Giordano Bruno

A cura di

De l'infinito, universo e mondi

 

Epistola proemiale

1 PROEMIALE EPISTOLA, SCRITTA ALL'ILLUSTRISSIMO SIGNOR MICHEL DI CASTELNOVO.

Signor di Mauvissiero, Concressalto e di Ionvilla, Cavallier de l'ordine del Re Cristianissimo, Conseglier del suo privato Conseglio, Capitano di 50 uomini d'arme ed Ambasciator alla Serenissima Regina d'Inghilterra.
2
Se io, illustrissimo Cavalliero, contrattasse l'aratro, pascesse un gregge, coltivasse un orto, rassettasse un vestimento, nessuno mi guardarebbe, pochi m'osservarebono, da rari sarei ripreso e facilmente potrei piacere a tutti. Ma per essere delineatore del campo de la natura, sollecito circa la pastura de l'alma, vago de la coltura de l'ingegno e dedalo circa gli abiti de l'intelletto, ecco che chi adocchiato me minaccia, chi osservato m'assale, chi giunto mi morde, chi compreso mi vora; non è uno, non son pochi, son molti, son quasi tutti. Se volete intendere onde sia questo, vi dico che la caggione è l'universitade che mi dispiace, il volgo ch'odio, la moltitudine che non mi contenta, una che m'innamora: quella per cui son libero in suggezione, contento in pena, ricco ne la necessitade e vivo ne la morte; quella per cui non invidio a quei che son servi nella libertà, han pena nei piaceri, son poveri ne le ricchezze e morti ne la vita, perché nel corpo han la catena che le stringe, nel spirto l'inferno che le deprime, ne l'alma l'errore che le ammala, ne la mente il letargo che le uccide; non essendo magnanimità che le delibere, non longanimità che le inalze, non splendor che le illustre, non scienza che le avvive. Indi accade che non ritrao, come lasso, il piede da l'arduo camino; né, come desidioso, dismetto le braccia da l'opra che si presenta; né, qual disperato, volgo le spalli al nemico che mi contrasta; né, come abbagliato, diverto gli occhi dal divino oggetto; mentre, per il più, mi sento riputato sofista, più studioso d'apparir sottile che di esser verace; ambizioso, che più studia di suscitar nova e falsa setta che di confirmar l'antica e vera; ucellatore, che va procacciando splendor di gloria con porre avanti le tenebre d'errori; spirto inquieto, che subverte gli edificii de buone discipline e si fa fondator di machine di perversitade. Cossì, Signor, gli santi numi disperdano da me que' tutti che ingiustamente m'odiano, cossì mi sia propicio sempre il mio Dio, cossì favorevoli mi sieno tutti governatori del nostro mondo, cossì gli astri mi faccian tale il seme al campo ed il campo al seme ch'appaia al mondo utile e glorioso frutto del mio lavoro con risvegliar il spirto ed aprir il sentimento a quei che son privi di lume: come io certissimamente non fingo e, se erro, non credo veramente errare e, parlando e scrivendo, non disputo per amor de la vittoria per se stessa (perché ogni riputazione e vittoria stimo nemica a Dio, vilissima e senza punto di onore, dove non è la verità), ma per amor della vera sapienza e studio della vera contemplazione m'affatico, mi crucio, mi tormento. Questo manifestaranno gli argumenti demostrativi, che pendeno da vivaci raggioni, che derivano da regolato senso, che viene informato da non false specie che, come veraci ambasciatrici, si spiccano da gli suggetti de la natura, facendosi presenti a quei che le cercano, aperte a quei che le rimirano, chiare a chi le apprende, certe a chi le comprende. Or ecco, vi porgo la mia contemplazione circa l'infinito, universo e mondi innumerabili.
3
Argomento del primo dialogo. Avete dunque nel primo dialogo prima, che l'inconstanza del senso mostra che quello non è principio di certezza e non fa quella se non per certa comparazione e conferenza d'un sensibile a l'altro ed un senso a l'altro; e s'inferisce come la verità sia in diversi soggetti.
4
Secondo, si comincia a dimostrar l'infinitudine de l'universo, e si porta il primo argumento tolto da quel, che non si sa finire il mondo da quei che con l'opra de la fantasia vogliono fabricargli le muraglia. Terzo, da che è inconveniente dire che il mondo sia finito e che sia in se stesso, perché questo conviene al solo immenso, si prende il secondo argumento. Appresso si prende il terzo argumento dall'inconveniente ed impossibile imaginazione del mondo come sia in nessun loco, perché ad ogni modo seguitarrebe che non abbia essere, atteso che ogni cosa, o corporale o incorporal che sia, o corporale- o incorporalmente, è il loco. Il quarto argumento si toglie da una demostrazione o questione molto urgente che fanno gli epicurei:
Nimirum si iam finitum constituatur
omne quod est spacium, si quis procurrat ad oras
Ultimus extremas iaciatque volatile telum,
Invalidis utrum contortum viribus ire
Quo fuerit missum mavis longeque volare,
An prohibere aliquid censes obstareque posse?
Nam sive est aliquid quod prohibeat officiatque,
Quominu' quo missum est veniat finique locet se,
Sive foras fertur, non est ea fini profecto.

5
Quinto, da che la definizion del loco che poneva Aristotele non conviene al primo, massimo e comunissimo loco, e che non val prendere la superficie prossima ed immediata al contenuto, ed altre levitadi che fanno il loco cosa matematica e non fisica; lascio che tra la superficie del continente e contenuto che si muove entro quella, sempre è necessario spacio tramezante a cui conviene più tosto esser loco; e se vogliamo del spacio prendere la sola superficie, bisogna che si vada cercando in infinito un loco finito. Sesto, da che non si può fuggir il vacuo ponendo il mondo finito, se vacuo è quello nel quale è niente.
6
Settimo, da che, sicome questo spacio nel quale è questo mondo, se questo mondo non vi si trovasse, se intenderebbe vacuo; cossì dove non è questo mondo, se v'intende vacuo. Citra il mondo, dunque, è indifferente questo spacio da quello: dunque, l'attitudine ch'ha questo, ha quello; dunque, ha l'atto, perché nessuna attitudine è eterna senz'atto; e però eviternamente ha l'atto gionto; anzi essalei è atto, perché nell'eterno non è differente l'essere e posser essere.
7
Ottavo, da quel che nessun senso nega l'infinito, atteso che non lo possiamo negare per questo, che non lo comprendiamo col senso; ma da quel, che il senso viene compreso da quello e la raggione viene a confirmarlo lo doviamo ponere. Anzi se oltre ben consideriamo, il senso lo pone infinito; perché sempre veggiamo cosa compresa da cosa, e mai sentiamo, né con esterno né con interno senso, cosa non compresa da altra o simile.
Ante oculos etenim rem res finire videtur:
Aer dissepit colleis atque aera montes,
Terra mare et contra mare terras terminat omneis:
Omne quidem vero nihil est quod finiat extra.
Usque adeo passim patet ingens copia rebus,
Finibus exemptis, in cunctas undique parteis.

