LOCKE

A cura di

RIFLESSIONI SIGFNIFICATIVE



Essendo l’Intelligenza che innalza l’uomo su tutti gli altri esseri sensibili, e gli dà tutta la superiorità e l’impero ch’egli ha sopra loro, essa è senza dubbio un argomento che, per la stessa nobiltà sua, merita bene che noi ci applichiamo a indagarlo. L’intelligenza, come l’occhio, ci fa vedere e percepire tutte le altre cose, ma non si accorge di se stessa. E si richiedono molta arte e molte cure per metterla ad una certa distanza, e farla suo proprio oggetto. Ma, per quanto difficile sia trovare il modo di avviarsi in questa ricerca, e quale che sia lo schermo che tanto fortemente nasconde noi a noi stessi, sono tuttavia certo che la luce che questa indagine può diffondere nelle nostre menti, e tutta la conoscenza della nostra intelligenza che per suo mezzo potremo acquistare, non solo ci daranno molta gioia, ma ci saranno anche di grande utilità per guidare i nostri pensieri nella ricerca di altre cose. Questo dunque essendo il mio intento, - di esaminare l’origine, la certezza e l’estensione della conoscenza umana, nonché i fondamenti e i gradi della credenza, dell’opinione e dell’assenso, - non mi confonderò qui a considerare la natura dell’anima come farebbe un fisico; a vedere ciò che ne costituisca l’essenza, quali movimenti debbono venire eccitati nei nostri spiriti animali, o quali cambiamenti debbono aver luogo nel nostro corpo, per produrre, mediante i nostri organi, delle sensazioni, o delle idee nella nostra intelligenza, e se alcune di queste idee, o tutte quante, dipendano, o meno, nella loro formazione, dalla materia. Per interessanti e stimolanti che siano tali speculazioni, le eviterò, perché non hanno alcun rapporto col fine che mi propongo in quest’opera. Basterà, per l’intento che io perseguo in queste pagine, esaminare le facoltà di conoscere dell’uomo, in quanto esse operano nei riguardi dei diversi oggetti che si presentano alla sua mente. E credo che non avrò affatto perduto il mio tempo nel meditare su questa materia, se, usando questo metodo storico e semplice, posso far vedere in quali modi la nostra intelligenza venga ad acquisire le nozioni che ha delle cose, e se potrò stabilire i criteri della certezza della nostra conoscenza, e i fondamenti delle convinzioni che vediamo regnare fra gli uomini. (Saggio sull’intelligenza umana, libro I, 1)

L’intelletto, che supponiamo privo di ogni sorta di idee naturali, viene a ricevere gradualmente queste idee nella misura in cui l’esperienza e l’attenzione gliele offrono. Dopo un’attenta indagine noi troveremo che esse derivano tutte da due fonti, che sono la sensazione e la riflessione. 1) È evidente che gli oggetti esterni, venendo a contatto con i nostri sensi, procurano diverse idee al nostro spirito, che esso precedentemente non aveva. In questo modo noi veniamo ad avere le idee del rosso, del blu, del dolce e dell’amaro, e tutte quelle altre idee che sono prodotte in noi dalla sensazione. Io credo che le idee di sensazione siano i primi atti del pensiero e che, fintanto che gli oggetti esterni non hanno fornito allo spirito queste idee, non vi sia possibilità alcuna di pensiero. 2) Lo spirito poi, rivolgendo la sua attenzione alle idee che gli sono pervenute dalla sensazione, ottiene le idee di quelle stesse operazioni che sono in lui. Questa è l’altra fonte delle nostre idee, che io chiamo riflessione, grazie alla quale noi otteniamo le idee di ciò che si chiama pensare, volere, ragionare, dubitare, decidere, eccetera. Da questi due principi ci derivano tutte le idee che noi possediamo, e io credo di poter tranquillamente dire che il nostro spirito non possiede assolutamente nessun’altra idea all’infuori di quelle che gli forniscono i nostri sensi, o che esso si fa delle sue proprie operazioni sulle idee ricevute dai sensi. Ne consegue, innanzi tutto, che se qualcuno fosse da sempre stato privo di uno dei suoi sensi, egli non potrebbe mai possedere idea alcuna che appartenga a questo senso. E questo appare chiaramente in coloro che sono nati sordi o ciechi. In secondo luogo ne consegue che, se si potesse supporre un uomo che fosse da sempre stato privo di tutti i suoi sensi, egli non possederebbe nessun’idea, perché egli non avrebbe mai né alcuna idea di sensazione, non avendo gli oggetti esterni alcun modo per produrvele per mezzo dei sensi, né alcuna idea di riflessione, mancando costui di ogni sensazione, che è la causa prima che provoca in lui queste operazioni del suo spirito, che sono gli oggetti della riflessione. Infatti, non essendoci nello spirito nessun’idea innata, o connaturale, supporre che lo spirito elabori delle idee, prima che esso le abbia ricevute dall’esterno, significa supporre una cosa contraddittoria. (Silloge del Saggio sull’intelligenza umana, libro II, 1)

Quanto alla nostra propria esistenza, la percepiamo in modo così evidente e certo che essa, né ha bisogno, né è suscettibile di alcuna prova. Poiché nulla può essere più evidente a noi stessi della nostra propria esistenza. Io penso, ragiono, sento piacere e dolore: forse che alcuna di queste cose può essermi più evidente della mia stessa esistenza? Se dubito di tutte le altre cose, quello stesso dubbio mi fa percepire la mia propria esistenza, e non mi permetterà di dubitarne. Poiché, se so di sentire un dolore, è evidente che ho una percezione altrettanto certa della mia propria esistenza quanto dell’esistenza del dolore che avverto; o, se so di dubitare, ho una percezione altrettanto certa dell’esistenza della cosa che dubita quanto di quel pensiero che chiamo un dubbio. È dunque l’esperienza a convincerci che abbiamo una conoscenza intuitiva della nostra stessa esistenza, e una percezione interiore infallibile del fatto che esistiamo. In ogni atto di sensazione, di ragionamento o di pensiero, siamo consapevoli di fronte a noi stessi del nostro essere, e, su questo punto, non manchiamo di attingere il più alto grado di certezza. (Saggio sull’intelligenza umana, libro IV, 9)

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