HEGEL

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INDICE
SULL'INSEGNAMENTO DELLA FILOSOFIA ALL'UNIVERSITA'
SULL'INSEGNAMENTO DELLA FILOSOFIA NEI GINNASI

SULL'INSEGNAMENTO DELLA FILOSOFIA ALL'UNIVERSITA'

Lettera al regio consigliere del governo di Prussia, Professor Friedrich von Raumer (Norimberga, 2 Agosto 1816)

Illustrissimo, con la presente mi permetto, in base al nostro colloquio di persona, di esporre ulteriormente le mie idee sull'insegnamento della filosofia all'università. Devo davvero pregarLa di essere cosi' gentile da accontentarsi della forma. Non cerchi più connessione ed esaustività di quella che permette una lettera rapida, che deve raggiungerLa ancora nelle nostre vicinanze! Affrontando il tema come in generale verrebbe in parola, allora, dal momento che può sembrare cosa ben facile, comincio subito con questa osservazione: per l'insegnamento della filosofia, potrebbe valere semplicemente lo stesso, che vale per tutte le scienze. Al proposito, però, non voglio soffermarmi sul fatto che anche l'insegnamento della filosofia dovrebbe unire chiarezza e profondità all'ampiezza opportuna. Né voglio dilungarmi sul destino, che la filosofia condivide con le altre discipline all'università, di dovere essere organizzata nei termini di tempo, di solito un semestre, previsti (e sarebbe pertanto necessario diluire o condensare la materia secondo questi tempi), eccetera. Tutto ciò vale anche per le altre scienze. La forma specifica di imbarazzo, che si avverte oggi di fronte alla filosofia, va senz'altro ricondotta alla svolta che questa scienza ha imboccato e da cui deriva la situazione attuale. Oggi come oggi, infatti, forma e contenuto della formulazione scientifica di un tempo risultano più o meno antiquate, sia per quel che riguarda la filosofia, sia per quanto riguarda le materie in cui essa era suddivisa. D'altra parte, però, l'idea nuova di filosofia, che si è fatta strada, è ancora priva di una formulazione scientifica. Il risultato è che il materiale delle scienze particolari rimane ancora senza un proprio accoglimento e una propria trasformazione nell'idea nuova. Da un lato, dunque, vediamo scientificità e scienze senza interesse, dall'altro interesse senza scientificità. È per questo che, tendenzialmente, ciò che si legge e si vede presentato all'università sono ancora alcune delle scienze di un tempo: logica, psicologia empirica, diritto naturale, forse un po' di morale. E al tempo stesso, però, la metafisica - anche se si riallaccerebbe alle scienze di una volta - è scomparsa, come, a Giurisprudenza, diritto pubblico tedesco. Certo, alcune altre discipline che un tempo costituivano la metafisica, non vengono rimpiante troppo. Ma questo avviene principalmente perché ancora si tiene in considerazione la teologia naturale (il cui oggetto è la considerazione razionale di Dio). Per quanto riguarda le altre scienze che ancora si conservano, poi, in particolare la logica, sembra essere quasi soltanto il rispetto per la tradizione e l'utilità formale dell'educazione dell'intelletto a tenerle in vita: la loro forma e il loro contenuto, infatti, sono ormai troppo in contrasto con l'idea di filosofia su cui si è ora spostato l'interesse - e col modo stesso di filosofare che dall'idea nuova deriva - perché esse possano ancora garantire una sufficiente soddisfazione. Quando i giovani intraprendono, anche per la prima volta, lo studio delle scienze, sono già venuti a contatto - anche soltanto per via di voci indeterminate nell'aria - con nuove idee e con nuovi atteggiamenti. Si avvicinano così allo studio privi del necessario pregiudizio sulla sua autorità e importanza: col risultato che ben presto i giovani non trovano quel quid, per il quale le attese si sono già risvegliate. Bisogna dire che anche nell'insegnamento di tali discipline, a causa dell'opposizione una volta tanto forte, non si ha più la disinvoltura e la fiducia piena di un tempo. Malumori ed incertezze di tale origine non portano, come è ovvio, a creare credito e apertura. L'idea nuova, per parte sua, non ha ancora soddisfatto l'esigenza di conformare il vasto campo degli oggetti, che appartengono alla filosofia, in un tutto ordinato, formato per mezzo e attraverso le sue parti. È venuta meno la richiesta di conoscenze determinate. La stessa verità, una volta riconosciuta, che il tutto può essere compreso soltanto nella misura in cui si lavora in profondità sulle parti, non soltanto è tramontata: è stata addirittura sostituita con l'asserzione che determinatezza e pluralità di conoscenze sarebbero per l'Idea superflue, quando non addirittura all'Idea opposte e inferiori. Da un simile punto di vista, la filosofia diventa compendiosa come la medicina, o per lo meno la terapia, ai tempi del sistema di Brawn: la si può sbrigare in una mezz'ora. Forse a Monaco Lei avrà già fatto, nel frattempo, la conoscenza di un filosofo che appartiene ad una tale corrente intensiva. Franz Baader, di tanto in tanto, fa stampare due o tre fogli, e questi dovrebbero contenere tutta l'essenza di tutta la filosofia, oppure l'essenza di una scienza filosofica particolare. Chi, in questo modo, fa soltanto stampare, ha ancora il vantaggio di mantenere nel pubblico la fede che egli sarebbe un maestro anche nello sviluppo di tali pensieri generalissimi. Ma dell'esordio di Friedrich Schlegel, con le sue lezioni sulla filosofia trascendentale, ho fatto esperienza io stesso ai tempi di Jena: dopo sei settimane egli era già a posto con il suo seminario. Non precisamente soddisfatti, invece, furono i suoi