HERMANN KEYSERLING

 

A cura di Marco Minniti



"Perchè mai tutti i pregi dovrebbero risiedere in un solo popolo? L'umanità è un'orchesrta polifonica, il filosofo ne ascolta l'accordo d'insieme".


 

 

 

 

La vocazione metafisica

KEYSERLINGIn un sintetico scorcio autobiografico redatto pochi anni dopo la pubblicazione del suo Diario di viaggio, Hermann Keyserling si identifica pienamente nel tipo dell’ “uomo demonico” illustrato da Jaspers nella Psicologia delle visioni del mondo, che, nel suo caso, si incarna in una personalità caratterizzata dalla tensione polare fra una componente femminile-recettiva, contemplativa, animica, e una componente virile-affermativa, creativa, spirituale. La polarità dinamica fra Seele e Geist, anima e spirito, o, se si vuole, fra Oriente e Occidente, contrassegna l’intero percorso vitale di Keyserling, che lo conduce alla fine a quel luogo, la scuola della saggezza, da lui fondata a Darmstadt nel 1920, in cui la conciliazione, nell’ideale della saggezza, fra anima e spirito, vita e conoscenza, diviene – per lo meno nelle intenzioni – il punto di partenza per un radicale rinnovamento dell’umanità occidentale.

Ma se è al tipo umano del saggio, del metafisico e del filosofo (profondamente antiaccademico) che, dopo la Prima guerra mondiale, spetta il compito di sanare l’umanità occidentale dalla sua crisi culturale, è anche vero che tale tipo rappresenta in Keyserling soltanto il punto di approdo di una complessa serie di metamorfosi interiori di cui il Diario di viaggio costituisce lo snodo cruciale. Nato a  K ‘o’nn (Livonia) il 20 luglio 1880 da un’antica famiglia aristocratica di ceppo tedesco e di grandi tradizioni intellettuali, il giovane Keyserling, sulle orme del nonno Alexander, si dedica anzitutto alle scienze naturali (geologia, zoologia e chimica), disinteressandosi completamente delle discipline filosofiche. Ma gli aridi studi scientifici, condotti  peraltro con impegno caparbio, non riescono a sopprimere la “natura d’artista”, il lato “tenero-femminile” del giovane studioso, che, stimolato dalla intensa frequentazione nei primi anni del secolo a Vienna, di Houston Stewart

Chamberlain e di Rudolf Kassner, si apre infine alla filosofia kantiana e al criticismo. Dopo essersi laureato a Vienna nel 1920 con una tesi in geologia, Keyserling, trasferitosi a Parigi, inizia la sua vita di filosofo e libero scrittore. La filosofia quindi fa la sua prima comparsa nell’orozzonte di conoscenza, da cui la metafisica rimane nettamente distinta. Appartengono a questa prima fase del suo pensiero tre opere di impianto criticista (sia pure - come spiega l’autore - composte musicalmente, come opere d’arte, senza particolari pretese sistematiche): La struttura del mondo (1906), Immortalità (1907) e Prolegomeni alla filosofia  della natura (1910), il cui senso complessivo può essere identificato con il programma di sviluppare la strumentazione critica di impianto kantiano fino al limite estrmo oltre il quale si rende intrinsecamente necessario il passaggio all’esperienza metafisica, che avviene appunto nel Diario. Ma già nel quinto capitolo dei Prolegomeni, intitolato emblematicamente Vita, Keysreling prende congedo dalla ragione scientifica e dalla sua critica: “ciò che sta al di là dei fatti empirici si sottrae alla concettualità scientifica, ed è per questo che la scienza critica, e con essa ogni spiegazione idealistica del mondo, fallisce nell’attimo stesso in cui si tratta di comprendere la vita nel suo complesso”. Il termine “vita”, la cui centarlità filosofica Keyserling condivide con altri esponenti della Lebensphilosophie, come Simmel e Bergson (coi quali fu per anni in rapporti di sincera amicizia), identifica qui quell’elemento reale-trascendentale, creativo, sovraindividuale e sovraempirico che mette in scacco sia la scienza sia l’idealismo filosofico, e il cui senso può essere compreso solo mediante una pratica di interiorizzazione da parte del soggetto conoscente. Il sapere metafisico, che non riguarda i fatti, le apparenze, o le loro leggi, ma il senso trascendente che in essi si esprime, è “espressione vitale immediata e incomunicabile”, e scaturisce quindi dall’approfondimento del mondo interiore, dell’anima, dello spirito, dell’essenza, della persona: è anzitutto il microcosmo non concettualizzabile del nostro concreto “io” vivente e vissuto a rappresentare per Keyserling l’accesso diretto al macrocosmo del mondo, cioè al suo principio creativo, che agisce per così dire dal suo interno.