8
Per quel dunque, che veggiamo, più tosto doviamo argumentar infinito, perché non ne occorre cosa che non sia terminata ad altro e nessuna esperimentiamo che sia terminata da se stessa. Nono, da che non si può negare il spacio infinito se non con la voce, come fanno gli pertinaci, avendo considerato che il resto del spacio, dove non è mondo e che si chiama vacuo o si finge etiam niente, non si può intendere senza attitudine a contenere non minor di questa che contiene. Decimo, da quel che, sicome è bene che sia questo mondo, non è men bene che sia ciascuno de infiniti altri. Undecimo, da che la bontà di questo mondo non è comunicabile ad altro mondo che esser possa, come il mio essere non è comunicabile al di questo e quello. Duodecimo, da che non è raggione né senso che, come si pone un infinito individuo, semplicissimo e complicante, non permetta che sia un infinito corporeo ed esplicato. Terzodecimo, da che questo spacio del mondo che a noi par tanto grande, non è parte e non è tutto a riguardo dell'infinito, e non può esser suggetto de infinita operazione, ed a quella è un non ente quello che dalla nostra imbecillità si può comprendere, e si risponde a certa instanza, che noi non ponemo l'infinito per la dignità del spacio, ma per la dignità de le nature; perché per la raggione, da la quale è questo, deve essere ogni altro che può essere, la cui potenza non è attuata per l'essere di questo, come la potenza de l'essere di Elpino non è attuata per l'atto dell'essere di Fracastorio. Quartodecimo da che, se la potenza infinita attiva attua l'esser corporale e dimensionale, questo deve necessariamente essere infinito; altrimente si deroga alla natura e dignitade di chi può fare e di chi può essere fatto. Quintodecimo, da quel, che questo universo conceputo volgarmente non si può dir che comprende la perfezion di tutte cose altrimente che come io comprendo la perfezione di tutti gli miei membri e ciascun globo tutto quello che è in esso: come è dire, ognuno è ricco a cui non manca nulla di quel ch'ha. Sestodecimo, da quel, che in ogni modo l'efficiente infinito sarrebe deficiente senza l'effetto e non possiamo capir che tale effetto solo sia lui medesimo. Al che si aggiunge che per questo, se fusse o se è, niente si toglie di quel che deve essere in quello che è veramente effetto, dove gli teologi nominano azione ad extra e transeunte, oltre la immanente; perché cossì conviene che sia infinita l'una come l'altra.
9
Decimo settimo, da quel, che, dicendo il mondo interminato, nel modo nostro séguita quiete nell'intelletto, e dal contrario sempre innumerabilmente difficultadi ed inconvenienti. Oltre, si replica quel ch'è detto nel secondo e terzo. Decimo ottavo, da quel che, se il mondo è sferico, è figurato, è terminato, e quel termine che è oltre questo terminato e figurato (ancor che ti piaccia chiamarlo niente), è anco figurato di sorte che il suo concavo è gionto al di costui convesso; perché onde comincia quel tuo niente è una concavità indifferente almeno dalla convessitudinale superficie di questo mondo. Decimo nono, s'aggiunge a quel che è stato detto nel secondo. Ventesimo, si replica quello che è stato detto nel decimo.
10
Nella seconda parte di questo dialogo, quello ch'è dimostrato per la potenza passiva de l'universo, si mostra per l'attiva potenza de l'efficiente, con più raggioni: de le quali la prima si toglie da quel, che la divina efficacia non deve essere ociosa; e tanto più ponendo effetto extra la propria sustanza (se pur cosa gli può esser extra), e che non meno è ociosa ed invidiosa producendo effetto finito che producendo nulla. La seconda da la prattica, perché per il contrario si toglie la raggione della bontade e grandezza divina, e da questo non séguita inconveniente alcuno contra qualsivoglia legge e sustanza di teologia. La terza è conversiva con la duodecima de la prima parte; e si apporta la differenza tra il tutto infinito e totalmente infinito. La quarta, da che non meno per non volere che per non possere la omnipotenza vien biasimata d'aver fatto il mondo finito e di essere agente infinito circa suggetto finito. La quinta induce che, se non fa il mondo infinito, non lo può fare; e se non ha potenza di farlo infinito, non può aver vigore di conservarlo in infinito; e che, se lui secondo una raggione è finito, viene ad essere finito secondo tutte le raggioni, perché in lui ogni modo è cosa, e ogni cosa e modo è uno e medesimo con l'altra e l'altro. La sesta è conversiva de la decima de la prima parte. E s'apporta la causa per la quale gli teologi defendeno il contrario non senza espediente raggione, e de l'amicizia tra questi dotti e gli dotti filosofi.
11
La settima, dal proponere la raggione che distingue la potenza attiva da l'azioni diverse, e sciorre tale argumento. Oltre, si mostra la potenza infinita intensiva-ed estensivamente più altamente che la comunità di teologi abbia giamai fatto. La ottava, da onde si mostra che il moto di mondi infiniti non è da motore estrinseco ma da la propria anima, e come con tutto ciò sia un motore infinito. La nona, da che si mostra come il moto infinito intensivamente si verifica in ciascun de' mondi. Al che si deve aggiongere che da quel, che un mobile insieme insieme si muove ed è mosso, séguita che si possa vedere in ogni punto del circolo che fa col proprio centro; ed altre volte.sciorremo questa obiezione, quando sarà lecito d'apportar la dottrina più diffusa.
12
Argomento del secondo dialogo. Séguita la medesima conclusione il secondo dialogo. Ove, primo, apporta quattro raggioni, de quali la prima si prende da quel, che tutti gli attributi de la divinità sono come ciascuno. La seconda, da che la nostra imaginazione non deve posser stendersi più che la divina azione. La terza, da l'indifferenza de l'intelletto ed azion divina, e da che non meno intende infinito che finito. La quarta, da che, se la qualità corporale ha potenza infinita attiva, la qualità, dico, sensibile a noi, or che sarà di tutta che è in tutta la potenza attiva e passiva absoluta? Secondo, mostra da che cosa corporea non può esser finita da cosa incorporea, ma o da vacuo o da pieno; ed in ogni modo estra il mondo è spacio, il quale al fine non è altro che materia e l'istessa potenza passiva, dove la non invida ed ociosa potenza attiva deve farsi in atto. E si mostra la vanità dell'argomento d'Aristotele dalla incompossibilità delle dimensioni. Terzo, se insegna la differenza che è tra il mondo e l'universo, perché chi dice l'universo infinito uno, necessariamente distingue tra questi dui nomi. Quarto, si apportano le raggioni contrarie, per le quali si stima l'universo finito: dove Elpino referisce le sentenze tutte di Aristotele, e Filoteo le va essaminando. Quelle sono tolte altre dalla natura di corpi semplici, altre da la natura di corpi composti; e si mostra la vanità di sei argumenti presi dalla definizione de gli moti che non possono essere in infinito, e da altre simili proposizioni, le quali son senza proposito e supposito, come si vede per le nostre raggioni. Le quali più naturalmente faran vedere la raggione de le differenze e termino di moto, e, per quanto comporta l'occasione e loco, mostrano la più reale cognizione dell'appulso grave e lieve; perché per esse mostramo come il corpo infinito non è grave né lieve, e come il corpo finito riceve differenze tali, e come non. Ed indi si fa aperta la vanità de gli argomenti di Aristotele, il quale, argumentando contra quei che poneno il mondo infinito, suppone il mezzo e la circonferenza, e vuole che nel finito o infinito la terra ottegna il centro. In conclusione, non è proposito grande o picciolo che abbia amenato questo filosofo per destruggere l'infinità del mondo, tanto dal primo libro Del cielo e mondo quanto dal terzo De la fisica ascoltazione, circa il quale non si discorra assai più che a bastanza.
13
Argomento del terzo dialogo. Nel terzo dialogo primieramente si niega quella vil fantasia della figura, de le sfere e diversità di cieli; e s'affirma uno essere il cielo, che è uno spacio generale ch'abbraccia gl'infiniti mondi; benché non neghiamo più, anzi infiniti cieli, prendendo questa voce secondo altra significazione; per ciò che come questa terra ha il suo cielo, che è la sua regione nella quale si muove e per la quale discorre, cossì ciascuna di tutte l'altre innumerabili. Si manifesta onde sia accaduta la imaginazione di tali e tanti mobili deferenti e talmente figurati che abbiano due superficie esterne ed una cava interna; ed altre ricette e medicine che dànno nausea ed orrore agli medesimi che le ordinano e le esequiscono, e a que' miseri che se le inghiottiscono.
14
Secondo, si avertisce che il moto generale e quello de gli detti eccentrici e quanti possono riferirse al detto firmamento, tutti sono fantastici: che realmente pendeno da un moto che fa la terra con il suo centro per l'ecliptica e quattro altre differenze di moto che fa circa il centro de la propria mole. Onde resta, che il moto proprio di ciascuna stella si prende da la differenza che si può verificare suggettivamente in essa come mobile da per sé per il campo spacioso. La qual considerazione ne fa intendere, che tutte le raggioni del mobile e moto infinito son vane e fondate su l'ignoranza del moto di questo nostro globo. Terzo, si propone come non è stella che non si muova come questa ed altre che, per essere a noi vicine, ne fanno conoscere sensibilmente le differenze locali di moti loro; ma che altrimente se muoveno gli soli che son corpi dove predomina il foco, altrimente le terre ne le quali l'acqua è predominante; e quindi si manifesta onde proceda il lume che diffondeno le stelle, de quali altre luceno da per sé altre per altro.
15
Quarto, in qual maniera corpi distantissimi dal sole possano equalmente come gli più vicini partecipar il caldo; e si riprova la sentenza attribuita ad Epicuro, come che vuole un sole esser bastante all'infinito universo; e s'apporta la vera differenza tra quei astri che scintillano e quei che non. Quinto s'essamina la sentenza del Cusano circa la materia ed abitabilità di mondi e circa la raggion del lume. Sesto, come di corpi, benché altri sieno per sé lucidi e caldi, non per questo il sole luce al sole e la terra luce alla medesima terra ed acqua alla medesima acqua; ma sempre il lume procede dall'apposito astro, come sensibilmente veggiamo tutto il mar lucente da luoghi eminenti, come da monti; ed essendo noi nel mare, e quando siamo ne l'istesso campo, non veggiamo risplendere se non quanto a certa poca dimensione il lume del sole e della luna ne si oppone. Settimo, si discorre circa la vanità delle quinte essenze: e si dechiara che tutti corpi sensibili non sono altri e non costano d'altri prossimi e primi principii che questi, che non sono altrimente mobili tanto per retto quanto per circulare. Dove tutto si tratta con raggioni più accomodate al senso commune, mentre Fracastorio s'accomoda all'ingegno di Burchio; e si manifesta apertamente che non è accidente che si trova qua che non si presuppona là, come non è cosa che si vede di là da qua, la quale, se ben consideriamo, non si veda di qua da là; e conseguentemente, che quel bell'ordine e scala di natura è un gentil sogno ed una baia da vecchie ribambite. Ottavo, che, quantunque sia vera la distinzione de gli elementi, non è in nessun modo sensibile o intelligibile tal ordine di elementi quale volgarmente si pone; e secondo il medesimo Aristotele, gli quattro elementi sono equalmente parti o membri di questo globo, se non vogliamo dire che l'acqua eccede; onde degnamente gli astri son chiamati or acqua or fuoco tanto da veri naturali filosofi quanto da profeti divini e poeti; li quali, quanto a questo, non favoleggiano né metaforicheggiano, ma lasciano favoleggiare ed impuerire quest'altri sofossi. Cossì li mondi se intendeno essere questi corpi eterogenei, questi animali, questi grandi globi, dove non è la terra grave più che gli altri elementi, e le particelle tutte si muoveno e cangiano di loco e disposizione non altrimente che il sangue ed altri umori e spiriti e parte minime, che fluiscono, refluiscono, influiscono ed effluiscono in noi ed altri piccioli animali. A questo proposito s'amena la comparazione, per la quale si trova che la terra, per l'appulso al centro de la sua mole, non si trova più grave che altro corpo semplice che a tal composizion concorre; e che la terra da per sé non è grave né ascende né discende; e che l'acqua è quella che fa l'unione, densità, spessitudine e gravità.
16
Nono, da che è visto il famoso ordine de gli elementi vano, s'inferisce la raggione di questi corpi sensibili composti che, come tanti animali e mondi, sono nel spacioso campo che è l'aria o cielo o vacuo. Ove son tutti que' mondi che non meno contegnono animali ed abitatori che questo contener possa, atteso che non hanno minor virtù né altra natura. Decimo, dopo che è veduto come sogliano disputar gli pertinacemente additti ed ignoranti di prava disposizione, si fa oltre manifesto in che modo per il più delle volte sogliono conchiudere le disputazioni; benché altri sieno tanto circonspetti che, senza guastarsi punto, con un ghigno, con un risetto, con certa modesta malignità, quel che non vagliono aver provato con raggioni né lor medesimi possono donarsi ad intendere, con queste artecciuole di cortesi dispreggi, la ignoranza in ogni altro modo aperta vogliono non solo cuoprire, ma rigettarla al dorso dell'antigonista; perché non vegnono a disputar per trovare o cercar la verità, ma per la vittoria e parer più dotti e strenui defensori del contrario. E simili denno essere fuggiti da chi non ha buona corazza di pazienza.
17
Argumento del quarto dialogo. Nel seguente dialogo prima si replica quel ch'altre volte è detto, come sono infiniti gli mondi, come ciascun di quelli si muova e come sia formato. Secondo, nel modo con cui, nel secondo dialogo, si sciolsero le raggioni contra l'infinita mole o grandezza de l'universo, dopo che nel primo con molte raggioni fu determinato l'inmenso effetto dell'inmenso vigore e potenza; al presente, dopo che nel terzo dialogo è determinata l'infinita moltitudine de mondi, si scioglieno le molte raggioni d'Aristotele contro quella, benché altro significato abbia questa voce mondo appresso Aristotele, altro appresso Democrito, Epicuro ed altri.
18
