EMMANUEL MOUNIER

A cura di Diego Fusaro e Paolo Emilio Biagini


"Chiamiamo democrazia, con tutti i termini qualificativi e superlativi necessari per non confonderla con le sue minuscole contraffazioni, quel regime che poggia sulla responsabilità e sull'organizzazione funzionale di tutte le persone costituenti la comunità sociale. Solo in questo caso ci troviamo senza ambagi dal lato della democrazia. Aggiungiamo che, portata fuori strada fin dall'origine dai suoi primi ideologi e poi soffocata nella culla dal mondo del denaro, questa democrazia non è mai stata attuata nei fatti, e lo è ben poco negli spiriti. Ci teniamo soprattutto ad aggiungere che noi non propendiamo verso la democrazia per motivi puramente e unicamente politici o storici, ma per motivi d'ordine spirituale e umano. " (Rivoluzione personalista e comunitaria)

INDICE
VITA E OPERE
IL PENSIERO
L'IMPEGNO DI MOUNIER




VITA E OPERE

Emmanuel Mounier nasce a Grenoble il 1° aprile 1905 da una famiglia della media borghesia. Suo padre, Paul, era farmacista. Dopo aver compiuto gli studi regolari, si iscrive alla facoltà di "Scienze", più per volere del padre che per convinzione propria. I suoi studi in questo campo, però, non avranno seguito perché abbandonerà presto questa facoltà per iscriversi a quella di "Filosofia". In tale facoltà insegnava Jacques Chevalier, il quale influenzerà il giovane Mounier, che da parte sua porterà sempre un grande rispetto per quest'uomo, anche al di là delle scelte che in seguito li vedranno su sponde opposte. Mounier fa parte, in questo periodo, sia dell'A.C.J.F. che della "S. Vincenzo de' Paoli", avendo avuto in casa, una salda educazione cattolica. In questi anni, intanto, il rapporto Chiesa-Stato non è tra i più amichevoli: fin dalla nascita della III Repubblica, il Parlamento, che contava una maggioranza di deputati del partito radicale, era sceso in lotta nei riguardi delle associazioni religiose riuscendo a varare, il 9 dicembre 1905, una legge che prevedeva una regolamentazione dei rapporti fra Stato e Chiesa, affermando altresì nell'art. 2 che la Repubblica non riconosceva né finanziava alcun culto. Sempre in questo periodo, una delle conseguenze che tale legge provocherà, sarà quella della rottura dei rapporti diplomatici tra Francia e S. Sede, rapporti che verranno auspicati e ripresi dalla Camera del Blocco Nazionale nel 1914. Non è senza motivo che, parlando di Mounier, si sia costretti a parlare anche della situazione sociale francese del periodo in cui egli visse, perché egli ne sarà sempre, consapevolmente od inconsapevolmente, influenzato. La maggioranza dei cattolici, in questo periodo, tra l'altro, è di chiara impronta monarchica e antirepubblicana, avversa in qualche modo ad un'attività che la vedesse impegnata socialmente. Appena nel 1909, padre Anizan, vincenziano, fonderà il primo sindacato di operai cattolici. Questo sindacato però non avrà molto seguito, anche probabilmente per il fatto che i tempi non erano ancora maturi. Diverranno maturi, però, dieci anni più tardi, quando tra il primo ed il 2 novembre del 1919 si terrà il congresso costitutivo della CFTC ("Confédération francaise des travailleurs chrétiens"). Questo sindacato avrà un peso considerevole nei settori - come quello dell'abbigliamento e quello tessile - dove massiccia era la presenza delle lavoratrici. La CFTC, che si voleva rigorosamente autonoma, si terrà distante sia dalle posizioni del padronato che da quelle delle altre due confederazioni la CGT e la CGTU. Tale "autonomia" farà sì che essa non prenderà parte né allo sciopero del 12 febbraio del 1934 né tantomeno al Fronte Popolare. Come si diceva più sopra, la maggioranza dei cattolici era arroccata su posizioni di destra, filo-monarchiche, filo-fasciste, filo-nazionaliste. Il loro organo di maggior rilievo era l'"Action Francaise", voce del movimento che aveva lo stesso nome. Tale organo era diretto da Charles Maurras, al quale si aggiungevano anche Jacques Maritain e Henri Massis. Jacques Maritain, dal canto suo, uscirà dall' "Action Francaise" alla fine del 1925, poco prima dunque, che arrivasse da Roma la scomunica del movimento e delle idee da esso propugnate, ad opera del papa Pio XI. Jacques Maritain, professore all'Istituto Cattolico di Parigi, pubblicherà nello stesso anno il suo "Primauté du spirituel" e affermerà con la moglie, di non essersi accorto che Maurras lodava la Chiesa solo come strumento politico, la lodava in quanto romana e non in quanto apostolica. Intanto nel 1927, il 23 giugno, Mounier, dopo aver completato gli studi, consegue il Diploma in Filosofia con una dissertazione dal titolo: " Il conflitto dell'antropocentrismo e del teocentrismo nella filosofia di Descartes ". Un lavoro importante questo, non in sé, ma perché egli farà costante riferimento, trattando dei problemi a lui contemporanei, alle radici del pensiero cartesiano, come giustamente ha messo in rilievo il Melchiorre. Pochi mesi dopo parte per Parigi, ove decide di presentarsi all' "agrégation" alla Sorbona e, superata la prova, pensa al soggetto della tesi su cui dovrà lavorare. Mounier non ha fretta però di scegliere tale soggetto, come confessa egli stesso, in una lettera del primo febbraio 1929 a J. Martinaggi:

" Il mio soggetto di tesi ? Lo lascio maturare, poiché una tesi è ai miei occhi un'opera umana più che un'opera intellettuale. Sarà qualcosa sulla frontiera del dominio morale e del dominio religioso, su delle questioni molto attuali..... " .