uditori: credevano di finire dopo il semestre che avevano pagato. Con l'aiuto della fantasia, si è visto dare grandissimo spazio ad idee generali. In modo brillante ed oscuro vennero sposati assieme l'Alto col Basso, il Vicino col Lontano: spesso in un senso profondo, ma altrettanto spesso con la più grande superficialità. Per di più si è fatto uso degli ambiti della Natura e dello Spirito che per sé stessi risultano più oscuri ed arbitrari. Un cammino opposto ad una sempre maggiore estensione è il cammino critico e scettico, che, nel materiale già pronto, trova un canovaccio da seguire, ma che del resto riduce a nulla, portando soltanto alla scontentezza e alla noia dei risultati negativi. Questa via presenta in qualche modo l'utilità di aguzzare l'ingegno. La via precedente della fantasia, vorrebbe avere l'effetto di risvegliare un passeggero fermentare dello spirito, ciò che si chiama anche edificazione, e di accendere in pochi individui la stessa idea universale. Di fatto, nessuna delle due vie offre ciò che deve essere offerto e quanto costituisce lo studio scientifico. I giovani, al sorgere della nuova filosofia, diedero dapprima il benvenuto alla possibilità di disfare, con formule che vorrebbero comprendere tutto, lo studio della filosofia, se non della scienza in generale. Ma il vuoto di conoscenze e l'ignoranza (tanto dei concetti filosofici quanto delle scienze professionali specifiche) che da tale opinione sono derivate, hanno incontrato una opposizione troppo forte e una ripulsa fattuale nelle esigenze dello Stato (ma anche nelle altre forme di cultura scientifica) perché quelle oscurità, alla fine, non cadessero in discredito. La necessità interna della filosofia fa in modo che questa debba essere elaborata scientificamente in tutte le sue parti. Questa necessità, d'altra parte, mi sembra dovere essere anche il punto di vista in sintonia col nostro tempo: non ci si può voltare indietro e ritornare alle scienze di una volta. Al tempo stesso, però, la massa di contenuto e concetti, che le scienze di una volta contenevano, non può essere ignorata. La nuova forma dell'Idea fa valere i propri diritti e il vecchio materiale ha bisogno, pertanto, di una rielaborazione conforme al punto di vista attuale. Certo, una opinione su ciò che è in sintonia col tempo, non può essere più che un giudizio soggettivo. (All'inizio ho considerato soggettiva anche la direzione che ho preso quando mi sono posto un tale obbiettivo: e si tratta allora di attendere la reazione del pubblico ora che ho terminato l'edizione dei miei lavori sulla logica). Una cosa è senz'altro vera: ciò che deve offrire l'insegnamento universitario della filosofia, cioè l'acquisizione di conoscenze determinate, può di fatto essere offerto soltanto seguendo un andamento preciso, metodico e ordinato, il quale renda conto anche del dettaglio. È soltanto così che la filosofia - come del resto ogni scienza - può essere imparata. Anche il maestro che preferisse evitare questa parola deve avere la consapevolezza che si ha a che fare anzitutto e principalmente proprio con questo: con l'imparare. Su come si debba "pensar da se" si è infatti diffuso un pregiudizio: e qui non mi riferisco solo allo studio della filosofia, perché nella pedagogia la stessa idea è ancor più radicata. Per esercitare il "pensar da se"', secondo tale pregiudizio, non si deve mai dipendere dal materiale. Si fa quindi come se l'imparare, e il pensar da sé, fossero due cose opposte. In realtà, però, il pensiero non può che esercitarsi su un materiale. (Materiale che è certo pensiero, non immaginazione, parto della fantasia o intuizione, la si voglia definire intellettuale oppure sensibile). Non si vede, poi, in che altro modo un pensiero possa essere imparato, se non - appunto - pensandolo da sé. Un altro errore diffuso fa in modo che un pensiero sembra possedere tanto più l'impronta del "pensar da sé", quanto più è divergente dal pensiero altrui. (Qui verrebbe proprio da dire: "Ciò che è nuovo, non è vero. E ciò che è vero, non è nuovo"). È di qui che si è originata la smania per cui ciascuno vuole farsi il sistema filosofico proprio! E di qui che una trovata viene considerata tanto più originale e azzeccata quanto più è insulsa e pazza, perché appunto cosi' sarebbe dimostrata l'originalità e la diversità dai pensieri degli altri uomini. La filosofia, al contrario, può essere imparata soltanto nella misura in cui attraverso la determinatezza, diventa chiara, comunicabile e capace di diventare un bene comune. L'universale comunicabilità che le è propria strappa alla filosofia l'immagine, che ha assunto negli ultimi tempi, di essere una idiosincrasia per qualche cervello trascendentale. (Il che non significa, però, che la filosofia non debba essere studiata o che la filosofia sia già, per natura, un bene comune, soltanto perché tutti gli uomini sono dotati di ragione). Solo in questo modo la filosofia diviene conforme al ruolo che le spetta, di seconda scienza propedeutica in vista di una professione, dopo la filologia che è la prima. Può certo ancora capitare che qualcuno non vada oltre il secondo livello propedeutico. Ma almeno non più per la ragione che si scopriva una volta, quando alcuni diventavano filosofi perché non avevano studiato nient'altro di serio! Questo rischio, tuttavia, oggi non sembra più così grande. Ed è in ogni caso ben maggiore il pericolo di adagiarsi sul primo livello, di non andare cioè oltre la filologia. Una formazione filosofica scientifica, infatti, conduce - già per propria forza interna - al pensiero