L’EROISMO DELLA RAGIONE

La teoresi: alba dell’ Occidente?

 

a cura di Jonathan Fanesi

 

 

Con questo breve articolo mi propongo d’ illuminare, seppur con fioca luce, l’ ethos della fenomenologia husserliana, il cui tratto distintivo consiste nell’ essere una ricerca autenticamente teoretica che proprio in virtù del suo statuto, coinvolge l’ uomo nella totalità del suo essente. In queste poche pagine, mi sono soffermato su una costellazione di problematiche che hanno guidato sin dai primi passi il cammino dei miei studi. Da qui, l’ interesse per il problema della scienza in Husserl e il legame che questa detiene con la filosofia e con l’etica. Nel procedere dell’ analisi, mi sono sempre più convinto che la fenomenologia husserliana, rappresenti una sfida per tutti coloro che rifiutano la filosofia come mero “ calcolo logico “, ma che al medesimo tempo sono lungi dall’ assumere un atteggiamento di disprezzo e di non – curanza verso i portati pratici e teorici di una scienza che ha profondamente segnato l’ epoca moderna e contemporanea. In questo articolo, in parallelo all’ analisi condotta sulla relazione tra scienza e filosofia, ho focalizzato la mia attenzione sul problema della storicità vitale della fenomenologia e sulla sua  funzione di critica responsabile. Auspico che queste poche pagine possano offrire un’ immagine non convenzionale della ricerca husserliana, troppe volte bollata come un filosofare astratto, decontestualizzato irresponsabilmente da quel mondo in cui si decidono le questioni vitali. Non so se sia riuscito nel mio intento. Questo lo deciderà il lettore. È stato detto che la chiarezza espressiva è fondamentale quando si scrive in filosofia, in quanto segno distintivo dell’onestà intellettuale dell’ autore. Personalmente sono convinto che non debba essere condotta più in là l’ apologia della chiarezza e dello stile, poiché si rischia di cadere in una sterile retorica, atta a mascherare i limiti ermeneutici e culturali di chi legge. Forse in queste parole si nasconde una velata forma di auto – giustificazionismo. Forse. Ciò che mi preme dire è che ho cercato di argomentare in maniera consequenziale, facendo il minor uso possibile delle citazioni all’ opera husserliana, solo là dove era necessario: troppe volte si leggono libri o articoli, in cui il pensiero dell’ autore si riduce all’ insieme dei connettivi logici che utilizza al fine di porre in relazione una miriade infinita di passi. Il continuo e reiterato citare  è indice di “ scrocconeria intellettuale , sindrome che colpisce molti, accademici e aspiranti canuti del pensiero. Ritengo che il più grande onore che si possa fare ai classici, consista nell’ abbandonare ogni atteggiamento di cieca riverenza, di ottusa e a – critica celebrazione. Husserl ha rappresentato nel mio caso, una stimolante e feconda occasione per riflettere su problemi che godono di vita propria, conscio del fatto che la filosofia sia un “ pensare attraverso “.

Concludo qui, concludo iniziando.

 

 

 

 

Dobbiamo accettare il tramonto dell’ Occidente come se si trattasse di una fatalità, di un destino che ci sovrasta? (E. Husserl, L’ idea d’Europa)

 

 

 

La fenomenologia husserliana intesa come “Wissenschaft der < <radices >>“[1] è una ricerca teoretico – metodologica volta a tematizzare ciò che anonimamente opera nella latenza di ogni scienza; in quest’accezione, essa incarna quel Fundamentalarbeit che non di rado cade nell’ oblio a causa di quella tendenza interna al pensiero scientifico moderno che potrebbe essere etichettata come sindrome di Galileo: lo scienziato non solo scopre ma insieme occulta, scopre nuove e potenti modalità attraverso le quali spiegare il funzionamento del mondo, occulta le implicazioni di senso che le sue operazioni dischiudono nell’ orizzonte gnoseologico.

In Galileo – secondo Husserl –, il metodo matematico è ipostatizzato, con la conseguenza che si scambia l’ abito ideal – simbolico del metodo con la realtà in sé[2], ritenendo che tutto sia non solo esprimibile in termini quantitativi ma che ciò che si sottrae alla misurazione numerica, non esista.

La confusione tra metodo e ontologia[3] del mondo necessita di una pratica di smascheramento che nel linguaggio husserliano è definita “ riduzione “: per riduzione Husserl intende il superamento di ogni tesi astratta e unilaterale che nasconde le relazioni essenziali e costitutive tra le cose e il soggetto.

La presenza di molteplici “ riduzioni “ nel metodo fenomenologico, ben si evince nella Krisis, dove Husserl – alla ricerca di una nuova scientificità –, prima mostra come il mondo obiettivo e vero creato dall’ applicazione della matematica alla scienza della natura sia solo una sustruzione logicoteoretica, per poi, una volta giunto sul piano del mondo – della – vita, inteso come regno delle evidenze originarie, distinguere due possibili atteggiamenti: il primo, consistente nel vivere dentro (Hineinleben) l’ orizzonte del mondo, il secondo invece, come realizzazione di una vita desta nell’ aver coscienza del mondo (Dahinleben), che “ dirompe la normalità di questo vivere verso “[4] e si costituisce in un rapportarsi riflessivo al come del modo soggettivo di datità del mondo – della – vita.

