Introduzione all'estetica
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La nave è ormai in mano al cuoco di bordo e ciò che trasmette il megafono del comandante non è più la rotta ma ciò che mangeremo domani. (S. Kierkegaard)



A cura di Roberta Musolesi


Manet: Olympia

 

L’estetica come disciplina filosofica specifica nasce alla fine del Settecento e si configura pertanto come un fenomeno essenzialmente moderno; essa nasce come tentativo di fornire una legittimazione universale ad un ambito che, malgrado la molteplicità di tesi e precetti, non era ancora divenuto oggetto di riflessione sistematica. Questo ambito è caratterizzato dall’emergere in primo piano della soggettività con le sue manifestazioni, in particolare il sentimento individuale: questo particolare stato affettivo, che inizia ad essere concepito sul piano filosofico come la fonte delle emozioni, era sconosciuto nell’antichità, dove invece prevaleva la nozione di passione, ancora ampiamente utilizzata fino a tutto il Seicento. A partire dal Settecento, il sentimento va invece ad indicare il riflesso soggettivo che accompagna ogni nostra esperienza e si configura come terzo ambito fondamentale della nostra vita spirituale, accanto ad intelletto e volontà; tale nozione non appare caratterizzata da connotazioni di ordine psicologico e trova il suo terreno di applicazione unicamente in ambito estetico e morale.
L’estetica come disciplina filosofica nasce quindi come tentativo di fondare in modo critico un settore che appare, per le tematiche affrontate, votato fin dall’inizio all’accidente e all’irrazionalità e mira a dettare le condizioni di universalità e di necessità per un tipo di esperienza che, ad una prima analisi, ne è priva. L’estetica, come fenomeno moderno, si sviluppa in un’area culturale, quella di lingua tedesca, che alla fine del Settecento offre alla cultura contributi decisivi nel campo della letteratura (Goethe, Novalis, Schiller, Hölderlin, ecc..) e della musica (Mozart, Beethoven, Schubert) e si radica in un tessuto sociale in cui si qualifica in modo molto chiaro e preciso l’esperienza sociale dell’arte. Il momento in cui infatti nasce l’estetica filosofica è anche quello in cui si delinea in modo definitivo e stabile la figura dell’artista come soggetto in grado di produrre le opere d’arte, quel particolare tipo di oggetti cioè che vengono concepiti sotto la comune categoria della qualità estetica. Tale processo ha inizio a partire dal Rinascimento, mentre precedentemente, nel mondo greco, romano e medievale, l’attività artistica è sempre rimasta, sul piano teorico e sul piano pratico, al di sotto di quel livello di unificazione e specificazione oltre il quale poteva divenire oggetto di una specifica teoria estetica. Ciò tuttavia non significa che le epoche e le civiltà precedenti il Rinascimento non siano state in grado di produrre opere d’arte valide come quelle realizzate negli ultimi quattro secoli; tuttavia la categoria di arte come noi la conosciamo e la pratichiamo oggi era sconosciuta ai greci, ai romani e alla civiltà medievale. Ciò peraltro non rappresenta necessariamente un limite negativo di queste culture: l’estetica più recente si è chiesta infatti se l’arte come attività distinta dalle altre attività dell’uomo non sia il frutto di una specifica forma di “alienazione”, una conseguenza cioè di quel processo di divisione del lavoro che viene visto come motivo di lacerazione dell’integrità dell’esperienza, sia sul piano individuale che su quello sociale.
Accanto al delinearsi in modo chiaro della figura dell’artista, un altro filo conduttore che consente di comprendere le condizioni che rendono possibile l’origine dell’estetica moderna è la nascita del museo: ciò che distingue questa istituzione da tutte quelle create precedentemente per raccogliere le opere d’arte (si vedano, ad esempio, le raccolte principesche) è il fatto che esso opera in base a criteri di scelta che non riflettono più il gusto di un singolo individuo o di un singolo gruppo, ma pretende di operare sulla base di qualità estetiche generalmente riconosciute.

 

 

 

Temi e dualismi dell’estetica

 

Lo studio dell’estetica, secondo l’analisi compiuta da W. Tatarkiewicz nella sua Storia dell’estetica[1], si sviluppa lungo molteplici direttrici e delinea diverse forme di contrapposizione e di dualismo che sono così schematizzabili:

 

a)    Studio del bello e studio dell’arte

 

L’estetica è stata tradizionalmente definita come lo studio del bello, ma alcuni estetologi, poiché la nozione di bello appare troppo vaga e indeterminata per poter essere adeguatamente studiata, si sono rivolti all’analisi delle arti, giungendo alla definizione dell’estetica come studio dell’arte. Ognuno di questi due concetti, bello e arte, appartiene ad una sfera diversa. Il bello infatti non è limitato all’arte e l’arte non è in linea assoluta la ricerca del bello; in alcuni momenti storici, come ad esempio nell’antichità, il rapporto fra arte e bello apparve infatti tenue o addirittura inesistente e, sebbene venisse ugualmente approfondito lo studio sia dell’uno che dell’altro aspetto, questi furono trattati separatamente in quanto non appariva alcuna motivazione logica valida per associarli. Lo studioso moderno invece fatica a dissociare il bello dall’arte e ciò perché troppe idee intorno al bello si sono sviluppate dallo studio dell’arte e numerose idee intorno all’arte derivano dallo studio del bello.
Si tratta quindi di due sfere che tendono a convergere e tale tendenza, che rappresenta il primo dualismo evidente nella storia dell’estetica, è caratteristica della storia di questa disciplina: lo studioso potrà pertanto attribuire maggior rilievo al bello o all’arte, ma l’estetica, in quanto disciplina, evidenzia un duplice campo di ricerca in quanto comprende sia lo studio del bello sia quello dell’arte.