determinato ed ad una conoscenza approfondita. E il contenuto della filosofia (l'universale delle relazioni spirituali e naturali) porta da sé, immediatamente, alle scienze positive. Queste ultime, anzi, mostrano tale contenuto in forma più concreta: col risultato che, inversamente, lo studio delle scienze si rivela necessario per una visione profonda della filosofia stessa. Gli studi filologici, invece, una volta che si vada nei dettagli (i quali dovrebbero rimanere soltanto uno strumento) hanno un carattere tanto estraneo alle altre scienze, che tra la filologia e una scienza o una professione effettiva nella realtà si trova poca connessione e pochi punti di passaggio. In quanto scienza propedeutica la filosofia deve farsi carico dell'educazione e dell'esercizio formale del pensiero. Questo è possibile soltanto grazie ad un allontanamento complessivo del fantastico, alla determinatezza dei concetti e ad un procedere metodico e conseguente. La filosofia deve prendersi cura di questo esercizio ancor più della matematica: infatti non ha, come la matematica, un contenuto sensibile. Ho prima fatto riferimento all'edificazione, che spesso si sente richiedere alla filosofia. Secondo me la filosofia, anche quando la si insegna ai giovani, non deve mai essere edificante. Deve però soddisfare un bisogno, non tanto lontano dall'edificazione, che ora voglio affrontare brevemente. È senz'altro vero che oggi più che mai sono stati riimmessi in circolazione un materiale solido, idee più alte e la religione. A fronte di ciò, però, sono meno che mai sufficienti la forma del sentimento, la fantasia e i concetti confusi. Ecco allora il compito della filosofia: giustificare razionalmente una tale ricchezza di contenuto, afferrarla e concepirla in pensieri determinati. Questo è il modo in cui la filosofia preserva dal torbido, da strade cattive! Sempre a proposito del compito della filosofia e del suo contenuto, voglio ancora menzionare uno strano fenomeno. Si vedono alcuni filosofi insegnare alcune materie più o meno diffusamente di altri. Capita addirittura che un filosofo insegni materie completamente diverse rispetto a un altro. Eppure il materiale, cioè il modo naturale e spirituale, é sempre lo stesso: e non potrà dunque che articolarsi nelle stesse scienze particolari. Una simile svariata disomogeneità dipende prima di tutto dalla confusione, che non permette di arrivare a differenze stabili e a concetti determinati. Ma anche l'incertezza e l'imbarazzo fanno la propria parte. E come potrebbe essere diversamente? Non ci si trova forse a dovere insegnare, accanto alla filosofia trascendentale più nuova, la vecchia logica? Accanto ad una metafisica scettica, la teologia naturale? In ogni caso, come ho già detto, il vecchio materiale non può essere semplicemente messo da parte ma ha bisogno di una profonda trasformazione. D'altra parte, l'articolazione necessaria delle materie è già sufficientemente stabilita. - L'universale del tutto astratto, assieme a ciò che un tempo costituiva la metafisica, appartiene alla logica. - Il concreto si articola nella filosofia della natura, che rende soltanto una parte del tutto, e nella filosofia dello spirito. Qui troviamo: psicologia e antropologia, dottrina dei diritti e dei doveri, filosofia della religione e, da non dimenticare, storia della filosofia. Quali che siano le differenze nei principi che potrebbero esserci, la natura stessa dell'oggetto porta comunque con sè questa suddivisione e il trattamento delle scienze menzionate. Sono diventato terribilmente prolisso. Per non abusare della Sua cortesia non aggiungo nulla a proposito degli appoggi esterni all'insegnamento (colloqui, eccetera). Le auguro un buon proseguimento del viaggio e Le assicuro la mia stima e devozione.

SULL'INSEGNAMENTO DELLA FILOSOFIA NEI GINNASI

Hegel a Niethammer (Norimberga, 23 ottobre 1812)

Lei mi aveva incaricato di stendere per iscritto le mie riflessioni intorno all'insegnamento della filosofia nei Ginnasi e di sottoporglieLe; già qualche tempo fa stesi il primo abbozzo, ma non ho potuto più trovare il tempo necessario per elaborarlo adeguatamente. Per non rinviare troppo di mandarLe qualcosa al riguardo, secondo il Suo desiderio, lo faccio ricopiare per Lei, nella forma che ha assunto dopo una certa qual rielaborazione, e glielo invio ora. Dato che questo parere non ha che un fine privato, potrà bastarLe anche così com'è; mi farà cosa gradita se attribuirà certi pensieri disordinati e ancor più l'elemento polemico che c'è qua e là, alla forma grezza, la quale, per un altro scopo che non fosse quello di esporre a Lei il mio pensiero, avrebbe di sicuro richiesto una maggior politezza. La polemica potrebbe essere più sconveniente in quanto il parere è diretto a Lei, e quindi non ci sarebbe nessuno all'infuori di Lei contro cui si potrebbe polemizzare: ma Lei vedrà da sè che si tratta di una uscita occasionale, venuta così non volutamente nell’affrontare questa o quella maniera od opinione. Manca inoltre una osservazione finale, che io però non ho aggiunto in quanto io stesso, in merito, sono ancora incerto; — ossia, che forse ogni insegnamento filosofico nei Ginnasi potrebbe apparire superfluo, che lo studio dell'antichità sia l'introduzione alla filosofia più adatta alla gioventù ginnasiale e costituisca, sostanzia1mente, la vera. — Del resto, come posso io, professore di scienze filosofiche propedeutiche, combattere contro la mia disciplina e contro la mia funzione? togliere a me stesso il pane e acqua? Ma d'altra parte io — che dovrei anche essere