Da ciò deriva che Mounier non voleva assolutamente scegliere un soggetto di tesi che non gli fosse poi servito per poter capire meglio il presente. Egli effettivamente, abbandona il progetto della tesi per dirigersi su uno studio del pensiero di Charles Péguy, autore questo, che già in una lettera del maggio 1925, indirizzata a sua sorella, aveva così definito: " Péguy è una sorgente di consolazione e di speranza… ". Mounier in quel periodo fa parte di un circolo di studi péguysti. A questo circolo partecipavano anche, tra gli altri, Jean Danielou e Georges Izard. Tra Mounier, Marcel Péguy e Jean Danielou nasce l'idea di scrivere un libro sulla figura di Charles Péguy, diviso in tre parti. In seguito, essendo entrato Jean Danielou nei gesuiti, per seguire il noviziato, prende il suo posto Georges Izard. Il volume vede la luce nel 1931 nella collana "Roseau d'Or" presso l'editore Plon, grazie all'amichevole interessamento che J. Maritain, direttore di questa collana, aveva dato loro. Intanto però l'interesse di Mounier era prevalentemente centrato sulla costituzione di una rivista, e già da un anno ne andava parlando con G. Izard. Questa rivista doveva essere in qualche maniera diversa da quelle che già esistevano. Egli, come è stato notato già da più parti, si stava rendendo conto che il mondo occidentale si trovava ad una svolta, o meglio, era convinto che tutto un mondo stava crollando, crollo del quale il giovedì nero di Wall Street ne era solamente il volto economico. Non è infatti vero che egli sia influenzato direttamente dalla crisi del 1929, anche perché, come nota il Caredda:

" La crisi economica scoppiata nell'ottobre 1929 con il crollo della Borsa di Wall Street fa sentire i suoi effetti in Francia con qualche anno di ritardo....Gli anni 1934-1935 sono veramente gli anni della crisi francese...." .

Il pensiero di creare una rivista, di cui Mounier - ma non solo lui - sente l'impellente bisogno e la necessità, è molto forte; egli stesso infatti, afferma in una lettera a J. Chevalier dell'11 aprile 1931:

" (La rivista) grossa questione per me, sulla quale io non prenderò una decisione che dopo aver molto pregato e domandato consiglio a quelli che amo... ".

Il primo numero di questa rivista vede la luce nell'ottobre del 1932, dopo una sottoscrizione fra i vari gruppi denominati " Amis d'Esprit " e dopo vari incontri - veri e propri convegni - nei quali si scelse la linea di tale rivista. Già il primo numero contiene un articolo esplicativo, dal titolo " Refaire la Renaissance ". A fianco della rivista, che doveva servire da base teorica per le nuove generazioni e che aveva molto seguito tra queste - come afferma il Dansette - Mounier aveva creato, in collaborazione con G. Izard, un movimento denominato " Troisième force ", che doveva, negli intenti dei suoi promotori, porsi in alternativa tra il capitalismo (prima forza) ed il comunismo (seconda forza). Su questo punto non tutti sono d'accordo. Maritain chiama infatti il movimento " deux bis ", perché vede in esso, più che un movimento distinto dagli altri due "blocchi", un corollario della cosiddetta "seconda forza". Già però in una lettera dell'11 aprile 1933, Mounier avvisava Izard di avere l'impressione che:

" .....il Movimento si perde in considerazioni di tattica e in un'incertezza fra le mistiche esistenti, dal neo-radicalismo di Valabrègues al neo-comunismo di Bergery, invece di lavorare al fine di approfondire la sua mistica propria... " .

Tra l'altro, come se non bastasse, nel " Programme pour le 1933 " apparso sul numero di "Esprit" del dicembre 1932, si trova scritto che:

" ...il compito più urgente non è sempre il più essenziale né il più amato. Ciò è di importanza capitale: la rivoluzione non è per noi il primo valore, neppure nell'ordine culturale....noi siamo del partito dello spirito prima di essere del partito della rivoluzione…" .