Quello dal moto naturale e violento, e raggioni de l'uno e l'altro che son formate da lui, vuole che l'una terra si derrebe muovere a l'altra; e con risolvere queste persuasioni prima, si poneno fondamenti di non poca importanza per veder gli veri principii della natural filosofia. Secondo, si dechiara che, quantunque la superficie d'una terra fusse contigua a l'altra, non averrebe che le parti de l'una si potessero muovere a l'altra, intendendo de le parti eterogenee o dissimilari, non de gli atomi e corpi semplici; onde si prende lezione di meglio considerare circa la natura del grave e lieve. Terzo, per qual caggione questi gran corpi sieno stati disposti da la natura a tanta distanza, e non sieno più vicini gli uni e gli altri, di sorte che da l'uno si potesse far progresso a l'altro; e quindi, da chi profondamente vede, si prende raggione per cui non debbano esser mondi come nella circonferenza dell'etere, o vicini al vacuo tale in cui non sia potenza, virtù ed operazione; perché da un lato non potrebono prender vita e lume. Quarto, come la distanza locale muta la natura del corpo, e come non; ed onde sia che, posta una pietra equidistante da due terre, o si starebbe ferma, o determinarebbe di moversi più tosto a l'una che a l'altra. Quinto, quanto s'inganni Aristotele per quel che in corpi, quantunque distanti, intende appulso di gravità o levità de l'uno all'altro; ed onde proceda l'appetito di conservarsi nell'esser presente, quantunque ignobile, ne le cose: il quale appetito è causa della fuga e persecuzione. Sesto, che il moto retto non conviene né può esser naturale a la terra o altri corpi principali, ma a le parti di questi corpi che a essi da ogni differenza di loco, se non son molto discoste, si muoveno. Settimo, da le comete si prende argomento che non è vero che il grave, quantunque lontano, abbia appulso o moto al suo continente. La qual raggione corre non per gli veri fisici principii, ma dalle supposizioni della filosofia d'Aristotele, che le forma e compone da le parti che sono vapori ed exalazioni de la terra. Ottavo, a proposito d'un altro argomento, si mostra come gli corpi semplici, che sono di medesima specie in altri mondi innumerabili, medesimamente si muovano; e qualmente la diversità numerale pone diversità de luoghi, e ciascuna parte abbia il suo mezzo e si referisca al mezzo commune del tutto; il quale mezzo non deve essere cercato nell'universo. Nono, si determina che gli corpi e parti di quelli non hanno determinato su e giù, se non in quanto che il luogo della conversazione è qua o là. Decimo, come il moto sia infinito, e qual mobile tenda in infinito ed a composizioni innumerabili, e che non perciò séguita gravità o levità con velocità infinita; e che il moto de le parti prossime, in quanto che serbino il loro essere, non può essere infinito; e che l'appulso de parti al suo continente non può essere se non infra la regione di quello.
19
Argomento del quinto dialogo. Nel principio del quinto dialogo si presenta un dotato di più felice ingegno; il qual, quantunque nodrito in contraria dottrina, per aver potenza di giudicar sopra quello ch'ave udito e visto, può far differenza tra una ed un'altra disciplina, e facilmente si rimette e corregge. Si dice chi sieno quei a' quali Aristotele pare un miracolo di natura, atteso che coloro che malamente l'intendeno e hanno l'ingegno basso, magnificamente senteno di lui. Perché doviamo compatire a simili, e fuggir la lor disputazione, per ciò che con essi non vi è altro che da perdere.
20
Qua Albertino, nuovo interlocutore, apporta dodici argumenti, ne li quali consiste tutta la persuasione contraria alla pluralità e moltitudine di mondi. Il primo si prende da quel, che estra il mondo non s'intende loco né tempo né vacuo né corpo semplice, né composto. Il secondo, da l'unità del motore. Il terzo, da luoghi de corpi mobili. Il quarto, dalla distanza de gli orizonti dal mezzo. Il quinto, dalla contiguità de più mondi orbiculari. Il sesto, da spacii triangulari che causano con il suo contatto. Il settimo, dall'infinito in atto, che non è, e da un determinato numero, che non è più raggionevole che l'altro. Da la qual raggione noi possiamo non solo equalmente, ma e di gran vantaggio inferire, che per ciò il numero non deve essere determinato, ma infinito. L'ottavo, dalla determinazione di cose naturali e dalla potenza passiva de le cose, la quale alla divina efficacia ed attiva potenza non risponde. Ma qua è da considerare che è cosa inconvenientissima, che il primo ed altissimo sia simile ad uno ch'ha virtù di citarizare e, per difetto ci citara, non citareggia; e sia uno che può fare, ma non fa, perché quella cosa che può fare, non può esser fatta da lui. Il che pone una più che aperta contradizione, la quale non può essere non conosciuta, eccetto che da quei che conoscono niente. Il nono dalla bontà civile che consiste nella conversazione. Il decimo, da quel, che per la contiguità d'un mondo con l'altro séguita, che il moto de l'uno impedisca il moto de l'altro. L'undecimo, da quel, che, se questo mondo è compìto e perfetto, non è dovero che altro o altri se gli aggiunga o aggiungano.
21
Questi son que' dubii e motivi, nella soluzion delli quali consiste tanta dottrina, quanta sola basta a scuoprir gl'intimi e radicali errori de la filosofia volgare ed il pondo e momento de la nostra. Ecco qua la raggione, per cui non doviam temere che cosa alcuna diffluisca, che particolar veruno o si disperda o veramente inanisca o si diffonda in vacuo che lo dismembre in adni[c]hilazione. Ecco la raggion della mutazion vicissitudinale del tutto, per cui cosa non è di male da cui non s'esca, cosa non è di buono a cui non s'incorra, mentre per l'infinito campo, per la perpetua mutazione, tutta la sustanza persevera medesima ed una. Dalla qual contemplazione, se vi sarremo attenti, avverrà che nullo strano accidente ne dismetta per doglia o timore, e nessuna fortuna per piacere o speranza ne estoglia: onde aremo la via vera alla vera moralità, saremo magnanimi, spreggiatori di quel che fanciulleschi pensieri stimano; e verremo certamente più grandi che que' dei che il cieco volgo adora, perché dovenerremo veri contemplatori dell'istoria de la natura, la quale è scritta in noi medesimi, e regolati executori delle divine leggi, che nel centro del nostro core son inscolpite. Conosceremo che non è altro volare da qua al cielo che dal cielo qua, non altro ascendere da qua là che da là qua, né è altro descendere da l'uno a l'altro termine. Noi non siamo più circonferenziali a essi che essi a noi; loro non sono più centro a noi che noi a loro; non altrimente calcamo la stella e siamo compresi noi dal cielo, che essi loro.
22
Eccone, dunque, fuor d'invidia; eccone liberi da vana ansia e stolta cura di bramar lontano quel tanto bene che possedemo vicino e gionto. Eccone più liberi dal maggior timore che loro caschino sopra di noi, che messi in speranza che noi caschiamo sopra di loro; perché cossì infinito aria sustiene questo globo come quelli, cossì questo animale libero per il suo spacio discorre ed ottiene la sua reggione come ciascuno di quegli altri per il suo. Il che considerato e compreso che arremo, oh a quanto più considerare e comprendere ne diportaremo! Onde per mezzo di questa scienza otteneremo certo quel bene, che per l'altre vanamente si cerca.
23
Questa è quella filosofia che apre gli sensi, contenta il spirto, magnifica l'intelletto e riduce l'uomo alla vera beatitudine che può aver come uomo, e consistente in questa e tale composizione; perché lo libera dalla sollecita cura di piaceri e cieco sentimento di dolori, lo fa godere dell'esser presente, e non più temere che sperare del futuro; perché la providenza o fato o sorte, che dispone della vicissitudine del nostro essere particolare, non vuole né permette che più sappiamo dell'uno che ignoriamo dell'altro, alla prima vista e primo rancontro rendendoci dubii e perplessi. Ma mentre consideramo più profondamente l'essere e sustanza di quello in cui siamo inmutabili, trovaremo non esser morte, non solo per noi, ma né per veruna sustanza; mentre nulla sustanzialmente si sminuisce, ma tutto, per infinito spacio discorrendo, cangia il volto. E perché tutti soggiacemo ad ottimo efficiente, non doviamo credere, stimare e sperare altro, eccetto che come tutto è da buono; cossì tutto è buono, per buono ed a buono; da bene, per bene, a bene. Del che il contrario non appare se non a chi non apprende altro che l'esser presente, come la beltade dell'edificio non è manifesta a chi scorge una minima parte di quello, come un sasso, un cemento affisso, un mezzo parete; ma massime a colui che può vedere l'intiero e che ha facultà di far conferenza di parti a parti. Non temiamo che quello che è accumulato in questo mondo, per la veemenza di qualche spirito errante o per il sdegno di qualche fulmineo Giove, si disperga fuor di questa tomba o cupola del cielo, o si scuota ed emuisca come in polvere fuor di questo manto stellifero; e la natura de le cose non altrimente possa venire ad inanirsi in sustanza, che alla apparenza di nostri occhi quell'aria ch'era compreso entro la concavitade di una bolla, va in casso; perché ne è noto un mondo, in cui sempre cosa succede a cosa senza che sia ultimo profondo, da onde, come da la mano del fabro, irreparabilmente emuiscano in nulla. Non sono fini, termini, margini, muraglia che ne defrodino e suttragano la infinita copia de le cose. Indi feconda è la terra ed il suo mare; indi perpetuo è il vampo del sole, sumministrandosi eternamente esca a gli voraci fuochi ed umori a gli attenuati mari; perché dall'infinito sempre nova copia di materia sottonasce. Di maniera che megliormente intese Democrito ed Epicuro che vogliono tutto per infinito rinovarsi e restituirsi, che chi si forza di salvare eterno la costanza de l'universo, perché medesimo numero a medesimo numero sempre succeda e medesime parti di materia con le medesime sempre si convertano. Or provedete, signori astrologi, con li vostri pedissequi fisici, per que' vostri cerchi che vi discriveno le fantasiate nove sfere mobili; con le quali venete ad impriggionarvi il cervello di sorte che me vi presentate non altrimente che come tanti papagalli in gabbia, mentre raminghi vi veggio ir saltellando, versando e girando entro quelli. Conoscemo che sì grande imperatore non ha sedia sì angusta, sì misero solio, sì arto tribunale, sì poco numerosa corte, sì picciolo ed imbecille simulacro, che un fantasma parturisca, un sogno fracasse, una mania ripare, una chimera disperda, una sciagura sminuisca, un misfatto ne toglia, un pensiero ne restituisca; che con un soffio si colme e con un sorso si svode; ma è un grandissimo ritratto, mirabile imagine, figura eccelsa, vestigio altissimo, infinito ripresentante di ripresentato infinito, e spettacolo conveniente all'eccellenza ed eminenza di chi non può esser capito, compreso, appreso. Cossì si magnifica l'eccellenza de Dio, si manifesta la grandezza de l'imperio suo: non si glorifica in uno, ma in soli innumerabili: non in una terra, un mondo, ma in diececento mila, dico in infiniti. Di sorte che non è vana questa potenza d'intelletto, che sempre vuole e puote aggiungere spacio a spacio, mole a mole, unitade ad unitade, numero a numero, per quella scienza che ne discioglie da le catene di uno angustissimo, e ne promove alla libertà d'un augustissimo imperio, che ne toglie dall'opinata povertà ed angustia alle innumerevoli ricchezze di tanto spacio, di sì dignissimo campo, di tanti coltissimi mondi; e non fa che circolo d'orizonte, mentito da l'occhio in terra e finto da la fantasia nell'etere spacioso, ne possa impriggionare il spirto sotto la custodia d'un Plutone e la mercé d'un Giove. Siamo exempti da la cura d'un tanto ricco possessore e poi tanto parco, sordido ed avaro elargitore, e dalla nutritura di sì feconda e tuttipregnante e poi sì meschina e misera parturiscente natura.
24
Altri molti sono i degni ed onorati frutti che da questi arbori si raccoglieno, altre le messe preciose e desiderabili che da questo seme sparso riportar si possono. Le quali, per non più importunamente sollecitar la cieca invidia de gli nostri adversarii, non ameniamo a mente, ma lasciamo comprendere dal giudizio di quei che possono comprendere e giudicare. Li quali, da per se medesimi, potranno facilmente a questi posti fondamenti sopraedificar l'intiero edificio de la nostra filosofia; gii cui membri, se cossì piacerà a chi ne governa e muove, e se l'incominciata impresa non ne verrà interrotta, ridurremo alla tanto bramata perfezione, a fine che quello, che è seminato ne gli dialogi De la causa, principio ed uno, per altri germoglie, per altri cresca, per altri si mature, per altri, mediante una rara mietitura, ne addite e, per quanto è possibile, ne contente; mentre (avendolo sgombrato de le veccie, de gli lolii e de le raccolte zizanie) di frumento meglior che possa produr terreno de la nostra coltura, verremo ad colmar il magazzino de studiosi ingegni.
25
Tra tanto, benché son certo che non è bisogno de lo raccomandarvi, non lasciarò pure, per far parte del debito mio, di procurar che vi sia veramente raccomandato quello che non intrattenete tra vostri familiari come uomo di cui avete bisogno, ma come persona che ha bisogno di voi per tante e tante caggioni che vedete; considerando che, per aver appresso di voi tanti che vi serveno, non siete differente da plebei, borsieri e mercanti; ma, per aver alcunamente degno che da voi sia promosso, difeso ed aggiutato, sète, come sempre vi siete mostrato e fuste, conforme a' principi magnanimi, eroi e Dei, li quali hanno ordinati pari vostri per la difesa de gli loro amici. E vi ricordo quel che so che non bisogna ricordarvi: che non potrete al fine esser tanto stimato dal mondo e gratificato da Dio, per essere amato e rispettato da principi quantosivoglia grandi de la terra, quanto per amare, difendere e conservare un di simili. Perché non è cosa che quelli che con la fortuna vi son superiori, possono fare a voi che molti di lor superate con la virtude, che possa durare più che gli vostri pareti e tapezzarie; ma tal cosa voi possete fare ad altri, che facilmente vegna scritta nel libro dell'eternitade, o sia quello che si vede in terra o sia quell'altro che si crede in cielo: atteso che quanto che ricevete da altri, è testimonio de l'altrui virtute, ma il tanto che fate ad altro, è segno ed indizio espresso de la vostra. Vale.

