelli e Guicciardini sta fra il senso della misura, connaturato in Guicciardini e gli estremismi ideologici del Machiavelli."
"Pare, insomma, che si rinnovi tra i due l'antinomia Dante - Petrarca. Machiavelli è della specie di Dante... che giunge senza correggersi alla stesura definitiva ; Guicciardini di quella del Petrarca, la razza degli incontentabili, alla ricerca dell'espressione suprema, insostituibile .
"Proprio dal Machiavelli può prendere le mosse uno studio dei motivi conduttori dei Ricordi." . Allo sporadico relativismo del Machiavelli qui si oppone un relativismo integrale, per finire col senso di una fatalità dell'errore umano o dell'imperfezione terrena, che approda a una percezione intrepida del "limite" esistenziale. Con ciò giungiamo all'immagine più autentica del Guicciardini, che pure convive con altre (addirittura col desanctisiano uomo del Guicciardini)"... "Ma il Guicciardini più grande è quello che scuote da sé il 'particulare', la diplomazia, il senso del limite per affisarsi con sguardo incommosso sui grandi temi dell'esistenza, ormai "pervenuto a rendersi conto del complesso gioco delle vicende e delle passioni umane" (Fubini). Allora denuncia ogni mistificazione di libertà (66) o boria di cultura (47), sviluppa antichi temi cristiani sulla violenza del tempo e la lenta consunzione delle cose terrene (34, 71, 139), tesse un elogio non erasmiano della pazzia (136, 138) o scruta, precorrendo Leopardi, l'angoscia esistenziale dell'intelligenza (60). Infine attinge il sublime con tre ricordi (160, 161, 189) che interrogano il mistero della morte vicina, che gli uomini non avvertono quasi, per un'energia di conservazione intrinseca alla vita, a garantirne i ritmi eterni."

SAPEGNO: "Questo rinchiudersi del Guicciardini nel solitario culto del suo 'particulare' con tutti gli accomodamenti e i compromessi morali che esso comporta, spiega il senso di antipatia che... doveva suscitare... Ma occorre riconoscere che c'è qualcosa di grande in questa affermazione assoluta e consequenziaria... dell'utile individuale, perseguito ... non per desiderio di guadagno e ambizione di onori, ma per una sorte di fermissima convinzione e col tormento di chi talvolta amerebbe illudersi...".
"La sua norma è di non cozzare mai contro il muro della realtà e di non andare in cerca dell'impossibile... L'atteggiamento del ribelle, del profeta, dell'eroico difensore delle cause perdute... non fa per lui. Dietro questa amara saggezza sta un fondo di dura esperienza personale, di fatica, di sfiducia, di malinconia."
"L'elogio del particulare è stato troppo spesso frainteso...: è certo che molti uomini non cognoscono bene quale sia l'interesse suo... Non si deve arbitrariamente separare la dottrina del particulare da questo alto senso dell'onore, che ne costituisce il fondamento supremo e la ragione intima."

Testi integrali di Guicciardini