Questa distinzione, tra un’ epoché diretta alla sustruzione logico – simbolica spacciata per la vera realtà (o realtà in sé) e un’ epoché applicata all’ atteggiamento naturale sul piano del mondo – della – vita, ci consente di comprendere la centralità teorica che riveste la filosofia di Cartesio nella riflessione husserliana e, inoltre, ci illumina nel medesimo tempo sul problema della filosofia come scienza rigorosa e sulla relazione che questa detiene con le altre scienze.

Come ben si evince da più punti della vasta produzione dell’ autore delle Idee, Cartesio rappresenta un punto di riferimento ineludibile per la ricerca fenomenologia, tanto che lo stesso Husserl nei Discorsi parigini del 1929 definirà la fenomenologia “ nuovo cartesianesimo “[5]: in Descartes, per la prima volta nella storia della teoresi occidentale, si scopre l’ ego come punto archimedeo di ogni autentica filosofia, con la conseguenza che nelle Meditationes comparirebbe una dimensione d’intenzionalità seppur non ancora del tutto esplicitata.

La profonda e decisiva differenza che intercorre tra Cartesio e Kant è che quest’ultimo, a differenza del padre dell’ età moderna, ha fondato la sua teoria della conoscenza sull’ indubitabilità dell’ operazioni della scienza naturale, senza interrogarsi sulla validità e la legittimità della scienza stessa.

Kant, nonostante sia il primo dopo Descartes ad aver elaborato una filosofia scientifica sistematica, è colpevole di non avere mai “ penetrato le inaudite profondità della considerazione fondamentale cartesiana “[6].

Gli impervi sentieri speculativi che percorre Cartesio, passanti attraverso le stazioni del dubbio metodico e del dubbio iperbolico, testimoniano l’ estremo radicalismo dell’autoresponsabilità filosofica, la cruciale strategia di partire senza terreno e senza alcun presupposto, nel tentativo di giungere ad un punto primo, roccaforte teorica dalla quale difendersi dagli attacchi di uno scetticismo che mai desiste nella sua millenaria guerra contro le manifestazioni della vera filosofia.

La fondazione della filosofia come scienza rigorosa diviene possibile solo nel momento in cui si supera ogni prospettiva ingenua, naturale o scientifica, giungendo ad un piano della ricerca nel quale vige la profonda consapevolezza che la soggettività che produce la scienza non potrà mai venire conosciuta dalla scienza obiettiva.

Già nei Prolegomeni Husserl scriveva che al filosofo non interessa la mera operatività funzionale di una determinata teoria scientifica e i risultati a cui essa può approdare sul piano tecnico – pratico, egli, ha a cuore la chiarezza gnoseologica dei costituenti essenziali della teoria in generale, delle forme connettive attraverso le quali i concetti atomici si coordinano in un’ unità sistematica: non è difficile accorgersi di come la logica pura a cui Husserl aspirava all’ interno delle Ricerche logiche[7], fondata su un processo di chiarificazione (Aufklärung) e riconduzione fenomenologia, non fosse altro che una prefigurazione di quella filosofia come scienza rigorosa di cui parlerà nelle opere successive. 

In quest’ ottica, non si tratta di negare il valore tecnico – pragmatico della scienza e dei suoi risultati attraverso un positivismo anacronistico di matrice spiritualista, teso a rigettare dogmaticamente tutto ciò che proviene dalla matematica, dalla fisica e dalla biologia: il rigore e l’ evidenza di queste discipline, “ resta fuori discussione “[8].

Una delle peculiarità costitutive della fenomenologia husserliana è il suo porsi al di là della dialettica tra le scienze della natura e le scienze dello spirito, riconoscendo in entrambe una comune radice di positivismo latente, alla luce di un filosofare che più dei termini della relazione, tiene in gran conto la relazione stessa.

In questo senso, è utile ricordare brevemente le considerazioni critiche che Husserl compie nei confronti di Dilthey.

La riflessione di Dilthey fondata sull’idea di superare il naturalismo che soggiace alla Kritik der reinen Vernuft, attraverso la cruciale distinzione tra la psicologia esplicativa (erklärende Psichologie) e la psicologia descrittiva (beschreibende Psichologie), lo portava a privilegiare il nesso vivente (Lebenszussamenhang) sul nesso causale (Kausalzussamenhang).

Agli occhi di Husserl, tanto le scienze dello spirito quanto quelle della natura, hanno bisogno sia della spiegazione che della comprensione, con la conseguenza che le prime rischiavano di subire – nell’ ottica diltheyana – una perdita d’oggettività, naufragando in una forma di positivismo spiritualista.

Ciò che alle scienze rimane precluso è “ la visione dell’ intero “[9], queste – come dirà in L’idea d’ Europa – crescono nel loro isolamento, nella loro nociva astrazione; civettando con M. Horkheimer “ la filosofia è separata da un abisso dalle restanti discipline “[10].

Dinanzi all’ uomo di scienza che “ si è tramutato in un lavoratore dedito unicamente a un grande ingranaggio “[11], spetta al filosofo o fenomenologo denunciarne i limiti[12], mostrando – come direbbe Schopenhauer – che le scienze “coltivate puramente per se stesse”[13] sono “come un volto senza occhi“[14] a cui sfuggono le storture dell’ esistente, in un operare che non contestualizzato nella totalità, diviene mortifero per il mondo – della – vita (Lebenswelt).

Il Fundamentalarbeit è al medesimo tempo un lavoro di par destruens e par costruens: par destruens, in quanto tende a illuminare criticamente tutte le forme di riduzionismo che agiscono tacitamente nell’edificio della conoscenza; par costruens, poiché l’ esplicitazione dell’ anonimo fungente è un compito etico – teorico di fondamentale importanza.