Sembrerebbe, a prima vista, che Mounier qui si contraddica; infatti, continua a parlare, e parlerà anche in seguito, di fare la rivoluzione, e una delle sue opere maggiori, apparsa nel 1935, porterà proprio come titolo: " Rivoluzione personalista e comunitaria ". In effetti egli qui intende la rivoluzione nel termine più classico, ma anche più abitudinario come appunto uno sconvolgimento, violento, della società, che porta al trionfo di una classe nei confronti delle altre; mentre negli altri passi, la rivoluzione viene intesa - sempre da Mounier - non solo come presa di coscienza del disordine esistente, ma come un modo che permetta di " arrivare ad un cambiamento di vita e non soltanto ad un mutamento del pensiero, altrimenti si sarebbe avuto un nuovo tradimento dell'uomo e della comunità ", come ha ben sottolineato il Mazzariol. Mounier intende, infatti, la rivoluzione come quel moto che spinge al fine di una sempre maggior riappropriazione del senso dell'"essere", in un mondo che è invece sempre più teso all'"avere", alle scelte impersonali, anonime, al mondo del "si dice". É per questo che Mounier cerca di interpretare l' "avvenimento": " l'avvenimento sarà il nostro maestro interiore... ", scriverà a Jean-Marie Domenach, in una lettera del settembre del 1949, giacché l'avvenimento non è qualcosa che provenga dall'esterno semplicemente, ma nasce dall'incontro tra il fatto storico e la sua interpretazione, e - come afferma Domenach stesso - esso " non esiste se non provoca una risposta ", perché l'avvenimento non è la conferma delle nostre analisi, ma invece è proprio esso che può rimetterle in questione, e di questo parere è anche il Basurto, che afferma: " la giusta ottica per capire e per parlare di Mounier è quella che mette a fuoco prima di tutto questa sua disponibilità interiore come presupposto metodologico cosciente ". Nonostante ciò, la "Troisième force" continua ad avere, grazie alla profonda amicizia tra Mounier ed Izard, molto spazio sulle pagine di "Esprit", almeno fino al mese di luglio del 1933. Nel numero di questo mese, infatti, appare un "Avertissement" firmato sia da Mounier che da Izard, nel quale si avvisavano i lettori che la "Troisième force" non avrebbe più trovato spazio sulla rivista, pur rimanendo intatta l'amicizia tra il direttore di questa con il delegato del Movimento. Mounier vuole, in questa occasione, una volta di più, chiarire che la via che la sua rivista vuole percorrere e percorrerà, sarà quella di una chiarificazione prima di tutto intellettuale, senza per questo cadere nel mero piano della politica attiva. Questo non vuol dire che il gruppo di "Esprit" non prenderà delle posizioni politiche abbastanza nette e precise, ma quando esso lo farà, non sarà per una pura e semplice tattica politica, bensì per scendere in campo ogniqualvolta sarà convinto che in quel momento, o la sua assenza potrebbe significare delle ambigue compromissioni - che tuttavia non ci saranno mai - oppure per rivendicare i diritti inalienabili della persona. É per questo che Mounier vuole mantenere se stesso e la sua rivista al di là delle semplici rivalità politiche, non per questo evitando di attirarsi le ire di coloro ai quali una simile posizione - che egli aveva definito a Jean-Marie Domenach nella lettera citata più sopra, con queste parole: " L'intellettuale ha come missione (come il sacerdozio) di cercare la verità e di giudicare: homo spiritualis judicat omnia " - dava molto fastidio. Questa prospettiva di per é molto valida, egli l'aveva già in precedenza chiarita in questi termini:

" prima di lanciarsi alla ricerca del vero si impone una regola d'igiene preliminare: bisogna rinunciare a tutto quello che impedisce al nostro spirito di trovarsi in stato di pura recettività faccia a faccia col vero, sopprimere gli schemi che offuscano la luce naturale ".

Molte invece, saranno le denunce di avversari ostili i quali, non capendola sua posizione, la confonderanno - volutamente o no -con altre determinate soltanto da interessi che non avevano niente a che vedere con quelli che invece spingevano Mounier all'azione, e che giungeranno nelle mani delle più alte personalità ecclesiastiche di Parigi prima, e poi di Roma. Una di queste, la prima, arriverà nel maggio del 1933; Mounier nei suoi "Entretiens" scriverà il 21 maggio di avere forti sospetti che il denunciante fosse Coquelle-Viancé del "Comité des Forges" , irritato da un articolo apparso sul numero di "Esprit" di marzo, riguardante in particolare l'affare "Temps"; in tale articolo intitolato "Naissance d'un esprit public", si affermava tra l'altro: " i padroni della stampa...hanno messo la benda sui nostri occhi... ". Tale articolo, firmato da André Ulmann denunciava particolarmente la linea militarista condotta dal giornale sotto la pressione dei suoi padroni e prende lo spunto per " precisare le nostre accuse di smascherare i potenti...Ecco i nostri nemici ". Il "Comité des Forges" è una roccaforte dell'industria pesante che - come afferma il Caredda -" condiziona gravemente la stesa vita politica francese, e che possiede, più o meno direttamente, vari giornali, come il 'Temps', l''Echo de Paris', la 'Journèe Industrielle', ed altri minori " . Questa denuncia non avrà il risultato che i suoi promotori avrebbero voluto, ma non per questo la rivista di Mounier, avrà - negli anni che seguiranno - una vita facile, sia per le posizioni che essa prenderà, sia anche, per le idee che in essa vi saranno dibattute. Mounier infatti, inizierà in questi anni un dialogo col marxismo che la stessa Ornella Pompeo Faracovi definisce in questi termini: " il suo approccio col marxismo...(è) in qualche modo il più rigoroso e il più tipico, di una stagione in cui erano in pochi ad avere il coraggio del dialogo dell'apertura ". Effettivamente, i temi che Mounier veniva svolgendo nella rivista, la loro impostazione veramente nuova, la lettura che ne veniva fatta di realtà quali: "il mondo borghese"; "il comunismo", erano per molti delle cose difficili da masticare se non addirittura da digerire; il numero di marzo, per esempio, ha per titolo: "Rupture entre l'ordre chrétien et le désordre établi". Una delle intenzioni costanti in Mounier, fin dal'inizio, è stata infatti quella di porre in luce, il fatto di come il mondo borghese si fosse impossessato del carattere spirituale del cristianesimo. In effetti egli voleva dimostrare, andando alla radice della verità evangelica, come degli atteggiamenti, delle posizioni, delle mentalità, che si volevano prettamente cristiane, altro non fossero che prese di posizione di classe. Degli interessi che si presumeva fossero dettati dallo spirito evangelico, non erano dettati da altro che non fosse un semplice ed effimero interesse di classe. L'opera di Mounier si svolge innanzitutto verso coloro i quali, questi cosiddetti cristiani, hanno rifiutato di dialogare perché considerati indegni. In una lettera del 7 marzo 1936 a Pierre-Amé Touchard, egli afferma:

" Nostri amici non credenti (incroyants), che desiderate il Cristo più ardentemente di tanti nostri 'fratelli' frequentatori, voi siete i poveri, spogliati dai farisei della pienezza spirituale come gli altri lo sono dai ricchi della sicurezza materiale: voi siete il corpo di Cristo, anche voi... ".

