ADRIEN LEZAY MARNESIA

 

A cura di Marilisa Argentieri e Gabriele Scardocci.

 

 

 

VITA

Il barone Paul Adrien Francois Marie Lezay Marnesia (di solito si firmava solo “Adrien de Lezay”) nacque il 9 agosto 1769 a Moutonne presso Jura, da una famiglia di origine spagnola. Coprì la carica di prefetto di Bas Rhin dal 1810 al 1814 (data della sua morte violenta avvenuta a causa di un incidente).

Incontrò a Forges les Eaux la sua futura sposa Francoise de Bricqueville, una donna appartenente all’antica nobiltà normanna. Sotto il Direttorio fu costretto a fuggire in Svizzera, e fece ritorno in Francia il 17 maggio 1801.

Napoleone gli affidò una missione diplomatica in Hongrie nel 1803.

Nominato prefetto di Bas Rhin il 12 febbraio 1810 organizzò, nel mese di marzo a Strasburgo, il ricevimento dell’arciduchessa Maria Luisa d’Austria, futura sposa di Napoleone.

In seguito, la sua attività amministrativa si portò soprattutto sul miglioramento delle condizioni delle vie del centro rurale:

 

1)      Migliorò le vie di comunicazione con la piantagione di alberi ai lati della strada, ed impiantò luoghi di riposo e banche.

2)      Incoraggiò la piantagione di tabacco e la semina di barbabietola da zucchero.

3)      Assegnò premi ai buoni coltivatori sotto forma di cavalli normanni e di tori svizzeri.

4)      Creò posti di cantoni medicinali e un comitato medico per la diffusione dei vaccini.

5)      Creò, nel 1810, una scuola normale a Strasburgo per la formazione dei docenti.

 

Nella sua carica prefettizia, il suo consigliere giuridico fu Arnold, professore di Storia alla facoltà di Lettere di Strasburgo.

Morì il 9 ottobre 1814 in seguito ai postumi di un incidente in Alsazia, all’uscita di Haguenan nella direzione di Brumath.

 

 

 

PENSIERO

La figura di Lezay Marnesia va vista sullo sfondo di quel particolare momento della Rivoluzione Francese che è il Terrore. Infatti, egli passò alla storia non tanto come brillante pubblicista e neanche come personaggio politico di spicco, quanto piuttosto per la polemica che lo vide contrapposto all’altro politico del momento, Benjamin Costant, circa quell’esito fatale della Rivoluzione, che è appunto il Terrore.

Tale polemica è importante per due ragioni: innanzi tutto, essa costituisce l’archetipo di tutte le successive discussioni sul Terrore, in quanto ne anticipa alcuni argomenti ideologici.

In secondo luogo, la vicinanza politica dei due autori suddetti appare paradossale rispetto all’interpretazione tra loro opposta.

Entrambi facenti parte del Direttorio, benché l’uno, Lezay Marnesia, fu sostenitore della posizione liberale moderata, l’altro, Costant, di quella liberale rivoluzionaria.

Eppure, ciò non basta per spiegare la posizione “radicale” del primo rispetto al Terrore.

I terribili massacri del ’93, eretti in nome dei principi dell’ ‘89, avevano sconvolto la Francia. E da qui ad esecrare in blocco la Rivoluzione, il passo era veramente breve, come mostra il pensiero del conservatore De Maistre, riportato nelle “Considerazioni sulla Francia”(1796).

Secondo De Maistre, il Terrore costituiva l’esito fatale della Rivoluzione, aggiungendo che, con quest’ultima condivideva, da una parte il carattere satanico, dall’altra la funzione provvidenziale.

Il Terrore era stato, senza dubbio, l’epoca “più terribile della Rivoluzione”[1]. Eppure, e in ciò sta il sottile conservatorismo, se si riflette bene, “si vedrà che una volta affermatosi, il movimento rivoluzionario la Francia e la monarchia potevano essere salvate solo dal giacobinismo”[2], padre di quell’ “infernale comitato” che aveva messo su i patiboli del ‘93. Il Terrore infatti, era stato provvidenziale sotto due aspetti: primo, come castigo per lo spirito ateo e fanatico, secondo, aveva rappresentato l’unico modo per salvare la Francia in circostanze di eccezionale gravità, in seguito restituirla integra nonché aureolata di gloria militare al suo legittimo sovrano.  

Il giovane, brillante Lezay, intende riconciliare i francesi con tutta la Rivoluzione.  Per raggiungere questo obiettivo, utilizza due strategie argomentative alternative supportate da quattro argomenti:

I) Il Terrore ha assolto una funzione necessaria e provvidenziale. Per una straordinaria coincidenza, nello stesso anno vengono alla luce due opere che non potrebbero essere più lontane nell’ispirazione politica ma che presentano significative assonanze nell’interpretazione del Terrore.[3]

Anche Lezay fa appello in primo luogo, all’eccezionalità delle circostanze. La rovina finanziaria ed economica causata dall’assegnato ed il peso di una guerra combattuta tanto all’esterno quanto all’interno hanno posto i rivoluzionari di fronte ad una drammatica alternativa: o lo stato periva od il governo diveniva “atroce”. Si trattava dunque di una strada obbligatoria. Ne valse la pena: il governo finalmente libero dalle pressioni della piazza, e dai condizionamenti dei deputati ritrovò la forza necessaria; la disciplina tornò a regnare nell’ esercito, la paura infine si impadronì degli eserciti dei paesi europei che minacciavano i confini francesi.