Per quanto riguarda la dimensione critica della fenomenologia husserliana, è interessante soffermarsi sulla strategia argomentativa adottata nei Prolegomeni ad una logica pura.

Nell’ esporre le varie tesi dei logici psicologisti, Husserl non si limita a metterne in discussione i presupposti teorici, mostrando come in tali autori via sia una deleteria confusione tra i campi[15], egli pone in rilievo l’ importanza di una critica non unilaterale[16], capace di non cancellare la dimensione soggettiva sotto la problematica accusa di psicologismo.

La fenomenologia come via media[17] tra psicologismo e logicismo è un tentativo metodologico[18] di combattere quelle che Horkheimer nell’ Eclisse della ragione definirebbe come contrastanti panacee: o relativizzare il soggetto in nome di un esasperato psicologismo o eliminare il soggetto in virtù di una mendace equazione nella quale il soggetto in senso lato coincide soggetto empirico – naturale.

Già nelle Ricerche logiche, ci si accorge della straordinaria esigenza husserliana di custodire una dimensione privilegiata in cui poter lavorare criticamente sulla relazione e sui termini di questa, forma e materia della conoscenza.

In tal modo è facile comprendere come all’ interno dell’ambigua categoria “ psicologismo “ gravitino correnti e autori tra loro eterogenei, dinanzi ai quali Husserl si confronta in maniera differente: se infatti, Stuart Mill, Bain, Wundt, Sigwart, Erdmann e Lipps possono essere collocati in una cornice teorica comune di psicologismo naturalistico, ciò non può avvenire con Brentano, la cui psicognosia o fenomenografia, rappresenta un costante e proficuo punto di riferimento critico per l’ evoluzione della fenomenologia.

Il problema dello psicologismo non riguarda una mera querelle storiografica o il particolare interesse di Husserl nel prendere le distanze da tesi che intaccavano i cardini della sua ricerca teoretica, si tratta invece vedere nello psicologismo una della forme più nefaste di scetticismo, contro le quali l’ autentica filosofia ha da sempre combattuto.

L’impostazione adottata nella Philosophie der Arithmetik (1891) si è rivelata inefficace nel momento in cui si passava dal piano dei nessi psicologici del pensiero all’unità logica del contenuto del pensiero: le nuove esigenze teoretiche riguardanti il problema della teoria e della conoscenza in generale unite al fallimentare tentativo di costruire una fondazione psicologia (brentaniana) dell’ aritmetica, hanno portato Husserl a studiare analiticamente il rapporto tra la soggettività del conoscere e l’ oggettività del contenuto della conoscenza.

Tale opera, bollata da Frege con l’ infamante marchio di opera psicologista[19], se letta con attenzione, ci rivela un Husserl intento a portare all’ estreme conseguenza la descrittiva psicologica brentaniana, con l’ insorgenza di problematiche apparentemente disorientanti, quali quelle delle molteplicità momentanee, dinanzi alle quali introdurrà la nozione di momento figurativo o quasi – qualitativo.

Il regressivo e continuativo ritorno alle radici tipico della fenomenologia husserliana, è mosso da un spirito antiriduzionista teso a problematicizzare in maniera feconda lo statuto delle discipline scientifiche e della conoscenza in senso lato: l’ analisi che l’ Autore compie nella Krisis riguardo al paradigma Galileo, ne è un brillante esempio.

In virtù dell’ essenza eminentemente metodologica della fenomenologia di Husserl, questa lungi dal rappresentare una metafisica tra le metafisiche comparse e avvicendatesi nel corso dei secoli, vuole essere una vera e propria philosophia prima, come si evince del resto dalle battute iniziali di Erste Philosophie.

La tematizzazione di quell’ anonimia clandestina che opera nel silenzio dell’ oblio in cui è finita, non è un processo astrattamente teorico mosso da un’ istanza di sola critica delle idee, una sorta di dialettica tra una scienza epimeteica e una filosofia prometeica decontestualizzata dalla temporalità della storia: lo spettatore disinteressato (unbeteiligter Zuschauer), proprio essendo disinteressato allo sterile pragmatismo che inficia ogni visione naturalistica e positivistica della scienza, diviene “ funzionario dell’ umanità “[20], all’ insegna di una filosofia necessaria proprio in quanto inutile.

La genesi e il graduale sviluppo della fenomenologia avviene attraverso un intenso dialogo con alcuni esponenti di spicco della tradizione filosofica occidentale: dai Prolegomeni alla Krisis, Husserl non smetterà mai di confrontarsi con le soluzioni offerte dai suoi predecessori nel dominio della teoretica.

In questo suo continuo procedere, egli è guidato dall’ idea che al di sotto della molteplicità delle filosofie succedutesi nella ricca tradizionale occidentale, vi sia una philosophia perennis, un ventaglio di questioni fondamentali dinanzi alle quali i filosofi passati hanno offerto risposte differenti, in modo più o meno consapevole.

All’ interno di questa philosophia perennis vige una ragnatela di relazioni teleologiche che tende a rendere gli autori del passato preconizzatori o antesignani della fenomenologia, intesa come tematizzazione e continua – realizzazione di quell’ ideale teoretico (in senso concreto) nato in Grecia e dispersosi, eccezion fatta per alcuni filosofi, nell’ epoca moderna.