Questo, dei rapporti fra credenti e non, sarà un problema che ritornerà incessantemente, a più riprese durante gli anni successivi. Intanto gli avvenimenti incombono. Nella giornata del 6 febbraio 1934 ci sono, a Parigi, dei violenti scontri tra dimostranti, tutti facenti parte delle cosiddette "Leghe" di matrice prettamente fascista, e la polizia. I dimostranti, radunatisi in Place de la Concorde sulla riva destra della Senna, tentavano di raggiungere attraverso il ponte, il Palazzo dell' Assemblea Nazionale , che si trova sulla riva opposta. Dopo una giornata di aspri scontri, i dimostranti - tra i quali, numerosi erano quelli della lega denominata "Croix de feu", capitanata dal colonnello de la Roque - cedettero nel loro tentativo, anche perché, inspiegabilmente, i dimostranti della "Croix de feu", i quali erano appostati sulla Esplanades des Invalides e quindi si trovavano sulla sinistra dei poliziotti, non intervennero. Essendo, questi moti, di una certa ampiezza e compiuti non da un cerchio ristretto di persone, ma da migliaia, si può spiegare questo fatto come la conseguenza irrazionale alla politica deflazionistica che Poincaré aveva condotto, nel tentativo di preservare la Francia dalla bancarotta, negli anni immediatamente anteriori a questi fatti. Già però, prima che questi moti avvenissero - essendo questi solamente la cartina al tornasole della situazione sociale francese - nel numero di gennaio del 1934, Mounier aveva avuto modo di mettere in guardia i suoi lettori contro i "pseudo-valeurs spirituelles fascistes", dove nell'articolo intitolato "Prise de position", affermava tra l'altro: " Noi chiameremo dunque fascismo, sul piano politico, sociale ed economico, una reazione di difesa del capitalismo... ". Il mese di febbraio, dopo questi moti, segna due avvenimenti importanti; la caduta del governo a causa delle dimissioni del radicale Daladier e la conseguente formazione di un governo di "Unione Nazionale", presieduto da Doumergue; segna altresì l'inizio dell'avvicinamento dei partiti della sinistra, avvicinamento che porterà al Fronte Popolare del 1936. In questo periodo a parlare della "persona", il gruppo di "Esprit" non era il solo, anche altre riviste ne parlavano, ma con accenti decisamente differenti, e Mounier lo nota parlando, per esempio, del gruppo di "Ordre Nouveau" - gruppo questo per certi versi con posizioni vicine a quelle di "Esprit", iniziato nel 1929 esso terminerà definitivamente le proprie attività nel 1938 - affermando che:

" A noi sembra estremamente pericoloso, perché falso, definire la persona, che si richiama con noi, come un 'atto puro', un''aggressività creatrice', una 'violenza spirituale'. La confusione di queste formule nasconde (draine) un nietzschianesimo troppo sovente scolastico ed un aristocratismo diffuso del quale si vede l'inclinazione sul piano metafisico e su quello sociale ".

La posizione di Mounier è infatti quella di combattere una battaglia su due fronti. Quello della "presenza" - si è visto più sopra con la presa di posizione contro il fascismo in quel particolare momento (queste prese di posizione si avranno spesso e non solo contro questa dottrina) - e quello della "testimonianza"; egli vuol sì esser presente nel mondo, ma è cosciente che questa sua presenza può essere svilita e risultare vana in ogni momento, se non fosse sorretta dalla testimonianza della sua fede che, gli permette di raggiungere una grande chiarezza e lucidità intorno ai problemi che si trovava a dover analizzare e comprendere. Egli sa che la sua è una posizione delicata, perché esposta su due lati a pesanti critiche, che i suoi avversari - esterni e interni - non gli faranno certamente mancare. Perché se da un lato egli vuol capire i movimenti del mondo, del "sociale", egli vi si deve immedesimare con tutto se stesso, deve rendersi co-partecipe con il mondo, con tutto ciò che di tragico ed impuro esso ha, ma anche con tutta la possibilità di "incarnazione" che esso rende possibile. Mounier ricorderà spesso - a questo proposito - che da parte dei cristiani, della frase evangelica: " voi siete nel mondo, ma non siete del mondo ", questi ultimi abbiano tenuto a mente, o per comodo o per negligenza, solamente la seconda parte - "non siete del mondo" - trascurando del tutto la prima parte e cioè "siete nel mondo". Dall'altro lato sarà criticato da coloro i quali avrebbero voluto da lui un più profondo impegno, che fosse maggiormente "engagée". Egli sa che ad immergersi troppo nell'impegno, invece, può portare all'isterilimento delle idee e dei presupposti, ma dall'altro è ben convinto che a basarsi sulle proprie idee senza un confronto con il reale può risultare alla fine, dannoso; lo vediamo affermare infatti, in un articolo del novembre del 1935, intitolato: "Faisons le point" e dedicato alle attività della "Troisième force":

" un movimento politico che non avrà guadagnato le masse operaie e contadine, o per meglio dire che non si sarà come ritrovato in esse, si lancia su una via pericolosa se pensa di maturare senza di esse ".