Sonetto 1

1 Mio passar solitario, a quelle parti,
2
A quai drizzaste già l'alto pensiero,
3
Poggia infinito, poi che fia mestiero
4
A l'oggetto agguagliar l'industrie e l'arti.
5
Rinasci là; là su vogli' allevarti
6
Gli tuoi vaghi pulcini, omai ch'il fiero
7
Destin av'ispedito il corso intiero
8
Contra l'impresa, onde solea ritrarti.
9
Vanne da me, che più nobil ricetto
10
Bramo ti godi; e arrai per guida un dio,
11
Che da chi nulla vede è cieco detto.
12
Il ciel ti scampi, e ti sia sempre pio
13
Ogni nume di questo ampio architetto;
14
E non tornar a me, se non sei mio.

Sonetto 2

1 Uscito de priggione angusta e nera,
2
Ove tant'anni error stretto m'avinse,
3
Qua lascio la catena, che mi cinse
4
La man di mia nemica invid'e fera.
5
Presentarmi a la notte fosca sera
6
Oltre non mi potrà, perché chi vinse
7
Il gran Piton, e del suo sangue tinse
8
L'acqui del mar, ha spinta mia Megera.
9
A te mi volgo e assorgo, alma mia voce:
10
Ti ringrazio, mio sol, mia diva luce;
11
Ti consacro il mio cor, eccelsa mano,
12
Che m'avocaste da quel graffio atroce,
13
Ch'a meglior stanze a me ti festi duce,
14
Ch'il cor attrito mi rendeste sano.

Sonetto 3

1 E chi mi impenna, e chi mi scalda il core?
2
Chi non mi fa temer fortuna o morte?
3
Chi le catene ruppe e quelle porte,
4
Onde rari son sciolti ed escon fore?
5
L'etadi, gli anni, i mesi, i giorni e l'ore
6
Figlie ed armi del tempo, e quella corte
7
A cui né ferro, né diamante è forte,
8
Assicurato m'han dal suo furore.
9
Quindi l'ali sicure a l'aria porgo;
10
Né temo intoppo di cristallo o vetro,
11
Ma fendo i cieli e a l'infinito m'ergo.
12
E mentre dal mio globo a gli altri sorgo,
13
E per l'eterio campo oltre penetro:
14
Quel ch'altri lungi vede, lascio al tergo.

Dialogo 1

Interlocutori: Elpino, Filoteo, Fracastorio, Burchio.