Il metodo di lettura che Husserl adottata dinanzi alla ricca e complessa tradizione filosofica europea, si basa su un’ ermeneutica che proprio in virtù dell’ impulso teleologico che la muove, è – con le dovute differenze del caso – di stampo schleiermacheriano: una volta dischiuso l’ orizzonte della philosophia perennis, è possibile “ comprendere i pensatori passati, così come essi stessi non sarebbero mai riusciti a capirsi “[21]; tale ermeneutica è – parafrasando lo stesso Autore – una storiografia interna (innere Historie) tesa a svelare la teologia universale della ragione attraverso il fondamento dell’ a – priori storico.

La philosophia perennis costituisce una temporalità interna al tempo estrinseco della storia delle idee, una temporalità in cui è possibile applicare una “ considerazione teleologica “[22], che è in sé un’autoconsiderazione di ciò che noi siamo in quanto esseri – storici: dischiudere un orizzonte teleologico significa così costituire un’ “ unità complessiva  attualizzata su cui esercitare una critica responsabile “[23].

Ogni autentica comprensione del passato filosofico, non mossa quindi come la storia antiquaria in Nietzsche da una cieca furia collezionistica, è un atto di responsabilità critica nei confronti di noi stessi e del contesto storico in cui operiamo.

In quest’ ottica, bisogna “ localizzare ciò che realmente si nasconde “[24] nel pensiero degli autori, conducendo ricognizioni speculative su problemi che non sempre affiorano in maniera intelligibile, ma le cui soluzioni hanno implicitamente condizionato il corso del filo d’ Arianna all’ interno del labirinto delle idee.

A tal proposito, per rendersi concretamente conto del modo di procedere husserliano, è sufficiente far riferimento alla succinta analisi che l’ Autore compie su Platone in Fenomenologia e teoria della conoscenza: qui, dopo aver riconosciuto l’ innegabile valore filosofico del pensiero platonico, scrive che il venerabile maestro d’ Aristotele – a differenza degli Stoici –, non pose la legittima distinzione tra la logica noetica (noetische Logik) e la logica noematica (noematische Logik).

Il linguaggio e le categorie teoriche che egli utilizza in questo caso, sono di chiara derivazione fenomenologica, precisamente fanno riferimento agli orizzonti speculativi dischiusi dalle Idee, ma questo non le rende inadatte ad essere applicate nel novero delle analisi della storiografia interna.

L’ esigenza husserliana di non accettare “ nulla come già dato “[25] non lo porta al di là della storia, in un fantomatico regno delle ombre, ma oltre lo storicismo, quello storicismo in cui l’ Autore scorge una delle possibili declinazioni del relativismo.

La storia autentica, o per meglio dire, l’ autentica storia delle idee, in quanto in Husserl non si può propriamente parlare di filosofia della storia in senso classico, ma di filosofia della storia della filosofia e della scienza, custodisce la linfa di una vita spirituale che può essere risvegliata alla luce della teleologia: “ Infatti da queste filosofie del passato scaturisce, se sappiamo sprofondare il nostro sguardo in esse, penetrando l’ anima delle loro parole e delle loro teorie, una vita filosofica con tutta la ricchezza e la forza delle loro motivazioni viventi “[26].

Le riflessioni husserliane riguardanti la storia, per il loro taglio squisitamente teorico avulso dalla considerazione dei fatti strutturali che innervano il cursus temporis, trattato in maniera sistematica dalla storiografia (Historie), rischiano di sottrarsi al paradigma interpretativo di Löwith utilizzato in The meaning of history e, in generale, paiono essere divergenti rispetto alle tradizionali filosofie della storia avvicendatesi, sotto diverse spoglie, nell’ arco dei secoli.

Come avevamo avuto modo di dire poc’anzi, l’ esigenza di partire senza alcun fondamento non portava Husserl al di là della storia, in un mondo di cose morte (eine Welt toter Sachen) , ma nello stesso tempo, l’orizzonte storico presieduto dall’ analisi fenomenologica è, volendo esprimerci in termini marxiani, un orizzonte di fenomeni sovrastrutturali.

Nel nostro caso, il ricorso ad un’espressione tipicamente marxiana, quale quella di sovrastruttura, non è una mera esposizione dei mirabili intrecci e delle sorprendenti analogie che possono venire illuminate dal lanternino del cogitare dello studioso, bensì è funzionale all’ inquadramento teorico del problema della storia in Husserl.

Come ben si evince da una prima lettura dell’ opera di Marx, nonostante sia fuorviante interpretare la relazione tra struttura e sovrastruttura in termini di causa ed effetto, c’è tuttavia una superiorità assiologica e fondazionale della prima sulla seconda, che si manifesta del resto, nella tesi marxiana di far poggiare la dialettica hegeliana non sulla testa ma sui piedi.

Da qui l’ idea che se i filosofi si sono solo limiti ad interpretare il mondo, offrendo punti d’osservazione della realtà differenti e non di rado contrastanti, sia ora venuto il momento di cambiare il mondo stesso in virtù della prassi.

Nell’ ottica husserliana ciò che in Marx verrebbe relegato al piano della sovrastruttura acquista un’istanza decisiva e determinante al medesimo tempo.

Il nucleo essenziale e originario della storia sul quale si concentra l’ analisi fenomenologica è il piano nobile delle idee, di quelle idee che, seppur in maniera anonima e apparentemente clandestina rispetto a considerazioni più materialmente concrete del cursus temporis, condizionano e determinano l’ evolversi della vita.

C’è un’economia della storia, l’ economia decisiva per la storia, che si decide sul piano del fundamentum, all’interno di un’ unità di vita che viene preservata solo da coloro che sanno cogliere la relazione decisiva tra noi e la tradizione, rendendo il tempo praesens, tempo di responsabilità.

