PIERRE HADOT

A cura di Fabio Funiciello


 

Pierre Hadot (Parigi1922) è un filosofo e scrittore francese. Direttore della École pratique des hautes études dal 1964 al 1986, è stato nominato professore al Collège de France nel 1982. Il suo ambito di interesse è la filosofia antica, soprattutto il rapporto tra la Filosofia Greca e la sua ricezione da parte della Letteratura Latina. È stato uno dei primi ad aver introdotto il pensiero di Wittgenstein  in Francia alla fine degli anni cinquanta del Novecento attraverso delle conferenze tenute al College Philosophique diretto da Jahn Wahl  dove Hadot ci da un’interpretazione del Filosofo Viennese  centrata sulle nozioni di “gioco linguistico” e di “forma di vita” restituendo un’immagine di Wittgenstein più vicina alle tematiche affrontate dal nostro nella sua visone della filosofia come “esercizio spirituale”. La  tesi principale di Hadot, esposta soprattutto nei due testi Esercizi Spirituali e Filosofia antica e Che Cos’è la Filosofia Antica, è che la filosofia è nata, nell’antichità greca, come “stile di vita”, saggezza intesa come “saper vivere”, in una unità di teoria e prassi tipica dell’epoca nella quale appunto nasce e non come mera riflessione teorica fine a se stessa, quale invece ha preso a svilupparsi a un certo punto della storia occidentale. La Filosofia Greca e quella che le scuole filosofiche romane ereditano serve alla trasformazione dell’essere umano nella vita quotidiana. Le opere filosofiche del passato non sono composte per esporre un sistema, ma per diffondere un sapere formativo: in vista di questo scopo, il filosofo cercava anche di insegnare un approccio alla lettura facendola diventare un’azione di trasformazione del proprio sé. Gli esercizi spirituali impegnano tutte le facoltà dell’individuo che si mette in discussione trasformando la propria esistenza in maniera radicale. Per gli Stoici, per esempio, la filosofia è divisa in logica, fisica ed etica, ma ognuna di queste discipline non va vista chiusa in se stessa ma come un tutto unico che va vissuto a pieno con consapevolezza di sé, come peraltro risulta bene dall’immagine stessa che gli Stoici impiegavano per qualificare la propria tripartizione della filosofia: un “uovo”, le cui parti – lungi dall’essere indipendenti – sono in relazione tra loro, come il tuorlo e il guscio dell’uovo. Il discorso sulla filosofia non è la filosofia. In altri termini, secondo Hadot, in Grecia le teorie filosofiche sono al servizio della vita filosofica. Nell’epoca ellenistica e romana la filosofia si presenta come un modus vivendi, come arte della vita, come una maniera d’essere. In effetti, la filosofia antica aveva questo carattere, almeno a partire da Socrate. La filosofia antica propone all’essere umano un’arte della vita, mentre la filosofia moderna si presenta come un sapere tecnico riservato a specialisti o, comunque, a pochi “addetti ai lavori”. Hadot critica aspramente i filosofi moderni che vedono nella filosofia un mero sistema di proposizioni astratte e lontane mille miglia dalla vita concreta, con tutti i suoi “problemi reali”:


“Tradizionalmente, coloro che sviluppano un discorso filosofico senza cercare di mettere  la loro vita in rapporto con il discorso, e senza che il loro discorso derivi dalla loro esperienza e dalla loro vita vengono chiamati ‘sofisti’ dai filosofi” (P.  Hadot, Esercizi Spirituali e Filosofia Antica).

Ciò significa che presso i filosofi dell’antichità il discorso filosofico si integra armonicamente con le loro pratiche di vita: per loro la filosofia è prima di tutto una forma di vita e, solo in seconda battuta, un discorso concettuale, che però non può prescindere dall’esperienza vissuta del filosofo. Se la filosofia diventa solo una riflessione sulla correttezza logica delle proposizioni, allora subisce una modificazione radicale (e letale), rischiando di trasformarsi in una disciplina scolastica e istituzionale che si interessa solo della speculazione pura e non dell’esistenza quotidiana degli esseri umani nel rapporto con se stessi, con gli altri e con il mondo. Nella riflessione aurorale dei Greci – e in ciò sta, per Hadot, la loro insuperata e forse insuperabile grandezza – tra vita e riflessione filosofica non c’era contrasto, ma piuttosto armonia, nella misura in cui la vita stessa si configurava come una vita filosoficamente vissuta, in cui la filosofia provava a rispondere ai problemi che la vita stessa, di giorno in giorno, sollevava. Per l’essere umano è più importante imparare a vivere una vita umana attraverso l’esercizio psicagogico della filosofia. In questo senso, la posizione filosofica di Hadot può servire a rileggere l’intera storia della filosofia occidentale:


“Lo storico della filosofia dovrà cedere il posto al filosofo, il filosofo deve sempre restare vivo nello storico della filosofia. Questo ultimo compito consiste nel porre a se stesso, con lucidità maggiore la domanda decisiva: Che cos’è Filosofare?” (P. Hadot, Esercizi Spirituali e Filosofia Antica).

 

Domanda impegnativa, certo: alla quale si può rispondere ripercorrendo la strada che in origine percorsero i Greci, tenendo unite tra loro – senza mai scinderle – la vita e la filosofia. Un'altra tesi sostenuta da Hadot riguarda la continuità tra mondo greco e mondo cristiano: Hadot, che ha studiato attentamente il mondo tardo-antico (con particolare attenzione per Marco Aurelio) e il suo trapasso in quello cristiano, mette in luce con particolare enfasi come l'idea degli “esercizi spirituali” dei Greci (e soprattutto degli Stoici) riceva un nuovo impulso presso i Cristiani, che ad essi danno un nuovo sviluppo. Tra mondo greco e mondo cristiano non c'è contrasto ma, semmai, continuità, nella misura in cui il secondo eredita (e declina in nuovi modi) il pensiero elaborato dal primo: tesi, questa, sostenuta anche, seppure con sfumature diverse, dal filosofo italiano Giovanni Reale.

 

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