DAVID HUME

A cura di Gigliana Maestri

LA CREDENZA

Nella terza parte del I libro del Trattato sulla natura umana, Hume definisce la credenza come un'idea particolarmente vivace associata ad un'impressione presente. Per comprendere il significato di tale affermazione, occorre rilevare che l'idea d'un oggetto è una parte fondamentale della credenza in esso, ma non è tutto, perché sappiamo per esperienza di concepire molte idee o cose alle quali non crediamo: ad esempio, possiamo pensare ad un cavallo alato anche se non crediamo alla sua esistenza. Hume approfondisce il problema della "credenza" ponendolo in relazione con quello della causalità. Tutti i ragionamenti sulle cause e gli effetti riguardano materie di fatto, ossia l'esistenza di oggetti o delle loro qualità. Ora, l'idea di un oggetto e l'idea della sua esistenza non sono distinte: se prima concepisco un oggetto e poi lo concepisco come esistente, non faccio alcuna aggiunta o non produco alcuna alterazione alla prima idea. Hume propone un esempio molto chiaro: "Quando penso Dio, quando lo penso come esistente e quando credo alla sua esistenza, la mia idea di lui non si accresce né diminuisce. Ma siccome v'è certamente una grande differenza fra il semplice concepire l'esistenza d'un oggetto e la credenza in essa, e poiché questa differenza non risiede nelle parti o nel complesso dell'idea che concepiamo, ne segue ch'essa debba risiedere nel modo con cui la concepiamo". Credere significa dunque avere sì un'idea, ma averla in un modo particolare. A questo punto, occorre chiedersi cosa s'intende quando si parla di "modo particolare" di concepire un'idea. Tutte le nostre percezioni si distinguono in impressioni e idee: le prime sono passioni, sensazioni, sentimenti, emozioni, che ci colpiscono immediatamente con un vigore ed una forza particolari, mentre le seconde sono una copia sbiadita delle impressioni nel pensare e nel ragionare. Ciò significa che ogni percezione può presentarsi o come impressione o come idea, e che un'idea, essendo una perfetta copia di un'impressione, la rappresenta in tutte le sue parti. In altre parole, un'idea rappresenta perfettamente, in ogni parte, un'impressione corrispondente. Se allora vogliamo "variare" l'idea di un certo oggetto, non abbiamo altra opportunità che quella di accrescerne o diminuirne la forza e la vivacità, ossia di variare il "modo" di concepirla; qualora, invece, le apportassimo un altro genere di variazione, la nostra idea non corrisponderebbe più a quell'oggetto. Scrive Hume a tale riguardo: "Avviene come per i colori: una particolare sfumatura può dare a un colore un grado maggiore o minore di vivacità e chiarezza, senza alcun'altra variazione; ma, se apportate una variazione diversa, non sarà più lo stesso colore. Similmente, non facendo altro la credenza che variare la maniera di concepire un oggetto, può dare alle nostre idee soltanto ulteriore forza e vivacità". Pertanto, come si è detto all'inizio, "credere" significa avere un'idea particolarmente vivace associata ad un'impressione presente. Secondo Hume, il problema della credenza costituisce un autentico mistero per la filosofia, perché si tratta di una nozione difficilmente spiegabile: essa è un'esperienza o un sentimento (feeling) naturale. Infatti, credere significa semplicemente riconoscere la "realtà" di un oggetto o idea: io credo in una certa idea nel senso che la giudico esistente. In questo senso, l'uso del termine "vivace" applicato all'idea è funzionale a tale riconoscimento: avere un'idea particolarmente vivace vuol dire che quest'idea "si sente" in maniera differente rispetto ad un'idea frutto dell'immaginazione. D'altra parte, una cosa che "si sente" è una cosa di cui abbiamo diretta ed immediata esperienza, e per questo si è detto che credere è un'esperienza naturale, e che, proprio in quanto tale, non è suscettibile di ulteriori definizioni. Hume sostiene che "in sede filosofica, dobbiamo contentarci di affermare ch'essa è qualcosa di sentito dalla mente, la quale distingue, così, le idee del giudizio dalle finzioni dell'immaginazione. Essa (la credenza) dà a loro maggior forza e influenza, le fa apparire più importanti, le fissa nella mente, e ne fa principi che governano tutte le nostre azioni". Come si è ricordato, Hume affronta questo problema in relazione a quello delle inferenze causali, ossia delle inferenze da un oggetto ad un altro: in questo caso, infatti, la credenza assume un valore determinante. Tutte le volte che inferiamo da una causa ad un effetto, dobbiamo senz'altro avere presente un oggetto che costituisca la causa, e che renda quindi