Come il “Keyserling scienziato” è spinto dal suo demone a cercare la via della filosofia oltre il naturalismo, così il “Keyserling kantiano” ne è spinto a cercare la via della metafisica oltre il criticismo, una via verso il senso del mondo che passa per l’interiorizzazione, lo sprofondamento nell’essenza personale, nel “sé”. È questa la base della futura Sinnphilosophie. Il compito che Keyserling assegna alle sue opere critiche è dunque soprattutto quello di sgombrare la strada alla sua vocazione metafisica, una volta contestato che “lo spirito è qualcosa di più essenziale della ragione kantiana”. Eppure il bisogno metafisico di riprendere contatto con il proprio “sé” non lo conduce nella cella di un monastero, o nell’isolamento di un eremitaggio meditativo, ma, paradossalmente, nella vastità del mondo, nella pratica del vagabondare e del viaggiare, nei cui confronti egli dimostra fin da giovanissimo una spiccata attitudine. Il diario di viaggio è la testimonianza romanzesca di questa errante metamorfosi interiore, rispetto alla quale le tappe del viaggio sono in un certo senso casuali, poichè si tratta appunto di tappe spirituali:

 

“L’unica cosa che m’importava era sperimentare e poi mostrae come uno spirito radicato in modo sufficientemente profondo nel proprio sè, nel fare il giro del globo ruoti di fatto solo attorno al proprio asse…Quest’opera non rappresenta insomma nient’altro che l’illustrazione artistica del processo della mia nascita personale”.

 

Quando nell’ottobre 1911, egli si imbarca a Genova alla volta dell’Oriente (il viaggio durerà circa un anno) non lo fa nè per spirito d’avventura nè per fascinazione esotica, ma nemmeno per uno specifico interesse di ricerca, bensì nel senso di un rigoroso esercizio spirituale: il suo errare nel mondo è il metodo, la via, la pratica per incontrare, approfondire, dominare il suo “sé” metafisico, e, di conseguenza, il senso del mondo. L’Oriente di Keyserling è anzitutto soltanto una tappa interiore della metamorfosi che porta all’autorealizzazione, cioè alla saggezza.

 

 

Il viaggio di Proteo

Il Tao-te-king rivela quanto poco orientale sia l’atteggiamento di Keyserling al momento di intraprendere il suo viaggio:”senza uscire di casa  - scrive Lao-tse – si conosce il mondo/senza affacciarsi alla finestra / si conosce il Tao / tanto piu’ lontano si va / meno si conosce / perciò il saggio / conosce e non viaggia”.Viceversa, egli non può nemmeno venire annoverato fra coloro che considerarono l’India e la cultura orientale come oggetto di studio scientifico, filologico e filosofico, o come meta di conquiste, avventura, spedizioni ed esplorazioni, o infine come mera alternativa alla civiltà occidentale. Keyserling è troppo spirituale per accettare tout court la passività del saggio orientale, ma è nel contempo troppo animico per condividere l’attivismo dell’esploratore occidentale: teme la “cristallizzazione”, ma non mira ad alcuna alienazione o annessione culturale.

