Il processo di immedesimazione in un testo

(di Alessandro Mercando)

 

 

Introduzione

C’è qualcosa di molto nobile in quell’atteggiamento scientifico-filosofico di chi non dà mai nulla per scontato, ma sottopone tutto a critica e tenta costantemente di risalire alle cause, ai fondamenti di ogni aspetto della conoscenza: riflettere sulla realtà che ci circonda è somma realizzazione della nostra natura di esseri razionali. Eppure questo raro tipo di “uomo analitico” viene spesso considerato noioso, fastidioso, dotato di scarso senso pratico con il suo costante meditare, chiudersi in se stesso, quindi è osteggiato e discriminato. Il padre spirituale dei “guastafeste”, in fondo, è Socrate, che tormentava i cittadini ateniesi invitandoli a non reputare mai nulla a priori acquisito e a non piegarsi passivamente al luogo comune.

Il luogo comune è esattamente l’opposto dell’atteggiamento critico: è il regno dell’approssimazione, della banalità, della meccanica accettazione di qualsiasi concezione, opinione o comportamento solo perché “si fa e si dice così ed è così da sempre”. Tutto è subordinato a un’etica dell’utilitarismo e del pragmatismo perversi, per cui è veramente buono solo ciò che può servire, ciò che è efficace nell’immediato: interrogarsi sulle proprie azioni non serve a nulla, anzi, sottrae tempo prezioso al vivere quotidiano. Il pensiero come riflessione razionale è disattivato, la fastidiosa voce della coscienza critica zittita: resta solo una funzione mentale meccanica che accetta e fa proprie le comuni credenze per poi immediatamente convertirle in atti concreti, poco più che bruto istinto animale.

Ciò detto, naturalmente è impensabile condurre un’intera vita di pura riflessione filosofico-scientifica: analizzare e scomporre ogni cosa in una specie di eterna, ossessiva ricerca dei fondamenti significherebbe l’impossibilità di qualsiasi azione immediata, persino la più semplice e banale. La momentanea “sospensione del giudizio” è inevitabile, come pure il compromesso momentaneo con la componente prettamente meccanica della vita (mangiare, dormire, svagarsi, ecc.), quindi anche con il luogo comune, purché non si assolutizzi questo atteggiamento a regola dell’esistenza ma si mantenga la piena consapevolezza di tutta la sua inadeguatezza.

Il luogo comune tende ad “impossessarsi” di determinati concetti e a sottrarli al procedere analitico in quanto ritenuti scontati, ovvi; ora, l’ovvietà è uno dei principali nemici dell’uomo dotato di lucido intelletto, perché prelude spesso a pressappochismo e qualunquismo mentali. L’ovvio è semplice nel senso di facile, comodo, ma non è Il semplice: l’assolutamente semplice è l’obiettivo ultimo e forse irraggiungibile dell’analisi, l’ovvio nemmeno la fa iniziare.

I concetti legati ai testi e al nostro rapporto con essi non fanno eccezione. Dall’infinità di tali concetti voglio qui prenderne in esame uno in particolare, che è interno al testo ma, al contempo, lo trascende e coinvolge il fruitore in un circolo virtuoso: mi riferisco all’immedesimazione.

 

Concezione comune

Il concetto di immedesimazione, a una prima, veloce, considerazione, sembra molto semplice e chiaro, anche in conseguenza della sua grande diffusione e dell’uso frequente che se ne fa nei discorsi: riassumendo il punto di vista comune, essa è pensata come una sorta di “coinvolgimento, di partecipazione emotiva per un personaggio o, più genericamente, per le vicende sviluppate in un testo”. A una più attenta riflessione, però, le cose si rivelano più complicate di quanto questa banale formulazione lasci intendere. L’immedesimazione è un processo così lineare? Riguarda tutti i testi o solo alcuni? Investe un solo livello, o più livelli di testo? Senza contare, poi, che quella definizione spiega e non spiega, esprime in termini semplici cosa quasi tutti intendiamo per immedesimazione ma non chiarisce effettivamente la natura profonda del processo, è, per così dire, rappresentazione superficiale, fenomenica del concetto, lascia da parte quello che veramente ci interessa, l’in sé del problema.

 

Una o tante immedesimazioni?

Vorrei proporre un’altra definizione, la più generica possibile, di immedesimazione: essa si può considerare “un processo di sospensione dell’esistenza presente e di ingresso in una dimensione parallela, altrettanto reale, descritta dal testo o,al contrario, in un ambito del tutto immaginario e fantastico creato ex novo dal testo stesso”. Ne risulta delineato un concetto estremamente vasto e dai confini non facilmente determinabili: è possibile immedesimarsi tanto in un libro giallo quanto in un romanzo d’avventura, nel thriller come nella commedia. Le potenziali interpretazioni rischiano di essere pressoché infinite, anche perché la prima parte della mia approssimativa definizione apre la strada a tutta una serie di “insospettabili” come i giornali, la cronachistica o la storiografia, generi non propriamente artistici o di svago che sembrano lontanissimi dalla comune idea di immedesimazione. Eppure, a rigore, anche leggendo un articolo di un quotidiano o consultando un’opera storiografica in qualche modo si “spezza il filo della quotidianità” e ci si ritrova immersi nell’ambito di riferimento prospettato dall’autore del testo: un giudizio di valore sull’opera, in questi casi, concerne proprio l’efficacia e la chiarezza con cui vengono riportati e spiegati un fatto di cronaca, un periodo storico, una problematica economica o politica, ecc.