possibile la nostra inferenza; nella ricerca della causa, cioè, non possiamo certamente regredire all'infinito. Pertanto, in tutti i nostri ragionamenti causali, dobbiamo sempre partire avendo presente un'impressione di sensazione o di memoria, oppure, inferendo da altre cause, dobbiamo giungere ad un oggetto presente ai sensi o alla memoria. Dunque, una causa può essere o un oggetto immediatamente presente ai sensi, oppure un oggetto presente alla memoria. Le idee della memoria hanno la caratteristica di essere particolarmente vivaci; tale vivacità è tanto maggiore quanto più il ricordo è recente. Se, dopo un lungo intervallo di tempo, pensiamo ad un oggetto, l'idea di esso è sicuramente più debole. Dopo un intervallo di tempo lunghissimo, l'idea del medesimo oggetto diventa talmente "languida" da rischiare di svanire completamente, o di essere scambiata per un'idea dell'immaginazione, quindi per una fantasia. Capita spesso, nel cercare di ricordare un evento cui non si pensa da moltissimo tempo, di non saper più distinguere se si tratta di un fatto veramente accaduto o esistente, oppure di un frutto della nostra fantasia. Ciò significa che, in questi casi, la nostra "credenza" in quell'evento diminuisce proporzionalmente al diminuire della sua vivacità e intensità. Un ricordo sbiadito, privo di vivacità, è un ricordo cui stentiamo a credere, ossia di cui fatichiamo a riconoscere la "realtà". A questo punto, ritorniamo chiaramente al discorso di partenza: credere coincide con l'avere un'idea particolarmente vivace; Hume scrive: "la credenza o l'assenso, che sempre accompagna la memoria ed i sensi, non consiste in altro che nella vivacità delle loro percezioni, le quali in questo solo si distinguono dalle idee dell'immaginazione". Si è visto che, per poter inferire da un oggetto a un altro, dobbiamo avere presente un'impressione, di senso o di memoria, che costituisca la base del nostro ragionamento. Ora, ogni credenza che segua un'impressione presente trova sempre la sua origine nell'abitudine. Per comprendere adeguatamente ciò, occorre pensare che quando vediamo due impressioni sempre congiunte insieme, ossia se facciamo esperienza dell'unione costante di due impressioni, in seguito, quando ne compare soltanto una, la nostra mente, per abitudine, si rappresenta anche l'altra, sebbene sia assente. Questo significa che la nostra impressione è diventata fondamento di credenza grazie all'esperienza che abbiamo fatto delle sue abituali conseguenze (abbiamo cioè constatato che compare sempre unita a un'altra). L'abitudine, a sua volta, è "ciò che procede da un'antecedente ripetizione", e costituisce quindi un meccanismo che agisce prima che intervenga la riflessione. In altri termini, l'abitudine ci conduce a compiere operazioni in maniera "meccanica", automatica, come appunto nel caso della credenza che segua ad una certa impressione presente. D'altra parte, l'abitudine è un fatto d'esperienza, nel senso che in noi si produce un'abitudine perché abbiamo fatto una medesima esperienza per un certo numero di volte; pertanto, possiamo affermare che l'esperienza agisce sulla nostra mente in maniera impercettibile, cioè s'insinua in noi senza che ce ne accorgiamo, dando luogo alle nostre credenze. Sulla base di queste considerazioni, comprendiamo perché siamo anche convinti che "i casi dei quali non abbiamo nessuna esperienza debbono necessariamente assomigliare a quelli dei quali abbiamo esperienza...poiché l'intelletto o l'immaginazione può trarre conseguenze dall'esperienza passata senza rifletterci su, anzi senza bisogno di formulare nessun principio in proposito o ragionare su esso". Nella formazione delle nostre credenze svolge un ruolo molto significativo l'educazione. Sappiamo che tutte le opinioni cui siamo stati abituati fin dall'infanzia s'imprimono così profondamente in noi da non poter essere facilmente rigettate. L'educazione è fondata sulla "ripetizione" di idee, di concetti, di insegnamenti, e la ripetizione, come si è detto, forma un'abitudine, quindi una credenza. Non a caso, sostiene Hume, tutti abbiamo opinioni e convinzioni che spesso sono assolutamente contrarie alla ragione, ma che difendiamo con forza. Scrive il filosofo inglese: "...poiché l'educazione è una causa artificiale e non naturale, e poiché le sue massime sono spesso contrarie alla ragione, e anche a se stesse in tempi e luoghi differenti, i filosofi non hanno mai voluto riconoscerla; benché, in realtà, essa sia fondata sull'abitudine e la ripetizione, nello stesso modo dei nostri ragionamenti causali".

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