un pedagogo-filosofo —, avrei pure, nella veste di Rettore, un diverso ufficio oltre a questo; quindi anche un interesse diretto a che i professori delle scienze filosofiche nei Ginnasi venissero dichiarati superflui e venisse loro o affidato un diverso incarico, o si mandassero da qualche altra parte. Ma una cosa, comunque, mi spinge di nuovo verso il primo punto di vista: il fatto che la filologia stia diventando sempre più erudita e tenda alla sapienza verbale. I Padri della Chiesa, Lutero e gli antichi predicatori citavano, esponevano e utilizzavano i testi biblici in maniera libera, senza alcuna cura per l'erudizione storica, ed essi potevano metterci così tanta più dottrina ed esemplarità. Con le chiacchiere estetiche del pulchre! quam venuste!, alle quali ancora oggi assistiamo, è all'ordine del giorno l'erudizione linguistico-critica e metrica: non so quanto di tutto questo sia penetrato nel personale a Lei sottoposto; ma capiterà anche ad esso, e nell'uno e nell'altro caso ne risulterà che la filosofia venga così svuotata. Non voglio tormentarLa ulteriormente con il malessere generale imperante qui; le cose, alla fine, vanno come sempre. Il male sta nel non avere intercessori contro l’amministrativo, visto che non abbiamo qui un consiglio distrettuale che è invece così lontano da risultare impossibile comunicargli una qualsiasi cosa che abbia in primo luogo una rilevanza amministrativa… Di ciò che rimane da fare per l’anno 1810-11 è altum silentium e non ci resta che ricorrere ad un’immagine litografica. Tutto ciò, e altro ancora, fa sì che la speranza senza opere mi ripugni oggi più che mai, cosicchè debbo ancora parlarLe dell’idea di fare da parte mia un passo nel Württemberg… A proposito di quanto emerge dalla Sua ultima, ricordo che Lei parla di porre un termine alla scempiaggine. Lei sa come andò a finire a Sancio Panza quando cadde giù dalla vetta della sua scemenza. Stando, almeno, al racconto del suo padrone, egli precipitò da quella vetta nell’abisso della sua stupidità, e vi fu in ciò lo stesso male di prima. I più cordiali saluti a Lei ed ai Suoi da parte di mia moglie e del suo H. Un parere riservato per il regio consigliere superiore scolastico per la Baviera Immanuel Niethammer. Norimberga, 23 ottobre 1812 L’insegnamento delle scienze filosofiche propedeutiche nei Ginnasi presenta due aspetti: I) I temi stessi dell’insegnamento. II) Il metodo. I) I TEMI Per quanto riguarda i temi da insegnare e la loro ripartizione nelle tre classi, la normativa stabilisce quanto segue. 1) Nella classe inferiore (III, § 5 III) è prescritta la conoscenza della religione, del diritto e dei doveri. (In V. c, però, troviamo scritto che nella classe inferiore l’esercizio del pensiero speculativo potrebbe iniziare con la Logica). 2) Nella classe media: Cosmologia e teologia naturale(in rapporto alle critiche kantiane) Psicologia 3) Nella classe superiore: enciclopedia filosofica. Dato che nella classe inferiore la logica non si adatta bene ad essere insegnata assieme alla dottrina del diritto, dei doveri e della religione, io finora ho fatto in questo modo: nella classe inferiore tratto soltanto la dottrina del diritto e la dottrina dei doveri, assieme alla dottrina della religione. La logica, invece, la riservo alla classe media, dove la alterno, in questa classe, con la psicologia, che è un corso biennale. Nella classe superiore, infine, come stabilito, ho fatto seguire l’enciclopedia. Se devo esprimere un mio giudizio complessivo su tutta questa ripartizione (sia considerandola astrattamente, sia secondo la mia esperienza) posso solo dire che l’ho trovata molto opportuna. Ma entriamo nei particolari. 1) Per quanto riguarda i primissimi argomenti di studio troviamo, nella normativa, questa formulazione: "Dottrina della religione, del diritto e dei doveri". Il presupposto implicito sembra essere che, tra queste tre dottrine, si deve cominciare con la religione. Visto che però non è ancora presente nessun Compendio, deve senz’altro rimanere all’insegnante la libertà, secondo il suo giudizio, di trovare l’ordine e di stabilire i collegamenti. Per parte mia, non so come iniziare se non col diritto. Il diritto è infatti la conseguenza più astratta e più semplice della libertà. Dal diritto passo poi alla morale e di qui arrivo alla religione, come al livello più alto. (Questo, comunque, riguarda già più da vicino la natura stessa del contenuto, e non è questo il luogo per approfondire ulteriormente la questione). Se qualcuno mi chiedesse: "Ma questi temi sono adatti come primissima introduzione alla filosofia?", non potrei rispondere altro che sì. I concetti di queste dottrine sono semplici e hanno al tempo stesso una determinatezza che li rende adatti all’età di questa classe. Il loro contenuto è appoggiato dal sentimento naturale degli alunni ed ha una realtà effettuale nella loro interiorità, poichè è il lato della realtà interna stessa. È per questo che preferisco di gran lunga, in questa classe, trattare queste dottrine piuttosto che la logica. La logica ha un contenuto astratto, esclusivamente teoretico, che è particolarmente estraneo all’immediata realtà interiore degli scolari. Libertà, diritto, proprietà... Queste sono le determinazioni pratiche che sentiamo e con cui abbiamo a che fare ogni giorno. Esse hanno anche, al di là dell’esistenza immediata, una realtà istituzionalizzata e una validità effettiva. Invece, le determinazioni logiche dell’universale e del particolare, eccetera, per uno spirito che non ha ancora familiarità con il pensiero, sono