É la testimonianza l'aspetto a cui tiene maggiormente: " Lasciato a me stesso, io passerò la mia vita a fare di 'Esprit' una pura testimonianza - afferma il 5 giugno 1934 - io darò la mia vita affinché questa testimonianza non cess." Come abbiamo visto questo sarà un impegno prevalentemente dottrinale, più che di tattica politica, ed infatti egli condannerà duramente il fatto che la "Troisième force" abbia aderito al "Front commun" proposto da Thorez, il 10 ottobre 1934 ed affermerà in quell'occasione: "La Troisième foce est morte". Sbaglia il Castoldi, quando afferma che il gruppo facente capo a "Esprit" assume un atteggiamento polemico nei confronti del cosiddetto 'realismo', portando delle riserve di carattere essenzialmente politico. Ciò che più sta a cuore a Mounier è di non confondersi con quelli che potevano essere dei meschini coinvolgimenti dovuti alla mera tattica politica, " ma una unione organica mi sembra la più pericolosa delle chimere...credo che in ciò voi siete vittime della vecchia concezione dei partiti e dei loro giochi ". Mounier vuole ad ogni costo mantenersi al di là delle parti, al di sopra delle mere tattiche politiche, ed è questo suo atteggiamento che gli permette di smascherare senza mezzi termini gli intrighi che potevano sorgere, come la candidatura Chiappe, personaggio da lui definito " un uomo manifestamente marcio ", o rispondere senza mezzi termini al generale Castelnau, dirigente del "Front National Catholique", una potente formazione della destra monarchica: " Generale, tre figli non bastano ? ", alludendo al fatto che i tre figli del generale erano morti in guerra, ed essendo esacerbato da un articolo di questi definito dallo stesso Mounier pieno di "betise" e "ignominie". Tutto ciò, tra l'altro, non sarà senza conseguenze, che vedremo in seguito. Nel frattempo, nel luglio 1935, Mounier si sposa con Paulette Leclerq, una bibliotecaria che abitava a Bruxelles e che aveva avuto modo di conoscere grazie ai suoi numerosi viaggi fatti in Belgio, al fine di organizzare dei gruppi di "amis d'Esprit" anche in questo paese. É a Bruxelles che Mounier e sua moglie abiteranno fino al 1938, anno in cui migliorate le loro condizioni finanziarie, si stabiliranno a Parigi. Intanto, nel maggio del 1936, si profilano nuovamente all'orizzonte nubi minacciose per il destino della rivista. Questa volta le cose sembrano molto serie, infatti le inquietudini provengono direttamente da Roma. D'accordo con Maritain, egli prepara un rapporto privato su "Esprit", da mandare all'arcivescovo di Parigi; in tale rapporto veniva precisata sia la linea ideologica della rivista, sia le posizioni che la stessa aveva assunto dalla sua fondazione fino a quel momento. Le accuse, nate grazie a una campagna sistematica e molto ben organizzata dall'"Action Francaise", ed in genere da tutta la destra monarchica, ivi compreso il Front National Chatolique, miravano a stroncare tutte le riviste considerate espressioni del cosiddetto "chatolicisme de gauche". Questa campagna diffamatoria raggiunge il suo scopo solamente in parte. "Esprit" potrà continuare indisturbata le sue pubblicazioni, mentre "Sept", un settimanale redatto da domenicani, dovrà cessare le proprie dopo qualche mese. Gli avvenimenti intanto incalzano e la guerra di Spagna conduce, volenti o nolenti, a delle chiare e decise prese di posizione che provocheranno una volta di più delle profonde lacerazioni all'interno della Chiesa. Da un lato "Esprit" si trova dalla parte di coloro i quali combattono per la repubblica, minacciata dalle armate del generalissimo Franco; dall'altra, il Vaticano è fra i primi a riconoscere la dittatura franchista. La politica svolta dagli Stati democratici europei, in questo lasso di tempo, non lascia adito a dubbi. É una politica di continui cedimenti, uno più clamoroso dell'altro, cedimenti che culmineranno con l'accordo di Monaco, firmato da Hitler, Mussolini, Chamberlain e Daladier il 30 settembre 1938. Toccato da questo accordo Mounier scrive un opuscolo, pubblicato presso le edizioni du Cerf, col titolo "Pacifistes ou bellicistes?" nel 1939. Il suo interesse, una volta di più, è speso al fine di porre maggiormente in luce le contraddizioni esistenti. Egli infatti afferma che la parola pace non significa, non può significare, la semplice assenza di guerra. Non ci si può, in questo modo, fermare alle semplici apparenze, ma bisogna giudicare dalla realtà delle intenzioni. La guerra, nota ancora Mounier, non incomincia semplicemente con l'uso della violenza fisica, ma si inserisce fra la pace che si vive interiormente e l'odio che, sempre interiormente, si accetta. Egli avverte chiaramente, in questo momento, che più pericolosi non sono coloro che vogliono la guerra, ma coloro che invece ne tacciono, per paura o per calcolo, la sua mostruosa realtà e che ne " minimizzano la giusta valutazione nella coscienza pubblica ". L'accordo di Monaco prevedeva che il primo ottobre, l'esercito tedesco poteva iniziare la sua marcia verso la Cecoslovacchia per annettersi i Sudeti entro il 10 dello stesso mese. Questo accordo non fu nient'altro che una beffa per chi credeva che così la pace, in Europa, venisse salvaguardata. In sostanza esso sarà un ulteriore passo in favore della politica di potenza che condurrà di lì ad un anno, nel baratro della seconda guerra mondiale. Il 16 settembre 1938, Mounier scrive a Emile-Albert Niklaus:

" Io non sono morto. O non ancora virtualmente, grazie al signor Chamberlain...Noi abbiamo deciso che 'Esprit' non scomparirà in caso di conflitto ".

