«LE PAYS DES CHIMERES»

Passione, immaginazione e illusione nella Nouvelle Héloїse

 

di Marco Menin

 

Le pays des chimeres est en ce monde

                                                                       le seul digne d’être habité…il n’y a

                                                                       rien de beau que ce qui n’est pas.

                                                                      

                                                                        Julie ou la Nouvelle Héloïse, VI, 8.

 

 

 

 

1.         CONTESTUALIZZAZIONE DELL’OPERA        

Julie ou la Nouvelle Héloïse è un’opera che occupa un posto assolutamente eccezionale all’interno della produzione rousseauiana. Si tratta, infatti, di uno scritto che sembra veicolare l’ennesimo paradosso del tormentato pensatore ginevrino, sottolineato con efficacia da Bernard Guyon: «ce grand roman d’amour est dû à un adversaire passionné de la littérature»[1].

Effettivamente, l’opera che aveva conferito la celebrità a Rousseau imponendolo con perentorietà sulla scena culturale europea, il Discours sur les sciences et les arts del 1750,  era incentrato - com’è noto - su una risposta volutamente provocatoria al bando dell’Accademia di Digione pubblicato sul «Mercure de France» («Si le rétablissement des sciences et des arts a contribué à épurer les moeurs»): secondo il Ginevrino «nos ames se sont corrompuës a mesure que nos Sciences et nos Arts se sont avancés à la perfection»[2]. È evidente come in una tale prospettiva la letteratura fosse vista sotto una luce nefasta. Pare lecito, dunque, domandarsi che cosa spinse Rousseau a comporre proprio un roman, entrando in (un’almeno apparente) contraddizione con se stesso[3] e offrendo comodi  e favorevoli pretesti alle critiche sia dei letterati di professione (ad esempio Palissot) sia dei nemici dichiarati apertamente o mascherati (basti pensare a Borde, Grimm o, in particolar modo, a Voltaire).

                    In realtà, come spesso accade analizzando il pensiero di Rousseau, i paradossi che sembrano emergere superficialmente si rivelano successivamente non frutto di sterili contraddizioni dovute a uno spirito estremista, ma il risultato di tensioni profonde e costruttive, le quali scaturiscono dal fatto che – come osserva Todorov – «Rousseau pensa in modo così potente da scorgere immediatamente le premesse lontane e le conseguenze estreme di ogni affermazione»[4]. Solo in una prospettiva del genere è possibile cogliere la profonda unità dell’opera rousseauiana; non si tratta, ovviamente, di una forzata unità di comodo (pare impossibile ricondurre il magma amplissimo e fluido della riflessione rousseauiana a uno schema univoco di significato), ma di «un’unità intesa come tensione dinamica, che ne spiega la fecondità»[5]. Tale consapevolezza è fondamentale per addentrarsi nelle tematiche di un’opera di straordinaria levatura non solo letteraria, ma anche teorica, quale Julie.

                    Lungi dall’essere il frutto di un’eccentrica scelta per far discutere o il prodotto di un compiaciuto divertissement letterario,  La Nouvelle Héloïse è al contrario un’opera profondamente meditata e voluta da Jean-Jacques, tanto da caratterizzarsi come uno dei momenti più elevati e significativi della sua riflessione esistenziale, come è messo in luce da Bernard Guyon:

«Impossibile parler à son propos d’ “accident” ou d’ “erreur de jeunesse”; longuement médité dans les moindres détails, il s’offre à nous bardé de préfaces, de notes, de commentaires. Écrit par un homme qui attegnait  le sommet de sa courbe vitale, il est resté au centre de ses preoccupations pendant cinq années. Et quelles années! Les plus dramatiques, les plus intensément vécues, les plus fécondes» [6].

Questa osservazione ha il merito di far emergere lo stretto vincolo che lega La Nouvelle Héloïse alla tormentata vicenda esistenziale di Rousseau. A tale proposito, si può richiamare la penetrante osservazione di Ernst Cassirer, uno degli studiosi che ha maggiormente rivoluzionato nel corso del novecento l’approccio esegetico al testo rousseauiano:

«In un pensatore di questo genere il contenuto e il senso della sua opera non possono  essere staccati dalla vita personale: essi si possono cogliere unicamente fusi l'uno nell'altro, in un ripetuto rispecchiarsi e in un vicendevole illuminarsi dell'uno per mezzo dell'altro»[7].

            La Nouvelle Héloïse ha infatti una genesi complessa, la cui ideazione risale alla primavera del 1756, quando Jean-Jacques approda nel soggiorno prescelto dell’Ermitage, in compagnia dell’affezionata Thérèse Le Vasseur. Egli avverte ormai intorno a sé le maglie di un oscuro complotto ordito dalla «coterie holbachique»[8], con la quale si consumerà una violenta rottura l’anno successivo. Nel marzo del 1757, infatti, scoppia una querelle con Diderot a proposito di un brano del Fils naturel, in cui è detto che soltanto il malvagio è solo. Dopo una momentanea riappacificazione con quest’ultimo in aprile e con Grimm in ottobre, nel mese di dicembre la rottura con gli enciclopedisti si fa definitiva: il 10 dicembre Madame d’Epinay invita Rousseau a lasciare l’Ermitage, ed egli si trasferisce a Montmorency[9]. Nell’animo di Jean-Jacques affiora sempre con maggior violenza quel radicale e incolmabile sentimento di vuoto descritto nelle Confessions[10].

Questa inattesa crisi spinge Rousseau ad abbandonare i due grandi progetti ai quali stava lavorando, le Institutions politiques e la Morale Sensitive, per dedicarsi a un’opera in grado di colmare l’opprimente e inquietante senso di mancanza che lo attanaglia e che lo distacca sempre più dagli altri uomini e dalla società. Egli si rende conto che alle radici di questa mancanza si nasconde l’incapacità di soddisfare il suo bisogno d’amore, reso sempre più acuto dal suo cuore ardente e sensibile. Un’intensa nostalgia per il passato (Thérèse, che Jean-Jacques considerò sempre un mero supplemento di se stesso[11], non poteva in alcun modo colmare la lacuna lasciata dalla mitica figura di Mme de Warens) si coniuga con la consapevolezza dell’implacabile trascorrere del tempo[12]. Più di metà dell’esistenza è ormai trascorsa senza essere riuscito a soddisfare il desiderio più impellente e radicale: «dévoré du besoin d’aimer sans jamais l’avoir pu bien satisfaire, je me voyois atteindre aux portes de la vieillesse, et mourir sans avoir vécu»[13].

L’insufficienza del reale diviene sempre più manifesta e la sua opacità si scontra inevitabilmente con la brillante chimera dell’immaginario:

«Que fis-je en cette occasion? […] L’impossibilité d’atteindre aux êtres réels me jetta dans le pays des chimères, et ne voyant rien d’existant qui fut digne de mon délire, je le nourris dans un monde idéal que mon imagination créatrice eût bientôt peuplé d’êtres selon mon coeur»[14].

Così prendono forma e assumono consistenza i personaggi principali del romanzo, incarnazione di un desiderio che vuole alimentarsi delle proprie chimere: «je me figurai l’amour, l’amitié, les deux idoles de mon coeur sous les plus ravissantes images. Je me plus à les orner de tous les charmes du sexe que j’avois toujours adoré»[15].