In tal modo il Terrore salvò la Francia.

Tale argomentazione, la cosiddetta “teoria delle circostanze” diventerà il modo più diffuso di dare una giustificazione al Terrore. Sulla base di tale teoria, il Terrore è figlio delle avversità, certo, esso è stato una fase di inusitata violenza, eppure, ha svolto un ruolo necessario nel salvare la Francia. E qui sta il punto di contatto tra il liberal moderato Lezay ed il conservatore De Maistre: che il Terrore fosse servito alla Francia per restituirla integra (ovvero salvata dal pericolo delle nazioni europee) nelle mani del suo “legittimo sovrano” o della Repubblica, resta il fatto che in entrambi i casi il Terrore veniva pienamente giustificato ed integrato nella dinamica rivoluzionaria.

Ma Lezay va avanti trasformando la “teoria delle circostanze” in “teoria generale”.

Secondo De Maistre, il Terrore costituiva un evento eccezionale che non si sarebbe più ripetuto, secondo Lezay invece, esso era destinato a ripetersi in ogni Rivoluzione popolare, e ciò perché, tali rivoluzioni sono caratterizzate da tre fasi.

La prima fase basata sull’ardore del popolo, e l’ultima, sul generale desiderio di quiete. Nella fase seconda, quando l’impeto popolare è venuto meno, ma la stanchezza non è ancora sopraggiunta le Rivoluzioni si esaurirebbero se non venissero in loro aiuto dei rinforzi: “e questi rinforzi sono il Terrore”.[4]

Infatti, giunta nella fase intermedia del suo sviluppo, la Rivoluzione è a rischio perché l’esigenza della libertà che l’ha mossa come primo motore, non costituisce più movente sufficiente per le masse, per cui, per salvarla i leaders fanno balenare il miraggio dell’uguaglianza sostanziale.

E così la rivoluzione ritrova una straordinaria energia che tuttavia richiede di essere incanalata ed a ciò è funzionale il Terrore. Dunque, quest’ultimo guida la fase più tumultuosa della Rivoluzione ed al tempo stesso, riabitua il popolo all’obbedienza, senza la quale non potrebbe rinascere alcun ordine politico. Sono dunque poste le basi per il terzo argomento.

Come detto prima, l’impetuoso “scatenamento del popolo” è la condizione indispensabile del successo iniziale di una rivoluzione, ma rappresenta al contempo il più grande ostacolo per la sua riuscita finale, poiché rende il popolo capace di scuotere il giogo che l’opprimeva ma lo rende incapace di riprenderne un altro, dunque, che si tratti del controllo di un monarca (chiaro il riferimento a De Maistre) o il vincolo delle leggi occorre tuttavia che il popolo ne porti sempre uno.

Scrive Lezay:

 

meno capace è di obbedire meno è adatto alla libertà, perché meno si controlla da sé stesso e più forza occorre per controllarlo. (…) La fortuna fu che a rimettergli il giogo fosse un dispotismo abbastanza violento da ottenere tale effetto e poi da autodistruggersi”[5]

 

Ma il Terrore svolse anche un’altra funzione: accelerò quel cambiamento di costumi che necessariamente deve accompagnare la nascita di un nuovo ordine politico, preparandoli dunque alla libertà.[6]

 Diciotto mesi di Terrore, scrive Lezay, “furono sufficienti per togliere al popolo usanze vecchie di secoli, e per dargliene di quelle che molti secoli non sarebbero forse bastati a stabilire”[7]. Il Terrore viene dunque giustificato da tutti i punti di vista,

1) perché necessario (Teoria delle Circostanze)

2) Perché consustanziale alla natura (popolare) della Rivoluzione

Indispensabile premessa  3) politica 4) etica all’affermazione della Libertà.

Lezay Marnesia coglie distintamente il carattere epocale dell’avvenimento storico del  Terrore, ma l’interpreta forse utilizzando categorie che troppo ricordano il realismo machiavelliano, mettendo da parte le tragedie connesse, e quindi tralasciando il portato umano (secoli di giogo dell’ancien regime) che lo ha originato.

Dobbiamo considerare che quest’omissione riflette nel pensiero politico una spaccatura fra le vedute dell’apparato statale e quello della società, che è propria di una riflessione politica post contrattualistica[8].



[1] De Maistre “Consideration sur la France”, cit., trad.it pag 12

[2] Ibidem, pag 13

[3] Cfr anche S.De Luca “Alle origini del liberalismo contemporaneo- Il pensiero di Benjamin Costant tra il Termidoro e l’Impero” 2003 Marco Editore

[4] Adrien Lezay Marnesia “Des causes de la Revolution at des ses resultats” citaz. Traduz italiana pag 18, d’ora in poi abbreviato con Lezay Marnesia 1796.

[5] Lezay Marnesia 1796 pag 25

[6]Donde il titolo della raccolta “Ordine e Libertà”, che riunisce il saggio sul Terrore di Lezay (“Sulle cause della Rivoluzione e sui suoi risultati”) e la replica di Costant (“Gli effetti del Terrore”).

[7] Lezay Marnesia 1796 pag 26

[8] Nella visione contrattualistica, società e stato, con particolari eccezioni, venivano a coincidere con la stipulazione del contratto.



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