Forse, però, tutto questo, pur rientrando di diritto nella categoria dell’immedesimazione in senso lato, non risponde esattamente alla concezione precisa e circostanziata che di essa si ha: si colloca più nella sfera “dell’interessarsi a” che in quella “dell’immedesimarsi in”.

L’immedesimazione in senso proprio è un’evasione dal peso spesso opprimente del reale, della disillusione a cui tutto sembra richiamarci, è un abbandonarsi al conforto e alla consolazione di una qualsiasi dimensione alternativa alla nostra, un coinvolgimento in tutto ciò che la anima (personaggi, luoghi, avventure, ecc.) ed è creato dall’immaginazione di qualcun altro.

 

Livelli del testo, livelli di immedesimazione

Come un testo è strutturato in più livelli, così vi sono vari di livelli di immedesimazione in esso, anzi, l’effetto complessivo di immedesimazione è una composizione di quei diversi gradi di suggestione provocati in noi dal testo stesso.

Un primo grado è già presente nel piano più esterno del testo, il piano dell’espressione: il ritmo, la scelta la concatenazione delle parole, lo stile, insomma, in un testo letterario; il montaggio, la durata, l’ordine delle inquadrature in un film, sono tutti aspetti determinanti per l’immedesimazione non meno dei contenuti che esprimono.

Spiegare come questo fenomeno avvenga, se è relativamente semplice per il visivo, in quanto si ha pur sempre a che fare con immagini concrete, non lo è affatto per i testi scritti. Indubbiamente, è davvero affascinante pensare che vi sia una dimensione puramente sonora anteriore a qualsiasi determinazione concettuale, una dimensione teorica di un significante ancora distinto dal suo significato, tale da poter già influenzare la nostra facoltà immaginativa.

«Quel ramo del lago di Como volto ad occidente…»; è incredibile come bastino anche solo queste poche parole per darci l’immediata percezione di un contesto spaziale già ricco e variegato, anzi, per farcelo vivere in prima persona. Il ritmo, la cadenza dell’accentazione, l’ampio uso di vocali, tutto questo ci trasmette, da solo, la vastità dello scorcio paesaggistico: se fosse possibile concepire questi termini  nella loro pura componente sonora, scioglierli dal loro vincolo con il contenuto, considerarli solo una primitiva materia amorfa, anche in un tale stato prelinguistico utopico noi avremmo comunque un’ idea, vaga e indefinita, di un qualcosa di ampio e aperto, pur non sapendo ancora che si tratta di una vallata. È come se, ad occhi chiusi, ci balenasse nella completa oscurità una sorta di simulacro di ciò che solo aprendo in seguito gli occhi potremo abbracciare pienamente nella sua evidenza. In fondo, l’obbiettivo primario dello stile di uno scrittore è proprio questo: a parte, naturalmente, l’intento di produrre alcunché di gradevole e artistico, soprattutto plasmare, foggiare la materia sonora con figure retoriche, ritmo, selezione accurata delle parole e corretto uso della punteggiatura, onde adattarla al contenuto che di volta in volta si sta dispiegando, allo scopo di rafforzarlo.

Tutto questo, però, per quanto sia importante, equivale solo a uno stadio dell’immedesimazione inconscio, inconsapevole: a voler ben vedere, quando ognuno di noi si immedesima in un testo, il suo atto volontario ha come oggetto essenzialmente i contenuti; il piano espressivo è già compreso e sottinteso nel processo complessivo. Solo in sede di analisi, come detto, è concepibile una separazione di significante e significato, che, nella realtà, sono “le due facce dello stesso foglio”, per citare la celebre definizione di Peirce.

 

Il contenuto e l’immedesimazione

Presupposto fondamentale della fruizione di un testo è lo sforzo di oscurare l’ambito reale del presente che ci avvolge e farci una cosa sola con i contenuti che si dispiegano innanzi ai nostri occhi: occorre infatti uno sforzo, piccolo o grande a seconda dei casi, per concentrarsi sulla struttura e le regole interne a cui il testo ci sottopone. Se è poco interessante, lento, noioso, esso viene compreso ma percepito come estraneo, distante, altro da noi; se, invece, risulta accattivante, agile, coinvolgente, ecco che scatta inevitabile il processo di immedesimazione, il cui grado di intensità è legato alla potenza di suggestione che i contenuti hanno su di noi.