Una prima composizione fra Seele e Geist, staticità e dinamismo, egli la trova nel proteismo - è Proteo il vero protagonista del Diario - vale a dire in quell’atteggiamento di totale apertura mimetica, empatica nei confronti della forme estranee, che tuttavia è solo il mezzo, il metodo, la via, per il coglimento di quell’unico senso che, pur sussistendo al di là di esse, in esse si esprime: la metamorfosi di Proteo è incessante (Keyserling si sente di volta in volta idolatra, politeista e monoteista, buddista, indù e maomettano, monaco, mistico, teosofo, guerriero, anacoreta ecc), ma il dinamico susseguirsi delle sue incarnazioni non fa che avvicinarlo, con moto rotatorio, alla sublime qiete del suo sè più profondo, laddove il senso del mondo gli si rivela in modo automatico.Come nel caso del Viaggio in Italia di Goethe o del Diario di viaggio di Herder, in gioco, qui, non è la conoscenza dei fatti, ma il raggiungimento di un diverso e superiore stato di coscienza.

Ma nel Proteo del Diario si rispecchia anche il centro della Weltanschauung di Keyserling, cioè l’idea - che con Kassner potermmo definire “fisognomica” - che il senso, la verità, il carattere del mondo sia un alcunchè di dinamico, di puramente intensivo, che si esprime metaforicamente in forme (in volti) sempre diverse e che richiede, per essere compreso, un atteggiamento soggettivo a sua volta dinamico, aperto, interpretativo, in cui l’interprete, immedesimandosi nell’espressione, mette in gioco la sua stessa vitalità creativa. Alla dinamica della verità deve corrispondere la plasticità comprendente (proteiforme) dell’anima. Il nucleo gnoseologico di fondo del Diario - che affonda le radici del pensiero di Keyserling - risiede nell’unità dinamica fra senso, espressione e interpretazione, sicchè il viaggio intorno al mondo non è che un immane processo interpretativo vissuto e finalizzato alla pratica della verità in un diverso e più alto stato di coscienza. Il proteismo è un ideale squisitamente ermeneutico, ed è questa, appunto, la sua saggezza. E d’altronde, che cosa più della pratica interpretativa riesce a comporre paradossalmente, nella dimensione del vissuto, atteggiamento animico-ricettivo e atteggiamento spirituale-creativo, passività e attività, Seele e Geist, Oriente e occidente? Ma la necessità di una composizione dinamica (nel senso del simbolo taoista) della polarità anima-spirito assume nel Diario anche un carattere più sostanziale. Dal punto di vista socioculturale, Keyserling critica l’unilateralità dell’elemento animico, statico, passivo, femminile dell’orientale, che, proprio per mancanza di virilità e di creatività, cioè di spiritualità, impedisce di fatto, nella prassi, la dynamis culturale, il rinnovamento storico, la rinascita, la realizzazione. Il carattere tipicamente “vegetale” dell’orientale, derivante dall’ipostatizzazione dello psichico, va senz’altro superato. Ma dall’altro lato, come dimostra la tappa americana del viaggio, se non viene controbilanciata da valori animici la tensione, razionale al mutamento, al progresso, all’attività, al fare rispetto all’essere, porta a una ipostatizzazione dell’intelletto che genera una barbarie “senz’anima, senza interessi spirituali, senza cultura del sentimento”, dominata dal principio di prestazione e dalla reificazione. Ovvero: il moderno utilitarista occidentale schiavo della ratio funzionale è l’esatto opposto-speculare del saggio anacoreta orientale sporofondato nella psiche, e questa unilateralità va sbloccata in entrambi i sensi, se si vuole creare l’uomo nuovo, che deve saper coniugare produttivamente Sinnerfassung e Sinnverwirklichung, comprensione e realizzazione del senso. Ma il fascino della vegetalità, della vita contemplativa e dell’isolamento dal mondo va superato anche dal punto di vista personale. In più occasioni, durante la permanenza in Oriente, il viaggiatore sembra cedere alla tentazione di arrestare il suo vagabondaggio nel non-fare, nella vita monastica e nell’ascesi: “oggi - scrive per esempio in Himalaya - ho l’impressione che la mia meta si trovi nel mahatmismo, e mi sento maturo per uscire dall’umanità… Se incontrassi un maestro che mi dicesse ‘vieni!’ lo seguirei ciecamente”. Di fatto, nel 1914, ultimata la stesura del Diario, Keyserling medita di stabilirsi in un monastero in Corea per concludervi la propria vita in solitario eremitaggio. Ma, appunto, egli è troppo occidentale, troppo spirituale, per cristallizzarsi nel perfetto détachement. La sua saggezza non è quella femminea dell’anacoreta, ma quella virile del condottiero, di colui che, oltre il profeta Nietzsche, vuole essere non il messaggero, ma il realizzatore di una nuova umanità.