Come osserva Elena Pulcini, «se è vero […] che la genesi del romanzo è prettamente immaginaria, e che la finzione influenza la vita, è anche vero che, in un secondo momento, la vita si riflette nel tessuto immaginario del romanzo e ne condiziona la struttura stessa» [16]. Proprio negli eventi autobiografici è possibile individuare - secondo l’interpretazione maggiormente condivisa dagli esegeti[17]- i motivi della definitiva redazione della Nouvelle Héloïse in sei parti. All’origine, infatti, il romanzo doveva strutturarsi in sole quattro parti e concludersi con la tragica morte dei due amanti durante la celebre escursione sul lago di Meillerie. È solo nell’autunno del 1757 che Rousseau decide di aggiungere le due parti rimanenti, la cui stesura sarà completata nel settembre dell’anno successivo, quando il romanzo è pronto per essere dato alle stampe, sebbene la prima edizione sarà pubblicata ad Amsterdam solo nel 1761.

 

Questi brevi accenni relativi alla contestualizzazione della Nouvelle Héloïse, pur non avendo alcuna pretesa di esaustività, hanno il merito di porre in evidenza l’importanza e la complessità di questo romanzo, che per essere compreso deve essere rapportato sia al resto della produzione rousseauiana, sia alle vicende biografiche dell’autore.

La seguente relazione, data la complessità e l’ampiezza del testo preso in esame, si limiterà ad analizzare tre tematiche, strettamente connesse tra di loro, le quali – come si è in parte già potuto constatare dalle riflessioni introduttive – rivestono un ruolo fondamentale non solo all’interno di questo romanzo, ma nell’economia dell’intero pensiero del Ginevrino: (i) la passione, (ii) l’immaginazione e (iii) l’illusione. L’analisi più dettagliata di queste problematiche sarà preceduta da una breve esposizione della trama dell’opera, tesa a mettere in luce come la trattazione della tematica amorosa non sia in alcun modo scindibile dalla riflessione morale.

             

 

2.         STRUTTURA DEL ROMANZO: IL PERCORSO MORALE DEL SOGGETTO AMOROSO

La Nouvelle Héloïse è un romanzo scritto sotto forma epistolare: si alternano, infatti, le lettere composte da due amanti, Saint-Preux e Julie d’Étange (che in seguito diventa Julie de Wolmar) con quelle scritte da Claire, la cugina di Julie, da Édouard Bomston, un amico dei due giovani e da Monsieur de Wolmar, il marito di Julie, nonché da qualche altro personaggio di secondo piano.

            Julie d’Étange, figlia unica di una benestante famiglia di nobili origini, si innamora dell’umile precettore Saint-Preux, dotato di grandi doti intellettuali e spirituali, ma inferiore socialmente[18]. Consapevoli di non potere coronare il loro sogno d’amore a causa dei pregiudizi incrollabili della famiglia di Julie, i giovani, dopo numerose e dolorose peripezie, si separano. Julie decide di unirsi in matrimonio con Wolmar, un vecchio amico del padre di nobili origini, per il quale tuttavia non nutre vero amore. La fanciulla, in accordo con il marito, decide di riunirsi con Saint-Preux, verso il quale è convinta di provare solo più un sentimento di amicizia, e invita il giovane a trasferirsi a Clarens, la proprietà dove abitano i coniugi. Proprio quando ella si rende conto che la grande passione per l’antico amante non si è mai assopita completamente, un drammatico incidente la riduce in fin di vita per salvare il figlio minore. La morte di Julie e la disperazione degli altri protagonisti sanciscono la conclusione del romanzo.

            Al di là di questa trama piuttosto convenzionale, qui riassunta in maniera estremamente brachilogica, si snodano in quest’opera, come in una serie di cerchi concentrici, i grandi temi del pensiero rousseauiano: l’esplorazione dell’Io, il rapporto tra il singolo e la collettività, la costruzione di una società ideale, la ricerca spirituale e religiosa, … . Ciò che emerge con particolare evidenza è, tuttavia, la volontà di utilizzare la teoria delle passioni come fondamento della teoria morale.

La Nouvelle Héloïse, infatti, viene a configurarsi come la descrizione del difficile percorso morale del soggetto amoroso. Questo aspetto restituisce la profondità e l’originalità del lavoro rousseauiano sia rispetto a modelli letterari classici, quale l’epistolario di Pietro Abelardo ed Eloisa che ispira il titolo dell’opera, sia rispetto ai romanzi epistolari contemporanei, quale la Clarissa di Richardson. Quest’ultima opera – ad esempio – è dominata da quel tono moraleggiante, tipico del “romanzo virtuoso”, che non ha nulla a che spartire con la profondità psicologica dello scritto rousseauiano, nel quale le dimensioni della passione e della virtù non si escludono semplicisticamente a vicenda, ma restano entrambe valide e irrinunciabili, pur nella loro incompatibilità. Per questo stesso motivo la scelta morale della “nuova Eloisa” si distanzia radicalmente anche dall’appassionata difesa dell’amore e delle passioni di Eloisa. Infatti Julie conquista la virtù attraverso l’amore. Questa è l’essenza della riflessione morale rousseauiana, di cui egli pare perfettamente consapevole nelle Confessions :

«C’étoit assurement le meilleur parti qui se put tirer de mes folies: l’amour du bien qui n’est jamais sorti de mon cœur les tourna vers des objets utiles et dont la morale eut pu faire son profit. Mes tableaux voluptueux auroient perdu toutes leur graces si le doux coloris de l’innocence y eut manqué»[19].

Questo percorso morale che Julie e Saint-Preux, in quanto soggetti amorosi, devono percorrere, è tutt’altro che semplice o lineare. Al contrario, i due amanti approderanno al bene solo dopo aver conosciuto il lato oscuro della passione e dopo essersi liberati degli effetti distruttivi e alienanti di quest’ultima. La caduta, nell’ottica rousseauiana, è fondamentale perchè possa esservi la redenzione e il danneggiamento è imprescindibile perché possa esservi una compensazione. Il pensiero rousseauiano, dunque, prende le mosse dal dommage per cercare di annullarlo, di compensarlo, di controbilanciarlo: in questa economia di compensazione, il dédommagement sarà tanto più clamoroso quanto più il dommage era stato grave. Per questo Julie e Saint-Preux sperimenteranno tutti gli effetti deleteri della loro faute, fino a far pensare, di fronte alla prospettiva del matrimonio della fanciulla con Wolmar, all’aberrante possibilità dell’adulterio.

Tali riflessioni mettono in luce come La Nouvelle Héloïse non sia in alcun modo riducibile ad un semplice “romanzo di amore” scaturito dalle romantiche rêveries di Rousseau o dalle sue esperienze erotiche, bensì esso è anche – ed essenzialmente – una riflessione morale sulla passione amorosa. Questo non vuole affatto dire che esistono due livelli separati, uno passionale-romanzesco e uno morale-edificante, all’interno dell’opera, ma queste differenti suggestioni si susseguono e si intrecciano inscindibilmente:

«Il n’y a donc pas dans La Nouvelle Héloïse deux romans distincts, un roman passionnel et un roman édifiant, mais un seul roman dans les trois premières parties duquel deux jeunes gens découvrent ce que leur âme peut avoir de plus exaltant et de plus élevé, l’amour, mais aussi ses épreuves, ses dangers, sa force de renoncement, et le trois dernières parties la transmutation de cet amour, le bonheur dans l’innocence sous la direction d’un sage qui lui-même a besoin de leur bonheur» [20].