Solo in questo modo è possibile comprendere il costituirsi di un orizzonte storico, al di là della filosofia della storia stricto sensu e delle varie versioni dello storicismo ottocentesco.

All’ interno della Krisis, a convalida delle tesi qui esposte, si legge che le vere guerre interne all’umanità europea, sono le guerre combattute dallo scetticismo contro l’autentica filosofia.

Nel momento in cui la teoresi ha in sé un ethos superiore, la fondazione apodittica della filosofia concepita come “ autoconsiderazione e responsabilità ultima dell’ uomo autonomo “[27] è la stella polare che guida la vita di vocazione[28] (Berufsleben) del filosofo.

Se in Husserl manca quella che è l’ istanza decisiva della filosofia di Marx, ovvero la comprensione filosofica intesa non come mero rispecchiamento del mondo nel pensiero, ma come filosoficizzazione del mondo stesso nella prassi - alla luce della presa di coscienza dell’ inadaequatio rei et intellectus – nella riflessione husserliana non vi è, tuttavia, alcuna scissione tra l’autentica teoresi e l’ etica, con la conseguenza che “ alle assurdità teoretiche seguono inevitabilmente assurdità (evidenti incoerenze) nell’ attuale condotta teoretica, assiologia ed etica “[29].

Le lezioni su Fichte del 1917, lezioni che nonostante siano imbevute di un linguaggio retorico e nazionalistico, e s’inseriscano in una linea interpretativa che fu molto feconda nella Germania del XIX secolo, basti pensare a Treitschke che vide nei Discorsi alla nazione tedesca il culmine della riflessione fichteana, ci offrono un particolare punto d’osservazione sullo sviluppo della riflessione dell’ Autore.

Qui, dopo aver sottolineato l’ arbitrio della logica di Fichte e la sua incoerenza sul piano concettuale, scrive che tutte le intuizioni etico – religiose hanno nell’ autore della Dottrina della scienza, un  vero e proprio “ ancoraggio teoretico “[30], con la fondamentale conseguenza che la teoresi in senso lato, lungi dall’ essere scissa dalla vita individuale e collettiva, rappresenta – come dirà in L’idea d’Europa – una forma rinnovamento: “ La particolarità delle questioni teoretiche pure nell’ ambito della filosofia è che l’orientamento delle loro risposte può diventare, e deve diventare, determinante per la vita e decisivo nel porre il fine ultimo della vita individuale “[31].

Dopo aver realizzato lo status quaestionis, soffermandoci sulla relazione tra la filosofia e la scienza e sul problema della storicità vitale, abbiamo le premesse fondamentali per proseguire in maniera coerente all’ interno del pensiero husserliano.

La filosofia dunque, lungi dall’ esser un normale lavoro che si compie nella solitudine della propria stanza, è un’ impresa collettiva e progressiva, a cui il vero filosofo non può sottrarsi.

In Husserl, la cartesiana solitudine del filosofo, non rappresenta la fuga della teoria dinanzi al mondo quotidiano, da quel mondo in cui vi saranno sempre pozzi per i Talete di ogni secolo; in perfetta sintonia con il lato distruttivo dell’ epoché, la solitudine è isolamento rispetto alle relazioni estrinseche e inveramento nella storicità vitale.

In quest’ottica, per coloro che hanno compreso l’ importanza decisiva della fondazione rigorosa della filosofia, non è più possibile “ tornare tranquillamente al lavoro che abbiamo interrotto “[32], poiché, la radikale Besinnung (coscienza radicale) impone un rinnovamento autentico dell’ uomo alla luce della vocazione (Beruf).

La fenomenologia come emblema dell’ autentico filosofare, è un organo e al contempo una fase del cammino che porta l’ umanità alla sua piena autorealizzazione.

È quindi possibile comprendere come una riflessione teoretica quale la fenomenologia, così apparentemente disinteressata al proprio tempo, finisca per coltivare domande che sembravano gravitare su altre orbite speculative.

A partire dall’ idea della filosofia come scienza rigorosa, è lecito e necessario domandarsi in che misura lo Stato debba controllare la vita e la cultura e se, lo sviluppo etico stesso, non imponga un graduale smantellamento del potere statale.

Inoltre, in relazione al problema dei limiti dello Stato, Husserl si domanda da un lato, in che termini ciò che storico debba essere rispettato in quanto tale a discapito della razionalità e dall’ altro, se la comunità etica debba compiersi chiudendosi verso l’ esterno, o se sia necessario che finisca con l’ abbracciare il mondo intero.

Se tali domande compariranno in L’ idea d’ Europa e non nella Krisis, ciononostante tra le due opere intercorre un fortissimo legame speculativo riguardo all’ origine della cultura europea da rinvenire nella Grecia filosofica.

Secondo Husserl, la Grecia rappresenta la vera origine cultura dell’ Europa – occidentale, con la decisiva conseguenza che, qualunque atto di rinnovamento, deve tener in gran conto l’ orizzonte ellenico.

La fenomenologia, diviene così un tentativo di trasformazione e di rifondazione dell’ originaria fondazione greca, di quell’ originario principiarsi della teoresi occidentale che è caduto nell’ oblio in seguito alle profonde scissioni che attraversano l’epoca moderna[33].