solo ombre rispetto al reale. (Per quanto, certo, lo spirito si serva di queste determinazioni ancor prima di averle studiate e di essersi esercitato a tenerle ferme indipendentemente dal reale stesso). Ciò che si sente chiedere all’insegnamento introduttivo della filosofia è di cominciare dall’esistente e che la coscienza venga portata - a partire di qui - al più alto, al pensiero. Ma nel concetto di libertà è presente appunto l’esistente e l’immediato in una forma tale che il pensiero è già presente (ancor prima di analizzare, anatomizzare, astrarre, eccetera). Affrontando questi temi, pertanto, si comincia davvero con il richiesto, col vero, con lo spirituale: si comincia davvero con la realtà effettiva. In questa prima classe ho sempre trovato un interesse maggiore per queste determinazioni pratiche, che non per quel po’ di teoretico che ho dovuto premettere. E questa differenza di interesse l’ho sperimentata ancora di più quando - la prima volta - ho seguito la parte esplicativa della normativa ed ho cominciato subito coi concetti della logica. Un’esperienza che non ho più ripetuto. 2) Il grado più alto, per lo studente, è lo spirituale teoretico, il logico, il metafisico, lo psicologico. Se si confrontano tra loro il logico e lo psicologico, il logico risulta assolutamente il più facile, perchè il suo contenuto sono le determinazioni più semplici ed astratte. Lo psicologico, invece, ha qualcosa di più concreto: si tratta dello spirito stesso. (Certo, però, la psicologia può diventare addirittura troppo facile se viene intesa, trivialmente, come psicologia esclusivamente empirica: penso ad esempio alla Psicologia per bambini di Campe. Quello che conosco, poi, di Carl Gustav Carus Manier, non è proprio sopportabile: è così noioso, inedificante, senza vita, senza spirito!). Io divido l’insegnamento della Psicologia in due parti: a) Psicologia dello spirito fenomenico. b) Psicologia dello spirito in sè e per sè. Nella prima (a) affronto la coscienza seguendo la mia Fenomenologia dello Spirito, ma soltanto nei suoi primi tre gradi: l)Coscienza, 2)Autocoscienza, 3) Ragione. Nella seconda (b) tratto la successione di sentimento, intuizione, rappresentazione, immaginazione, eccetera. Entrambe le parti io le suddivido in modo tale che lo spirito - in quanto coscienza - opera ed è attivo sulle determinazioni come su oggetti ed il suo determinare diventa come una relazione ad un oggetto. Ma lo spirito - in quanto spirito - è attivo solo su determinazioni sue proprie e i suoi cambiamenti sono (e vengono considerati) come la sua attività stessa. Poichè l’altra scienza della classe media è la logica, la metafisica sembra non ricevere nessuno spazio. Si tratta senza dubbio di una scienza con la quale, al giorno d’oggi, si è di solito in difficoltà. Nella normativa è prescritta la presentazione della cosmologia antinomica di Kant e la teologia naturale, altrettanto dialettica. In questo modo, di fatto, ciò che viene prescritto non è tanto la metafisica, quanto piuttosto la dialettica che le è propria. Questa parte ricade così nella logica: precisamente, appunto, nella logica dialettica. Tutto ciò coincide con la mia visione della logica: anche secondo la mia visione del logico la metafisica ricade senz’altro qui dentro. Al proposito posso fare valere l’autorità di Kant come mio precursore. Dopo la sua critica, la metafisica viene ridotta ad una considerazione sull’intelletto e sulla ragione. In senso kantiano, dunque, la logica puo venire considerata come segue. Al contenuto ordinario della logica generale, deve essere unita e premessa una logica trascendentale (come Kant la chiama). Cioè, secondo il contenuto, la dottrina delle categorie, i concetti della riflessione e i concetti della ragione (tanto i concetti della ragione analitica quanto quelli della ragione dialettica). Queste forme oggettive di pensiero sono un contenuto autonomo, autosufficiente, la parte de categoriis dell’Organon di Aristotele - o l’ontologia di un tempo. Inoltre, queste forme di pensiero, sono indipendenti dal sistema metafisico: sono presenti tanto nel dogmatismo quanto nell’idealismo trascendentale. Il dogmatismo le chiama determinazioni dell’ente, l’idealismo trascendentale le considera determinazioni dell’intelletto. La mia logica oggettiva servirà, spero, a purificare nuovamente questa scienza. E a ridarle la sua autentica dignità. Fino a quando essa non sarà più nota, le distinzioni kantiane contengono il minimo indispensabile o il materiale grezzo. A proposito del carattere dialettico delle antinomie kantiane, comunque, più sotto dirò ancora qualcosa. Per quanto riguarda il loro contenuto fattuale, invece, esso è in parte il logico, in parte il mondo, lo spazio, il tempo, la materia. Se viene preso in considerazione il loro contenuto logico, cioè le categorie antinomiche che esse contengono, il fatto che esse riguardano la cosmologia cade via. E in realtà quel contenuto ulteriore (mondo, materia eccetera) è davvero una inutile palla al piede ed una nebbia della rappresentazione, priva di qualunque valore. Per quanto riguarda la critica kantiana della teologia naturale, essa può, come ho fatto io, venire trattata nella dottrina della religione, dove questo materiale, particolarmente per un corso di tre o quattro anni, non è inopportuno. È interessante anzitutto far conoscere le celebri prove sull’esistenza di Dio. Trattare quindi l’altrettanto celebre critica kantiana alle prove dell’esistenza di Dio. Infine criticare la critica kantiana stessa. 