Louis-Sébastien Mercier

 

A cura di Diego Fusaro



 

 

Louis-Sébastien Mercier nacque a Parigi il 6 giugno del 1740 e morì nella capitale francese il 25 aprile del 1814. Autore oltremodo prolifico, deve la sua celebrità soprattutto alle due opere Tableau de Paris e l’An 2440, pubblicate prima dello scoppio della Rivoluzione francese. Cresciuto in una famiglia della piccola borghesia francese, decide ben presto di dedicarsi all’attività di scrittore. Viene nominato docente di retorica a Bordeaux, ma dopo non molto tempo decide di ritornare a Parigi. Nel 1781, Mercier comincia a pubblicare i due primi volumi del suo lavoro Tableau de Paris, opera che offre un affresco impareggiabile dei costumi del tempo. Negli anni a venire, continuerà a lavorare alacremente al suo scritto Tableau de Paris, che – una volta pubblicato – consterà di più di mille capitoli e di ben 12 volumi. Compone anche numerose opere teatrali e politiche. Il 1770 vede la pubblicazione dell’Anno 2440, un romanzo utopico originalissimo, in cui si specchia, per molti versi, l’età illuministica nel suo complesso. In collaborazione con Gabriel Brizard, François Henri Stanislas de L’Aulnaye e Pierre Prime Félicien Le Tourneur, Mercier pubblica – tra il 1788 e il 1793 – le opere complete di Jean-Jacques Rousseau, in 37 volumi. Allo scoppio della Rivoluzione francese, Mercier collabora attivamente a diversi giornali, soprattutto agli Annali patriottici, destinati a propagare le idee rivoluzionarie. In forte disaccordo coi Giacobini, che critica duramente sulla testata girondina Chronique du mois, Mercier ridicolizzerà lo stesso Robespierre: quando questi paragonerà i Giacobini ai Romani, Mercier risponderà: «non, vous n’êtes pas des Romains, vous êtes l’ignorance personnifiée!» («no, voi non siete dei Romani, voi siete l’ignoranza personificata!»). Politicamente, si mantenne su posizioni moderate: in qualità di membro della Convenzione, votò contro l’esecuzione di Luigi XVI : Durante il Terrore giacobino, venne imprigionato: fu rilasciato dopo la caduta di Robespierre, che Mercier ebbe modo di definire «Sanguinocrate». Altre opere importanti di Mercier sono le seguenti: Essai sur l’art dramatique (1773); Néologie ou Vocabulaire (1801); Le nouveau Paris (1799); Histoire de France (1802); Satire contre Racine et Boileau (1808). A questi vanno poi aggiunte le opere teatrali, tra le quali ricordiamo: Jean Hennuyer (1772); La Destruction de la ligue (1782); Jennval (1769); Le Juge (1774); Natalie (1775); La Brouette du vinaigrier (1775). Da tutti questi scritti affiora una profonda avversione verso i filosofi (soprattutto contro Voltaire); l’unico a cui Mercier guarda con simpatia è Rousseau, al cui pensiero si ispira ne L’anno 2440. È soprattutto in quest’opera che bisogna cercare il pensiero di Mercier. Si tratta di un romanzo filosofico che si inscrive nel filone dell’utopia: si immagina che un uomo – di cui non si dice il nome – discuta animatamente con un amico filosofo circa la giustizia di Parigi. Dopo la discussione, l’uomo sprofonda nel sonno: si risveglierà solo nel… 2440! La Parigi del 2440 è in tutto e per tutto migliorata: il sistema della giustizia è stato ripensato, lo spazio pubblico riorganizzato, il clero è sparito (e così pure le prostitute, la schiavitù, le tasse, il caffè, il tabacco, il the, gli eserciti), gli eccessi di ricchezze e povertà sono stati soppressi, ovunque domina la razionalità, secondo un sogno tipicamente illuministico. Ciò non di meno, la differenza tra ricchi e poveri continua a sussistere (in questo senso, l’utopia di Mercier non può certo essere qualificata come comunistica). L’anno 2440 è un’opera innervata dal pensiero illuminista: non solo, né soprattutto, per lo spirito anticlericale e antisuperstizioso; è uno scritto fortemente illuministico soprattutto per l’idea che essa propugna del futuro, inteso come uno spazio aperto in cui si attuerà un progresso illimitato. Nella Parigi del 2440 tutto è migliorato, la società è andata incontro a un inarrestabile progresso. Secondo un’idea tipicamente illuministica, la verità sta nel futuro: il passato è costellato da errori e da superstizione. Illuministica è anche l’idea – centrale ne L’anno 2440 – di un progetto politico da realizzare al fine di razionalizzare una società, di per sé, non ancora pienamente razionale. Ma l’aspetto che, più di ogni altro, rende originale e illuministica l’opera di Mercier è il particolare tipo di utopia che essa tratteggia: essa è significativa nell’ambito della letteratura dell’utopia perché è la prima, nel filone inaugurato dall’opera cinquecentesca di Tommaso Moro (Utopia), a porre l’utopia lontana nel tempo e non nello spazio, come era stato fatto fino ad allora da Moro stesso e successivamente da Tommaso Campanella ne La città del sole e da Francesco Bacone ne La nuova Atlantide: da Moro a Bacone il modello della società utopica è situato in uno spazio altro, in un altrove lontano ma contemporaneo (spesso insulare, per sottolineare maggiormente l’idea dell’incontaminato isolamento di quella società). Con Mercier l’utopia diventa ucronia: da non-luogo diventa non-tempo. La sua città ideale, infatti, non è situata in una città lontana e difficilmente raggiungibile; al contrario, la città al centro dell’opera di Mercier è la stessa Parigi, considerata però a distanza di secoli, in un futuro remoto e gravido di progresso. Si assiste così allo spostamento dalla proiezione spaziale a quella temporale, in un tempo futuro: a motivare tale spostamento è l’idea di un progresso a cui la storia sarebbe necessariamente destinata. Il progresso – la grande ideologia dell’Illuminismo – è il vero protagonista dell’opera di Mercier e della sua – secondo le parole di Rheinart Koselleck – «temporalizzazione dell’utopia» ( Verzeitlichung der Utopie). Il pensatore francese proietta nel futuro un modello di società giusta e razionale, convinto che nel percorso temporale che separa il 1700 dal 2440 il processo storico lo andrà necessariamente realizzando. A ben vedere, viene così inaugurato un modo di concepire la storia che si ritroverà, mutatis mutandis, anche in Karl Marx e nel suo «socialismo scientifico». È interessante ricordare che lo stilema narrativo impiegato da Mercier si trovi già in un’opera (purtroppo andata perduta) dell’antico Varrone, intitolata Sexagesis: in quest’opera, Varrone – precorrendo l’utopia di Mercier – immagina che un ragazzo sprofondi nel sonno e si risvegli sessant’anni dopo, trovando una Roma profondamente cambiata in peggio, sottoposta a un degrado morale incontenibile. Se per Mercier – figlio dell’Illuminismo – il futuro reca con sé progresso e miglioramenti di varia natura, per il latino Varrone – ma il discorso potrebbe in certa misura essere esteso a buona parte del pensiero antico – dal futuro non ci si deve aspettare altro che decadenza e regresso.

 



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