            Il tema amoroso e quello morale, dunque, sono strettamente fusi e inseparabili tra di loro, proprio in quanto - secondo un meccanismo assolutamente peculiare alla forma mentis rousseauiana -  l’aspetto etico trae forza e consistenza proprio da quello passionale. Rousseau è inoltre convinto che la forza di persuasione morale della sua opera dipenda proprio dal fatto che essa dipinge il percorso che conduce alla virtù attraverso il confronto e la lotta di un soggetto fragile e vulnerabile (la fragilità è del resto l’essenza della condizione umana), faible ma mai méchant[21], il quale si confronta con le forze negative che lo minacciano e riesce a sconfiggerle.

            Ben lungi dall’essere fonte di corruzione o annoverabile tra quei «livres efféminés qui respiroient l’amour et la molesse»[22] che lo stesso Jean-Jacques aveva più volte stigmatizzato, La Nouvelle Héloïse si rivela un veicolo ben più efficace di un freddo trattato di morale. Ciò è teorizzato con chiarezza dallo stesso Saint-Preux:

«Les romans son peut-être la dernière instruction qu’il reste à donner à un peuple asséz corrompu pour que toute autre lui soit inutile; je voudrois qu’alors la composition de ces sortes de livres ne fut permise qu’a des gens honnêtes mais sensibles dont le cœur se peignit dans leur écrits, à des auteurs qui ne fussent pas au-dessus des faiblesses de l’humanité, qui ne montrassent pas tout d’un coup la vertu dans le Ciel hors de la portée des hommes, mais qui la leur fissent aimer en la peignant d’abord moins austere, et puis du sein du vice les y sussent y conduire insensiblement» [23].

La scelta del roman è dunque una scelta meditata ed estremamente significativa, in quanto rispecchia, nella sua frammentarietà e nel suo procedere discontinuo e doloroso, la ricerca della virtù da parte del soggetto etico-amoroso. Ben lontano dalle posizioni di facile ottimismo che caratterizzavano buona parte del pensiero degli altri philosophes, Rousseau vede nella virtù un oggetto di conquista, che non è affatto armoniosamente insito nella natura umana, ma al contrario si può raggiungere solo attraverso un comportamento etico attivo e militante[24]. Nonostante queste difficoltà la virtù e il bene non sono idoli separati e irraggiungibili, ma mète accessibili anche per coloro che (come Julie) sono caduti, ma hanno un sincero desiderio di redenzione. È Rousseau stesso a renderci consapevoli di ciò nell’importante Préface dialoguée, aggiunta nel 1759 :

«R.         Sublimes auteurs, rebaissez un peu vos modèles, si vous voulez qu’on cherche à les imiter. A qui vantez-vous la pureté qu’on n’a point souilée ? Eh! Parlez-nous de celle qu’on peut recouvrer; peut-être au moins quelqu’un pourra vous entendre» [25] 

Per questi motivi, come osserva Elena Pulcini, «l’intreccio narrativo permette […] di rispecchiare il carattere dinamico della vita  pulsionale ed emotiva dei protagonisti, conservandone le ambivalenze e le contraddizioni, senza peraltro nulla togliere alla chiarezza dei concetti» [26].

Non bisogna, infine, dimenticare che La Nouvelle Héloïse non è semplicemente un romanzo epistolare, ma un romanzo epistolare “polifonico” nel quale, come si è visto, convergono i punti di vista di personaggi che incarnano valori ben differenti (basti pensare alla lontananza che vi è tra Saint-Preux e Wolmar). Ciò non solo rende conto della complessità dei sentimenti e degli atteggiamenti umani possibili di fronte all’esistenza, ma rende altresì consapevoli della ricchezza del gioco e del rapporto intersoggettivo, dal quale nessun personaggio esce mai completamente illeso. Se la fisionomia dell’Io –  di cui Rousseau è in assoluto uno dei più fini esploratori – è spesso mutata dal rapporto comunicativo, lo stesso vale per la relazione del soggetto con se stesso, che viene a configurarsi come un rapporto altrettanto complesso e, spesso, sfuggevole.

  Questa duplice lotta intersoggettiva e intrasoggettiva del soggetto, che da un piano iniziale di faiblesse lo condurrà attraverso un doloroso percorso ad un ordine etico superiore, è completamente giocata, nella Nouvelle Héloïse, sul terreno della passione.    

 

 

3.         LA PASSIONE AMOROSA

L’intera Nouvelle Héloïse si può interpretare come il dispiegarsi di una riflessione sulla  passione amorosa la quale, nelle sue differenti forme, intesse l’intera narrazione. È importante sottolineare come, nel pensiero di Rousseau, l’amore (o passione) [27] sia un sentimento peculiare all’  homme de l’homme. Nell’ipotetico stato di natura, infatti, l’uomo non provava sentimenti, ma solo bisogni e tendenze spontanee. L’amore, inteso nella dimensione morale che trova nella Julie la sua trattazione più profonda, è legato allo sviluppo del pensiero, dell’immaginazione, della memoria e del linguaggio e dunque –  in ultima analisi –  al sorgere della società civile.

            Non deve stupire che, mettendo in gioco elementi così fondamentali dell’antropologia rousseauiana, la passione amorosa venga a caratterizzarsi in una maniera duplice e ambigua. Ciò scaturisce dal fatto che si tratta di una passione sociale (in quanto nasce con l’ homme de l’homme) ma, al tempo stesso, asociale o antisociale, in quanto allontana coloro che si amano dalla collettività.

            Nella Nouvelle Héloïse è possibile individuare, rifacendosi principalmente alla trattazione di Jean-Louis Bellenot[28], due coppie concettuali di particolare interesse per quanto riguarda la trattazione della passione amorosa: “pur amour” / “fol amour” e “amour-passion” / “amour conjugale” [29]. Si tratta di coppie oppositive che sono incarnate con particolare efficacia dai due protagonisti della vicenda: in particolar modo nella figura di Saint-Preux è possibile individuare la prima coppia oppositiva mentre in Julie, prima amante e poi sposa, la seconda.

 

 

3.1       Amore puro e amore folle   

La figura di Saint-Preux incarna la duplicità dell’amore sin a partire dal proprio nome, uno pseudonimo che evoca tanto la purezza della passione (saint), quanto la sua dimensione eroica e folle (preux).  È proprio Saint-Preux, la cui psicologia ricorda  sotto molti aspetti quella del tradizionale “aveu amoreux”, a dichiararsi a Julie, iniziando così a tessere la pericolosa tela della passione che presto avvinghierà i due giovani.

            Pur non essendo il loro di per sé un amore colpevole, si tratta indubbiamente di un amore pericoloso, in quanto fa scaturire un contrasto tra la passione e la natura, allontanandoli dalla virtù. Infatti, il grande errore degli amanti, che trova riscontro in particolar modo nelle posizioni del precettore, consiste nel considerare la passione come qualcosa di naturalmente legittimo e libero. In realtà, nella visione rousseauiana, «l’entière liberté de la passion est, à la fois, contradictoire aux idées d’ordre, de régularité, et ruineuse pour la passion elle-même» [30]. Per questo motivo, diversamente da come vorrebbe Saint-Preux, non ci si può appellare alla natura per legittimare l’amore:

«N’as-tu pas suivi les plus pures loix de la nature? N’as-tu pas liberament contracté le plus saint des engagements? Qu’as-tu fait que les loix divines et humaines ne puissent et ne doivent autoriser? Que manque-t-il au nœud qui nous joint qu’une déclaration publique? Veuille être à moi, tu n’es plus coupable»[31].