3) L’enciclopedia, dato che deve essere filosofica, esclude senza dubbio l’enciclopedia letteraria, la quale è completamente priva di contenuto e che non è nemmeno ancora utile ai giovani. Essa non può che contenere il contenuto generale della filosofia, cioè i concetti fondamentali e i principi delle sue scienze particolari. Le tre discipline fondamentali sono: 1) la logica 2) la filosofia della natura 3) la filosofia dello spirito. Tutte le altre scienze, che non vengono considerate come filosofiche, di fatto, rientrano qui, per quanto riguarda i loro principi. Ma siccome abbiamo a che fare con una enciclopedia filosofica, devono essere trattati, appunto, soltanto i loro principi. Subito viene fatto di pensare che al ginnasio sia molto opportuno dare un tale sguardo di insieme, complessivo. Ma, dopo una considerazione più profonda, può anche sembrare superfluo. Questo perchè nell’enciclopedia vengono considerate, in breve, scienze in gran parte già trattate in maniera approfondita. Non solo, per esempio, è già stata trattata la prima scienza dell’enciclopedia, la logica, di cui ho appena finito di parlare. Lo stesso vale anche per terza, per la dottrina della spirito. Questa è già stata presa in considerazione 1) nella psicologia e 2) nella dottrina del diritto, dei doveri e della religione. La stessa psicologia, del resto, che si articola nelle due parti di spirito teoretico e spirito pratico (o dell’intelligenza e del volere) può in gran parte fare a meno della trattazione della seconda parte: essa, infatti - nella sua verità - è già stata presa in considerazione in quanto dottrina del diritto e dei doveri e in quanto dottrina della religione. Questo perchè il lato meramente psicologico (come sentimenti, desideri, impulsi, inclinazioni) è qualcosa di solo formale, il quale, secondo il suo vero contenuto è già stato considerato come un rapporto necessario nella dottrina dei doveri. (Per esempio l’impulso al guadagno, o verso il sapere, l’inclinazione dei genitori verso i figli, eccetera, nella dottrina dei diritti o in quella dei doveri sono già stati trattati, nella loro forma di rapporto necessario, come dovere di guadagnare nei limiti dei principi del diritto, come dovere di formarsi, come dovere dei genitori e dei figli, eccetera). Alla terza parte della enciclopedia appartiene anche la dottrina della religione ed anche a questa è stata dedicato un corso particolare. Rimane allora, per l’enciclopedia, anzitutto la seconda scienza, la filosofia della natura. Soltanto: 1) Lo studio della natura presenta ancora poca attrattiva per i giovani. Essi, infatti, non a torto, avvertono l’interesse per la natura più come uno svago teoretico, se paragonato all’agire e all’operare umano e spirituale. 2) Lo studio della natura è la cosa più difficile. Lo spirito, per concepire la natura, deve trasformare il contrario del concetto in concetto. Si tratta di una forza di cui soltanto il pensiero rinforzato è capace. 3) Lo studio della natura, in quanto fisica speculativa, presuppone la conoscenza dei fenomeni naturali, cioè della fisica empirica. Si richiedono insomma cognizioni che in questa classe non ci sono ancora. Quando, nel quarto anno di esistenza del ginnasio, nella classe superiore, ricevetti gli studenti che erano già passati attraverso i tre corsi di filosofia nella classe media e superiore, dovetti fare l’osservazione che essi conoscevano già la maggior parte del cerchio delle scienze filosofiche. Mi sembrò quindi di potere tralasciare gran parte dell’enciclopedia soffermandomi soprattutto sulla filosofia della natura. Trovai però desiderabile che anche una parte della filosofia dello Spirito, precisamente la parte del bello, venisse svolta ulteriormente. L’estetica, oltre alla filosofia della natura, è la scienza particolare che ancora manca nel ciclo di studio. Eppure può benissimo essere una materia ginnasiale. La si potrebbe passare al professore di letteratura classica nella classe superiore, se non fosse che questi ha già molto da fare con la letteratura e sarebbe dannoso togliergli delle ore. Comunque sia, sarebbe utilissimo se gli studenti di ginnasio, oltre a più approfondite nozioni di metrica, possedessero anche un concetto più preciso della natura dell’epos, della tragedia, della commedia e simili. L’estetica potrebbe fornire i nuovi (e migliori) punti di vista sull’essenza e lo scopo dell’arte. Non dovrebbe però davvero rimanere un mera chiacchierata generica sull’arte. Dovrebbe piuttosto addentrarsi nei diversi modi di poetare e nei particolari generi poetici antichi e moderni. Introdurre alla conoscenza specifica dei massimi poeti delle diverse nazioni e dei diversi tempi. Sostenere questa conoscenza attraverso esempi. Si tratterebbe di un corso davvero istruttivo e piacevole che fornirebbe conoscenze adattissime agli studenti del ginnasio. Del resto è davvero un difetto reale che l’estetica non venga studiata nei ginnasi. A questo punto il nocciolo dell’enciclopedia, nei ginnasi, con l’eccezione della filosofia della natura, sarebbe in sostanza presentato. Mancherebbe giusto una visione filosofica della storia. Questa, tuttavia, può ancora essere trascurata. E comunque potrebbe trovare il proprio posto anche nella filosofia della religione, con la dottrina della provvidenza. È assolutamente necessario che la suddivisione generale dell’ambito complessivo della filosofia (la tripartizione in pensiero puro, natura e spirito) venga ricordata il più spesso possibile nella determinazione delle singole scienze. II) IL METODO In generale, si distingue il filosofare in sè stesso dal