FRIEDRICH MEINECKE

 

 

A cura di Enrico Gori

 

 

 

 

 

Friedrich Meinecke nacque a Salzwedel, libera città anseatica della Sassonia-Anhalt, nel 1862, figlio di un impiegato delle poste. Studiò germanistica, storia e filosofia  a Berlino e Bonn, avendo tra i docenti anche Droysen, von Sybel, von Treitschke e Bresslau. Nel 1886 conseguì il dottorato discutendo con Reinhold Koser la tesi sui rapporti di Stralenburg e la questione della successione del 1609 in Jülich. Impiegato nel 1887 nell’archivio statale prussiano, nel 1896 Meinecke sottopose a von Sybel la sua tesi post-dottorale a Berlino. Nel 1893 fu editore, e dal 1896 pubblicista dell’Historischer Zeitschrift. Nel 1901 gli fu offerta un posto a Strasburgo, e dal 1906 tenne cattedra a Friburgo. Mentre inizialmente Meinecke aveva seguito le orme dei suoi maestri, come nella sua opera biografica in due volumi sul riformatore dell’esercito von Boyen [1771-1848], apparsa nel 1896/99, le sue ricerche successive denotano una maggior indipendenza dal metodo di von Sybel e degli altri storici, come si vede nel suo La borghesia mondiale e lo stato nazionale. Studi sulla genesi dello Stato nazionale tedesco, pubblicato nel 1907. L’opera rappresentava la storia dello Stato tedesco dal periodo prussiano di riforma all’era di Bismarck come un rapido sviluppo in cui il cancelliere di ferro diede corpo e impersonò il concetto di “Stato nazionale”. La notorietà fu assicurata, e Meinecke divenne, con Dilthey e Troeltsch, uno dei fondatori della storia intellettuale politica. Nel 1914, a 52 anni, entrò nell’ateneo berlinese Federico Guglielmo, dove insegnò fino al 1932, quando si ritirò, a 69 anni. Temperamento originale, era sostenitore della storia politica intellettuale, e in politica un repubblicano per ragioni pratiche nella Repubblica di Weimar. La sua permanenza nell’Università di Berlino si distingue per il gran numero di allievi che Meinecke seguì, di cui molti divennero personalità importanti. Ma più che il suo ruolo accademico, gli interessi di Meinecke riguardavano la sua posizione politica: morendo nel 1954, egli fu “il solo storico tedesco della sua generazione ad aver vissuto i cambiamenti intercorsi tra il 1914 ed il 1945 e 1948/49 e ad averli discussi pubblicamente” (Ernst Schulin). Dopo la morte, fu spesso chiamato in causa come esempio del ruolo dello storico in Germania dall’Impero al nazionalsocialismo. Oltre alla sua capacità – rara tra gli storici – di mutare opinione, diventando così un coerente repubblicano da fermo monarchico qual era, è da segnalare la continuità delle sue idee liberali. Nel 1914, allo scoppio della Grande Guerra, da lui inizialmente salutata con entusiasmo, Meinecke ottenne una cattedra a Berlino. Egli era uno dei pochi docenti che sosteneva la necessità di una pace negoziata e riforme interne. Con queste idee, continuava la sua attività, iniziata nel 1910, di commentatore storico-politico con Naumann, Weber e Troeltsch, promovendo una rinascita del liberalismo inserito nello Stato sociale. Solo così si poteva, a suo avviso, giungere alla totale unità della nazione. Questo lo portò ad appoggiare la Repubblica di Weimar nel 1918, malgrado la riprovazione del suo stesso circolo; “non per solo prematuro amore per la repubblica, ma per motivi legati al buonsenso e all’amor patrio”. Nel 1924 pubblicò la sua seconda opera più importante per capire la Storia intellettuale: Il concetto di “ragion di Stato” nella storia moderna, su etica e Realpolitik da Machiavelli ai suoi giorni. Meinecke contestava qui la politica di potere portata avanti a partire dal 1848  dagli storici politici nazional-liberali, con un appello alla ragione di Stato contro il pericolo di una politica di potere rigorosa. Dopo essersi ritirato per ragioni di età nel 1932, nel 1934, a causa dell’avvento del nazismo perse il posto di membro della Historiche Reichskommission, che ricopriva dal 1928, e nel 1935 si dimise da pubblicista dell’Historischer Zeitschrift. Anche se in apparenza era un accademico in pensione di scarsa rilevanza, Meinecke continuò a pubblicare le sue opere, come L’origine dello storicismo del 1936, in cui metteva in discussione regole e principi fondamentali della storiografia e del pensiero storico. Nel 1946, a 84 anni, pubblicò la sua grande opera La catastrofe tedesca, in cui tentava di spiegare, con l’ausilio della storia intellettuale collettiva, la