ITALO MANCINI

 

 

MANCINIItalo Mancini (1925-1993) si è formato all’Università Cattolica di Milano alla scuola di Gustavo Bontadini (ordinario di Filosofia e poi di Filosofia del Diritto nell’Università di Urbino). Fondatore dell'Istituto Superiore di Scienze religiose, fu l’unico a rappresentare il coraggioso ritorno della teologia nell’Università italiana, dopo un secolo e mezzo di estradizione e volontario esilio. Ha introdotto D. Bonhoeffer (Bonhoeffer, 1969; Studi introduttivi all'Etica e a Resistenza e Resa, 1969), a ridosso della contestazione studentesca, che ne sentì l’influsso in modo consistente. Tra i filosofi, ha dedicato massima cura a Kant, genio della domanda metafisica (Guida della Ragion pura, 1982). La sua Filosofia della religione ha aperto una strada molto frequentata in questo campo di studi, stabilendo in modo rigoroso quale e quanta filosofia il kerigma sopporti, senza nessuna filosofia. A questo tema va congiunta la Filosofia della prassi(1986) e, con visione globale, L'Ethos dell'occidente (1989): così vengono indicate le due linee della sua elaborazione filosofica. Quella teologica, come fedeltà al senso "paradossale" di Dio (Pascal, Doestoevskij, Barth), rigorizzata come logica dei "doppi pensieri", e quella giuridica, come fedeltà alle forme etiche, nel preciso nesso, stabilito da Hegel, di morale e diritto. Pensatore presente ai fronti di lotta della gente, Mancini ha portato avanti un confronto spregiudicato con le culture, soprattutto con quella marxista (in rilievo Ernst Bloch), particolarmente con Teologia, ideologia, utopia (1974), Novecento Teologico (1977), Il pensiero negativo e la nuova destra (1983), dove emerge il criterio delle dignità delle ideologie e l'indicazione della prassi efficace per alleggerire la terra. Nell'opera postuma Diritto e Società (1993) è ricorrente il tema dei diritti umani e cosmici, dei diritti all'utopia e alla resistenza della pace e delle democrazia, in cui si sogna “il sogno diurno di una società pacificata”. Tutta la riflessione sviluppata da Mancini può essere letta in chiave ermeneutica: essa assume come punto di partenza una posizione ontologica, che costituisce il momento di precomprensione della sua ricerca ermeneutica; quest’ultima si connota come filosofia della religione, ossia eremeneutica del problema teologico, e filosofia del diritto, ossia ermeneutica del problema etico e sociale. In Filosofia della religione (p. 7), Mancini sostiene esplicitamente che “la filosofia è sempre ‘filosofia di’ e mai filosofia come assoluto astratto”, giacché “i conti con l’essere vanno fatti attraverso settori particolari e specifici”. Sulla scia di queste considerazioni, Mancini può affermare, nel suo Breve discorso del metodo (1974, p. 17):

“Filosofia è l’ermeneutica del senso, soprattutto come dato storico, affinché diventi significato, ossia decisione, attraverso il confronto culturale che supera il piano meramente memorativo, in forza della valutazione (momento teoretico) e dell’incidenza pratico-politica (momento pratico). Confronto critico di forme pratiche, per portare il senso (il dato, potremmo dire) al valore del significato”.

A questo obiettivo ha mirato l’intera riflessione di Mancini: essa trova la sua più alta espressione nella filosofia della religione a caratterizzazione kerygmatica. Come scrive in Teologia, ideologia, utopia, è propriamente un’ermeneutica della religione, quest’ultima concepita come “rivelazione storicamente data, e cioè identificata con il kerygma”: ed è anche un’ermeneutica della filosofia della religione, consistente nella “impresa trascendentale che la religione stessa compie per individuare e strutturare la sua logica”. Dalla scuola di Mancini, raccolta intorno all’Istituto superiore di scienze religiose dell’Università di Urbino e alla rivista “Hermeneutica”, provengono Piergiorgio Grassi e Graziano Ripanti. 

 

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