DAVID HUME

SUPERSTIZIONE E FANATISMO


A cura di Gigliana Maestri



Nei suoi Saggi morali, politici e letterari, Hume definisce la superstizione e il fanatismo come "le due forme di corruzione della vera religione", e s'impegna a mostrarne le origini psicologiche. Scrive il filosofo: "Debolezza, paura, malinconia, insieme con l'ignoranza, sono dunque le vere fonti della superstizione". E' innegabile, infatti, che gli uomini siano spesso agitati da sentimenti di angoscia, di tristezza, e anche da timori inesplicabili. A volte, gli stati depressivi sono causati da una condizione esistenziale oggettivamente difficile, ma, in altre circostanze, i medesimi stati sono espressioni di una predisposizione naturale degli individui. In ogni caso, qualunque sia la loro origine, resta il fatto che l'uomo, oppresso dal peso dei suoi dolori, immagina di poter cadere vittima di "mali sconosciuti da parte di esseri sconosciuti", e si abbandona a pratiche rituali che Hume definisce "stupide e assurde". Il fanatismo, invece, nasce da una disposizione d'animo esattamente opposta. La mente umana, infatti, non è soltanto soggetta a malinconie e terrori, ma anche ad esaltazione e presunzione, che possono scaturire o da eventi fortunati, cioè da un'esistenza felice, oppure da uno spirito naturalmente vigoroso. Una persona che tenda facilmente all'entusiasmo e all'esaltazione fatalmente può immaginare di avere contatti diretti con la divinità, e da qui traggono origine estasi, rapimenti e "voli della fantasia" tipici di molti uomini. Come scrive Hume: "Speranza, orgoglio, presunzione, una calda immaginazione, insieme con l'ignoranza sono dunque le vere fonti del fanatismo". La superstizione conduce al rafforzamento e al successo del potere "clericale". I superstiziosi, essendo depressi e sentendosi inferiori alla divinità, si ritengono del tutto indegni di avvicinarsi a Dio, e quindi rivolgono la loro attenzione a quelle persone la cui santità di vita o astuzia sembra maggiormente gradita alla divinità: i preti. I fanatici, invece, "si sono dimostrati liberi dal giogo clericale", perché "il fanatismo, per il fatto che nasce da orgoglio e da una presuntuosa fiducia, si ritiene sufficientemente qualificato per avvicinarsi alla divinità, senza alcuna mediazione umana". In tal modo, il fanatico trascura quelle cerimonie esteriori in cui è fondamentale la presenza dei preti, ma consacra se stesso, nel senso che conferisce a sé "un carattere sacro, molto superiore a quello che forme e cerimonie possono conferire ad alcun altro". All'inizio della loro esistenza, le religioni caratterizzate dal fanatismo sono certamente molto più violente delle altre, perché nascono da animi agitati da fortissime passioni. Proprio "questo fanatismo produce i più crudeli disordini nella società umana". Tuttavia, le grandi passioni si smorzano in breve tempo, per cui le religioni sorte in questo modo diventano poi particolarmente tolleranti, e sfociano anche nell'indifferenza religiosa, tenendo conto del fatto che in esse non esistono cerimonie e riti che, se ripetuti costantemente, possano tenere in vita la fede. La superstizione, al contrario, "si fortifica gradualmente ed insensibilmente, rende gli uomini docili e sottomessi, è gradita all'autorità e sembra inoffensiva alla gente". Proprio in quanto apparentemente inoffensive, le religioni fondate sulla superstizione conferiscono progressivamente una notevole autorità ai preti, i quali, in tal modo, diventano particolarmente importanti e anche socialmente pericolosi, dal momento che spesso causano "contese, persecuzioni e guerre religiose". A questo punto, è evidente che il fanatismo è incline a rafforzare la libertà civile, mentre la superstizione non può tollerarla. La spiegazione, anche in questo caso, è psicologica: il fanatismo nasce da un temperamento ardito e fiducioso, spesso addirittura presuntuoso, per cui appare naturale che si accompagni ad un forte spirito di libertà; al contrario, la superstizione, traendo origine da un sentimento di opprimente inferiorità, "rende gli uomini docili e remissivi, e li prepara per la schiavitù".

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