            In realtà, è proprio una tale convinzione che condurrà i due amanti vicini alla perdizione, disseminando disordine e sofferenza in tutta la famiglia d’Étange. Questo aspetto viene messo in evidenza con lucidità da Claire, che per gran parte del romanzo incarna la controparte razionale di Julie, nella lettera che apre la terza parte dell’opera e che è indirizzata proprio a Saint-Preux:

«Que de maux vous causez à ceux qui vous aiment! Que de pleurs vous avez déjà fait couler dans une famille infortunée dont vous seul troublez le repos! Craignez d’ajoûter le deuil à nos larmes : craignez que la mort d’une mere affligée ne soit le dernier effet du poison que vous versez dans le cœur de sa fille, et qu’un amour desordonné ne devienne enfin pour vous-même  la source d’un remords éternel. […] Comment tolérer une vaine constance que l’honneur et la raison condannent, e qui ne pouvant plus causer que des malheurs et de peines ne mérite que le nom d’obstination ?» [32]. 

Julie, diversamente dal giovane, si rende conto sin da subito della pericolosità della relazione e definisce il proprio sentimento un «poison qui corrompt mes sens et ma raison»[33]. Ella ha inoltre provato a resistere, vanamente, alla passione stessa:«je n’ai rien negligè pour arrêter le progrès de cette passion funeste. Dans l’impuissance de resister, j’ai voulu me garantir d’être attaquée; tes poursuites ont trompé ma vaine prudance»[34]. Una volta arresasi al sentimento, Julie è consapevole di come questo amore “folle” rischi di concretizzarsi nella ricerca di una pericolosa felicità egoista e chiusa su se stessa. Da qui scaturisce la nostalgia dell’innocenza e del bonheur incontaminato che la giovane provava all’interno della famiglia, emblema per eccellenza della natura:

«Il me semble que je tourne les yeux avec plus de regret sur l’hereux tems où je vivois tranquille et contente au sein de ma famille, et que je sens augmenter le sentiment de ma faute, avec celui de bien qu’elle m’a fait perdre»[35].         

            L’intima lacerazione tra sentimenti incompatibili porta ad un conflitto insanabile: «hélas, en écoutant l’amour ou la nature je ne puis éviter de mettre l’un ou l’autre au désespoir; en me sacrificant au devoir je ne puis éviter de commettre un crime, et quelque parti que je prenne, il faut que je meure à la fois malheureuse et coupable»[36]. Proprio la morte della madre, che rappresenta il legame più intimo e profondo con la natura, porterà Julie alla scelta definitiva di rinunciare alla passione e al “fol amour”.

Queste considerazioni non devono, tuttavia, portare a concludere che nella Nouvelle Héloïse Rousseau condanni le passione amorosa in quanto tale. Al contrario, l’intero romanzo si può definire, utilizzando una felice espressione di Bernard Guyon, una «exaltation de l’Amour» [37]. Si tratta, però, «d’un certain amour, celui qui avaient chanté les troubadours, les romanciers médiévaux, Pétrarque, les poètes de la Renaissance, Corneille et les romanciers précieux: l’amour pur, désintéressé, vainqueur des tentations charnelles et des lois mêmes de la mémoire. Amour qui porte l’homme au sommet de lui-même, mais n’est pas moins dangereux que sublime, car il est une entreprise démesurée pour transcender  sa condition temporelle» [38].

Questo amore puro è così lontano da ogni forma di eccesso, incarnata dalla dimensione corporale, e si apre al fervore spirituale che trascende la sessualità e conduce alla vera dimensione morale del soggetto. Per questi motivi, il vero primo punto di svolta della Nouvelle Héloïse è segnato dalla relazione carnale tra i due amanti, che rappresenta l’apice dell’amor folle, e conduce alla perdita dell’innocenza originaria. L’importanza centrale di questa crisi scaturita dal possesso fisico[39] è messa in luce dalle parole che Julie rivolge alla cugina :

«Il sembloit que ma passion funeste voulut se couvrir pour me séduire du masque de toutes les vertus […] Sans savoir que je faisois je choisis ma propre infortune. J’oubliai tout et ne me souvins que de l’amour. C’est ainsi qu’un instant d’égarement m’a perdu à jamais. Je suis tombée dans l’abîme d’ignominie  dont une fille ne revient point; et si je vis, c’est pour être plus malheureuse» [40].  

            La caduta e il peccato – com’è peculiare in una psicologia come quella rousseauiana che si basa sul concetto telefistico di “rimedio nel male” [41] – rappresentano tuttavia contemporaneamente    anche il principio del nuovo amore puro e morale, che farà sì che l’intera opera venga a caratterizzarsi come un «rêve de volupté redressé en instruction morale» [42].                

            Né a Julie né a Saint-Preux, infatti, è dato di vivere secondo l’inclinazione dei loro cuori. Ma è precisamente nella misura in cui la legge morale impedisce loro di raggiungere una felicità vissuta nell’immediatezza che essi scoprono il vero significato del “pur amour”, che trascende sia la dimensione corporea sia quella temporale. L’amore può così esprimersi nella pienezza della propria libertà, che altro non è se non la scoperta progressiva di un ordine di perfezione etica.

 

 

3.2       Amore-passione e amore coniugale

Il secondo punto cruciale dell’intera vicenda è rappresentato indubbiamente dal matrimonio di Julie con Wolmar. Questo episodio segna una duplice svolta: da un lato, l’unione matrimoniale pone la base affettiva per la costituzione di Clarens, la comunità ideale; dall’altro lato, proprio il vincolo coniugale consente a Julie di concepire (sotto l’influenza di Wolmar) il progetto di depurare l’amore-passione di Saint-Preux, in modo tale da distillarne solo gli aspetti virtuosi, eliminandone al contrario tutti gli eccessi. L’ambizione, destinata tuttavia al fallimento, è quella di consentire un’armonica fusione della passione amorosa nell’organismo etico di Clarens, dimostrazione di come la forma più bella e maggiormente ricca di significati per una società umana non sia la coppia, ma la comunità.

            Vengono così a contrapporsi nettamente due differenti concezioni dell’amore, l’“amour-passion” e l’ “amour conjugale”, che trovano il vero discrimine nella cosiddetta «conversione di Julie»[43], momento in cui la fanciulla decide di abbracciare a pieno la scelta matrimoniale, concependo una nuova visione dell’amore completamente differente dall’amore-passione. L’importanza di questo episodio nell’economia dell’intera vicenda è sottolineata da Jean-Louis Bellenot:

«Dans son aspect psychologique, la conversion de Julie est presque attendue comme la crise décisive et libératrice d’une conscience qui  s’est débattue longtemps dans une impasse et qui perçoit subitement la nécessité de renverser le système des valeurs sur lesquelles son existence se fondait»[44]. 

Rousseau non presenta una banale opposizione tra l’amore e il matrimonio, ma una opposizione conflittuale tra due differenti sentimenti. L’amore coniugale ha, come emerge con nitidezza dalle parole di Julie, delle caratteristiche ben diverse, e spesso opposte, rispetto all’amore-passione (che sotto molti aspetti finisce con l’identificarsi anche con il“fol amour” analizzato in precedenza):

«Pour M. de Wolmar, nulle illusion ne nous prévient l’un pour l’autre; nous nous voyons quel que nous sommes; le sentiment qui nous joint n’est point l’aveugle transport des cœurs passionnés, mais l’immuable et constant attachement de deux personnes honnêtes et raisonnables qui destinées à passer ensemble le reste de leur jours son contentes de leur sort et tâchent de se le rendre doux l’une à l’autre» [45].            