La via di Keyserling lo ha condotto dalla scienza alla critica della conoscenza, da questa alla metafisica, e dalla metafisica, appunto, alla saggezza. Si tratta ora di realizzare nel mondo questa saggezza: la parola deve farsi carne. È cosi che - anche al seguito degli incalzanti avvenimenti del 1918 - Proteo deve compiere la sua estrema metamorfosi, e negare se stesso, superando l’estetismo del diario: la sua libertà sta ora non nell’assoluta trasformabilità, ma proprio in quella forma che gli è assegnata dal destino: “se il mio compito è quello di perfezionare me stesso - si legge in chiusura del Diario - esso implica anche il compito ulteriore di contribuire al perfezionamento del mondo”. È questo senso tutto occidentale di attiva responsabilità nei confronti del mondo - assente nel saggio orientale - che spinge Keyserling nell’engagement intellettuale nella Germania weimeriana, e ciò nel segno della “fecondazione reciproca fra Oriente e Occidente”, come suona il titolo di uno dei suoi primi scritti dopo il ritorno in patria.

 

 

La scuola della saggezza

Il dopoguerra si apre per Keyserling nel segno di due eventi contrastanti: da un lato, la pubblicazione, nel dicembre 1918, del Diario, che diviene subito un bestseller, gli procura un successo e una notorietà paragonabili -con una paradossalità che è l’emblema dei tempi - a quelli ottenuti da un’opera coetanea di segno affatto opposto alla sua, il Tramonto dell’Occidente di Oswald Spengler. Dall’altro lato, gli sviluppi della Rivoluzione russa in patria lo privano dei suoi possedimenti, dunque della possibilità materiale di mettere in pratica i suoi propositi riformatori su larga scala. Esule in Germania, il “filosofo errante” acquista ora i tratti drammatici del “senzapatria”. Giunge quindi opportuna la proposta dell’editore Otto Reichl di fondare a Darmstadt, sotto il patrocinio del granduca Ernst Ludwing von Hessen, una “colonia filosofica”, guidata appunto da Keyserling. Dopo le trattative  del caso, la Scuola della saggezza – che a dire dello stesso Keyserling incarna “la migliore possibiltà in assoluto di rendersi efficace del suo demone” - viene inaugurata il 23 novembre 1920 assieme al suo organo di gestione, la Società per la libera filosofia. I fondamenti teorici e programmatici della Scuola della saggezza sono esposti in Conoscenza creativa, l’opera che va considerata al tempo steso il compimento e il superamento del Diario. In una civiltà occidentale in cui il grande progresso intellettuale è avvenuto ovunque a spese della vita spirituale, appare decisivo per Keyserling sviluppare quel “tipo di formazione” dell’uomo che sia realmente in grado di sconfiggere la funesta ipertrofia dell’intelletto, e ciò  può avvenire solo nel senso di una “nuova sintesi fra spirito e anima”, maschile e femminile, Occidente e Oriente. Stimolare, educare, addestrare, promuovere e sviluppare a ogni livello, sia individuale sia collettivo, questa sintesi è il compito del saggio occidentale. La conoscenza  deve ritrovare il suo rapporto con la vita, ma ciò presuppone il raggiungimento di un diverso e più alto stato di coscienza in cui teoria e prassi, conoscere ed essere stabiliscono un’entità efficace e creativa.La consapevolezza orientale che è “il senso a creare il dato di fatto, e non viceversa” deve preludere quindi non già a un passivo acquietamento nello psichico, ma a una pratica attiva-vitale-creativa, spirituale, della conoscenza, che solo in questo senso dinamico diviene redenzione. Coerentemente con la dottrina, già accennata nel Diario, del rapporto dinamico fra senso, espressione e interpretazione, il compito del saggio resta dunque per Keyserling quello tutto occidentale di determinare “un’accellerazione della vita complessiva”, cioè di rianimarla sempre di nuovo a partire da una profonda cognizione del senso. Viceversa, laddove si tratta in praxi della formazione psicofisica del tipo umano in grado di realizzare il mutamento (sia esso imprenditore, commerciante, finanziere, generale, economista, amministratore, intellettuale, politico, scienziato ecc., insomma il componente di una sorta di nuova aristocrazia dello spirito dirigente), è da millenni la cultura orientale a possedee le chiavi del giusto metodo pedagogico.Già nel suo diario Keyserling si sofferma ripetutamente sull’efficacia dell’addestramento e dell’esempio, ma anche soprattutto della cultura della concentrazione e della meditazione (culminante nella pratica yoga): “noi occidentali siamo assai più vitali degli indù e disponiamo di un capitale psichico assai più sostanzioso: chissà dove potremo mai giungere se ci formeremo a sufficienza!”.