Questi anni, dunque, sono pieni di avvenimenti sul piano politico; l'otto aprile 1938, Léon Blum, leader del partito socialista e primo ministro, dà definitivamente le dimissioni, seppellendo il Fronte popolare, che dal canto suo, era ormai già cadavere. A succedergli al governo, sarà Edouard Daladier, presidente del partito radicale, che abbiamo già incontrato quale firmatario dell'accordo di Monaco. Il sei marzo 1939 le truppe di Hitler invadono la Cecoslovacchia e venti giorni dopo le truppe di Franco entrano vittoriose a Madrid. In settembre, Mounier venne destinato come segretario in un ufficio amministrativo dell'esercito, in quanto a causa di un incidente, aveva perduto un occhio all'età di tredici anni. La sua vita di ausiliario dura sino all'inizio dell'estate 1940. I tedeschi, infatti, avevano aggirato la linea Maginot, e sorpreso l'impreparato esercito francese, avevano concluso vittoriosamente ed in maniera fulminea la loro guerra contro la Francia. Mounier intanto con la sua famiglia si reca a Lione, al fine di trovare qualche lavoro che permettesse loro di vivere e di riprendere le pubblicazioni della rivista. Tra le attività che egli intraprenderà in questo periodo, una in particolar modo va segnalata. Il governo collaborazionista di Vichy lancia la formula "Dieu à l'Ecole", volendo introdurre nuovamente l'educazione religiosa in classe e combattere così l'anticlericalismo radicale portato avanti da più o meno tutti i governi della Terza Repubblica. Oltre a ciò, tale governo volle creare a Uriage una "scuola quadri", al fine di poter formare una valida classe dominante utile allo scopo di poter perpetuare la politica vichysta. Vennero chiamati ad insegnare in tale scuola le varie personalità che più o meno avevano il vantaggio di trovarsi nelle vicinanze di essa, nella regione "grenobloise". Fra questi, venne invitato anche Mounier, il quale ebbe modo di tenere delle lezioni che influenzeranno notevolmente i frequentatori di questa scuola. A Uriage si studia anche " sistematicamente e il più obiettivamente possibile, il fascismo, il nazismo, il comunismo, la democrazia liberale rigettandole del resto (le prime tre nel nome della filosofia personalista, la democrazia liberale in ragione della sua inefficacia e soprattutto per via dei cattivi ricordi che aveva lasciato durante tutta la III Repubblica) ". Egli volle in questo modo, una volta di più, allargare ad altri ambienti il pensiero che veniva sviluppato nella rivista "Esprit". Ciò però non sfuggirà al regime vichysta, che sebbene propugnasse una fantomatica "rivoluzione nazionale" capirà che aveva tutto da perdere se avesse lasciato che Mounier continuasse il suo insegnamento a Uriage. La dottrina personalista e comunitaria era in effetti in netto contrasto con la linea assunta dal governo di Vichy. Per questo motivo " nel marzo 1941, fu dato l'ordine al suo superiore di rimuovere l'abbé de Naurois e di sospendere (ecarter) Emmanuel Mounier ". La traccia che l'insegnamento di Mounier lascerà in coloro i quali lo avevano ascoltato sarà, però, profonda e si rivelerà tale soprattutto in seguito, specie durante la IV e V Repubblica. Ma il suo allontanamento da Uriage non soddisfa, non può soddisfare il regime, che nell'agosto del 1941 decreta l'interdizione alla rivista " in ragione delle tendenze generali che essa manifesta ". Inoltre, Vichy istituisce una seconda "scuola quadri" che, sotto la direzione di personale scelto, darà ai partecipanti una formazione totalitaria; ciò succede anche in relazione al completo insuccesso ottenuto dal regime a Uriage, in quanto quasi tutti gli alunni di questa entreranno a far parte viva della resistenza. Nel gennaio del 1942 viene arrestato a Clermont un corriere del movimento clandestino "Combat", nelle sue carte si fa il nome anche di Mounier che a sua volta viene arrestato a Lione il 15 dello stesso mese, trasferito e incarcerato a Clermont-Ferrand il 27, dunque liberato il 24 febbraio ed infine rilasciato in libertà provvisoria nell'aprile. Rientrato a Lione viene nuovamente arrestato e condotto, il due giugno, a Vals-Les-Bains. Dell'esperienza carceraria di febbraio, tuttavia, egli conserva un ricordo positivo perché afferma " sono profondamente orgoglioso di essere passato da qua. Manca ad un uomo non aver conosciuto la malattia, l'infelicità o la prigione ",e a sua madre, per consolarla:

" non si può dire: è ingiusto; vedi. In molti di questi casi - (aveva citato le esperienze di Platone, Socrate, Cristo, S. Paolo, ecc.) - è stato ingiusto, ma noi sappiamo che la giustizia non progredisce che con un minimo di persecuzione per mezzo dell'ingiustizia o semplicemente del malinteso "1.