            Se l’amore-passione è teso alla totale espansione dell’emotività e del desiderio, con tutti i rischi di isolamento e di perdita della dimensione collettiva che ciò comporta, l’amore coniugale è teso proprio all’autoconservazione, al mantenimento del bonheur e alla comunicazione con gli altri, attraverso dei valori condivisi che consentono di creare la comunità. Dalla coppia formata da Julie e Wolmar, uniti tra di loro dall’amore coniugale, il bonheur si estende alla comunità tutt’intera: è così che nasce il mondo di Clarens, «un objet de mœurs et d’honnêteté conjugale» [46]. Sono dunque la tenerezza e la solidarietà, e non la passione, a costituire il nucleo affettivo del matrimonio (queste stesse caratteristiche si ritrovano non solo nell’unione tra Julie e M. de Wolmar, ma anche in quella tra Claire e M. d’Orbe) e ne assicurano, diversamente dalle inquietudini e dagli eccessi[47] di un “amour-passion”, la peculiare funzione che consiste nell’unire le esigenze individuali a quelle collettive:

«Ce qui m’a longtemps abusée et qui peut-être vous abuse encore, c’est la pensée que l’amour est nécessaire pour former un heureux mariage. Mon ami, c’est une erreur; l’honnêteté, la vertu, de certaines convenances, moins de conditions et d’âges que de caracteres et d’humeurs suffissent entre deux époux; ce qui m’empêche point qu’il ne resulte de cette union un attacchement très tendre qui, pour n’être pas précisement de l’amour, n’est pas moins doux et n’en est que plus durable. L’amour est accompagné d’une inquietude continuelle de jalousie ou de privation, peu convenable au mariage, qui est un état de jouissance et de paix. On ne s’épouse point pour penser uniquement l’un à l’autre, mais pour remplir conjointement les devoirs de la vie civile, gouverner prudemment la maison, bien elever ses enfans. Les amans ne voyent jamais qu’eux, ne s’occupent incessamment que d’eux, et la seule chose qu’ils sachent faire est de s’aimer. C’est ne pas assés pour deux Epoux qui ont tant d’autres soins à remplir» [48].

Sono questi motivi che spingono Julie a dichiarare – sempre in questa lettera di capitale importanza – che, qualora dovesse sposarsi di nuovo, la sua scelta non cadrebbe su Saint-Preux ma, nuovamente, su Wolmar.

            Proprio la figura dello sposo di Julie ricopre una funzione fondamentale nel conflitto tra l’amore-passione e l’amore coniugale. Egli assume consapevolmente il ruolo di guaritore della funesta passione dei due amanti. Tale personaggio è l’esatto contrario di Saint-Preux:  quest’ultimo incarna sempre a pieno la passion e, nonostante i suoi grandi sforzi che lo spingono sino ad accettare di vivere a Clarens accanto ai due coniugi, è vittima a più riprese delle crisi e delle inquietudini che scaturiscono dalla stessa passione amorosa; Wolmar, invece, è un «un homme sans passions»[49], caratterizzato da una fredda lucidità e da una distaccata razionalità di cui egli stesso pare consapevole:

«J’ai naturellement l’ame tranquille et le coeur froid. Je suis de ces hommes qu’on croit bien injurer en disant qu’ils ne sentent rien; c’est à dire, qu’ils n’ont point de passion qui les détourne de suivre le vrai guide de l’homme. Peu sensible au plaisir et à la douleur, je n’éprouve même que très foiblement ce sentiment d’intérêt et d’humanité qui nous approprie les affections d’autrui. […] Si j’ai quelque passion dominante c’est celle de l’observation: J’aime à lire dans les coeurs des hommes; comme le mien me fait peu d’illusion, que j’observe de sang-froid et sans intérêt, et qu’une longue expérience m’a donné de la sagacité, je me ne trompe guere dans mes jugemens. […] Si je pouvois changer la nature de mon être t devenir un oeil vivant, je ferois volontiers cet échange»[50].

            Nonostante un innegabile coinvolgimento affettivo verso la sposa, Wolmar rivela acume e freddezza nel comprendere come dietro l’amicizia tra i due amanti continui ad ardere il fuoco della passione. Il suo progetto terapeutico, che consiste paradossalmente nel combattere le passioni con le passioni, è inevitabilmente destinato a fallire: egli non può sconfiggere il male perché non lo conosce. Finirà così con il sopravvalutare la razionalità, non tenendo nella giusta considerazione la forza della passione amorosa e dell’immaginazione che l’alimenta.

 

 

4.         L’ IMMAGINAZIONE

 

4.1              L’ambiguità dell’immaginazione: alle radici della passione

L’immaginazione ricopre una funzione essenziale non solo nella concezione rousseauiana della passione, ma nell’economia complessiva del suo pensiero. Egli è tra i primi ad analizzarne in maniera esaustiva le innumerevoli sfaccettature, mettendone in rilievo – come emerge con particolare nitidezza proprio nella Nouvelle Héloïse – tanto gli aspetti positivi, quanto quelli negativi. Difatti, nonostante il suo potere consolante e, soprattutto, la sua fondamentale caratteristica che consiste nell’essere una facoltà creatrice, l’immaginazione rimane legata alla propria essenza non naturale.

            Nell’uomo primitivo dell’ipotetico stato di natura rousseauiano, infatti, l’immaginazione è una facoltà puramente virtuale e in potenza, che non ha ancora alcun potere sull’esistenza umana:

«Son ame, que rien n’agite, se livre au seul sentiment de son existence actuelle, sans aucune idée de l’avenir, quelque prochain qu’il puisse être, et ses projets bornés comme ses vûes, s’étendent à peine jusqu’à la fin de la journée. Tel est encore aujourd’hui le degré de prévoyance du Caraybe: il vend le matin son lit de Coton, et vient pleurer le soir pour le racheter, faute d’avoir prevû qu’il en auroit besoin pour la nuit prochaine» [51].

            L’immaginazione viene così a configurarsi come una facoltà ambivalente, che  partecipa all’evoluzione sociale dell’uomo in maniera determinante[52]. È proprio tale facoltà a rompere l’armonia originale, producendo una frattura insanabile tra la vividezza  dei nostri desideri, destinati a rimanere la maggior parte delle volte insoddisfatti, e l’opacità di una realtà spesso crudele e deludente.

            Se, da un lato, l’immaginazione è una conseguenza funesta della perfettibilità umana, dall’altro lato è la facoltà che più di ogni altra permette all’uomo di superare i suoi limiti, per tendere verso qualcosa di sconosciuto, migliorando la propria condizione e oltrepassando continuamente se stesso.

            L’aspetto della vita umana in cui l’immaginazione rivela con maggiore efficacia la propria forza è proprio la passione amorosa. Come osserva Paola Sosso, «l’amour moral […] né avec les premières formes de société et strictement lié à l’imagination, est un sentiment qui élève l’homme, lui permettant d’atteindre des vertus sublimes: à travers l’idéalisation de l’être aimé l’amant se nourrit de chimères, se abandonne à sa création imaginaire et arrive à sentir en lui-même une force très intense» [53].