sistema filosofico articolato nelle sue scienze particolari. Secondo la mania attuale (tipica nella pedagogia) non si deve venire istruiti sul contenuto della filosofia: si deve piuttosto imparare a filosofare, senza contenuto. È un po’ come dire: bisogna viaggiare, viaggiare, sempre viaggiare: ma non fare la conoscenza di uomini e città, di fiumi e paesi. In primo luogo, però, mentre si conosce una città e si raggiunge magari un fiume, poi un’altra città e così via, si impara senz’altro a viaggiare. Anzi. Si viaggia realmente. Allo stesso identico modo, mentre uno studia il contenuto della filosofia, conosce la filosofia. Viene cioè a conoscenza non soltanto del filosofare, ma filosofa egli stesso. In fondo, anche lo scopo di imparare soltanto a viaggiare, non coinciderebbe in realtà con il conoscere città, fiumi eccetera? Non coinciderebbe cioè con un contenuto? In secondo luogo, la filosofia contiene i più alti pensieri razionali sugli oggetti essenziali. Contiene la loro universalità e la loro verità. È pertanto importantissimo conoscere questo contenuto e accogliere in testa questi pensieri. Il perenne cercare e bighellonare qua e là senza contenuto, questo modo di procedere soltanto formale, questo elucubrare e sofisticare, ha come conseguenza la vuotezza di contenuto e la vuotezza di pensieri nelle teste: ha insomma il risultato che non si sappia proprio nulla. Ma la dottrina del diritto, la morale, la religione sono ambiti ricchi di un contenuto importante. Allo stesso modo, anche la logica è una scienza piena di contenuti. La logica obiettiva (Kant: trascendentale) contiene i pensieri fondamentali di essere, essenza, forza, sostanza, causa, eccetera. L’altra i concetti, i giudizi, i sillogismi, eccetera: cioè altrettante importanti determinazioni fondamentali. La psicologia contiene il sentimento, l’intuizione, eccetera. L’enciclopedia filosofica, infine, l’insieme complessivo in tutti i suoi ambiti. Il fatto che le scienze wolffiane (logica, ontologia, cosmologia, eccetera, diritto naturale, morale, eccetera) siano più o meno sparite non significa certo che la filosofia abbia perso il carattere, che le è proprio, di complesso sistematico di scienze. E di scienze piene di contenuto! Inoltre la conoscenza dell’assolutamente assoluto (poichè le diverse scienze devono conoscere il loro proprio contenuto particolare anche nella sua verità, cioè nella sua assolutezza) è possibile esclusivamente attraverso la conoscenza della totalità dei livelli di un sistema. La diffidenza davanti ad un sistema richiede una statua di Dio priva di forma. Il filosofare asistematico è un pensare casuale, frammentario. L’atteggiamento formale di fronte al vero contenuto, invece, è il pensiero conseguente. In terzo luogo, infine, il processo, pieno di contenuti, che consiste nel venire a conoscenza di una filosofia ha un nome soltanto: si chiama studiare. La filosofia non può che venire insegnata e appresa. Non si fa forse così con tutte le altre scienze? Lo sfortunato prurito di educare al pensar da sè e a produrre in proprio, autonomamente, ha messo in ombra questa verità. Come se mentre io studio cosa è la sostanza, la causa o qualsiasi altra cosa, non pensassi io stesso. Come se non fossi io a produrre, nel mio pensiero, queste determinazioni, ma venissero buttate dentro al mio pensare come pietre. Come se, mentre esamino la verità di queste determinazioni, non mi convincessi io stesso della loro realtà. Dopo che ho studiato il teorema di Pitagora e la sua dimostrazione, non sono forse io stesso che so questo teorema? Non sono io stesso che ha dimostrato la sua verità? Lo studio filosofico, insomma, è, di per sè stesso, tanto un fare proprio quanto un apprendere: quanto lo studio di una scienza già elaborata, che già esiste. Si tratta di un patrimonio di contenuti tramandati , elaborati e formati. Di un tesoro chè è già presente, ma che deve venire acquisito dal singolo che lo eredita. Il patrimonio filosofico deve insomma venire studiato. L’insegnante lo possiede e lo pensa per primo, gli allievi lo ripensano dopo di lui. Le scienze filosofiche contengono i pensieri universali e veri dei loro oggetti. Questi sono il prodotto del lavoro del genio pensante di tutti i tempi. Si tratta di pensieri veri, che superano ciò che un giovane studente, non formato, può produrre da solo, con la sua testa. (Come la massa di un tale lavoro geniale supera di gran lunga le fatiche di un giovanotto). Il rappresentare originale e personale sugli oggetti essenziali, proprio della gioventù, è anzitutto ancora povero e vuoto. Ma per la sua più gran parte è addirittura fatto di opinioni, di illusioni e imperfezioni, di errori e indeterminatezza. Attraverso lo studio, al posto di tali illusioni, si fa strada la verità. Solo quando una testa è ben piena di pensieri ha la possibilità di sviluppare ulteriormente la scienza, di persona. Soltanto allora può essere raggiunta una originalità autentica. Con tutto questo, però, le lezioni negli istituti pubblici, soprattutto nei ginnasi, non hanno nulla a che fare. Qui si deve aver di mira qualcos’altro: si deve fare in modo che, attraverso le lezioni, si impari qualcosa e venga cacciata l’ignoranza, mentre la testa vuota si riempie di pensieri e contenuti. Si deve fare in modo che venga bandita quella naturale tendenza, propria del pensiero, che consiste nell’accidentalità, nella arbitrarietà, nella particolarità soggettiva dell’opinare. Il contenuto della filosofia ha - per metodo e anima - tre forme:

  • astratto

  • dialettico

  • speculativo.