Lo schizzo che Husserl realizza riguardo al processo di sviluppo e involuzione della storia delle idee, si suddivide idealmente in tre fasi fondamentali: la prima, costituita dalla filosofia greca, sorta alla luce della vera cultura; la seconda, resasi manifesta nel Medioevo, inteso come orizzonte storico segnato dalla teologizzazione dello scibile umano; infine, l ‘ultima fase, quella del Moderno, in cui da un lato si assiste ad una de – teologizzazione delle scienze ed a una riforma sul piano religioso, ma dall’ altro, si comincia ad obliare il senso autentico della filosofia, sotto la tirannide delle matematiche[34] e della specializzazione isolante[35] delle scienze.

Dinanzi alla separazione delle discipline scientifiche che caratterizza in maniera così peculiare l’ epoca moderna, la filosofia radicale deve promuovere una contro – tendenza: mostrare le relazioni essenziali che intercorrono tra le singole discipline e ricomporre l’ unità perduta attraverso un processo di fondazione e rifondazione.

Il grande sviluppo scientifico – seicentesco, mosso da una profonda istanza di libertà, il cui paradigma è Galileo, è abitato da una lotta tra l’ imperante obiettivismo fisicalistico e il soggettivismo trascendentale, che avrà ripercussioni sui secoli successivi.

Il valore della tripartizione husserliana non consiste di certo nell’ originalità delle sue scelte interpretative, bensì nel fatto che la triade “ Grecia – Medioevo – Modernità “ costituisce una sorta di schema trascendentale, nell’ accezione kantiana del termine: una mediazione tra la categorie della teoresi e la dimensione fenomenica della storia[36].

Sorge quindi una dialettica che, lungi dall’ essere destinata ad una sintesi conciliatoria, va mantenuta nella sua fondamentale vitalità: se infatti, la storia con il suo ricco repertorio di eventi sembra allontanare da sé ogni gabbia esplicativa totalizzante, la filosofia invece, pare volare sulla realtà concreta come la nottola di Minerva sul far del crepuscolo.

La storicità vitale, custodita e tematizzata dalla storiografia interna (innere Historie), trova qui, nella tripartizione “ Grecia – Medioevo – Moderno “, una sua lucida esemplificazione.

Solo partendo da quest’ ottica, è possibile mettere tra parentesi tutto quel novero di puerili accuse tese denunciare la falsa storicità del pensiero husserliano e dell’ orizzonte temporale che esso dischiude.

Noi, in quanto eredi della venerabile tradizione greca, dobbiamo in una radicale presa di coscienza, riappropriarci del telos che abbiamo obliato, in un atto di responsabilità critica che si pone sul piano del rinnovamento della totalità della nostra vita.

Ciò non si traduce in un ritorno nostalgico alla natia patria della nostra cultura europea, in un canto dolente delle ultime muse o in una celebrazione entusiastica dei fiori che un tempo abitavano l’ humus del passato, ma che ora compaiono sotto la lente d’ ingrandimento dello scienziato moderno: in Husserl, atteggiamenti di questo tipo sono del tutto assenti.

Quasi[37] in senso hegeliano, l’ andare avanti dell’ autentica teoresi, è un ritornare indietro fondante e rifondante al medesimo tempo, in un cammino progressivo e continuativo verso un’ umanità capace di autoregolamentarsi nel senso autentico del termine.

In quest’ ottica la fenomenologia husserliana, lungi dall’ esser una riflessione acquiescente nei confronti della realtà, “ l’ ultima teoria borghese della conoscenza “[38] come direbbe ironicamente M. Horkheimer, è una vero e proprio metodo di tematizzazione di quelle anonime clandestine che operano celatamente nella conoscenza e nel / sul mondo – della – vita (Lebenswelt).

L’ eroismo della ragione consiste nel vivere all’ interno della radikale Besinnung (coscienza radicale), in un’ epoca in cui ogni cosa diviene “ oggetto di esaltazione nazionale, merce di mercato e di potere nazionale, strumento di potere “[39], un’epoca segnata dalle mille declinazioni del relativismo imperante, dinanzi alle quali, ancora una volta, bisogna impugnare le armi e continuare a combattere quelle guerre d’idee che hanno segnato così profondamente la storia d’ Europa e dell’ Occidente.

 



[1] E. Husserl, Fenomenologia e teoria della conoscenza, Bompiani, Milano, 2004, p. 268.

[2] Al tal proposito è interessante soffermarsi sull’Introduzione a Esperienza e giudizio, in cui l’ autore ribadisce in piena sintonia con quanto dirà nella Krisis, che il metodo è un rivestimento di idee sopra il mondo delle intuizioni originarie, una sustruzione che ipostatizzata diviene mendace.

[3] Le questioni riguardanti il rapporto tra metodo ed ontologia hanno una rilevanza notevole, sia nel contesto del pensiero husserliano, che nella filosofia contemporanea in senso lato. In base al tipo di relazione che intercorre tra i due termini, si può propendere per una visione riduzionista forte (nel caso della perfetta identità), riduzionista debole (se la relazione è antisimmetrica). In Husserl, da un lato si tratta di mostrare la differenza tra metodo ed ontologia, dall’ altro, rivendicare lo statuto dell’ antepredicativo, del mondo – della – vita che, come si dice in Krisis, non è altro che “ il mondo della mera doxa , tradizionalmente trattata con tanto disprezzo “. (p. 490).

[4] E. Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Net, Milano, 2002, p. 172.

[5] E. Husserl, Meditazioni cartesiane, Bompiani, Milano,  2002, p. 3.

[6] E. Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Net, Milano, 2002, p. 126.