1 \ ELP.\ Come è possibile che l'universo sia infinito?
2
\ FIL.\ Come è possibile che l'universo sia finito?
3
\ ELP.\ Volete voi che si possa dimostrar questa infinitudine?
4
\ FIL.\ Volete voi che si possa dimostrar questa finitudine?
5
\ ELP.\ Che dilatazione è questa?
6
\ FIL.\ Che margine è questa?
7
\ FRAC.\ Ad rem, ad rem, si iuvat; troppo a lungo ne avete tenuto suspesi.
8
\ BUR.\ Venite presto a qualche raggione, Filoteo, perché io mi prenderò spasso de ascoltar questa favola o fantasia.
9
\ FRAC.\ Modestius, Burchio: che dirai, se la verità ti convincesse al fine?
10
\ BUR.\ Questo ancor che sia vero, io non lo voglio credere; perché questo infinito non è possibile che possa esser capito dal mio capo, né digerito dal mio stomaco; benché, per dirla, pure vorrei che fusse cossì come dice Filoteo, perché se, per mala sorte, avenesse che io cascasse da questo mondo, sempre trovarei di paese.
11
\ ELP.\ Certo, o Filoteo, se noi vogliamo far il senso giudice o pur donargli quella prima che gli conviene per quel che ogni notizia prende origine da lui, trovaremo forse che non è facile di trovar mezzo per conchiudere quel che tu dici, più tosto che il contrario. Or, piacendovi, cominciate a farmi intendere.
12
\ FIL.\ Non è senso che vegga l'infinito, non è senso da cui si richieda questa conchiusione; perché l'infinito non può essere oggetto del senso; e però chi dimanda di conoscere questo per via di senso, è simile a colui che volesse veder con gli occhi la sustanza e l'essenza; e chi negasse per questo la cosa, perché non è sensibile o visibile, verebe a negar la propria sustanza ed essere. Però deve esser modo circa il dimandar testimonio del senso; a cui non doniamo luogo in altro che in cose sensibili, anco non senza suspizione, se non entra in giudizio gionto alla raggione. A l'intelletto conviene giudicare e render raggione de le cose absenti e divise per distanza di tempo ed intervallo di luoghi. Ed in questo assai ne basta ed assai sufficiente testimonio abbiamo dal senso per quel, che non è potente a contradirne e che oltre fa evidente e confessa la sua imbecillità ed insufficienza per l'apparenza de la finitudine che caggiona per il suo orizonte, in formar della quale ancora si vede quanto sia incostante. Or, come abbiamo per esperienza, che ne inganna nella superficie di questo globo in cui ne ritroviamo, molto maggiormente doviamo averlo suspetto quanto a quel termine che nella stellifera concavità ne fa comprendere.
13
\ ELP.\ A che dunque ne serveno gli sensi? Dite.
14
\ FIL.\ Ad eccitar la raggione solamente, ad accusare, ad indicare e testificare in parte, non a testificare in tutto, né meno a giudicare, né a condannare. Perché giamai, quantunque perfetti, son senza qualche perturbazione. Onde la verità, come da un debile principio, è da gli sensi in picciola parte, ma non è nelli sensi.
15
\ ELP.\ Dove dunque?
16
\ FIL.\ Ne l'oggetto sensibile come in un specchio, nella raggione per modo di argumentazione e discorso, nell'intelletto per modo di principio o di conclusione, nella mente in propria e viva forma.
17
\ ELP.\ Su dunque, fate vostre raggioni.
18
\ FIL.\ Cossì farò. Se il mondo è finito ed estra il mondo è nulla, vi dimando: ove è il mondo? ove è l'universo? Risponde Aristotele: è in se stesso. Il convesso del primo cielo è loco universale; e quello, come primo continente, non è in altro continente, perché il loco non è altro che superficie ed estremità di corpo continente; onde chi non ha corpo continente, non ha loco. - Or che vuoi dir tu, Aristotele, per questo, che "il luogo è in se stesso?", che mi conchiuderai per "cosa estra il mondo?". Se tu dici che non v'è nulla; il cielo, il mondo, certo, non sarà in parte alcuna;
-19
\ FRAC.\ Nullibi ergo erit mundis. Omne erit in nihilo.
20
\ FIL.\ - il mondo sarà qualcosa che non si trova. Se dici (come certo mi par che vogli dir qualche cosa, per fuggir il vacuo ed il niente) che estra il mondo è uno ente intellettuale e divino, di sorte che Dio venga ad esser luogo di tutte le cose, tu medesimo sarai molto impacciato per farne intendere come una cosa incorporea, intelligibile e senza dimensione possa esser luogo di cosa dimensionata. Che se dici quello comprendere come una forma ed al modo con cui l'anima comprende il corpo, non rispondi alla questione dell'estra ed alla dimanda di ciò che si trova oltre e fuor de l'universo. E se tu vuoi escusare con dire, che dove è nulla e dove non è cosa alcuna, non è anco luogo, non è oltre, né extra, per questo non mi contentarai; perché queste sono paroli ed iscuse che non possono entrare in pensiero. Perché è a fatto impossibile che con qualche senso o fantasia (anco se si ritrovassero altri sensi ed altre fantasie) possi farmi affirmare, con vera intenzione, che si trove tal superficie, tal margine, tal estremità, extra la quale non sia o corpo o vacuo: anco essendovi Dio, perché la divinità non è per impire il vacuo, e per conseguenza non è in raggione di quella, in modo alcuno, di terminare il corpo; perché tutto lo che se dice terminare, o è forma esteriore, o è corpo continente. Ed in tutti i modi che lo volessi dire, sareste stimato pregiudicatore alla dignità della natura divina ed universale.
21
\ BUR.\ Certo, credo che bisognarebe dire a costui che, se uno stendesse la mano oltre quel convesso, che quella non verrebe essere in loco, e non sarebe in parte alcuna, e per consequenza non arebe l'essere.
22
\ FIL.\ Giongo a questo qualmente non è ingegno che non concepa questo dire peripatetico come una implicata contradizione. Aristotele ha definito il loco, non come corpo continente, non come certo spacio, ma come una superficie di continente corpo; e poi il primo e principal e massimo luogo è quello a cui meno ed a fatto niente conviene tal diffinizione. Quello è la superficie convessa del primo cielo, la quale è superficie di corpo; e di tal corpo, il quale contiene solamente, e non è contenuto. Or a far che quella superficie sia luogo, non si richieda che sia di corpo contenuto, ma che sia di corpo continente. Se è superficie di corpo continente, e non è gionta e continuata a corpo contenuto, è un luogo senza locato; atteso che al primo cielo non conviene esser luogo, se non per la sua su[per]ficie concava, la qual tocca la convessa del secondo. Ecco, dunque, come quella definizione è vana e confusa ed interemptiva di se stessa. Alla qual confusione si viene per aver quell'inconveniente, che vuol che estra il cielo sia posto nulla.
23
\ ELP.\ Diranno i peripatetici che il primo cielo è corpo continente per la superficie concava, e non per la convessa; e, secondo quella, è luogo.
24
\ FRAC.\ Ed io soggiongo che dunque si trova superficie di corpo continente la quale non è loco.
25
\ FIL.\ In somma, per venir direttamente al proposito, mi par cosa ridicola il dire che estra il cielo sia nulla, e che il cielo sia in se stesso, e locato per accidente, e loco per accidente, idest per le sue parti. Ed intendasi quel che si voglia per il suo per accidente; che non può fuggir che non faccia de uno doi; perché sempre è altro ed altro quel che è continente e quel che è contenuto; e talmente altro ed altro che, secondo lui medesimo, il continente è incorporeo ed il contenuto è corpo; il continente è inmobile, il contenuto è mobile; il continente matematico, il contenuto fisico. Or sia che si voglia di quella superficie, constantemente dimandarò: che cosa è oltre quella? Se si risponde che è nulla, questo dirò io esser vacuo, essere inane; e tal vacuo e tal inane che non ha modo, né termine alcuno olteriore; terminato però citeriormente. E questo è più difficile ad imaginare, che il pensar l'universo essere infinito ed immenso. Perché non possiamo fuggire il vacuo, se vogliamo ponere l'universo finito. Veggiamo adesso, se conviene che sia tal spacio in cui sia nulla. In questo spacio infinito si trova questo universo (o sia per caso o per necessità o per providenza, per ora non me ne impaccio). Dimando se questo spacio che contiene il mondo, ha maggiore aptitudine di contenere un mondo, che altro spacio che sia oltre.
26
\ FRAC.\ Certo mi par che non; perché dove è nulla, non è differenza alcuna; dove non è differenza, non è altra ed altra aptitudine: e forse manco è attitudine alcuna dove non è cosa alcuna.
27
\ ELP.\ Né tampoco inepzia alcuna. E delle due più tosto quella che questa.
28
\ FIL.\ Voi dite bene. Cossì dico io che, come il vacuo ed inane (che si pone necessariamente con questo peripatetico dire) non ha aptitudine alcuna a ricevere, assai meno la deve avere a ributtare il mondo. Ma di queste due attitudini noi ne veggiamo una in atto, e l'altra non la possiamo vedere a fatto, se non con l'occhio della raggione. Come dunque in questo spacio, equale alla grandezza del mondo (il quale da platonici è detto materia), è questo mondo, cossì un altro può essere in quel spacio ed in innumerabili spacii oltre questo equali a questo.
29
\ FRAC.\ Certo, più sicuramente possiamo giudicar in similitudine di quel che veggiamo e conoscemo, che in modo contrario di quel che veggiamo e conoscemo. Onde, perché per il nostro vedere ed esperimentare l'universo non si finisce, né termina a vacuo ed inane e di quello non è nuova alcuna, raggionevolmente doviamo conchiuder cossì; perché, quando tutte l'altre raggioni fussero equali, noi veggiamo che l'esperimento è contrario al vacuo e non al pieno. Con dir questo, saremo sempre iscusati; ma con dir altrimente, non facilmente fugiremo mille accusazioni ed inconvenienti. Seguitate, Filoteo.
30
\ FIL.\ Dunque, dal canto del spacio infinito, conosciamo certo che è attitudine alla recepzione di corpo, e non sappiamo altrimente. Tutta volta mi bastarà avere che non ripugna a quella; almeno per questa caggione, che dove è nulla, nulla oltraggia. Resta ora vedere se è cosa conveniente che tutto il spacio sia pieno, o non. E qua, se noi consideriamo tanto in quello che può essere quanto in quello che può fare, trovaremo sempre non sol raggionevole, ma ancora necessario, che sia. Questo acciò sia manifesto, vi dimando se è bene che questo mondo sia.
31
\ ELP.\ Molto bene.
32
\ FIL.\ Dunque è bene che questo spacio, che è equale alla dimension del mondo (il quale voglio chiamar vacuo, simile ed indifferente al spacio, che tu direste esser niente oltre la convessitudine del primo cielo), sia talmente ripieno. \ &R ELP.\ Cossì è.
33
\ FIL.\ Oltre, te dimando: credi tu che sicome in questo spacio si trova questa machina, detta mondo, che la medesima arebe possuto o potrebe essere in altro spacio di questo inane?
34
\ ELP.\ Dirò de sì, benché non veggio come nel niente e vacuo possiamo dire differenza di altro ed altro.
35
\ FRAC.\ Io son certo che vedi, ma non ardisci di affirmare, perché ti accorgi dove ti vuol menare.
36
\ ELP.\ Affirmatelo pur sicuramente; perché è necessario dire ed intendere che questo mondo è in un spacio; il quale, se il mondo non fusse, sarebe indifferente da quello che è oltre il primo vostro mobile.
37
\ FRAC.\ Seguitate.
38
\ FIL.\ Dunque, sicome può ed ha possuto ed è necessariamente perfetto questo spacio per la continenza di questo corpo universale, come dici; niente meno può ed ha possuto esser perfetto tutto l'altro spacio.
39
\ ELP.\ Il concedo; che per questo? Può essere, può avere: dunque è? dunque ha?
40
\ FIL.\ Io farò che, se vuoi ingenuamente confessare, che tu dica che può essere e che deve essere e che è. Perché come sarebe male che questo spacio non fusse pieno, cioè che questo mondo non fusse; non meno, per la indifferenza, è male che tutto il spacio non sia pieno; e per consequenza l'universo sarà di dimensione infinita e gli mondi saranno innumerabili.
41
\ ELP.\ La causa perché denno essere tanti, e non basta uno?
42
\ FIL.\ Perché, se è male che questo mondo non sia o che questo pieno non si ritrove, è al riguardo di questo spacio o di altro spacio equale a questo?
43
\ ELP.\ Io dico che è male al riguardo di quel che è in questo spacio, che indifferentemente si potrebe ritrovare in altro spacio equale a questo.
44
\ FIL.\ Questo, se ben consideri, viene tutto ad uno; perché la bontà di questo essere corporeo che è in questo spacio o potrebe essere in altro equale a questo, rende raggione e riguarda a quella bontà conveniente e perfezione che può essere in tale e tanto spacio, quanto è questo, o altro equale a questo, e non ad quella che può essere in innumerabili altri spacii, simili a questo. Tanto più che, se è raggione che sia un buono finito, un perfetto terminato; improporzionalmente è raggione che sia un buono infinito; perché, dove il finito bene è per convenienza e raggione, l'infinito è per absoluta necessità.
45
\ ELP.\ L'infinito buono certamente è, ma è incorporeo.
46
\ FIL.\ In questo siamo concordanti, quanto a l'infinito incorporeo. Ma che cosa fa che non sia convenientissimo il buono, ente, corporeo infinito? O che repugna che l'infinito, implicato nel simplicissimo ed individuo primo principio, non venga esplicato più tosto in questo suo simulacro infinito ed interminato, capacissimo de innumerabili mondi, che venga esplicato in sì anguste margini, di sorte che par vituperio il non pensare che questo corpo, che a noi par vasto e grandissimo, al riguardo della divina presenza non sia che un punto, anzi un nulla?
47
\ ELP.\ Come la grandezza de Dio non consiste nella dimensione corporale in modo alcuno (lascio che non li aggionge nulla il mondo), cossì la grandezza del suo simulacro non doviamo pensare che consista nella maggiore e minore mole di dimensioni.
48
\ FIL.\ Assai bene dite, ma non rispondete al nervo della raggione; perché io non richiedo il spacio infinito, e la natura non ha spacio infinito, per la dignità della dimensione o della mole corporea, ma per la dignità delle nature e specie corporee; perché incomparabilmente meglio in innumerabili individui si presenta l'eccellenza infinita, che in quelli che sono numerabili e finiti. Però, bisogna che di un inaccesso volto divino sia un infinito simulacro, nel quale, come infiniti membri, poi si trovino mondi innumerabili, quali sono gli altri. Però, per la raggione de innumerabili gradi di perfezione, che denno esplicare la eccellenza divina incorporea per modo corporeo, denno essere innumerabili individui, che son questi grandi animali (de quali uno è questa terra, diva madre che ne ha parturiti ed alimenta e che oltre non ne riprenderà), per la continenza di questi innumerabili si richiede un spacio infinito. Nientemeno dunque è bene che siano, come possono essere, innumerabili mondi simili a questo, come ha possuto e può essere ed è bene che sia questo.
49
\ ELP.\ Diremo che questo mondo finito, con questi finiti astri, comprende la perfezione de tutte cose.
50
\ FIL.\ Possete dirlo, ma non già provarlo; perché il mondo che è in questo spacio finito, comprende la perfezione di tutte quelle cose finite che son in questo spacio; ma non già dell'infinite che possono essere in altri spacii innumerabili.
51
\ FRAC.\ Di grazia, fermiamoci, e non facciamo come i sofisti li quali disputano per vencere, e mentre rimirano alla lor palma, impediscono che essi ed altri non comprendano il vero. Or io credo che non sia perfidioso tanto pertinace, che voglia oltre calunniare, che per la raggion del spacio che può infinitamente comprendere, e per la raggione della bontà individuale e numerale de infiniti mondi che possono essere compresi niente meno che questo uno che noi conosciamo, hanno ciascuno di essi raggione di convenientemente essere. Perché infinito spacio ha infinita attitudine, ed in quella infinita attitudine si loda infinito atto di existenza; per cui l'efficiente infinito non è stimato deficiente, e per cui l'attitudine non è vana. Contentati dunque, Elpino, di ascoltar altre raggioni, se altre occorreno a Filoteo.
52
\ ELP.\ Io veggio bene, a dire il vero, che dire il mondo, come dite voi l'universo, interminato non porta seco inconveniente alcuno, e ne viene a liberar da innumerabili angustie nelle quali siamo avilupati dal contrario dire. Conosco particolarmente che ne bisogna con i peripatetici tal volta dir cosa che nella nostra intenzione non tiene fondamento alcuno: come, dopo aver negato il vacuo, tanto fuori quanto dentro l'universo, vogliamo pur rispondere alla questione che cerca dove sia l'universo; e dire quello essere ne le sue parti, per tema di dire che lo non sia in loco alcuno; come è dire nullibi, nusquam. Ma non si può togliere che in quel modo è bisogno di dire le parti ritrovarsi in qualche loco, e l'universo non essere in loco alcuno né in spacio; il qual dire, come ognun vede, non può essere fondato sopra intenzione alcuna, ma significa espressamente una pertinace fuga, per non confessar la verità con ponere il mondo ed universo infinito, o con ponere il spacio infinito; da le quali ambe posizioni séguita gemina confusione a chi le tiene. Affermo dunque che, se il tutto è un corpo, e corpo sferico, e per consequenza figurato e terminato, bisogna che sia terminato in spacio infinito; nel quale, se vogliamo dire che sia nulla, è necessario concedere che sia il vero vacuo: il quale, se è, non ha minor raggione in tutto che in questa parte che qua veggiamo capace di questo mondo; se non è, deve essere il pieno, e consequentemente l'universo infinito. E non meno insipidamente siegue il mondo essere alicubi, avendo detto che estra quello è nulla, e che vi è nelle sue parti, che se uno dicesse Elpino essere alicubi, perché la sua mano è nel suo braccio, l'occhio nel suo volto, il piè nella gamba, il capo nel suo busto. Ma, per venire alla conclusione e per non portarmi da sofista fissando il piè su l'apparente difficoltadi, e spendere il tempo in ciancie, affermo quel che non posso negare: cioè, che nel spacio infinito o potrebono essere infiniti mondi simili a questo, o che questo universo stendesse la sua capacità e comprensione di molti corpi, come son questi, nomati astri; ed ancora che (o simili o dissimili che sieno questi mondi) non con minor raggione sarebe bene a l'uno l'essere che a l'altro; perché l'essere de l'altro non ha minor raggione che l'essere de l'uno, e l'essere di molti non minor che de l'uno e l'altro, e l'essere de infiniti che di molti. Là onde, come sarebe male la abolizione ed il non essere di questo mondo, cossì non sarebe buono il non essere de innumerabili altri.