L Scuola della saggezza, il cui periodo di massimo fulgore va dal 1920 al 1930, è dunque anzitutto una poderosa macchina di formazione, una “scuola della coscienza”, che intende trasmettere un “essere” anziché un “potere”, cioè anzitutto e in primo luogo il giusto atteggiamento, al giusto livello, nei confronti del mondo. In tal senso, il “come” precede sempre il “che cosa”, sicchè è comunque non sui contenuti, ma sull’influsso personale, sull’esempio, sul vissuto che cade l’accento: “la Scuola della saggezza non vuole né può trasmettere una dottrina particolare, poiché la saggezza non è una disciplina specifica; il suo compito è piuttosto quello di rendere più profondo il rappresentante di un qualsiasi sapere – sia esso teologo, filosofo,industriale, soldato o commerciante - in modo tale da ricollegare ogni specifica forma personale o oggettiva a un contesto di senso più profondo”. Ed è in tale prospettiva che vengono organizzati i contenitori operativi della Scuola – i convegni annuali, i seminari, gli esercizi, i colloqui personali e l’insegnamento individuale – la cui risonanza e il cui influsso sulla cultura della Repubblica di Weimar furono enormi, e che videro la partecipazione di alcune fra le maggiori personalità intellettuali del tempo. Sotto l’instancabile orchestrazione di Keyserling (che però al tempo stesso si sente “il primo allievo” della Scuola), tutto si svolge all’insegna dell’influsso personale e dell’esempio: i relatori dei convegni debbono anzitutto rappresentare in sé un tipo umano “innovativo” nel senso della nuova spiritualità, sicchè è l’essere personale del relatore, non il suo argomento o la sua dottrina, a porsi in primo piano (di qui il “divieto di discussione” imposto da Keyserling). E ciò vale tanto più durante i colloqui e l’insegnamento individuale che, paragonati da Keyserling a un rapporto di suggestione medico-paziente, debbono ispirare all’allievo non già contenuti di conoscenza, ma “un atteggiamento più profondo, un nuovo ritmo di vita, che lo innalzi a un superiore livello di essere”. Ma la conquista della saggezza in quanto “giusto atteggiamento dell’uomo vivente nella sua globalità” è stimolata anche dagli esercizi collettivi, in cui Keyserling, e soprattutto Erwin Rousselle, illustrano il senso delle tecniche di concentrazione, contemplazione e meditazione – sia orientali sia occidentali – che poi devono venire messe in pratica come metodi per un mutamento e un approfondimento psichico, spirituale e corporale. La Scuola è quindi anche una sorta di monastero, o meglio di ritiro, in cui ogni singolo persegue la propria perfezione personale, ma non è né un ente per la cura dell’anima, né un sanatorio. La ricerca della perfezione vale solo ed esclusivamente in funzione della sua efficacia intramondana:

 

“La facoltà di concentrazione è la vera e propria energia propulsiva del nostro intero meccanismo psichico, non v’è nulla che ne aumenti la capacità operativa quanto il suo potenziamento, e ogni successo, in ogni ambito, è riconducibile allo sfruttamento intelligente di tale energia. Non v’è ostacolo che possa resistere durevolmente a un’energia volitiva eccezionale, concentrata all’estremo”.