    È astratto, anzitutto, in quanto si è, in generale, nell’elemento del pensiero. Ma è anche meramente astratto in quanto - in contrapposizione al dialettico e allo speculativo - costituisce il cosiddetto momento intellettivo, cioè il tenere ferme e conoscere le determinazioni nelle loro salde differenze. Il dialettico porta il movimento e lo scompiglio in queste determinazioni intellettuali rigide: è la ragione negativa. Lo speculativo, infine, è il razionale positivo, lo spirituale: l’unico momento propriamente filosofico. Per quanto riguarda l’insegnamento della filosofia nei ginnasi, la cosa principalissima è in primo luogo la forma astratta. I giovani devono per prima cosa lasciar perdere il vedere e il sentire. Devono venire strappati dalle rappresentazioni concrete. Il giovane deve ritirarsi dentro la notte interiore dell’anima e vedere anche a questo livello. Deve cioè essere in grado, anche a questo livello, di tenere ferme le determinazioni e imparare a distinguerle. Bisogna anche sottolineare che si impara a pensare in maniera astratta attraverso il pensiero astratto. Si possono infatti seguire due vie. Si può cominciare dal sensibile e concreto, sollevarlo e portarlo all’astratto attraverso l’analisi. (Questa sembra la via naturale, che andrebbe dal più facile al più difficile). Ma si può anche cominciare, subito, con l’astratto stesso: prendere l’astratto in sè e per sè, studiarlo e renderlo comprensibile. Confrontiamo fra loro le due strade. 1) La prima è certo la più naturale: ma, appunto per questo, non è la strada scientifica. Certo, è più naturale che un disco - in qualche modo già tondeggiante - venga definitivamente arrotondato da un tronco d’albero levigando le irregolarità e le sporgenze. Ma il geometra non procede così. Il geometra fa - subito! - un cerchio astratto, col compasso o a mano libera. E questo è conforme alla cosa. Il puro - cioè l’alto, cioè il vero - è natura prius e con ciò deve cominciare anche la scienza. Se quello è il primo, allora anche la scienza deve agire secondo verità. La scienza è infatti il contrario del rappresentare meramente naturale, ossia del non spirituale. 2) È completamente sbagliato considerare la via naturale, che parte dal concreto sensibile ed arriva al pensiero, la via più facile. Al contrario, è la via più difficile. Non è forse più facile leggere e pronunciare gli elementi della lingua, le singole sillabe, che pronunciare e leggere tutte le parole intere? Siccome l’astratto è il più semplice, è anche più facile da comprendere. La immediata naturalezza, sensibile e concreta, è senz’altro da gettare via. Ed è superfluo incominciare proprio con ciò che dopo dovrà essere disfatto. È dispersivo. L’astratto è in quanto tale comprensibile a sufficienza, tanto quanto basta. Certo deve poi anche subentrare la filosofia, e solo così si ha un vero e proprio intelletto. Si deve cioè anche fare in modo che i pensieri dell’universo entrino in testa. Ma i pensieri sono in primo luogo l’astratto. (Anche il raziocinare privo di contenuto è abbastanza astratto. Il punto è che bisogna presupporre che si abbia un contenuto e il contenuto giusto. E in ogni caso ho già scritto sopra che l’astrazione priva di contenuto, cioè il formalismo vuoto - fosse anche sopra l’assoluto - viene cacciato con la presentazione di un contenuto determinato). Se si resta fermi esclusivamente a questa prima forma - astratta - del contenuto della filosofia, si ha una cosiddetta filosofia dell’intelletto. Siccome al ginnasio si deve introdurre e fornire un materiale, questo materiale intellettuale (cioè questa massa di pensieri certo astratti ma al tempo stesso pieni di contenuto) fornisce immediatamente il materiale filosofico e costituisce l’introduzione, perchè avere un materiale è il primo elemento necessario per un sapere reale ed effettivo. Al ginnasio sembra dunque che la parte principale vada affidata a questo primo livello astratto. Il secondo livello della forma è il dialettico. Da un lato, è più difficile del momento astratto. D’altro canto è anche il meno interessante per i giovani, che sono assetati di un contenuto che li riempia. Le antinomie kantiane, nella normativa, sono prescritte in rapporto alla cosmologia. Esse contengono una base profonda del carattere antinomico della ragione. Questa base, però, rimane troppo nascosta e, per dir così, troppo poco riconosciuta nella sua verità, troppo senza pensiero. E d’altra parte si tratta davvero di una dialettica cattiva: si tratta davvero di antitesi soltanto enunciate. Nella mia logica, io, le ho chiarificate, con guadagno. La dialettica degli antichi eleati, e gli esempi che ci sono stati conservati, sono infinitamente migliori. Poichè - in un tutto sistematico - ogni nuovo concetto emerge attraverso la dialettica di quanto lo ha preceduto, l’insegnante, che conosce questo carattere della filosofia, ha la libertà di fare un tentativo anche con il dialettico, tanto spesso quanto può. Ma se questo tentativo non trova risposta nella classe, può passare al concetto successivo senza evidenziare il passaggio dialettico. Il terzo è lo speculativo vero e proprio, cioè la conoscenza degli opposti nella loro unità. Oppure, più esattamente, la conoscenza che gli opposti - nella loro verità - sono uno. Solo il momento speculativo è veramente filosofico. Si tratta, come ovvio, del momento più difficile: si tratta della verità stessa! Si presenta in forma duplice. 1) Nella forma della rappresentazione e della immaginazione. È una forma più comune, in qualche modo anche più vicina al cuore. Questo avviene, ad esempio, quando si parla della vita universale della natura che muove sè stessa e che si configura in una forma infinita (panteismo e simili). Oppure quando si parla dell’eterno amore di Dio, che si fa creatore per amare e contemplare sè stesso nel suo figlio eterno e poi in un figlio dato nella temporalità. Il diritto e l’autocoscienza, come il momento pratico in generale, contengono già - in sè e per sè - i princìpi o gli inizi dello speculativo. Tanto che dello spirito e dello spirituale è propriamente impossibile dire anche una parola soltanto che non risulti speculativa: perchè lo spirito e lo spirituale sono l’unità con sè nell’essere altro. Altrimenti, anche se si usano le parole anima, spirito, Dio, si parla solo di pietre e carboni. Quando dunque si parla in maniera meramente astratta o intellettualistica dello spirito, il contenuto può essere comunque speculativo (così come il contenuto della religione perfetta è altamente speculativo). Ma in questo caso l’insegnamento - sia esso ispirato o, se non è ispirato, comunque narrativo - porta l’oggetto solo davanti alla rappresentazione. 2) Nella forma del concetto. Il compreso, e questo significa lo speculativo che poggia sul dialettico, è soltanto il filosofico nella forma del concetto. Questo può comparire con prudenza durante le lezioni al ginnasio. In generale viene afferrato da pochi e, in parte, nemmeno si può essere sicurissimi che questi pochi l’abbiano davvero capito. Ciò che la normativa prevede come scopo principale delle lezioni di filosofia, insomma, cioè imparare a pensare in maniera speculativa, è senz’altro da considerarsi come lo scopo necessario. Ma la preparazione al pensiero speculativo è, in primo luogo, il pensiero astratto seguito dal pensiero dialettico e in secondo luogo l’acquisizione di rappresentazioni dal contenuto speculativo. Poichè l’insegnamento ginnasiale della filosofia ha un carattere essenzialmente preparatorio, le lezioni dovrebbero consistere soprattutto in un lavoro approfondito su questi aspetti del filosofare.

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