53
\ FRAC.\ Vi esplicate molto bene, e mostrate di comprender bene le raggioni e non esser sofista, perché accettate quel che non si può negare.
54
\ ELP.\ Pure vorei udire quel che resta di raggione del principio e causa efficiente eterna: se a quella convegna questo effetto di tal sorte infinito, e se per tanto in fatto tale effetto sia.
55
\ FIL.\ Questo è quel che io dovevo aggiongere. Perché, dopo aver detto l'universo dover essere infinito per la capacità ed attitudine del spacio infinito, e per la possibilità e convenienza dell'essere di innumerabili mondi, come questo; resta ora provarlo e dalle circostanze dell'efficiente che deve averlo produtto tale, o, per parlar meglio, produrlo sempre tale, e dalla condizione del modo nostro de intendere. Possiamo più facilmente argumentare che infinito spacio sia simile a questo che veggiamo, che argumentare che sia tale quale non lo veggiamo né per essempio né per similitudine né per proporzione né anco per imaginazione alcuna la quale al fine non destrugga se medesima. Ora, per cominciarla: perché vogliamo o possiamo noi pensare che la divina efficacia sia ociosa? perché vogliamo che la divina bontà la quale si può communicare alle cose infinite e si può infinitamente diffondere, voglia essere scarsa ed astrengersi in niente, atteso che ogni cosa finita al riguardo de l'infinito è niente? perché volete quel centro della divinità, che può infinitamente in una sfera (se cossì si potesse dire) infinita amplificarse, come invidioso, rimaner più tosto sterile che farsi comunicabile, padre fecondo, ornato e bello? voler più tosto comunicarsi diminutamente e, per dir meglio, non comunicarsi, che secondo la raggione della gloriosa potenza ed esser suo? perché deve esser frustrata la capacità infinita, defraudata la possibilità de infiniti mondi che possono essere, pregiudicata la eccellenza della divina imagine che deverebe più risplendere in uno specchio incontratto e secondo il suo modo di essere infinito, immenso? perché doviamo affirmar questo che, posto, mena seco tanti inconvenienti e, senza faurir leggi, religioni, fede o moralità in modo alcuno, destrugge tanti principii di filosofia? Come vuoi tu che Dio, e quanto alla potenza e quanto a l'operazione e quanto a l'effetto (che in lui son medesima cosa), sia determinato, e come termino della convessitudine di una sfera, più tosto che, come dir si può, termino interminato di cosa interminata? Termino, dico, senza termine, per esser differente la infinità dell'uno da l'infinità dell'altro: perché lui è tutto l'infinito complicatamente e totalmente, ma l'universo è tutto in tutto (se pur in modo alcuno si può dir totalità, dove non è parte né fine) explicatamente, e non totalmente; per il che l'uno ha raggion di termine, l'altro ha raggion di terminato, non per differenza di finito ed infinito, ma perché l'uno è infinito e l'altro è finiente secondo la raggione del totale e totalmente essere in tutto quello che, benché sia tutto infinito, non è però totalmente infinito; perché questo ripugna alla infinità dimensionale.
56
\ ELP.\ Io vorrei meglio intender questo. Però mi farete piacere di esplicarvi alquanto per quel che dite essere tutto in tutto totalmente, e tutto in tutto l'infinito e totalmente infinito.
57
\ FIL.\ Io dico l'universo tutto infinito, perché non ha margine, termino, né superficie; dico l'universo non essere totalmente infinito, perché ciascuna parte che di quello possiamo prendere, è finita, e de mondi innumerabili che contiene, ciascuno è finito. Io dico Dio tutto infinito, perché da sé esclude ogni termine ed ogni suo attributo è uno ed infinito; e dico Dio totalmente infinito, perché tutto lui è in tutto il mondo, ed in ciascuna sua parte infinitamente e totalmente: al contrario dell'infinità de l'universo, la quale è totalmente in tutto, e non in queste parti (se pur, referendosi all'infinito, possono esser chiamate parti) che noi possiamo comprendere in quello.
58
\ ELP.\ Io intendo. Or seguite il vostro proposito.
59
\ FIL.\ Per tutte le raggioni, dunque, per le quali se dice esser conveniente, buono, necessario questo mondo compreso come finito, deve dirse esserno convenienti e buoni tutti gli altri innumerabili; a li quali, per medesima raggione, l'omnipotenza non invidia l'essere; e senza li quali quella, o per non volere o per non possere, verrebe ad esser biasimata per lasciar un vacuo o, se non vuoi dir vacuo, un spacio infinito; per cui non solamente verrebe suttratta infinita perfezione dello ente, ma anco infinita maestà attuale allo efficiente nelle cose fatte se son fatte, o dependenti se sono eterne. Qual raggione vuole che vogliamo credere, che l'agente che può fare un buono infinito, lo fa finito? E se lo fa finito, perché doviamo noi credere che possa farlo infinito, essendo in lui il possere ed il fare tutto uno? Perché è inmutabile, non ha contingenzia nella operazione, né nella efficacia, ma da determinata e certa efficacia depende determinato e certo effetto inmutabilmente; onde non può essere altro che quello che è; non può esser tale quale non è; non può posser altro che quel che può; non può voler altro che quel che vuole; e necessariamente non può far altro che quel che fa; atteso che l'aver potenza distinta da l'atto conviene solamente a cose mutabili.
60
\ FRAC.\ Certo, non è soggetto di possibilità o di potenza quello che giamai fu, non è e giamai sarà; e veramente, se il primo efficiente non può voler altro che quel che vuole, non può far altro che quel che fa. E non veggo come alcuni intendano quel che dicono della potenza attiva infinita, a cui non corrisponda potenza passiva infinita, e che quello faccia uno e finito che può far innumerabili ne l'infinito ed inmenso, essendo l'azion sua necessaria, perché procede da tal volontà quale, per essere inmutabilissima, anzi la immutabilità istessa, è ancora la istessa necessità; onde sono a fatto medesima cosa libertà, volontà, necessità, ed oltre il fare col volere, possere ed essere.
61
\ FIL.\ Voi consentite, e dite molto bene. Adunque, bisogna dir una de due: o che l'efficiente, possendo dependere da lui l'effetto infinito, sia riconosciuto come causa e principio d'uno inmenso universo che contiene mondi innumerabili; e da questo non siegue inconveniente alcuno, anzi tutti convenienti, e secondo la scienza e secondo le leggi e fede; o che, dependendo da lui un finito universo, con questi mondi (che son gli astri) di numero determinato, sia conosciuto di potenza attiva finita e determinata, come l'atto è finito e determinato; perché quale è l'atto, tale è la volontà, tale è la potenza.
62
\ FRAC.\ Io completto ed ordino un paio di sillogismi in questa maniera. Il primo efficiente, se volesse far altro che quel che vuol fare, potrebe far altro che quel che fa; ma non può voler far altro che quel che vuol fare; dunque non può far altro che quel che fa. Dunque, chi dice l'effetto finito, pone l'operazione e la potenza finita. Oltre (che viene al medesimo): il primo efficiente non può far se non quel che vuol fare; non vuol fare se non quel che fa; dunque, non può fare se non quel che fa. Dunque, chi nega l'effetto infinito, nega la potenza infinita.
63
\ FIL.\ Questi, se non son semplici, sono demostrativi sillogismi. Tutta volta lodo che alcuni degni teologi non le admettano; perché, providamente considerando, sanno che gli rozzi popoli ed ignoranti con questa necessità vegnono a non posser concipere come possa star la elezione e dignità e meriti di giusticia; onde, confidati o desperati sotto certo fato, sono necessariamente sceleratissimi. Come talvolta certi corrottori di leggi, fede e religione, volendo parer savii, hanno infettato tanti popoli, facendoli dovenir più barbari e scelerati che non eran prima, dispreggiatori del ben fare ed assicuratissimi ad ogni vizio e ribaldaria, per le conclusioni che tirano da simili premisse. Però non tanto il contrario dire appresso gli sapienti è scandaloso e detrae alla grandezza ed eccellenza divina, quanto quel che è vero, è pernicioso alla civile conversazione e contrario al fine delle leggi, non per esser vero, ma per esser male inteso, tanto per quei che malignamente il trattano, quanto per quei che non son capaci de intenderlo senza iattura di costumi.
64
\ FRAC.\ Vero. Non si è trovato giamai filosofo, dotto ed uomo da bene che, sotto specie o pretesto alcuno, da tal proposizione avesse voluto tirar la necessità delli effetti umani e destruggere l'elezione. Come, tra gli altri, Platone ed Aristotele, con ponere la necessità ed immutabilità in Dio, non poneno meno la libertà morale e facultà della nostra elezione; perché sanno bene e possono capire, come siano compossibili questa necessità e questa libertà. Però alcuni di veri padri e pastori di popoli toglieno forse questo dire ed altro simile per non donare comodità, a scelerati e seduttori nemici della civilità e profitto generale, di tirar le noiose conclusioni abusando della semplicità ed ignoranza di quei che difficilmente possono capire il vero e prontissimamente sono inclinati al male. E facilmente condonaranno a noi di usar le vere proposizioni, dalle quali non vogliamo inferir altro che la verità della natura e dell'eccellenza de l'autor di quella; e le quali non son proposte da noi al volgo, ma a sapienti soli che possono aver accesso all'intelligenza di nostri discorsi. Da questo principio depende che gli non men dotti che religiosi teologi giamai han pregiudicato alla libertà de filosofi; e gli veri, civili e bene accostumati filosofi sempre hanno faurito le religioni; perché gli uni e gli altri sanno che la fede si richiede per l'instituzione di rozzi popoli che denno esser governati, e la demostrazione per gli contemplativi che sanno governar sé ed altri.
65
\ ELP.\ Quanto a questa protestazione è detto assai. Ritornate ora al proposito.
66
\ FIL.\ Per venir, dunque, ad inferir quel che vogliamo, dico che, se nel primo efficiente è potenza infinita, è ancora operazion da la quale depende l'universo di grandezza infinita e mondi di numero infinito.
67
\ ELP.\ Quel che dite, contiene in sé gran persuasione, se non contiene la verità. Ma questo che mi par molto verisimile, io lo affermarò per vero, se mi potrete risolvere di uno importantissimo argomento per il quale è stato ridutto Aristotele a negar la divina potenza infinita intensivamente, benché la concedesse estensivamente. Dove la raggione della negazione sua era che, essendo in Dio cosa medesima potenza e atto, possendo cossì movere infinitamente, moverebbe infinitamente con vigore infinito; il che se fusse vero, verrebe il cielo mosso in istante; perché, se il motor più forte muove più velocemente, il fortissimo muove velocissimamente, l'infinitamente forte muove istantaneamente. La raggione della affirmazione era, che lui eternamente e regolatamente muove il primo mobile, secondo quella raggione e misura con la quale il muove. Vedi dunque per che raggione li attribuisce infinità estensiva - ma non infinità absoluta - ed intensivamente ancora. Per il che voglio conchiudere che, sicome la sua potenza motiva infinita è contratta all'atto di moto secondo velocità finita, cossì la medesima potenza di far l'inmenso ed innumerabili è limitata dalla sua voluntà al finito e numerabili. Quasi il medesimo vogliono alcuni teologi, i quali, oltre che concedeno la infinità estensiva con la quale successivamente perpetua il moto dell'universo, richiedeno ancora la infinità intensiva con la quale può far mondi innumerabili, muovere mondi innumerabili, e ciascuno di quelli e tutti quelli insieme muovere in uno istante: tutta volta, cossì ha temprato con la sua voluntà la quantità della moltitudine di mondi innumerabili, come la qualità del moto intensissimo. Dove, come questo moto, che procede pure da potenza infinita, nulla obstante, è conosciuto finito, cossì facilmente il numero di corpi mondani potrà esser creduto determinato.
68
\ FIL.\ L'argumento in vero è di maggior persuasione ed apparenza che altro possa essere; circa il quale è detto già a bastanza per quel, che si vuole che la volontà divina sia regolatrice, modificatrice e terminatrice della divina potenza. Onde seguitano innumerabili inconvenienti, secondo la filosofia al meno; lascio i principii teologali, i quali con tutto ciò non admetteranno che la divina potenza sia più che la divina volontà o bontà, e generalmente che uno attributo secondo maggior raggione convegna alla divinità che un altro.
69
\ ELP.\ Or perché dunque hanno quel modo di dire, se non hanno questo modo di intendere?
70
\ FIL.\ Per penuria di termini ed efficaci resoluzioni.
71
\ ELP.\ Or dunque voi, che avete particular principii, con gli quali affermate l'uno, cioè che la potenza divina è infinita intensiva ed estensivamente; e che l'atto non è distinto dalla potenza, e che per questo l'universo è infinito e gli mondi sono innumerabili; e non negate l'altro, che in fatto ciascuno de li astri o orbi, come ti piace dire, vien mosso in tempo e non in instante; mostrate con quai termini e con che risoluzione venete a salvar la vostra, o togliere l'altrui persuasioni, per le quali giudicano, in conclusione, il contrario di quel che giudicate voi.
72
\ FIL.\ Per la risoluzion di quel che cercate, dovete avertire prima che, essendo l'universo infinito ed immobile, non bisogna cercare il motor di quello. Secondo che, essendo infiniti gli mondi contenuti in quello, quali sono le terre, li fuochi ed altre specie di corpi chiamati astri, tutti se muoveno dal principio interno, che è la propria anima, come in altro loco abbiamo provato; e però è vano andar investigando il lor motore estrinseco. Terzo che questi corpi mondani si muoveno nella eterea regione non affissi o inchiodati in corpo alcuno più che questa terra, che è un di quelli, è affissa; la qual però proviamo che dall'interno animale instinto circuisce il proprio centro, in più maniere, e il sole. Preposti cotali avertimenti secondo gli nostri principii, non siamo forzati a dimostrar moto attivo né passivo di vertù infinita intensivamente; perché il mobile ed il motore è infinito, e l'anima movente ed il corpo moto concorreno in un finito soggetto; in ciascuno, dico, di detti mondani astri. Tanto, che il primo principio non è quello che muove; ma, quieto ed immobile, dà il posser muoversi a infiniti ed innumerabili mondi, grandi e piccoli animali posti nell'amplissima reggione de l'universo, de quali ciascuno, secondo la condizione della propria virtù, ha la raggione di mobilità, motività ed altri accidenti.
73
\ ELP.\ Voi siete fortificato molto, ma non già per questo gittate la machina delle contrarie opinioni. Le quali tutte hanno per famoso e come presupposto, che l'Optimo Massimo muove il tutto. Tu dici che dona il muoversi al tutto che si muove; e però il moto accade secondo la virtù del prossimo motore. Certo, mi pare più tosto raggionevole di vantaggio che meno conveniente questo tuo dire che il comune determinare; tutta volta, - per quel che solete dire circa l'anima del mondo e circa l'essenza divina, che è tutta in tutto, empie tutto ed è più intrinseca alle cose che la essenzia propria de quelle, perché è la essenzia de le essenzie, vita de le vite, anima de le anime, - però non meno mi par che possiamo dire lui movere il tutto, che dare al tutto il muoversi. Onde il dubio già fatto par che anco stia su li suoi piedi.
74
\ FIL.\ Ed in questo facilmente posso satisfarvi. Dico, dunque, che nelle cose è da contemplare, se cossì volete doi principii attivi di moto: l'uno finito secondo la raggione del finito soggetto, e questo muove in tempo; l'altro infinito secondo la raggione dell'anima del mondo, overo della divinità, che è come anima de l'anima, la quale è tutta in tutto e fa esser l'anima tutta in tutto; e questo muove in istante. La terra dunque ha dui moti. Cossì tutti gli corpi che si muoveno, hanno dui principii di moto; de quali il principio infinito è quello che insieme insieme muove ed ha mosso; onde, secondo quella raggione, il corpo mobile non meno è stabilissimo che mobilissimo. Come appare nella presente figura, che voglio significhe la terra; che è mossa in instante in quanto che ha motore di virtù infinita. Quella, movendosi con il centro da A in E, e tornando da E in A, e questo essendo in uno instante, insieme insieme e in A ed in E ed in tutti gli luoghi tramezzanti; e però insieme insieme è partita e ritornata; e questo essendo sempre cossì, aviene che sempre sia stabilissima. Similmente, quanto al suo moto circa il centro, dove è il suo oriente I, il mezzo giorno V, l'occidente K, il merinozio O; ciascuno di questi punti circuisce per virtù di polso infinito; e però ciascuno di quelli insieme insieme è partito ed è ritornato; per consequenza è fisso sempre, ed è dove era. Tanto che, in conclusione, questi corpi essere mossi da virtù infinita è medesimo che non esser mossi; perché movere in instante e non movere è tutto medesimo ed uno. Rimane, dunque, l'altro principio attivo del moto, il quale è dalla virtù intrinseca, e per conseguenza è in tempo e certa successione; e questo moto è distinto dalla quiete. Ecco, dunque, come possiamo dire Dio muovere il tutto; e come doviamo intendere, che dà il muoversi al tutto che si muove.
75
\ ELP.\ Or che tanto alta ed efficacemente mi hai tolta e risoluta questa difficoltà, io cedo a fatto al vostro giudizio, e spero oltre sempre da voi ricevere simili resoluzioni; perché, benché in poco sin ora io v'abbia pratticato e tentato, ho pur ricevuto e conceputo assai; e spero di gran vantaggio più; perché, benché a pieno non vegga l'animo vostro, dal raggio che diffonde scorgo che dentro si rinchiude o un sole oppure un luminar maggiore. E da oggi in poi, non con speranza di superar la vostra sufficienza, ma con dissegno di porgere occasione a vostre elucidazioni, ritornarò a proporvi, se vi dignarete di farvi ritrovar per tanti giorni alla medesima ora in questo loco, quanti bastaranno ad udir ed intender tanto che mi quiete a fatto la mente.
76
\ FIL.\ Cossì farò.
77
\ FRAC.\ Sarai gratissimo, e vi saremo attentissimi auditori.
78
\ BUR.\ Ed io, quantunque poco intendente, se non intenderò li sentimenti, ascoltarò le paroli; se non ascoltarò le paroli, udirò la voce. Adio!