A Vals-Les-Bains intanto, egli con altri quattro compagni di prigionia, attua uno sciopero della fame che gli farà perdere undici chili. Tale sciopero, volto allo scopo di far cessare l'internamento, durò dodici giorni, dopo di che grazie al successo ottenuto, Mounier fu trasferito nelle carceri di Lione, dove resterà per oltre tre mesi. Il 19 ottobre viene processato con altre 47 persone, " medici, industriali, professori, ufficiali, ce n'è per tutti i gusti ". Il trenta dello stesso mese egli può scrivere all'amico Emile-Albert Niklaus: " la sera: così è, vecchio mio, assolto (col beneficio del dubbio è vero!) ". Dopo la sentenza, Mounier andò a vivere a Dieulefit nel Drone, assumendo il cognome della moglie Leclerq, fino alla fine della guerra. Riesce, dopo numerosi sforzi, a far riprendere a "Esprit" il corso normale delle pubblicazioni nel dicembre del 1944. La linea della rivista è quella di sempre; Mounier è convinto che bisogna lavorare ancora molto, affinché la gente riesca a capire che "Esprit" si prefigge come scopo, quello di servire a tutti i costi la verità. É per questo che le accuse continuano anche nel dopoguerra, essendoci evidentemente ancora molta gente non disposta ad accettare tale idea. Ancora una volta egli è costretto ad affermare che la rivista non è mai stata una rivista di sinistra. Se ne guarda bene dal prendere delle posizioni troppo marcatamente politiche, specialmente in questo tormentato dopoguerra francese. " Il ruolo della rivista non è quello di indicare un partito e di sostituirsi a degli impegni politici individuali ". Egli è dell'avviso che il ruolo della rivista debba continuare ad essere quello che era stato fino a quel momento; fucina di idee e di proposizioni, un aiuto chiaro e disinteressato - a livello teorico - per quanti volessero impegnarsi a livello pratico. É per questo che già fin dal 1943 Mounier aveva criticato Gilbert Dru, durante un congresso clandestino degli "amis d'Esprit", tenuto a Dieulefit, avvisandolo che egli e i suoi amici potevano restare strozzati dalla gran massa dell'elettorato cattolico che era rimasto pressoché conservatore. Ciò che puntualmente si verificò in seguito con l'effimera esperienza dell'M.R.P. Il testo della " Déclaration des Droits des Personnes et des Communautes ", che egli aveva già in qualche modo abbozzato durante l'occupazione, e poi incluso nei numeri di dicembre 1944 e marzo, aprile e maggio 1945, servirà, in effetti, come punto di partenza per la discussione che si svilupperà in seno alla "Commission de la Costitution" costituita nel 1945 46. Lo stesso, tra l'altro, avverrà per la situazione italiana, in quanto il pensiero di Emmanuel Mounier, sarà introdotto nella discussione per la preparazione della nostra Carta Costituzionale da Giorgio La Pira, e troverà la sua esplicazione nell'articolo 2. Intanto, però, il grande lavoro svolto, e le sofferenze patite - la sua prima bambina, Francoise, nata nel 1938, in seguito ad una iniezione sbagliata, era entrata in coma due anni dopo e non doveva più uscirne; morirà nel 1954 - lo scuotono nel fisico. Una prima avvisaglia egli l'aveva avuta nel settembre del 1949, un attacco cardiaco. Non avendogli dato eccessivo peso, e continuando nel suo intenso lavoro, avrà un secondo attacco in febbraio e - ma ormai era troppo tardi - il terzo, l'ultimo, alle ore 2 e 30 della notte del 22 marzo 1950. Dieci giorni dopo avrebbe compiuto quarantacinque anni. Due giorni prima di morire, egli stesso aveva scritto a l'abbé Depierre: " io vorrei con mia moglie, dare almeno un po', e prepararmi al giorno in cui gli avvenimenti forse ci spingeranno a donare tutto ".

IL PENSIERO

Uno sviluppo dello spiritualismo francese è rappresentato dal personalismo di Emmanuel Mounier, nel quale confluiscono anche ampiamente (come egli stesso ammise) temi dell’esistenzialismo teistico cristiano. Mounier fu, oltrechè filosofo, pubblicista e uomo politico: nel 1932, come abbiam detto nella sua biografia, fondò la rivista cattolica “Esprit”, che rimase (anche nel dopoguerra) termine di riferimento essenziale per i cattolici di sinistra, non solo francesi. Strenuo avversario del fascismo e vicino al Fronte popolare, durante la guerra di Spagna Mounier si schierò a favore del governo repubblicano, pur denunciando i rischi del totalitarismo comunista e le atrocità della guerra civile. Durante la seconda guerra mondiale partecipò attivamente alla resistenza, fu imprigionato dai Tedeschi per alcuni mesi e successivamente visse in clandestinità fino alla Liberazione. Oltre al “ Manifesto al servizio del personalismo ” (1936), le sue opere fondamentali sono “ Rivoluzione personalistica e comunitaria ” (1936), “ Che cos’è il personalismo? ” (1946), “ Trattato del carattere ” (1946), “ Il personalismo ” (1949). Lo sfondo storico in cui si sviluppa la riflessione filosofica di Mounier è la grande crisi economica conseguente al crollo della Borsa di Wall Street del 1929: in questa situazione di generale arretramento dell’economia, il filosofo francese si propone di indicare una “ terza forza ” , che si contrapponga sia all’individualismo liberistico sia al totalitarismo stalinista. La nuova strada viene ricercata in una filosofia che concepisca l’uomo né come semplice individuo, atomo tra altri atomi e privo di sostanziali relazioni con essi, né come momento di una totalità socio-economica che fagocita la sua specificità. L’individuo deve essere invece concepito come persona , cioè come uno “spirito” che, se da un lato, in quanto tale, è assolutamente unico e specifico, dall’altro è costituzionalmente aperto alle altre persone in una relazione che fa parte dello sviluppo e del carattere della persona stessa. I caratteri della persona sono i seguenti: in quanto spirito, essa è primariamente una realtà inoggettivabile (in ciò risulta evidente l’influenza di Marcel) che si esprime in una creatività assolutamente libera e in uno slancio verso la trascendenza, intesa sia come apertura verso Dio sia come comunione con le altre persone. Ma la persona, malgrado l’inoggettivabilità che deriva dalla sua spiritualità, non è qualcosa di astratto e di sganciato dal mondo materiale: al contrario, essa è incarnata nella realtà corporea e storica e può esplicare se stessa solamente attraverso un’attività pratica concreta. Infine (e qui ci troviamo di nuovo di fronte alla tematica della trascendenza, diretta però alla realtà sociale) il personalismo è essenzialmente comunitario , in quanto la piena realizzazione della persona si ha non nell’individuo, ma nella “persona collettiva” o “persona personale”. Quest’ultima rappresenta l’ideale cui ogni uomo deve aspirare, il “ polo profetico ” verso cui deve incessantemente tendere il “ polo politico ” rappresentato dall’azione della singola persona. La persona, dunque, non è qualcosa di dato e concluso, ma piuttosto un ideale e un compito che l’uomo deve gradualmente realizzare. Il personalismo, che in Francia aveva già trovato espressione nell’ultima fase del pensiero di Renouvier, è rappresentato anche in America (specialmente da un gruppo di pensatori che si raccolgono attorno alla rivista “The Personalist”), in Germania (come componente nel pensiero di Max Scheler e di Martin Buber), nonché in Italia, soprattutto nell’opera del piemontese Luigi Pareyson, che lo congiunge ad una spiccata ispirazione esistenzialistica.