            Tuttavia, proprio in quanto facoltà bifronte, l’immaginazione è contemporaneamente alle radici della degenerazione della passione e del suo contrasto con la legge naturale. Proprio essa, in qualità di facoltà creatrice, può rompere il limite tracciato dalla natura ed accrescere in modo distorto i sentimenti originari, sino ad inclinarli verso una pericolosa direzione distruttiva che può finire per mettere l’uomo in contraddizione con se stesso. Questo processo sarà descritto con particolare lucidità  nell’ Ėmile:

«La source de toutes les passions est la sensibilité, l’imagination determine leur pente. […] Ce sont les erreurs de l’imagination qui transforment en vices les passions de tous les êtres bornés» [54].

 

 

4.2       L’immaginazione creatrice e la memoria   

Ci si può facilmente rendere conto di come l’intera Nouvelle Héloïse ruoti proprio intorno ad un amore che è, in ultima analisi, immaginato o per lo meno fondato sull’immaginazione. Infatti, se si esclude l’episodio della relazione carnale tra i due amanti, che viene peraltro in qualche modo condannata, ci si rende conto di come l’intera relazione amorosa si basi, paradossalmente, sulla perdita e la lontananza dell’oggetto amato.

            Saint-Preux, la cui caratteristica dominante è proprio una «ardente imagination»[55], trascorre la quasi totalità del romanzo lontano da Julie. Inoltre, è spesso la fanciulla a reclamare come prova d’amore questi allontanamenti che, invece di indebolire la passione, finiscono con il rafforzarla. L’immaginazione è – come si è visto – una facoltà  produttiva e creatrice, la quale, tuttavia, agisce solo in absentia e per questo non opera più quando l’oggetto è posseduto. Essa propone modelli a priori, che non potranno mai essere raggiunti a causa dell’ intrinseca inferiorità del reale sul paese delle chimere e conduce inevitabilmente all’idealizzazione della persona amata. È per questi motivi che durante gli innumerevoli viaggi, da quello al Vallese a quello a Parigi sino a giungere alla pericolosa circumnavigazione intorno al mondo che durerà ben quattro anni, l’amore-passione di Saint-Preux continuerà ad aumentare alimentandosi dell’immaginazione.

            Sarà sufficiente a ravvivare la passione un piccolo segno rammemorativo, un dettaglio evocatore, in grado di cristallizzare il pensiero dell’oggetto amato[56]. Il funzionamento di tale meccanismo risulta con particolare evidenza nella psicologia di Saint-Preux; per lui  l’ oggetto evocatore può essere un capo d’abbigliamento della donna amata, trovato nella sua camera quando lei è assente:

«Que ce mistérieux séjour est charmant? Tout y flate et nourrit l’ardeur qui me dévore. O Julie! Il est pleine de toi, et la flame de mes desirs s’y repand sur tous tes vestiges. Oui, tous mes sens y sont enivrés à la fois. Je ne sais quel parfum presque insensible, plus doux que la rose, et plus léger que l’iris s’exhales de toutes parts. J’y crois entendre le son flateur de ta voix. Toutes les parties de ton habillement éparses présentent à mon ardente imagination celle de toi-même qu’elles recellent».[57]

Può essere anche un luogo, come una camera d’albergo:

«En entrant dans la chambre qui m’étoit destiné, je la reconnu pour la même que j’avois occupé autrefois en allant à Sion. A cet aspect, je sentis une impression que j’aurois peine à vous rendre. J’en fus si vivement frappé que je crus redevenir à l’instant tout ce que j’étois alors : dix années s’effacerent de ma vie et tous mes malheurs furent oubliés».[58]

            In tutti questi casi emerge come l’immaginazione sia strettamente legata alla memoria, ed in particolar modo alla memoria affettiva, che fa riaffiorare il passato attraverso l’impatto imprevedibile e violento con un segno rammemorativo. Proprio la memoria affettiva è, insieme all’immaginazione, una delle radici inestirpabili dell’amore di Saint-Preux e Julie.

            È, ancora una volta, Wolmar a rendersi conto di come l’involontaria permanenza dell’amore sia da attribuire essenzialmente proprio alla memoria del passato. Bisogna dunque cancellare la memoria stessa, opponendo ad essa la realtà del presente: Saint-Preux è infatti innamorato di Julie d’Étange, fanciulla e amante, non di Julie de Wolmar, donna e madre. Quest’ultima immagine dovrebbe finire, nelle intenzioni di Wolmar, con il sovrapporsi alla prima sino ad offuscarla e soffocarla, spegnendo così definitivamente la fiamma dell’amore:

«Pour votre ami, qui bien que vertueux s’effraye moins des sentimens qui lui restent, je lui vois ancore tous ceux qu’il eut dans sa premiere jeunesse; mais je les vois sans avoir droit de m’en offenser. Ce n’est pas de Julie de Wolmar qu’il est amoreux, c’est de Julie d’Etange; il ne me hait point comme le possesseur de la persone qu’il aime, mais comme le ravisseur de celle qu’il a aimée. La femme d’un autre n’est point sa maitresse, la mere de deux enfans n’est plus son ancienne écoliere. Il est vrai qu’elle lui ressemble beaucoup et qu’elle lui en reppelle souvent le souvenir. Il aime dans le tems passé: voila le vrai mot de l’énigme. Otez-lui la memoire, il n’aura plus d’amour» [59].

            In realtà, non solo Wolmar non riuscirà a sopprimere la memoria, ma finirà con il rafforzarla ulteriormente: Julie de Wolmar non sarà per Saint-Preux altro che un segno rammemorativo di Julie d’Étange, e la passione amorosa si risveglierà inesorabilmente attraverso la nuova frequentazione dei due amanti. Momento emblematico di questa crisi, dove si vede con chiarezza che la passione può essere solo rimossa, ma mai estirpata, è la passeggiata sul lago di Meillerie[60], dove Saint-Preux avverte con violenza l’inaccessibilità dell’oggetto amato così vicino. La stessa crisi si ritrova nella figura di Julie, la quale, pur senza mai rinnegare la propria scelta morale nei confronti dell’amore coniugale, ne denuncia i paradossali limiti:

«Je ne vois partout que sujets de contentement et je ne suis pas contente; une langueur secrète s’insinue au fond de mon coeur; je le sens vide et gonflé, comme vous disiez autrefois du vôtre; l’attachement que j’ai pour tout ce qui m’est cher ne suffit pas pour l’occuper; il lui reste une force inutile dont il ne sait que faire. Cette peine est bizarre, j’en conviens, mais elle n’est pas moins réelle. Mon ami, je suis trop heureuse; le bonheur m’ennuie»[61].

            Emerge così la nostalgia per ciò che e stato sacrificato e che, seppure spesso nascostamente, turba e inquina una felicità ormai statica e imperfetta, priva di quella fondamentale fonte di energia che è appunto l’immaginazione. È proprio quest’ultima facoltà a separare con nettezza l’amour-passion dall’amour-conjugale. Come osserva Elena Pulcini, «a causa della sua natura immaginaria, la passione amorosa è […] fatalmente destinata a spegnersi nel tempo. È questo, essenzialmente, che la rende incompatibile con l’istituzione matrimoniale»[62].               