[7] Sulla genesi della fenomenologia è interessante ricordarsi come le problematiche trattate nelle Logische Untersuchungen – come lo stesso Husserl afferma all’ interno della prefazione alla prima edizione dell’ opera (1900) –, siano sorte nel tentativo di operare una chiarificazione filosofica della matematica pura, chiarificazione che nel procedere delle analisi, ha dischiuso il più vasto orizzonte della teoria in generale e del rapporto che intercorre tra la forma e la materia della conoscenza.

[8] E. Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Net, Milano, 2002, p. 34.

[9] E. Husserl, L’idea d’Europa, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1999, p. 127.

[10] M. Horkheimer, La società di transizione, Einaudi Paperbacks, Torino, 1979, p. 106.

[11] E. Husserl, L’idea d’Europa, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1999, p. 127.

[12] Il limite fondamentale dello scienziato ingenuo, consiste per Husserl, nella ricomprensione simbolico – esteriore dei passi originari della scienza, contrapposta all’ effettiva comprensione dello scienziato autentico (filosofo), intesa come spontaneo e graduale ripercorrimento delle tappe decisive dello sviluppo delle discipline scientifiche.

[13] A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, Supplementi al primo libro, Bur, Milano, 2002, p. 185.

[14] Ibidem.

[15] La psicologia che vuole avere un ruolo fondazionale per la logica è fondata su leggi che lungi dall’ essere esatte e autentiche sono vaghe generalizzazioni dell’ esperienza: essa è quindi una scienza basata sull’esperienza, i cui enuncianti non sono altro che regolarità approssimative della coesistenza o successione dei fenomeni psichici. Le leggi psicologiche, in quanto leggi naturali, non hanno un’ evidenza apodittica ed, essendo fondate attraverso un processo induttivo, si stagliano in un orizzonte di mera probabilità. Lo psicologismo in questo senso racchiude in sé tutti quegli errori che possono scaturire dalla confusione tra i campi: non distingue la legge come membro della causazione dalla legge come regola della causazione, confonde le leggi naturali con le leggi logiche, i giudizi stessi con le leggi come contenuti giudicativi.

I logici psicologisti non distinguono il piano reale da quello ideale, la regolamentazione causale da quella normativa, la necessità reale dalla necessità logica, il fondamento reale dal fondamento logico.

Tutte queste coppie di concetti antitetici vanno riportate in seno all’ epistemologia in senso lato, facendo scaturire una fondamentale distinzione tra le scienze ideali e le scienze reali: le prime, totalmente a – priori, sono costituite da leggi generali ed ideali fondate con evidenza in concetti generali, le seconde invece, sono empiriche e, in quanto dotate di proposizioni fattuali, formulano leggi che hanno un’ universalità reale.

[16] C’è una chiara analogia tra la strategia argomentativa che Husserl applica nella dialettica tra le scienze della natura e dello spirito e quella relativa al dualismo “ psicologismo – antipsicologismo “: in entrambi in casi, si manifesta il tentativo di superare (aufheben) posizioni rigide e unilaterali, che difficilmente potrebbero illuminare la relazione in se stessa. L’ utilizzo del verbo “ superare “ (aufheben) dischiude implicitamente un orizzonte semantico di matrice hegeliana. Qui, non c’è nessun richiamo teorico alla dialettica di Hegel. La fenomenologia come “ superamento “ (Aufhebung) della sterile opposizione tra tesi unilaterali, non va intesa in senso dialettico.

[17] “ Nella controversia sulla fondazione psicologica oppure oggettiva della logica, io assumo una posizione intermedia “.E. Husserl, Ricerche logiche, V. 1, Net, Milano, 2005, p. 174. Gli stessi antipsicologisti cadono in errore nella misura in cui radicalizzano la funzione regolativa della conoscenza, in quanto sussiste una profonda differenza tra lo statuto autonomo delle proposizioni della logica e la loro applicazione pratica: in principi logici fondamentali – sentenzia Husserl –, benché possano fungere da norme, non sono essi stessi norme.

[18] La fenomenologia intesa come philosophia prima è in senso autentico un metodo. Due dei cardini teorici della metodologia husserliana possono essere ravvisati: a) nel tentativo di superare le rigide opposizioni tra tesi unilaterali (a tal proposito vedi nota 14); b) nello squarciare i veli naturalistici e positivamente scientifici dalle nozioni fondamentali della gnoseologia. Riguardo al punto b, si potrebbe prendere come esempio, la considerazione che fa l’ Autore sul concetto di esperienza in Fenomenologia e teoria della conoscenza (p. 159), in cui dice che bisogna liberarsi dall’ errore di confondere l’ esperienza (Erfarhung) con l’ esperienza naturale (naturale Erfarhung).

[19] Come abbiamo detto in precedenza, l’ abbandono dello psicologismo (almeno nella sua versione naturalistica), non porta all’ oblio della soggettività. A riguardo, è bene ricordare quanto dice Husserl nella Krisis, sulla psicologia e sul rapporto che questa ha avuto con la filosofia trascendentale. Se infatti la psicologia è rimasta impigliata in pregiudizi naturalistici, ciononostante se correttamente intesa (attraverso l’ impiego di una riduzione psicologico – fenomenologica) , può divenire uno stadio preliminare della fenomenologia.

[20] E. Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Net, Milano, 2002, p. 99.

[21] Ibidem, p. 101.

[22] Ibidem, p. 101.

[23] Ibidem, p. 101.

[24] Ibidem, p. 103.