Dialogo 2

1 \ FIL.\ Perché il primo principio è simplicissimo, però, se secondo uno attributo fusse finito, sarebe finito secondo tutti gli attributi; o pure, secondo certa raggione intrinseca essendo finito e secondo certa infinito, necessariamente in lui si intenderebe essere composizione. Se, dunque, lui è operatore de l'universo, certo è operatore infinito e riguarda effetto infinito; effetto dico, in quanto che tutto ha dependenza da lui. Oltre, sicome la nostra imaginazione è potente di procedere in infinito, imaginando sempre grandezza dimensionale oltra grandezza e numero oltra numero, secondo certa successione e, come se dice, in potenzia, cossì si deve intendere che Dio attualmente intende infinita dimensione ed infinito numero. E da questo intendere séguita la possibilità con la convenienza ed opportunità, che ponemo essere: dove, come la potenza attiva è infinita, cossì, per necessaria conseguenza, il soggetto di tal potenza è infinito; perché, come altre volte abiamo dimostrato, il posser fare pone il posser esser fatto, il dimensionativo pone il dimensionabile, il dimensionante pone il dimensionato. Giongi a questo che, come realmente si trovano corpi dimensionati finiti, cossì l'intelletto primo intende corpo e dimensione. Se lo intende, non meno lo intende infinito; se lo intende infinito ed il corpo è inteso infinito, necessariamente tal specie intelligibile è; e per esser produtta da tale intelletto, quale è il divino, è realissima; e talmente reale, che ha più necessario essere che quello che attualmente è avanti gli nostri occhi sensitivi. Quando, se ben consideri, aviene che, come veramente è uno individuo infinito simplicissimo, cossì sia uno amplissimo dimensionale infinito, il quale sia in quello, e nel quale sia quello, al modo con cui lui è nel tutto, ed il tutto è in lui. Appresso, se per la qualità corporale veggiamo che un corpo ha potenza di aumentarsi in infinito; come si vede nel fuoco, il quale, come ognun concede, si amplificarebe in infinito, se si gli avicinasse materia ed esca; qual raggion vuole, che il fuoco, che può essere infinito e può esser per conseguenza fatto infinito, non possa attualmente trovarsi infinito? Certo non so, come possiamo fengere nella materia essere qualche cosa in potenza passiva che non sia in potenza attiva nell'efficiente, e per conseguenza in atto, anzi l'istesso atto. Certo, il dire che lo infinito è in potenza ed in certa successione e non in atto necessariamente apporta seco che la potenza attiva possa ponere questo in atto successivo e non in atto compito; perché l'infinito non può esser compito. Onde seguitarebe ancora che la prima causa non ha potenza attiva semplice, absoluta ed una; ma una potenza attiva a cui risponde la possibilità infinita successiva, ed un'altra a cui responde la possibilità indistinta da l'atto. Lascio che, essendo terminato il mondo, e non essendo modo di imaginare come una cosa corporea venga circonferenzialmente a finirsi ad una cosa incorporea, sarebe questo mondo in potenza e facultà di svanirsi ed annullarsi: perché, per quanto comprendemo, tutt'i corpi sono dissolubili. Lascio, dico, che non sarebe raggion che tolga che tal volta l'inane infinito, benché non si possa capire di potenza attiva, debba assorbire questo mondo come un nulla. Lascio che il luogo, spacio ed inane ha similitudine con la materia, se pur non è la materia istessa; come forse non senza caggione tal volta par che voglia Platone e tutti quelli che definiscono il luogo come certo spacio. Ora, se la materia ha il suo appetito, il quale non deve essere in vano, perché tale appetito è della natura e procede da l'ordine della prima natura, bisogna che il loco, il spacio, l'inane abbiano cotale appetito. Lascio che, come è stato di sopra accennato, nessun di questi che dice il mondo terminato, dopo aver affirmato il termine, sa in modo alcuno fingere come quello sia; ed insieme insieme alcun di questi, negando il vacuo ed inane con le proposte e paroli, con l'esecuzione poi ed effetto viene a ponerlo necessariamente. Se è vacuo ed inane, è certo capace di ricevere; e questo non si può in modo alcuno negare, atteso che - per tal raggione medesima, per la quale è stimato impossibile che nel spacio dove è questo mondo, insieme insieme si trove contenuto un altro mondo - deve esser detto possibile che nel spacio fuor di questo mondo, o in quel niente, se cossì dir vuole Aristotele quello che non vuol dir vacuo, possa essere contenuto. La raggione, per la quale lui dice dui corpi non possere essere insieme, è l'incompossibilità delle dimensioni di uno ed un altro corpo: resta, dunque, per quanto richiede tal raggione, che dove non sono le dimensioni de l'uno, possono essere le dimensioni de l'altro. Se questa potenza vi è, dunque il spacio in certo modo è materia; se è materia, ha l'aptitudine; se ha l'aptitudine, per qual raggione doviamo negargli l'atto?
2
\ ELP.\ Molto bene. Ma di grazia, procediate in altro; fatemi intendere come differenza fate tra il mondo e l'universo.
3
\ FIL.\ La differenza è molto divolgata fuor della scola peripatetica. Gli stoici fanno differenza tra il mondo e l'universo, perché il mondo è tutto quello che è pieno e costa di corpo solido; l'universo è non solamente il mondo, ma oltre il vacuo, inane e spacio extra di quello: e però dicono il mondo essere finito, ma l'universo infinito. Epicuro similmente il tutto ed universo chiama una mescuglia di corpi ed inane; ed in questo dice consistere la natura del mondo, il quale è infinito: e nella capacità dell'inane e vacuo e, oltre, nella moltitudine di corpi che sono in quello. Noi non diciamo vacuo alcuno, come quello che sia semplicemente nulla; ma secondo quella raggione, con la quale ciò che non è corpo che resista sensibilmente, tutto suole esser chiamato, se ha dimensione, vacuo: atteso che comunmente non apprendeno l'esser corpo, se non con la proprietà di resistenza; onde dicono che, sicome non è carne quello che non è vulnerabile, cossì non è corpo quello che non resiste. In questo modo diciamo esser un infinito, cioè una eterea regione inmensa, nella quale sono innumerabili ed infiniti corpi, come la terra, la luna ed il sole; li quali da noi son chiamati mondi composti di pieno e vacuo: perché questo spirito, questo aria, questo etere non solamente è circa questi corpi, ma ancora penetra dentro tutti, e viene insito in ogni cosa. Diciamo ancora vacuo secondo quella raggione, per la quale rispondemo alla questione che dimandasse dove è l'etere infinito e gli mondi; e noi rispondessimo: in un spacio infinito, in un certo seno nel quale ed è e s'intende il tutto, ed il quale non si può intendere né essere in altro.
4
Or qua Aristotele, confusamente prendendo il vacuo secondo queste due significazioni ed un'altra terza, che lui fenge e lui medesimo non sa nominare né diffinire, si va dibattendo per togliere il vacuo: e pensa con il medesimo modo di argumentare destruggere a fatto tutte le opinioni del vacuo. Le quali però non tocca, più che se, per aver tolto il nome di qualche cosa, alcuno pensasse di aver tolta la cosa; perché destrugge, se pur destrugge, il vacuo secondo quella raggione la quale forse non è stata presa da alcuno: atteso che gli antichi e noi prendiamo il vacuo per quello in cui può esser corpo e che può contener qualche cosa ed in cui sono gli atomi e gli corpi; e lui solo diffinisce il vacuo per quello che è nulla, in cui è nulla e non può esser nulla. Laonde, prendendo il vacuo per nome ed intenzione secondo la quale nessuno lo intese, vien a far castelli in aria e destruggere il suo vacuo e non quello di tutti gli altri che han parlato di vacuo e si son serviti di questo nome vacuo. Non altrimenti fa questo sofista in tutti gli altri propositi, come del moto, infinito, materia, forma, demostrazione, ente; dove sempre edifica sopra la fede della sua definizion propria e nome preso secondo nova significazione. Onde ciascun che non è a fatto privo di giudizio, può facilmente accorgersi quanto quest'uomo sia superficiale circa la considerazion della natura de le cose, e quanto sia attaccato alle sue non concedute, né degne d'esserno concedute, supposizioni, più vane nella sua natural filosofia che giamai si possano fingere nella matematica. E vedete che di questa vanità tanto si gloriò e si compiacque che, in proposito della considerazion di cose naturali, ambisce tanto di esser stimato raziocinale o, come vogliam dire logico, che, per modo d'improperio, quelli che son stati più solleciti della natura, realità e verità, le chiama fisici. Or, per venire a noi, atteso che nel suo libro Del vacuo né diretta né indirettamente dice cosa che possa degnamente militare contra la nostra intenzione, lo lasciamo star cossì, rimettendolo forse a più ociosa occasione. Dunque, se ti piace, Elpino, forma ed ordina quelle raggioni, per le quali l'infinito corpo non viene admesso da gli nostri adversarii, ed appresso quelle, per le quali non possono comprendere essere mondi innumerabili.
5
\ ELP.\ Cossì farò. Io referirò le sentenze d'Aristotele per ordine, e voi direte circa quelle ciò che vi occorre. "È da considerare", dice egli, "se si trova corpo infinito, come alcuni antichi filosofi dicono, o pur questo sia una cosa impossibile; ed appresso è da vedere se sia uno over più mondi. La risoluzion de le quali questioni è importantissima: perché l'una e l'altra parte della contradizione son di tanto momento, che son principio di due sorte di filosofare molto diverso e contrario: come, per essempio, veggiamo, che da quel primo error di coloro che hanno poste le parti individue, hanno chiuso il camino di tal sorte, che vegnono ad errare in gran parte della matematica. Snodaremo dunque proposito di gran momento per le passate, presenti e future difficultadi; perché, quantunque poco di trasgressione che si fa nel principio, viene per diecemila volte a farsi maggiore nel progresso; come, per similitudine, nell'errore che si fa nel principio di qualche camino, il quale tanto più si va aumentando e crescendo, quanto maggior progresso si fa allontanandosi dal principio, di sorte che al fine si viene ad giongere a termine contrario a quello che era proposto. E la raggion di questo è, che gli principii son piccioli in grandezza e grandissimi in efficacia. Questa è la raggione della determinazione di questo dubio".
6
\ FIL.\ Tutto lo che dice è necessarissimo, e non meno degno di esser detto da gli altri che da lui; perché, sicome lui crede, che da questo principio mal inteso gli aversarii sono trascorsi in grandi errori, cossì, a l'apposito, noi credemo e veggiamo aperto, che dal contrario di questo principio lui ha pervertita tutta la considerazion naturale.
7
\ ELP.\ Soggionge: "Bisogna dunque, che veggiamo, se è possibile, che sia corpo semplice di grandezza infinita; il che primeramente deve esser mostrato impossibile in quel primo corpo, che si muove circularmente; appresso, negli altri corpi; perché, essendo ogni corpo o semplice o composto, questo, che è composto, siegue la disposizion di quello che è semplice. Se, dunque, gli corpi semplici non sono infiniti né di numero né di grandezza, necessariamente non potrà esser tale corpo composto".
8
\ FIL.\ Promette molto bene; perché, se lui provarà, che il corpo il quale è chiamato continente e primo, sia continente, primo e finito, sarà anco soverchio e vano di provarlo appresso di corpi contenuti.
9
\ ELP.\ Or prova che il corpo rotondo non è infinito. "Se il corpo rotondo è infinito, le linee, che si partono dal mezzo, saranno infinite, e la distanza d'un semidiametro da l'altro (gli quali, quanto più si discostano dal centro, tanto maggior distanza acquistano) sarà infinita; perché dalla addizione delle linee secondo la longitudine è necessario che siegua maggior distanza; e però, se le linee sono infinite, la distanza ancora sarà infinita. Or è cosa impossibile, che il mobile possa trascorrere distanza infinita: e nel moto circolare è bisogno, che una linea semidiametrale del mobile venga al luogo dell'altro ed altro semidiametro".
10
\ FIL.\ Questa raggione è buona, ma non è a proposito contra l'intenzione de gli aversarii. Perché giamai s'è ritrovato sì rozzo e d'ingegno sì grosso, che abbia posto il mondo.infinito e magnitudine infinita, e quella mobile. E mostra lui medesimo essersi dismenticato di quel che riferisce nella sua Fisica: che quei che hanno posto uno ente ed uno principio infinito, hanno posto similmente inmobile; e né lui ancora, né altro per lui, potrà nominar mai alcun filosofo o pur uomo ordinario che abbia detto magnitudine infinita mobile. Ma costui, come sofista, prende una parte della sua argumentazione dalla conclusione dell'aversario, supponendo il proprio principio, che l'universo è mobile, anzi che si muove, e che è di figura sferica. Or vedete, se de quante raggioni produce questo mendico, se ne ritrove pur una che argumente contra l'intenzione di quei, che dicono uno infinito, inmobile, infigurato, spaciosissimo continente de innumerabili mobili, che son gli mondi, che son chiamati astri da altri, e da altri sfere; vedete un poco in questa ed altre raggioni, se mena presuppositi conceduti da alcuno.
11
\ ELP.\ Certo, tutte le sei raggioni sono fondate sopra quel presupposito, cioè che l'aversario dica, che l'universo sia infinito, e che gli admetta, che quello infinito sia mobile: il che certo è una sciocchezza, anzi una irrazionalità, se pur per sorte non vogliamo far concorrere in uno l'infinito moto e l'infinita quiete, come mi verificaste ieri in proposito di mondi particolari.
12
\ FIL.\ Questo non voglio dire in proposito de l'universo, al quale, per raggion veruna, gli deve essere attribuito il moto; perché questo non può, né deve convenire, né richiedersi a l'infinito; e giamai, come è detto, si trovò chi lo imaginasse. Ma questo filosofo, come quello che avea caristia di terreno, edifica tai castelli in aria.
13
\ ELP.\ Certo, desiderarei un argumento, che impugnasse questo che dite; perché cinque altre raggioni, che apporta questo filosofo, tutte fanno il medesimo camino, e vanno con gli medesimi piedi. Però mi par cosa soverchia di apportarle. Or, dopo che ebbe prodotte queste, che versano circa il moto mondano e circolare, procede a proponer quelle, che son fondate sopra il moto retto; e dice parimente "essere impossibile, che qualche cosa sia mobile di infinito moto verso il mezzo, o al basso, oltre verso ad alto dal mezzo"; ed il prova prima dal canto di moti proprii di tai corpi, e questo sì quanto a gli corpi estremi, sì quanto agli tramezzanti. "Il moto ad alto", dice egli, "ed il moto al basso son contrarii: ed il luogo de l'un moto è contrario al luogo de l'altro moto. De gli contrarii ancora, se l'uno è determinato, bisogna che sia determinato ancor l'altro; ed il tramezzante, che è partecipe de l'uno e l'altro determinato, convien che sia tale ancor lui; perché non da qualsivoglia, ma da certa parte bisogna che si parta quello che deve passar oltre il mezzo, perché è un certo termine, onde cominciano, ed è un altro termine, ove si finisceno i limiti del mezzo. Essendo dunque determinato il mezzo, bisogna che sieno determinati gli estremi; e se gli estremi son determinati, bisogna che sia determinato il mezzo; e se gli luoghi son determinati, bisogna che gli corpi collocati sieno tali ancora, perché altrimente il moto sarà infinito. Oltre, quanto alla gravità e levità, il corpo, che va verso alto, può devenire a questo, che sia in tal luogo: perché nessuna inclinazion naturale è in vano. Dunque, non essendo spacio del mondo infinito, non è luogo, né corpo infinito. Quanto al peso ancora, non è grave e leve infinito; dunque, non è corpo infinito: come è necessario, che, se il corpo grave è infinito, la sua gravità sia infinita. E questo non si può fuggire; perché, se tu volessi dire, che il corpo infinito ha gravità infinita, seguitarebono tre inconvenienti. Primo, che medesima sarebe la gravità o levità di corpo finito ed infinito; perché al corpo finito grave, per quanto è sopraavanzato dal corpo infinito, io farrò addizione e suttrazione di altro ed altro tanto, fin che possa aggiungere a quella medesima quantità di gravità e levità. Secondo, che la gravità della grandezza finita potrebe esser maggiore che quella de l'infinita; perché con tal raggione, per la quale gli può essere equale, gli può ancora essere superiore, con aggiungere quanto ti piace più di corpo grave, o suttrarre di questo, o pur aggiongere di corpo lieve. Terzo, che la gravità della grandezza finita ed infinita sarebbe equale; e perché quella proporzione, che ha la gravità alla gravità, la medesima ha la velocità alla velocità, seguitarebe similmente, che la medesima velocità e tardità si potrebero trovare in corpo finito ed infinito. Quarto, che la velocità del corpo finito potrebe esser maggiore di quella de l'infinito. Quinto, che potrebe essere equale; o pur, sicome il grave eccede il grave, cossì la velocità excede la velocità: trovandosi gravità infinita, sarà necessario che si muova per alcun spacio in manco tempo, che la gravità finita; o vero non si muova, perché la velocità e tardità séguita la grandezza del corpo. Onde, non essendo proporzione tra il finito ed infinito, bisognarà al fine, che il grave infinito non si muova; perché, s'egli si muove, non si muove tanto velocemente, che non si trove gravità finita, che nel medesimo tempo, per il medesimo spacio, faccia il medesimo progresso".
14
\ FIL.\ È impossibile di trovare un altro che, sotto titolo di filosofo, fengesse più vane supposizioni e si fabricasse sì stolte posizioni al contrario, per dar luogo a tanta levità quanta si vede nelle raggioni di costui. Or, per quanto appartiene a quel che dice de' luoghi proprii di corpi e del determinato alto, basso ed infra, vorei sapere contra qual posizione argumente costui. Perché tutti quelli che poneno corpo e grandezza infinita, non poneno mezzo né estremo in quella. Perché chi dice l'inane, il vacuo, l'etere infinito, non gli attribuisce gravità, né levità, né moto, né regione superiore, né inferiore, né mezzana; e ponendo poi quelli in cotal spacio infiniti corpi, come è questa terra, quella e quell'altra terra, questo sole, quello e quell'altro sole, tutti fanno gli lor circuiti dentro questo spacio infinito per spacii finiti e determinati o pur circa gli proprii centri. Cossì noi che siamo in terra, diciamo la terra essere al mezzo, e tutti gli filosofi moderni ed antichi, sieno di qualsivoglia setta, diranno questa essere in mezzo senza pregiudicare a' suoi principii; come noi diciamo al riguardo dell'orizonte magiore di questa eterea regione che ne sta in circa, terminata da quello equidistante circolo, al riguardo di cui noi siamo come al centro. Come niente manco coloro che sono nella luna, s'intendeno aver circa questa terra, il sole ed altre ed altre stelle, che sono circa il mezzo ed il termine de gli proprii semidiametri del proprio orizonte; cossì non è più centro la terra che qualsivoglia altro corpo mondano, e non son più certi determinati poli alla terra che la terra sia un certo e determinato polo a qualch'altro punto dell'etere e spacio mondano; e similmente de tutti gli altri corpi; li quali medesimi, per diversi riguardi, tutti sono e centri e punti di circunferenza e poli e zenithi ed altre differenze. La terra, dunque, non è absolutamente in mezzo de l'universo, ma al riguardo di questa nostra reggione.
15