 

Non è un caso che Keyserling e Rousselle vedano nel cavaliere del Gral il  simbolo di questo tipo umano al tempo stesso sacerdote e guerriero.

Nell’evocare ancora una volta la sintesi di Seele e Geist, psichismo orientale e attivismo occidentale, questa idea appare difficilmente compatibile con quella di chi nella Scuola voleva vedere un centro esoterico, sede di una chiusa setta malata di esotismo, e nel leader una sorta di Buddha troneggiante: “la scuola della saggezza - scrive Keyserling nel 1925 - è un centro spirituale, un punto di accensione dello spirito. Non è un istituto scolastico. Non ha un programma stabile. Il suo emblema non è il cerchio chiuso, ma l’angolo aperto”. In questa sua veste, la Scuola si presenta negli anni Venti come una delle realtà culturali più feconde e influenti nella vita della Repubblica di Weimar.

 

 

 

 

La fine del viaggio

Ma che ne è del viaggiatore? Del filosofo errante? Di proteo? Proteo sussiste (ovviamente) sotto altre spoglie, anche se ora, preso dalla sua missione, non veste più i panni del flaneur cosmico disposto ad accogliere in modo femminile ogni forma esteriore, ma quelli maggiormente virili e spirituali del leader carismatico, dell’organizzatore infaticabile, del pedagogo illuminato, dell’oratore veemente, dell’intellettuale engagé, dello stratega, del politico realista, del pubblicista. Oltre a una miriade di interventi sui temi trattati nella Scuola e a testi dedicati ai suoi sviluppi teorici - Philosophie als Kunst (Filosofia come arte), 1920; Wiedergerburt (Rinascita), 1926 -, Keyserling pubblica opere di stringente attualità come Politik, Wirtschaft, Weisheit (Politica, economia, saggezza), 1922, in cui affronta direttamente la “questione” tedesca e analizza il contesto politico-economico dal punto di vista della filosofia del senso, Dieneuentstehende Welt (Presagi di un mondo nuovo), 1926, in cui diagnostica la crisi dell’epoca e auspica un intervento terapeutico della filosofia, Das Spektrum Europas (Lo spettro dell’Europa), 1928, in cui, in’ottica di filosofia e psicologia della cultura, analizza argutamente i caratteri delle singole nazioni nella prospettiva di una futura comunità europea.

Ed esattamente nel nome della dichiarata apertura all’esterno della Scuola della saggezza, e nella necessità di diffondere il verbo universale, Keyserling – anche qui nei panni mutati del condottiero dello spirito – si rimette spesso in viaggio, intraprendendo vorticosi e frequentatissimi cicli di conferenze, che lo portano, oltre che quasi ovunque in Europa ( è particolarmente gradito in Francia e in Spagna), anche negli Stati Uniti (1927-28) e in Sudamerica (1929). Da queste due ultime esperienze nascono Amerika. Der Aufgang einer neuen Welt (America. L’alba di un mondo nuovo), 1930, una sorta di “psicoanalisi degli Stati Uniti” che è anche una critica della società americana, e soprattutto Sùdamerikanische Meditationen (Meditazioni sudamericane), 1932, che, incarnando per così dire la terza fase nella vita e nel pensiero del filosofo, testimonia del suo essere venuto a contatto, in Sudamerica, con le oscure forze primordiali-telluriche del vivente: è la terra, ora, con la sua energia abissale, l’elemento notturno, refrattario allo spirito creativo ed eternamente condizionante con cui l’uomo deve fare i conti nel suo tentativo di dare senso al mondo. Nello stile del Diario di viaggio, le Meditazioni sudamericane illustrano lo sprofondamento di Proteo nel mondo infero delle pulsioni elementari.