            Il vero bonheur, così, non si potrà trovare che nelle illusioni e nei sogni che popolano il  “paese delle chimere”, il luogo creato dell’eterna fiamma dell’immaginazione, che trova nelle parole di Julie una celebre esaltazione: «le pays des chimeres est en ce monde le seul digne d’être habité, et tel est le néant des choses humaines, qu’hors l’être existant par lui-même, il n’y a rien de beau que ce qui n’est pas»[63].

 

 

5.         L’ ILLUSIONE

L’illusione e le chimere non sono, nel pensiero di Rousseau, un semplice ripiego adottato per contrastare l’incapacità di affrontare la realtà, ma devono essere considerate nella loro più profonda essenza di slancio vitale che si alimenta dell’immaginazione e che dilata in maniera inaspettata i confini dell’Io.

            L’amore tra Julie e Saint-Preux è infatti, in ultima analisi, basato sulla felicità della speranza, del sogno, dell’illusione[64]: è la felicità dell’attesa e del desiderio, che basta a se stessa e si riassume nella dimensione squisitamente inquieta di “ciò che ancora non è”: 

«Dans le règne des passions elles aident à supporter les tourments qu’elles donnent; elles tiennent l’espérance à côte du désir. Tant qu’on désire on peut se passer d’être heureux ; on s’attend à le devenir: si le bonheur ne vient point, l’espoir se prolonge, et le charme de l’illusion dure autant que la passion qui la cause. Ainsi cet état se suffit à lui-même, et l’inquiétude qu’il donne est une sorte de jouissance qui supplée à la réalité, qui vaut mieux peut-être. Malheur à qui n’a plus rien à désirer! Il perd pour ainsi dire tout ce qu’il possède. On jouit moins de ce qu’on obtient que de ce qu’on espère et l’on n’est heureux qu’avant d’être heureux» [65].

            Questa stessa concezione si ritrova nelle parole di Saint -Preux: «Helas! J’étois hereux dans mes chimeres: mon bonheur fuit avec elles; que vais-je être en réalité?» [66]. O, nuovamente, in quelle della fanciulla: «O douces illusions! ô chimeres, dernieres resources des malheureux! Ah, s’il ne peut, tenez-nous lieu de la realité! Vous êtes quelque chose encore à ceux pour qui le bonheur n’est plus rien»[67].

            In definitiva, dunque, è possibile vivere a pieno la passione amorosa esclusivamente nel mondo dell’immaginazione e delle chimere: solo attraverso questa rinuncia alla realtà, paradossalmente, si può sottrarre la passione stessa alle inesorabili e crudeli leggi del divenire ed è possibile preservare il desiderio e il bonheur dalla loro inesorabile fine.

  L’immaginario e l’illusorio assumono così una innegabile dimensione di “realtà”: infatti, se è vero –  in definitiva –  che il  pays des chimères è irreale, è altrettanto vero che tutti i sogni ideali sono irreali, ma insieme costruttivi e assolutamente necessari come archetipi e modelli per l’agire umano. Saint-Preux, ad esempio, resterà sempre fedele all’immagine della donna amata (esemplificativo è l’episodio del quadro che ritrae Julie[68]) a tal punto da rifiutare di aprirsi ad una nuova dimensione sposando, come sarebbe nelle intenzioni della stessa Julie, Claire.

            La passione amorosa dunque, proprio in quanto basata sul potere dell’immaginazione e  dell’illusione, mantiene integra la propria forza e non può essere annientata o sacrificata, neppure a vantaggio della virtù. È Julie morente a riconoscere l’ impossibilità di conciliare le due dimensioni, quella amorosa e quella etica, alle quali non solo non vuole, ma non può rinunciare:

 «Je me suis longtemps fait illusion. Cette illusion me fut salutaire; elle se détruit au moment que je n’en ai plus besoin. Vous m’avez crue guérie, et j’ai crû l’être. Rendons grace à celui qui fit durer cette erreur autant qu’elle étoit utile; qui sait si me voyant si près de l’abîme, la tête ne m’eut point tourné ? Oui, j’eus beau vouloir étouffer le premier sentiment qui m’ai fait vivre, il s’est concentré dans mon cœur. Il s’y réveille au moment qu’il n’est plus à craindre; il me soutient quand mes forces m’abandonnent; il me ranime quand je me meurs. Mon ami, je fais cet aveu sans honte; ce sentiment resté malgré moi fut involontaire, il n’a rien coûté à mon innocence. […] J’ai fait ce que j’ai dû faire; la vertu me reste sans tache, et l’amour m’est resté sans remords» [69].

            Solo sottraendosi alla vita Julie può salvare in qualche modo entrambe le dimensioni, pur riconoscendone l’inevitabile conflittualità[70]. Tale conflittualità si ripercuote inevitabilmente sull’Io, mettendone in luce la complessità e le incongruenze. Tuttavia, la presa di coscienza della propria ambivalenza e dell’impossibilità di risolvere il conflitto è  priva di angoscia e disperazione e la  morte di Julie è una morte dolce[71]. Ella, pur riconoscendo i propri errori, sa di non essere mai caduta nel crimine del méchant, e si congeda da coloro che ama nella speranza che sia possibile per loro, proprio nella memoria della sua scomparsa, realizzare una duratura comunione affettiva nella quale raggiungere finalmente il bonheur. 

 

 

6.         CONCLUSIONE

La Nouvelle Héloïse, in conclusione, si rivela un’opera estremamente feconda ed utile per comprendere la complessità di un autore quale Rousseau. Il valore di tale romanzo, che mette in luce come la passione amorosa -nelle sue diverse declinazioni[72]- sia al tempo stesso un principio esplicativo dell’essere intimo dell’individuo e del suo comportamento all’interno della società, non va ricercato (come del resto in tutta la produzione rousseauiana) a un livello di idee chiare e distinte, ma a un livello meno esplicito e più profondo.

            Ben lontano dall’ingenuo ottimismo in cui a volte è stato ingiustamente rinchiuso il suo pensiero, Rousseau assume a pieno nella Nouvelle Héloïse la fragilità e la faiblesse umana e mette in luce come non esistano nell’ambito della complessa esistenza dell’individuo risposte certe o compiute. La debolezza umana, tuttavia, non è condannata, ma diventa il vero punto di partenza per la ricerca di quella libertà e di quel bonheur che rendono l’esistenza umana degna di essere vissuta.

            Per questi motivi, la storia di Julie e Saint-Preux non è semplicemente il racconto di un amore infelice e tragico, ma diventa emblema della condizione umana, della quale ci aiuta a comprendere più cose. Mette in luce come il puro amore sia e debba essere immaginario e irreale, in quanto non può sussistere se non attraverso il distacco e la lontananza. Solo rendendosi conto che esiste una forma di felicità superiore alla felicità dell’amore vissuto, la passione potrà superare lo scorrere del tempo e immobilizzarsi in un assoluto preservato dal passato e dal futuro.

            Ciò, tuttavia, non sarà mai pienamente realizzabile: infatti, per quanto l’uomo potrà ingannare se stesso e per quanto queste menzogne potranno sostenerlo nella strada che conduce alla virtù, non riuscirà mai a cancellare o a rimuovere, nel profondo del suo cuore, la conflittuale contraddizione tra il desiderio dell’amore (la passione) e il desiderio dell’eternità dell’amore stesso (la virtù).