vicenda tedesca a partire dal XIX secolo. Ma soprattutto, la pretesa di ritornare all’idealismo dell’età di Goethe fu soggetta a critiche e talvolta a derisione, poiché la si intendeva come un sintomo dell’incapacità degli intellettuali borghesi di confrontarsi con il recente passato nazista. Nel 1948 Meinecke, simbolo dell’altra Germania, fu eletto rettore onorario della Libera Università di Berlino; nel 1951 si chiamò con il suo nome il dipartimento di Storia dell’ateneo. Questo perché prima del 1945, Meinecke era un’eccezione nella sua professione. Ma già alla fine degli anni ’50, in prospettiva di un “conformismo costituzionale a Bonn” (Stefan Meinecke), la sua luce cominciò ad offuscarsi. A partire dalla fine degli anni ’60 fu condannato dalla DDR a causa delle sue posizioni “reazionarie”, mentre la Repubblica Federale lo giudicò positivamente, legittimando così il suo approccio metodico alla storia politica intellettuale. Rinasceva contemporaneamente l’interesse per la storia intellettuale, grazie ai suoi allievi emigrati negli Stati Uniti, che gli riconobbero, indirettamente, il merito di aver spianato la via. Contemporanea anche la rivalutazione delle sue vedute politiche e accademiche, cui hanno contribuito i recenti dibattiti sul ruolo degli storici nel periodo nazista, epoca che il Professore Emerito passò senza cadute di sorta. Il Meinecke può così essere preso a esempio di come, grazie all’elasticità delle proprie idee, la coscienza storica sia criterio di valutazione per le generazioni successive di studiosi. Qualche considerazione ulteriore merita l’analisi meineckiana dello storicismo, racchiusa nell’Origine dello storicismo: Meinecke denota l’opera come un tentativo di correggere l’accezione negativa che il termine ha assunto, a detrimento dei progressi di questo atteggiamento culturale nella storia intellettuale. L’opera fa parte della trilogia composta dalla Borghesia mondiale e lo Stato nazionale e L’idea di ragion di Stato nella Storia moderna, che rappresenta l’eredità di Meinecke in quanto storico intellettuale tedesco più celebre della prima metà del XX secolo. L’origine dello storicismo porta avanti il progetto delineato dai primi due libri; La borghesia mondiale e lo Stato nazionale prende in esame due fenomeni: le origini del nazionalismo e l’unificazione della Germania sotto Bismarck; infine, L’idea di ragion di Stato nella Storia moderna si occupa del secondo tema, l’unità tedesca, discutendo l’origine della ragion di Stato e della Realpolitik nella Storia moderna. L’origine dello storicismo esplora la problematiche legate allo Stato nazionale prendendo le mosse dalla nuova, secondo Meinecke, concezione di Storia affermatasi tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo, che ha rivoluzionato il modo di intendere e rapportarsi alla stessa. Il frutto della ricerca è l’applicazione dei principi che governano la vita, da Leibniz alla morte di Goethe. Meinecke faceva risalire l’origine dello storicismo al collasso dei sistemi filosofici legati al giusnaturalismo. Con il proprio caratteristico approccio genetico, lo storicismo promuoveva il crollo, o meglio, lo sfondamento di quelle che Meinecke definiva le “pastoie del pensiero storico” dai suoi inizi. Meinecke confessa che il suo metodo necessita una vista a volo d’uccello, che gli permetta di sorvolare determinate cime, sebbene auspichi che i suoi lettori possano scorgere anche altre sommità e magari intere vallate, affermazione, questa, di eccessiva modestia. Si può non condividere le sue posizioni, ma gli va riconosciuto un importante livello di pensiero e analisi. La chiave della rivoluzione del pensiero storico è, per Meinecke, nella commistione di due idee: l’importanza dell’individuo e la nozione di sviluppo, che insieme hanno allentato la morsa in cui il giusnaturalismo costringeva il pensiero storico, poiché l’idea di legge naturale non considera l’individuo. Malgrado le pretese dell’Illuminismo di promuovere l’individuo e i suoi diritti, Meinecke sosteneva che l’idea illuminista dello stesso fosse statica. La filosofia illuminista generalizzava la nozione di essere umano, che voleva provvisto di una sola immutabile essenza valida per tutti i luoghi e tempi; la ragione è posta  al di sopra di ogni altra facoltà, e ciò che non è razionale viene scartato o superato.      



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