Quando un certo personaggio, con i suoi desideri e i suoi sentimenti, o una certa vicenda sono in qualche modo affini alla nostra condizione, tanto che ci riconosciamo appieno in essi, il testo narrativo o visivo, come per magia, smette di essere al di fuori, altro da noi e si origina un circolo virtuoso in cui il soggetto-fruitore e l’oggetto-testo si avvicinano fino quasi a coincidere, anche se solo in una pura dimensione mentale del soggetto stesso, non concretamente. Si può parlare di “circolo virtuoso” in quanto il soggetto dà qualcosa all’oggetto, facendolo rivivere una volta di più, e l’oggetto dà qualcosa al soggetto, arricchendolo.

Ecco dunque chiarito il concetto di immedesimazione nel suo senso più proprio e profondo: essa è, per usare una terminologia hegeliana, un’uscita da se stesso del soggetto, che si riversa nell’oggetto, il testo, nell’atto della fruizione; inizialmente lo sente come altro da sé, ma in seguito ne percepisce tutta la vicinanza e si fa tutt’uno con esso annullando ogni distanza; il processo trova compimento con il ritorno a sé del soggetto arricchito, più completo e consapevole grazie all’esperienza provata.

Va da sé che un simile progresso etico-intellettuale può prodursi solo attraverso opere di un certo spessore culturale e raggiunge il suo apice con i grandi capolavori dell’arte, della letteratura e del cinema. Tutto quel vastissimo bacino di opere di consumo, che comprende film disimpegnati, romanzetti d’avventura o sentimentali e quant’altro, sono destinate a puro svago improduttivo, anche se, molto spesso, irrinunciabile: in esse non vi è alcuna traccia di possibile arricchimento del nostro Io, in quanto si limitano a riproporre stancamente modelli narrativi che sembrano innovatori, ma in realtà riciclano, mascherate, sempre le stesse piatte categorie del quotidiano, giustificandolo e immobilizzandolo allo stesso tempo. Il loro, parafrasando Nietzsche, è un “eterno ritorno del banale”.

Il classico, l’opera d’arte, invece, criticano, mettono in discussione perché sono portatori di valori universali, non si riducono alla singola epoca storica come i generi di consumo, “consumabili” finchè restano attuali. Confrontarsi con l’opera impegnata è spesso faticoso, difficile, richiede uno sforzo, sforzo di comprensione, sforzo di mettere in discussione se stessi e tutto il patrimonio di idee, valori e sentimenti che possediamo di fronte a sentimenti, valori, e idee non di rado differenti dai nostri, se non superiori e più profondi. Accettando tutto questo, si può arrivare a migliorare se stessi: in tal senso l’arte e la letteratura sono vero arricchimento dell’esperienza individuale, e questo è una componente fondamentale che andrebbe sottolineata per dare sostanza a tutti quei discorsi fatti in difesa della cultura e dell’istruzione spesso così pieni di vuota retorica.

Siamo lontanissimi dal concetto di immedesimazione comunemente inteso: in quella dimensione di sogno leggero e infantile all’opera non si chiede critica, scomodo invito a riflettere, ma solo svago e oziosa distrazione. Quando si vagheggiano eterni amori o grandi ricchezze guardando sceneggiati o leggendo romanzetti di consumo, ci si illude di evadere dalla realtà, ma in realtà non si evade affatto: il nostro Io non esce mai da se stesso, continua ad auto-porsi uguale identico in luogo di questo o quel personaggio senza alcun progresso interiore. Questo tipo di immedesimazione, infatti, è immensamente superficiale perché pone soltanto obiettivi esteriori: le ricchezze, gli amori sognati sono prospetti di future situazioni nuove per un me stesso sempre uguale, immutabile. La comodità del sogno sta proprio nel fatto di non comportare nessuno sforzo di miglioramento: è tutto ciò che sta intorno a me a doversi evolvere, trasformare e adattare ai miei desideri, io, come soggetto del sogno, sto seduto immobile e aspetto, invano. È chiaro che un’intera vita all’insegna della tensione critica, del mettere tutto in questione, è impossibile: “abbassare la guardia” ogni tanto è inevitabile, l’importante è non idolatrare il luogo comune, non farne unico orizzonte dell’esistenza in forza della sua funzionalità nel quotidiano. Come dice Aristotele, si può tranquillamente vivere senza sottoporre nulla alla riflessione (egli dice “filosofare”, che è, in fondo, la stessa cosa), ma si può vivere bene, realizzando pienamente la natura umana?

L’unico, vero progresso, tutto interiore, è garantito da un’immedesimazione lucida, matura e ben desta, propria dell’atteggiamento critico; si può ben dire che il critico, accusato di pedanteria e bistrattato, si dimostra, almeno sotto questo aspetto, molto più pratico del “pratico”, che si perde, con i suoi sogni infantili e vani, in un circolo non certo virtuoso, ma fatalmente vizioso.             

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