            Proprio questa esplorazione inesausta e sistematica del mondo più intimo conduce, nella Nouvelle Héloïse, alla scoperta del più profondo io - caratterizzato da esigenze e pulsioni contrastanti - e alla delineazione di un soggetto ambivalente e complesso che testimonia, a distanza di quasi tre secoli, la sconcertante e preziosa attualità del pensiero rousseauiano.



[1] B. Guyon, Introductions, in J.-J. Rousseau, O.C. II, p. XVIII.

Tutte le citazioni delle opere di Rousseau rimandano all’edizione Œuvres complètes, curatori generali Bernard Gagnebin e Marcel Raymond, Gallimard, Paris 1959-1995, 5 voll. [Edizione abbreviata come O.C. seguita dal numero romano indicante il volume]:

vol. I, Confessions. Autres textes autobiographiques, a cura di B. Gagnebin, R. Osmont e M. Raymond;

vol. II, La nouvelle Héloïse. Théâtre. Essais littéraires, a cura di H. Coulet, B. Guyon, C. Guyot  e J. Scherer;

vol. III, Contrat social. Écrits politiques, a cura di F. Bouchardy, J.-D. Candaux, R. Derathé, J. Fabre, J. Starobinski e S. Stelling-Michaud;

vol. IV, Èmile, Education, Morale, Botanique, a cura di P. Burgelin, H. Gouhier, J. S. Spink, R. de Vilmorin e  C. Wirz;

vol. V, Écrits sur la musique, la langue et le théâtre, a cura di S. Baud-Bovy, B. Boccadoro, X. Bouvier, M.-É. Duchez, J.-J. Eigeldinger, S. Kleinman, O. Pot, J. Rousset, P. Speziali, J. Starobinski, C. Wirz e A. Wyss.

Per quanto riguarda l’ortografia e la punteggiatura del testo francese, sovente scorrette rispetto alla norma attuale e difformi da un luogo all’altro, sono state mantenute ovunque nelle citazioni per fedeltà all’originale.

[2] J.-J. Rousseau, Discours sur les sciences et les arts,  O.C., III, p. 9. Al di là della provocatoria aggressività e del gusto del paradosso, è evidente che Rousseau non intende contestare il valore in sé delle conquiste scientifiche o delle creazioni dell’arte, bensì porre in luce l’utilizzazione nefasta che di loro si è fatta nel corso della storia umana. In tale processo, a ciascun avanzamento in una direzione corrisponde una perdita in un’altra: il progresso non è semplice ed univoco, ma complesso e spesso tragico.

[3] Il proprio contraddittorio rapporto con la letteratura è analizzato con lucidità da Jean-Jacques proprio nella prefazione ad un’opera letteraria, la commedia Narcisse: «Il est vrai qu’on pourra dire quelque jour : cet ennemi si déclaré des sciences et des arts, fit pourtant et publia des Pièces de Théâtre; et ce discours sera, je l’avoue, une satyre très-amére, non de moi, mais de mon siécle». J.-J. Rousseau, Narcisse, Préface, O.C, II, p. 974.

[4] T. Todorov, Frêle bonheur. Essai sur Rousseau, Hachette, Paris, 1985; trad. it. di Laura Xella, Se, Milano, 2002, p. 13.

[5] F. Diaz, Rousseau e la storia del suo tempo (intervento a conclusione dei lavori), in Rousseau secondo Jean-Jacques, convegno tenuto a Roma, Université de Genève, Istituto della Enciclopedia Italiana, Firenze, 1979, p. 130.

[6] B. Guyon, Introductions, in J.-J. Rousseau, O.C. II, p. XVIII.

[7] E. Cassirer, Das Problem Jean-Jacques Rousseau, in «Archiv für Geschichte der Philosophie»,  XLI, 1932, ristampa Wissenschaftliche Buchgesellschft, Darmstadt, 1970, p. 5; trad. it. Il problema Gian Giacomo Rousseau, La Nuova Italia, Firenze, 1948, p. 14. 

[8] J.-J. Rousseau, Confessions, IX, O.C., I, p. 428.

[9] Per i riferimenti biografici ci si è serviti essenzialmente della Chronologie de Jean-Jacques Rousseau, stabilita da  Anne-Marie Pfister sulla base di quella pubblicata da L.-J. Courtois in «Annales Jean-Jacques Rousseau», A. Jullien, Genève, XV, 1923, pp. 1-240. Tale cronologia è edita nel primo volume di J.-J. Rousseau, O.C., pp. CI-CXVIII.

[10] Cfr. in particolar modo il nono libro, O.C., I, pp. 401-488.

[11] «Je trouvais dans Therese le supplement dont j’avois besoin». J.-J. Rousseau, Confessions, VII, O.C., I,  p. 332.

[12] In Rousseau si può parlare di un vero e proprio “dramma del tempo”, che scaturisce dall’intrinseca inarrestabilità ed inafferrabilità del tempo stesso: «tout est dans un flux continuel sur la terre: rien n’y garde une forme constante et arrêtée, et nos affections qui s’attachent aux choses extérieures passent et changent necessairement comme elles. Toujours en avant ou en arriére de nous, elles rapellent le passé qui n’est plus ou previennent l’avenir qui souvent ne doit point être: il n’y a rien là de solide à quoi le coeur se puisse attacher». J.-J. Rousseau, Rêveries, V, O.C., I,  p. 1046 Il “dramma del tempo” è illustrato, in maniera pressoché analoga, all’inizio della nona promenade; cfr. Rêveries, IX, O.C., I,  p. 1085.

[13] J.-J. Rousseau, Confessions, IX, O.C., I, p. 426.

[14] J.-J. Rousseau, Confessions, IX, O.C., I, p. 427.

[15] J.-J. Rousseau, Confessions, IX, O.C., I, p. 430.

[16] E. Pulcini, J.-J. Rousseau: l’immaginario e la morale, in J.-J. Rousseau, Giulia o la nuova Eloisa, a cura di Elena Pulcini, Rizzoli, Milano, 1992, pp. VI-VII.

[17] A titolo esemplificativo cfr. R. Osmont, Remarques sur la genèse et la composition de“La Nouvelle Héloïse , in «Annales Jean-Jacques Rousseau», A. Jullien, Genève, XXXIII, 1953-1955, pp. 93-148 ; B. Guyon, Introductions, in J.-J. Rousseau, O.C. II, pp. XLIII-XLV (paragrafo La“Julie ” en quatre parties).

[18] La problematica di un amore contraccambiato che è ostacolato dalle differenti posizioni sociali era già stato affrontato da Rousseau in un’opera giovanile, l’incompiuta tragedia di ispirazione ovidiana Iphis, che racconta di come a Cipro un giovane di origini modeste, il protagonista Iphis, si innamora della principessa Anaxarète. Cfr. J.-J. Rousseau, Iphis, O.C., II, pp. 797-809.  

[19] J.-J. Rousseau, Confessions, IX, O.C., I, p. 435.

[20] H. Coulet, voce «Julie ou la Nouvelle Héloïse», in Dictionnaire de Jean-Jacques Rousseau, a cura di R. Trousson e F. Eigeldinger, Paris, Champion, 2001, p. 468.

[21] Il debole (faible) si distingue dal malvagio (méchant) poiché impedisce che la sua natura profonda si corrompa: «hébien, nous serons coupables, mais nous ne serons point méchans; nous serons coupables, mais nous aimerons toujours la vertu». J.-J. Rousseau, Julie ou la Nouvelle Héloïse (III, 16), O.C., II, p. 338.