L’attivismo errante di Keyserling sembra inarrestabile, e la sua notorietà è enorme: mentre la scuola della saggezza, a poco a poco, perde di incidenza, ma non di prestigio, nel 1931 il suo fondatore è in Francia, dove espone il suo pensiero di fronte a quasi settemila persone riunite nella sala del Trocadèro, poi è in Spagna, Olanda, Belgio. Egli è senz’altro il filosofo più popolare della Repubblica Weimariana. Ma sono proprio questa sua popolarità, il suo cosmopolitismo, il suo universalismo, il suo liberalismo, la sua disposizione al dialogo e alla comprensione fra le genti, le culture, i popoli, insomma il suo stesso istinto di viaggiatore, a decretarne la condanna.

Lo scontro con il nazismo è inevitabile. Dopo il 1933, alle campagne di sobillazione e di diffamazione orchestrate contro di lui dai nazisti (tra cui il suo ex editore Reichl), seguono i divieti di tenere conferenze e di pubblicare i suoi scritti, le censure, i boicottaggi, con conseguenze economiche disastrose per un intellettuale abituato a vivere della sua parola e della sua penna. Proprio il suo proteiforme protagonismo e il suo ecumenismo hanno procurato al filosofo molti nemici: “per i nazionalisti – scriverà il figlio Arnold – un traditore della patria, per i nazisti un nemico dello Stato, per i filosofi accademici un dilettante aristocratico, per i fondamentalisti un anti-cristo luciferino, per gli intellettuali di sinistra un mistagogo, per gli esoterici un rinnegato”. Infine, nel 1937, con il divieto di comparire pubblicamente e, soprattutto, di recarsi all’estero, il cerchio, quello della barbarie occidentale da lui sempre combattuta, si chiude attorno a Keyserling,  e al viaggiatore vengono definitivamente tarpate le ali. A causa della in desiderabilità politica del suo leader, anche la Scuola, pur continuando a sussistere fra mille difficoltà, si trova obbligata suo malgrado a chiudersi sempre più su se stessa, fino a estinzione della sua attività pubblica, nel 1939.

Come nel caso di molti altri intellettuali cosmopoliti (si pensi all’ebreo errante Walter Benjamin, che pure ebbe un destino assai più tragico), anche il viaggio di Keyserling si conclude nella palude della Germania nazista. Su di lui cala uno spesso velo di minaccioso silenzio, che in parte è durato fino a oggi. Lasciata Darmstadt per ragioni di sicurezza personale, ridotto quasi in miseria, malato, nel 1943 Keyserling si trasferisce ad Aurach/Kitzbùhel in Tirolo, dove rimarrà fino a poco prima della morte. Ma fino all’ultimo, fedele al suo demone, egli lavora alacremente alla possibilità di riaprire, nell’immediato dopoguerra, la Scuola della saggezza a Innsbruck. Evidentemente, l’idea, già espressa trent’anni prima nel Diario di viaggio, di combattere il “tramonto dell’Occidente” con le armi dell’anima, dello spirito e della saggezza non lo ha affatto abbandonato: sono senz’altro ancora pochi gli uomini decisivi che hanno raggiunto l’ideale superiore, ma “dispenderà dal loro esempio se la massa sprofonderà nell’abisso o proseguirà alla volta di altezze più libere”. Parole, queste, che nella Germania sconvolta dalla catastrofe bellica acquistano un’attualità ancora più drammatica.

Keyserling muore a Innsbruck il 26 aprile 1946, pochi mesi prima del progettato convegno internazionale (previsto per il settembre dello stesso anno) che avrebbe dovuto consacrare la riapertura della Scuola della saggezza nella città austriaca. Il titolo del convegno, che nelle intenzioni del suo promotore sarebbe dovuto servire “alla  comprensione fra i popoli, alla comunicazione fra nuove e vecchie generazioni e alla rifondazione della vecchia cultura occidentale in vista di un futuro migliore, più moderno e più conforme al senso”, riassume, ancora una volta, l’ideale nel nome del quale il filosofo errante ha lottato (e viaggiato) per tutta la vita: “il ricongiungimento di anima e spirito”.

 

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