 

b)    Estetica oggettivistica e soggettivistica

 

L’estetica può essere definita come lo studio degli oggetti estetici, ma include anche lo studio delle esperienze estetiche soggettive. Questi due aspetti sono fra loro profondamente interconnessi in quanto l’indagine sul bello oggettivo e sulle opere d’arte conduce inevitabilmente ad affrontare questioni che hanno a che fare con la soggettività: non esiste nulla che non sia stato ritenuto bello da qualcuno e tutto, a seconda dell’atteggiamento estetico che si assume nei confronti delle cose, può essere bello; quindi molti studiosi sono giunti alla conclusione che l’oggetto specifico dell’estetica come disciplina filosofica non sia da individuare nel bello o nell’arte, ma nell’esperienza estetica e nell’atteggiamento estetico assunto nei confronti delle cose.
Appare evidente quindi che lo studio dell’estetica si muove lungo due diverse direttrici e propone quindi un nuovo dualismo: l’uomo ha a che fare con l’estetica in modi diversi, in quanto crea, partecipando come artista, la bellezza e l’opera d’arte, e vive, valuta e critica l’arte stessa, partecipando come fruitore.

 

c)     Estetica psicologica e sociologica

 

Poiché la partecipazione dell’uomo all’arte avviene sia a livello individuale sia a livello collettivo, l’estetica sarà necessariamente analisi delle reazioni del soggetto di fronte al bello e all’arte, quindi estetica psicologica, e analisi dell’atteggiamento che gruppi più o meno ampi di persone assumono di fronte all’arte, quindi estetica sociologica.

 

d)    Estetica descrittiva e normativa

 

In  molte opere di estetica si trovano descritte le proprietà degli oggetti che consideriamo belli e le reazioni che essi suscitano nel fruitore, in altre invece vengono riportati suggerimenti e indicazioni finalizzati a creare opere d’arte valide e di autentica bellezza. L’estetica quindi può essere descrittiva o normativa: l’estetica francese del Seicento, ad esempio, era prevalentemente normativa, quella inglese del Settecento invece era principalmente descrittiva; le norme e i precetti possono inoltre derivare da analisi descrittive e quindi avere un’origine empirica, ma possono anche derivare da presupposti aprioristici e modelli astratti di gusto prevalenti in un determinato periodo storico.

 

e)     Teoria estetica e prassi estetica

 

Questo dualismo, che trova il suo corrispondente nella contrapposizione fra teoria e prassi, vede contrapposti da un lato l’enunciazione di principi, funzionali e parte integrante di ogni teoria dell’arte, e dall’altro la definizione di precetti, che servono invece alla prassi concreta dell’arte stessa. La teoria dell’arte si propone quindi di fornire una visione universale dell’arte e del bello, mentre nella prassi artistica concreta l’artista propone o persegue una delle tante possibili concezioni dell’arte.

 

f)      Fatti estetici e spiegazione estetica

 

L’estetica, come tutte le discipline, cerca di definire le proprietà degli oggetti che studia e si configura quindi come ricerca delle proprietà del bello e dell’arte. Essa cerca inoltre di spiegare queste proprietà, di chiarire cioè le ragioni per cui il bello agisce in un determinato modo e per cui l’arte ha adottato alcune forme invece di altre, e le spiegazioni cui perviene possono essere molto diverse: l’estetica può infatti spiegare l’azione del bello su un piano psicologico o fisiologico oppure spiegare le varie forme artistiche da un punto di vista storico o sociologico.

 

g)    Estetica filosofica ed estetica delle singole arti

 

Le più famose ed importanti teorie estetiche sono state create da filosofi, come Platone e Aristotele, Hume e Burke, Kant e Hegel, Croce e Dewey, ma numerose sono anche le teorie elaborate da artisti, come Leonardo, o da studiosi di architettura, come Vitruvio. Come si è già visto in precedenza, l’estetica, sia che derivi dalla riflessione di un filosofo sia che nasca dalle considerazioni di un artista, può essere aprioristica o empirica; secondo Tatarkiewicz, nell’estetica filosofica appare una tendenza più netta verso l’apriorismo e, a tale proposito, riporta le considerazioni di Fechner, che contrapponeva l’estetica filosofica, come processo che si sviluppa “dall’alto”, a quella empirica, che procede invece “dal basso”.

 

h)    Estetica delle arti ed estetica della letteratura

 

L’estetica analizza e studia materiali che provengono da diverse arti, ciascuna delle quali possiede una propria specificità; esiste, a giudizio di Tatarkiewicz, una contrapposizione fra belle arti, che si rivolgono direttamente ai sensi del fruitore, e la poesia, che opera invece mediante segni linguistici; è naturale quindi, che queste pervengano a concezioni estetiche diverse e per certi versi contrapposte, visto che e prime mettono in evidenza le immagini sensibili e le seconde propongono invece simboli intelligibili.

 



[1] W. Tatarkiewicz, Storia dell’estetica, vol. I, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino, 1979.






La filosofia e i suoi eroi