[25] E. Husserl, La filosofia come scienza rigorosa, Editori Laterza, Bari, 2005, p. 104.

[26] Ibidem, p. 105.

[27] E. Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Net, Milano, 2002, p. 448.

[28] È importante spendere qualche parole riguardo a tali questioni. La vita di vocazione del filosofo (Berufsleben) o, in generale, dell’ artista o dello scienziato, è una vita il cui valore non è assoluto ma relativo, in quanto solo la vita etica vale in senso assoluto. Husserl dice espressamente che bisogna decidersi circa il rapporto tra la vita di vocazione e la vita etica autentica, con la conseguenza che la prima non è in grado di regolare, determinandola, ogni azione dell’ uomo. La forma di vita della vera humanitas fondata su un continuo rinnovamento, coglie l’ uomo nella sua totalità, rendendolo in grado di giustificare dinanzi a sé, ogni sua azione. Queste riflessione gettano un’ intesa luce sull’ ethos della fenomenologia husserliana, mostrandoci come non solo ogni questione teoretica autentica abbia in sé una forza direttiva per la vita, ma come tra teoresi e vita non intercorra una sterile identità, ma un isomorfismo della responsabilità. Inoltre, come ben si evincerà dalle analisi successive, ogni radicale rinnovamento dell’ umanità verso un’ umanità criticamente libera, presuppone una filosofia radicale, capace di superare i limiti delle scienze ingenuamente intese.

[29] E. Husserl, La filosofia come scienza rigorosa, Editori Laterza, Bari, 2005, p. 15.

[30] E. Husserl, Fichte e l’ ideale d’ umanità, Edizioni ETS, Pisa, 2006, p. 51.

[31] Ibidem, p. 54.

[32] E. Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Net, Milano, 2002, p.  44.

[33] L’ istanza fondamentale della Modernità – secondo Husserl –, consiste nel movimento di liberazione che contrassegna in modo decisivo quest’ epoca; tale movimento, si rende manifesto sia sul piano religioso, attraverso la Riforma protestante intesa come rivendicazione del modello originario del cristianesimo, sia mediante la restaurazione del senso antico e antidogmatico dello spirito teoretico. In questo modo, l’ Autore assume nei confronti del Medioevo un atteggiamento squisitamente anti – romantico, non lontano da quello adottato da Hegel nella Fenomenologia dello spirito (1807) e nelle Lezioni berlinesi: l’ epoca medievale è segnata da una profonda teologizzazione del conoscere e della vita umana, dinanzi alla quale sorgerà il Moderno, come custode delle istanze di libertà e di liberazione ( da ). Il Medioevo, appare agli occhi di Husserl, come un orizzonte storico – culturale nato dalla fusione e dall’ incontro della tradizione speculativa greca con la religione cristiana. L’ analogia Husserl – Hegel è funzionale all’ inquadramento teorico della lettura husserliana della storia delle idee, ciò naturalmente non ci deve portare ad identificare la visione hegeliana con quella dell’autore delle Ideen. In quest’ ultimo, è assente l’ idea che la storia sia la manifestazione temporale di una Ragione (Vernuft) assoluta, immanente che cerca di comprendere se – stessa, dinanzi alla quale gli individui sono semplici occasioni per riempire la biografia dell’ Assoluto. La teleologia in Husserl, non assume come in Hegel, un valore teologico secolarizzato, bensì dischiude problemi circa il senso dell’ autentica teoresi: saper cogliere il filo d’ Arianna all’ interno del labirinto della storia (nel senso husserliano), significa comprendere la nostra responsabilità vitale rispetto alla epoca in cui viviamo e, in generale, dinanzi a quell’ Occidente – europeo di matrice greca da cui proveniamo.

[34] Sul problema della matematica e del ruolo che questa assume nella rivoluzione scientifica seicentesca, si possono consultare le bellissime pagine spese da Husserl nella Krisis. Qui, come altrove, non si argomenta contro il valore delle matematica e delle sue potenzialità tecnico – conoscitive, bensì si sottolinea la non – assolutezza del metodo matematico, all’ insegna delle cruciali questioni circa il rapporto tra ontologia del mondo – della vita e le sustruzioni logico – simboliche delle discipline formali. Ad un ordine di problemi diversi ma interdipendenti, appartiene il rapporto tra scienze e fenomenologia. Sul senso della rifondazione delle scienze a partire dalla fenomenologia, si vedano le Ideen.

[35] La specializzazione delle scienze e la loro positivizzazione formale, l’ esigenza di non risolvere la filosofia nei moduli strumentali e tecnologici del sapere scientifico, sono tematiche care ai pensatori della scuola di Francoforte e a chi, come Horkheimer, auspicava di trovare in una rinnovata fusione tra la ragione soggettiva e la ragione oggettiva, un’arma contro i signori del declino e contro la barbarie del 900’.

[36] Qui, il ricorso ad un’ espressione tipicamente kantiana, vuol essere un’esemplificazione didattica finalizzata ad illuminare criticamente la tripartizione adottata dall’ Autore.

[37] In questo caso, scrivo volutamente “ quasi “: infatti, se Hegel si fermerebbe al mero ritornare indietro fondante, indice di una teleologia rigidamente chiusa, nel caso di Husserl, c’è fondazione e rifondazione, poiché la teleologia non è di tipo dialettico.

[38] M. Horkheimer, Filosofia e teoria critica, Einaudi, Torino, 2003, p. 85.

[39] E. Husserl, L’idea d’Europa, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1999, p. 142.

INDIETRO