Procede, dunque, questo disputante con petizione di principio e presupposizione di quello che deve provare. Prende, dico, per principio l'equivalente all'opposito della contraria posizione; presupponendo mezzo ed estremo contra quelli che, dicendo il mondo infinito, insieme insieme negano questo estremo e mezzo necessariamente e per consequenza il moto ad alto e supremo luogo, ed al basso ed infimo. Vederno dunque gli antichi, e veggiamo ancor noi, che qualche cosa viene alla terra ove siamo, e qualche cosa par che si parta della terra o pur dal luogo dove siamo. Dove, se diciamo e vogliam dir che il moto di tal cose è ad alto ed al basso, se intende in certa regione, in certi rispetti; di sorte che, se qualche cosa, allontanandosi da noi, procede verso la luna, come noi diciamo che quella ascende, color che sono nella luna nostri anticefi, diranno che descende. Que' moti, dunque, che sono nell'universo, non hanno differenza alcuna di su, di giù, di qua, di là al rispetto dell'infinito universo, ma di finiti mondi che sono in quello, o presi secondo le amplitudini di innumerabili orizonti mondani o secondo il numero di innumerabili astri; dove ancora la medesima cosa, secondo il medesimo moto, al riguardo de diversi, si dice andar da alto e da basso. Determinati corpi, dunque, non hanno moto infinito, ma finito e determinato circa gli proprii termini. Ma de l'indeterminato ed infinito non è finito né infinito moto, e non è differenza di loco né di tempo.
16
Quanto poi all'argomento che fa dalla gravità e levità, diciamo che questo è un de' più bei frutti che potesse produrre l'arbore della stolida ignoranza. Perché gravità, come dimostraremo nel luogo di questa considerazione, non si trova in corpo alcuno intiero e naturalmente disposto e collocato; e però non sono differenze che denno distinguere la natura di luoghi e raggion di moto. Oltre che mostraremo, che grave e lieve viene ad esser detta medesima cosa secondo il medesimo appulso e moto al riguardo di diversi mezzi; come anco al rispetto di diversi, medesima cosa se dice essere alta e bassa, muoversi su e giù. E questo dico quanto a gli corpi particulari e mondi particulari; de quali nessuno è grave o lieve: e ne gli quali le parti, allontanandosi e diffondendosi da quelli, si chiamano lievi; e ritornando a gli medesimi, si chiamano gravi; come le particole de la terra o di cose terrestri verso la circonferenza de l'etere se dicono salire, e verso il suo tutto se dicono descendere. Ma quanto all'universo e corpo infinito, chi si ritrovò giamai che dicesse grave o lieve? o pur chi puose tai principii e delirò talmente che per conseguenza possa inferirse dal suo dire, che l'infinito sia grave o lieve? debbia ascendere, montare o poggiare? Noi mostraremo come de infiniti corpi che sono, nessuno è grave, né lieve. Perché queste qualitadi accadeno alle parti per quanto tendeno al suo tutto e luogo della sua conservazione, e però non hanno riguardo all'universo, ma agli proprii mondi continenti ed intieri; come ne la terra, volendo le parti del fuoco liberarsi e poggiar verso il sole, menano sempre seco qualche porzione de l'arida e de l'acqua a cui son congionte; le quali, essendono moltiplicate sopra o in alto, cossì con proprio e naturalissimo appulso ritornano al suo luogo. Oltre e per conseguenza rinforzate, che gli gran corpi sieno gravi o lievi non è possibile, essendo l'universo infinito; e per tanto non hanno raggione di lontananza o propinquità dalla o alla circonferenza o centro; indi non è più grave la terra nel suo luogo, che il sole nel suo, Saturno nel suo, la tramontana nel suo. Potremo però dire che, come sono le parti della terra che ritornano alla terra per la loro gravità, - ché cossì vogliamo dire l'appulso de le parti al tutto, e del peregrino al proprio loco, - cossì sono le parti de li altri corpi, come possono esser infinite altre terre o di simile condizione, infiniti altri soli o fuochi o di simile natura. Tutti si moveno dalli luoghi circonferenziali al proprio continente, come al mezzo: onde seguitarebe che sieno infiniti corpi gravi secondo il numero. Non però verrà ad essere gravità infinita, come in un soggetto ed intensivamente, ma come in innumerabili soggetti ed estensivamente. E questo è quello che séguita dal dire di tutti gli antichi e nostro; e contra questo non ebbe argumento alcuno questo disputante. Quel, dunque, che lui dice dell'impossibilità dell'infinito grave, è tanto vero ed aperto che è vergogna a farne menzione; ed in modo alcuno non appartiene a destruggere l'altrui e confirmar la propria filosofia; ma son propositi tutti e paroli gittati al vento.
17
\ ELP.\ La vanità di costui nelle predette raggioni è più che manifesta, di sorte che non bastarebbe tutta l'arte persuasiva di escusarla. Or udite le raggioni che soggionge per conchiudere universalmente che non sia corpo infinito. "Or", dice lui, "essendo manifesto a quelli che rimirano alle cose particolari, che non è corpo infinito, resta di vedere al generale, se sia questo possibile. Perché potrebe alcuno dire che, sicome il mondo è cossì disposto circa di noi, cossì non sia impossibile che sieno altri più cieli. Ma, prima che vengamo a questo, raggioniamo generalmente dell'infinito. È dunque necessario, che ogni corpo o sia infinito; e questo o sia tutto di parte similari, o di parte dissimilari; e queste o costano di specie finite, o pur di specie infinite. Non è possibile, che coste de infinite specie, se vogliamo presupponere quel ch'abbiamo detto, cioè che sieno più mondi simili a questo; perché, sicome è disposto questo mondo circa noi, cossì sia disposto circa altri, e sieno altri cieli. Perché, se son determinati gli primi moti, che sono circa il mezzo, bisogna che sieno determinati li moti secondi; e per tanto, come già distinguemo cinque sorte di corpi, de quali dui son semplicemente gravi o lievi, e dui mediocremente gravi o lievi, ed uno né grave, né lieve, ma agile circa il centro, cossì deve essere ne gli altri mondi. Non è dunque possibile, che coste d'infinite specie. Non è ancora possibile che coste di specie finite". E primieramente prova, che non costa di specie finite dissimilari, per quattro raggioni, de quali la prima è, che "ciascuna di queste parti infinite sarà acqua o fuoco, e per consequenza cosa grave o lieve. E questo è stato dimostrato impossibile, quando si è visto, che non è gravità, né levità infinita".
18
\ FIL.\ Noi abbiamo assai detto, quando rispondevamo a quello.
19
\ ELP.\ Io lo so. Soggionge la seconda raggione, dicendo, che "bisogna che di queste specie ciascuna sia infinita, e per consequenza il luoco di ciascuna deve essere infinito: onde seguitarà che il moto di ciascuna sia infinito; il che è impossibile. Perché non può essere, che un corpo che va giù, corra per infinito al basso; il che è manifesto da quel che si trova in tutt'i moti e trasmutazioni. Come nella generazione non si cerca di fare quel che non può esser fatto, cossì nel moto locale non si cerca il luogo, ove non si possa giunger mai; e quello che non è possibile che sia in Egitto, è impossibile che si muova in verso Egitto; perché la natura nessuna cosa opra in vano. Impossibile è, dunque, che cosa si muova verso là dove non può pervenire".
20
\ FIL.\ A questo si è risposto assai; e diciamo che son terre infinite, son soli infiniti, è etere infinito; o secondo il dir di Democrito ed Epicuro, è pieno e vacuo infinito; l'uno insito ne l'altro. E son diverse specie finite, le une comprese da le altre, e le une ordinate a le altre. Le quali specie diverse tutte se hanno come concorrenti a fare un intiero universo infinito, e come ancora infinite parti de l'infinito, in quanto che da infinite terre simili a questa proviene in atto terra infinita, non come un solo continuo, ma come un compreso dalla innumerabile moltitudine di quelle. Similmente se intende de le altre specie di corpi, sieno quattro o sieno due o sieno tre o quante si voglia (non determino al presente); le quali, come che sono parte (in modo che si possono dir parte) de l'infinito, bisogna che sieno infinite, secondo la mole che resulta da tal moltitudine. Or qui non bisogna che il grave vada in infinito al basso. Ma come questo grave va al suo prossimo e connatural corpo, cossì quello al suo, quell'altro al suo. Ha questa terra le parti che appartengono a lei; ha quella terra le parti sue appartenenti a sé. Cossì ha quel sole le sue parti che si diffondeno da lui e cercano di ritornare a lui; ed altri corpi similmente riaccoglieno naturalmente le sue parti. Onde, sì come le margini e le distanze de gli uni corpi a gli altri corpi son finite, cossì gli moti son finiti; e sicome nessuno si parte da Grecia per andare in infinito, ma per andar in Italia o in Egitto, cossì, quando parte di terra o di sole si move, non si propone infinito, ma finito e termine. Tutta volta, essendo l'universo infinito e gli corpi suoi tutti trasmutabili, tutti per conseguenza diffondeno sempre da sé e sempre in sé accoglieno, mandano del proprio fuora e accogliono dentro del peregrino. Non stimo che sia cosa assorda ed inconveniente, anzi convenientissima e naturale, che sieno transmutazion finite possibili ad accadere ad un soggetto; e però de particole de la terra vagar l'eterea regione e occorrere per l'inmenso spacio ora ad un corpo ora ad un altro, non meno che veggiamo le medesime particole cangiarsi di luogo, di disposizione e di forma, essendono ancora appresso di noi. Onde questa terra, se è eterna ed è perpetua, non è tale per la consistenza di sue medesime parti e di medesimi suoi individui, ma per la vicissitudine de altri che diffonde, ed altri che gli succedeno in luogo di quelli; in modo che, di medesima anima ed intelligenza, il corpo sempre si va a parte a parte cangiando e rinovando. Come appare anco ne gli animali, li quali non si continuano altrimente se non con gli nutrimenti che riceveno, ed escrementi che sempre mandano; onde chi ben considera saprà che giovani non abbiamo la medesima carne che avevamo fanciulli, e vecchi non abbiamo quella medesima che quando eravamo giovani; perché siamo in continua trasmutazione, la qual porta seco che in noi continuamente influiscano nuovi atomi e da noi se dipartano li già altre volte accolti. Come circa il sperma, giongendosi atomi ad atomi per la virtù dell'intelletto generale ed anima (mediante la fabrica in cui, come materia, concorreno), se viene a formare e crescere il corpo, quando l'influsso de gli atomi è maggior che l'efflusso, e poi il medesimo corpo è in certa consistenza quando l'efflusso è equale a l'influsso, ed al fine va in declinazione, essendo l'efflusso maggior che l'influsso. Non dico l'efflusso ed influsso assolutamente, ma l'efflusso del conveniente e natio e l'influsso del peregrino e sconveniente; il quale non può esser vinto dal debilitato principio per l'efflusso; il quale è pur continuo del vitale come del non vitale. Per venir, dunque, al punto, dico che per cotal vicissitudine non è inconveniente, ma raggionevolissimo dire, che le parti ed atomi abbiano corso e moto infinito per le infinite vicissitudini e transmutazioni tanto di forme quanto di luoghi. Inconveniente sarebbe se, come a prosimo termine prescritto di transmutazion locale, over di alterazione, si trovasse cosa che tendesse in infinito. Il che non può essere, atteso che, non sì tosto una cosa è mossa da uno che si trove in un altro luogo, è spogliata di una che non sia investita di un'altra disposizione, e lasciato uno che non abbia preso un altro essere; il quale necessariamente séguita dalla alterazione; la quale necessariamente séguita dalla mutazion locale. Tanto che il soggetto prossimo e formato non può muoversi se non finitamente, perché facilmente accoglie un'altra forma se muta loco. Il soggetto primo e formabile se muove infinitamente, e secondo il spacio e secondo il numero delle figurazioni; mentre le parti della materia s'intrudeno ed extrudeno da questo in quello e in quell'altro loco, parte e tutto.
21
\ ELP.\ Io intendo molto bene. Soggionge per terza raggione, che, "se si dicesse l'infinito discreto e disgionto, onde debbano essere individui e particolari fuochi infiniti, e ciascun di quelli poi essere finito, nientemanco accaderà, che quel fuoco, che resulta da tutti gl'individui, debba essere infinito".
22
\ FIL.\ Questo ho già conceduto; e per sapersi questo, lui non dovea forzarsi contra di ciò da che non séguita inconveniente alcuno. Perché, se il corpo vien disgiunto o diviso in parte localmente distinte, de le quali l'una pondere cento, l'altra mille, l'altra diece, seguitarà che il tutto pondere mille cento e diece. Ma ciò sarà secondo più pesi discreti, e non secondo un peso continuo. Or noi e gli antichi non abbiamo per inconveniente che in parti discrete se ritrove peso infinito; perché da quelle resulta un peso logicamente, o pur aritmetrica o geometricamente, che vera e naturalmente non fanno un peso, come non fanno una mole infinita, ma fanno infinite mole e pesi finiti. Il che dire, imaginare ed essere, non è il medesimo, ma molto diverso. Perché da questo non séguita che sia un corpo infinito di una specie, ma una specie di corpo in infiniti finiti; né è però un pondo infinito, infiniti pondi finiti, atteso che questa infinitudine non è come di continuo, ma come di discreti; li quali sono in un continuo infinito, che è il spacio, il loco e dimensione capace di quelli tutti. Non è dunque inconveniente che sieno infiniti discreti gravi, quali non fanno un grave; come infinite acqui le quali non fanno un'acqua infinita, infinite parti di terra che non fanno una terra infinita: di sorte che sono infiniti corpi in moltitudine, li quali fisicamente non componeno un corpo infinito di grandezza. E questo fa grandissima differenza; come proporzionalmente si vede nel tratto della nave, la quale viene tratta da diece uniti, e non sarà mai tirata da migliaia de migliaia disuniti e per ciascuno.
23
\ ELP.\ Con questo ed altro dire mille volte avete risoluto lo che pone per quarta ragione; la qual dice che, "se s'intende corpo infinito, è necessario che sia inteso infinito secondo tutte le dimensioni; onde da nessuna parte può essere qualche cosa extra di quello: dunque non è possibile che in corpo infinito sieno più dissimili, de quali ciascuno sia infinito".
24
\ FIL.\ Tutto questo è vero e non contradice a noi, che abbiamo tante volte detto che sono più dissimili finiti in uno infinito, ed abbiamo considerato come questo sia. Forse proporzionalmente, come se alcun dicesse esser più continui insieme, come per essempio e similitudine in un liquido luto, dove sempre ed in ogni parte l'acqua è continuata a l'acqua, e la terra a la terra; dove, per la insensibilità del concorso de le minime parti di terra e minime parti d'acqua, non si diranno discreti né più continui, ma uno continuo, il quale non è acqua, non è terra, ma è luta. Dove indifferentemente ad un altro può piacere di dire, che non propriamente l'acqua è continuata a l'acqua, e la terra a la terra, ma l'acqua a la terra, e la terra a l'acqua; e può similmente venire un terzo, che, negando l'uno e l'altro modo di dire, dica il luto esser continuato al luto. E secondo queste raggioni può esser preso l'universo infinito come un continuo, nel quale non faccia più discrezione l'etere interposto tra sì gran corpi, che far possa nella luta quello aria che è traposto ed interposto tra le parti de l'acqua e de l'arida, essendo differenza solo per la pocagine de le parti, e minorità ed insensibilità che è nella luta, e la grandezza, maggiorità e sensibilità delle parti che sono nell'universo: sì che gli contrarii e gli diversi mobili concorreno nella constituzione di uno continuo immobile, nel quale gli contrarii concorreno alla constituzion d'uno, ed appartengono ad uno ordine, e finalmente sono uno. Inconveniente certo ed impossibile sarrebe ponere dui infiniti distinti l'uno da l'altro; atteso non sarebe modo de imaginare come, dove finisce l'uno, cominci l'altro, onde ambi doi venessero ad aver termine l'uno per l'altro. Ed è oltre difficilissimo trovar dui corpi finiti in uno estremo, ed infiniti ne l'altro.
25
\ ELP.\ Pone due altre raggioni, per provar che non sia infinito di simili parte. "La prima è, perché bisognarebe, che a quello convenesse una di queste specie di moto locale; e però o sarebe una gravità, o levità infinita, overo una circulazione infinita; il che tutto, quanto sia impossibile, abbiamo demostrato".
26
\ FIL.\ E noi ancora abbiamo chiarito quanto questi discorsi e raggioni sieno vani; e che l'infinito in tutto non si muove, e che non è grave né lieve, tanto esso quanto ogni altro corpo nel suo luogo naturale: né pure le parti separate, quando saranno allontanate oltre certi gradi dal proprio loco. Il corpo dunque infinito, secondo noi, non è mobile, né in potenza né in atto; e non è grave né lieve in potenza né in atto; tanto manca ch'aver possa gravità o levità infinita secondo gli principii nostri e di altri contra gli quali costui edifica sì belle castella.
27
\ ELP.\ La seconda raggione per questo è similmente vana; perché vanamente dimanda, "se si muove l'infinito naturale o violentemente", a chi mai disse che lo si mova, tanto in potenzia quanto in atto. Appresso prova che non sia corpo infinito per le raggioni tolte dal moto in generale; dopo che ha proceduto per raggion tolta dal moto in comune. Dice dunque, che il corpo infinito non può aver azione nel corpo finito, né tampoco patir da quello; ed apporta tre proposizioni. Prima che "l'infinito non patisce dal finito"; perché ogni moto, e per conseguenza ogni passione, è in tempo; e se è cossì, potrà avenire che un corpo di minor grandezza potrà aver proporzionale passione a quella; però, sicome è proporzione del paziente finito all'agente finito, verrà ad esser simile del paziente finito allo agente infinito. Questo si vede, si poniamo per corpo infinito A, per corpo finito B; e perché ogni moto è in tempo, sia il tempo G, nel qual tempo A o muove o è mosso. Prendiamo appresso un corpo di minor grandezza, il quale è B; e sia la linea D agente circa un altro corpo (il qual corpo sia H) compitamente, nel medesimo tempo G. Da questo veramente si vedrà, che sarà proporzione di D agente minore a B agente maggiore, sicome è proporzione del paziente finito H alla parte finita A, la qual parte sia AZ. Or quando muteremo la proporzione del primo agente al terzo paziente, come è proporzione del secondo agente al quarto paziente, cioè sarà proporzione di D ad H, come è la proporzione di B ad AZ; B veramente, nel medesimo tempo G, sarà agente perfetto in cosa finita e cosa infinita, cioè in AZ parte de l'infinito ed A infinito. Questo è impossibile; dunque il corpo infinito non può essere agente né paziente, perché doi pazienti equali patiscono equalmente nel medesimo tempo dal medesimo agente, ed il paziente minore patisce dal medesimo agente in tempo minore, il maggiore paziente in maggior tempo. Oltre, quando sono agenti diversi in tempo equale e si complisce la lor azione, verrà ad essere proporzione dell'agente all'agente, come è proporzione del paziente al paziente. Oltre, ogni agente opra nel paziente in tempo finito (parlo di quello agente, che viene a fine della sua azione, non di quello, di cui il moto è continuo, come può esser solo il moto della translazione), perché è impossibile che sia azione finita in tempo infinito. Ecco dunque primieramente manifesto, come il finito non può aver azion compita nell'infinito. [...]
28
Secondo, si mostra medesimamente, che "l'infinito non può essere agente in cosa finita". Sia l'agente infinito A, ed il paziente finito B, e ponemo, che A infinito è agente in B finito, in tempo G. Appresso sia il corpo finito D agente nella parte di B, cioè BZ, in medesimo tempo G. Certamente sarà proporzione del paziente BZ a tutto B paziente, come è proporzione di D agente all'altro agente finito H; ed essendo mutata proporzione, di D agente a BZ paziente, sicome la proporzione di H agente a tutto B. Per conseguenza B sarà mosso da H