L'IMPEGNO DI MOUNIER

Parlare di “Esprit” significa parlare di Emmanuel Mounier, come dire “Cahiers de la Quinzaine” vuol dire Charles Péguy e “Humanisme integrale” Jacques Maritain. Identificazioni che definiscono uno straordinario periodo della cultura e degli avvenimenti religiosi in Francia tra le due guerre, dominato, anzi ispirato, da questi intellettuali, che a costo della povertà, della prigionia e della fatica non sempre corrisposta, si sono impegnati in un ciclo creativo a favore della elevazione dei più deboli, della salvaguardia della libertà personale e della riconciliazione tra “la vera intelligenza e l’amore” intervenendo - senza confessionalismi e preclusioni - “imprimendovi il sigillo dell’Infinito”. Adesso che la lezione è appresa e condivisa sul piano culturale, l’umanità, ciononostante, continua implacabilmente con le proprie devianze, guerre, ingiustizie sociali, massificazione, edonismo. Assume, allora, un significato parlare ancora dell’avventura e insieme della speranza mounierane come direttive che pongono l’umanità al di là delle tecnologie e delle politiche verso una rivoluzione (perché di questo sempre si tratta) che ci faccia riappropriare della dignità della persona dentro una società libera, comunitaria, pluralistica? Incontrare Mounier non significa solo conoscere la sua concezione filosofica, condividere la sua passione sociale e i suoi ideali cristiani, ma penetrare in qualcosa di non comune, impalpabile, inafferrabile che però alla fine ti penetra e ti illumina. Qualcosa forse di “anacronistico” (in senso positivo) nella nostra epoca eppure di coinvolgente e fecondo, di elevato livello, di commovente; come quando incontri un amico che sa riconoscere la tua sofferenza e darle un senso, uno che ti fa passare dalla realtà al sogno (nel significato di realtà totale che Gide dà a questo termine), uno che ti riesce a convincere che dopo la notte della sofferenza viene la luce. Non ci si illuda di trovare nel suo privilegiare il senso dell’amicizia e della condivisione, un buonismo di marca fideistica confessionale o una pietà intimistica. “Sono un montanaro... di un’indole, la più incerta, la più selvaggia di gusti, tutto sommato impulsiva, e più fatta per la contemplazione distratta del cielo e della terra che per l’azione e per i dogmatismi”. “Esprit”, la rivista che nascerà nel 1932, è una creatura che esprime il suo patrimonio genetico, mostra la gestazione faticosa, il travaglio insidiato a destra e a sinistra, uno sviluppo che infiamma e che rivoluziona. Ma chi era quest’uomo del Delfinato, con alle spalle quattro nonni contadini, un’infanzia serena e meditativa, liceale timido e impegnato, una finestra all’interno percorso dall’angoscia, laurea in filosofia a Grenoble, poi l’incontro con la Sorbona nella grande città indifferente e l’avvio verso una fortunata carriera accademica? È un uomo che attorno agli anni trenta, partecipando al meglio della vita culturale parigina, sente nascersi dentro una diversa vocazione. È l’epoca dei filosofi Blondel e Bergson, poi, Marcel e Berdiaeff. “L’intellighenzia è a sinistra incontestabilmente”: con Gide, Huxley, Malraux, Bloch e altri. Tra i cattolici spicca Maritain che sempre svolgerà un ruolo ispiratore e mediatore. L’influenza di Péguy, morto una quindicina d’anni prima sul fronte della Marna, continua a ispirare Mounier come un padre spirituale. E poi ci sono Pouget, Guitton, De Rougermont, Domenach, e molti altri intellettuali, artisti, religiosi. Frattanto, la situazione storica francese è caratterizzata dall’ordine capitalistico borghese affidato alla vecchia classe che è riuscita a far uscire la nazione dalla crisi del dopoguerra e a far tacere i latenti conflitti sociali e politici, ma c’è disoccupazione, pericolo di inflazione, i giovani in fermento. In Russia si afferma la rivoluzione socialista. In Italia il fascismo è al potere. In Germania si va affermando il partito nazionalsocialista che porterà al potere Hitler. Continua la politica coloniale. Il Giappone inizia la sua espansione verso la Cina. In India Gandhi applica la resistenza passiva. Dentro a questa congerie di avvenimenti che coinvolge masse di uomini e mostra elevati livelli di tensione, quando già si profila all’orizzonte la minaccia di quella che sarà la seconda guerra mondiale, c’è una voce (un coro) in Francia che parla un linguaggio universale e profondo, che vale per i credenti e per i non credenti, per quanti sono giovani e non giovani, per quelli che vivono in solitudine e per quelli che amano ritrovarsi in gruppi di ricerca e di azione, per gli oppressi, per i disperati, per gli ammalati. Voce di uno che sa partecipare per intima vocazione alla sofferenza dell’uomo, che ha il gusto dell’eterno e “dello scandalo che sconvolge senza far rumore” che opera, anzitutto su di sé, “la purificazione interiore da cui scaturisce ogni fecondità”, uno che “testimoni l’Assoluto, porti le condanne che nessuno osa portare, proclami l’impossibile anche se non può realizzarlo”, in una costante revisione e con rigore interno al servizio dello spirito, però che “la verità non si cristallizzi in dottrina, ma nasca dalla carne”. Non si tratta di sovradimensionare il carisma di Mounier quanto di valutare questo suo progetto di “restaurazione della persona nel servizio e nel dono che essa deve al mondo”, in armonia tra fede e lavoro dentro un confronto continuo e amichevole con gli altri onde ottenere un vasto consenso nel temporale: perché questa ha voluto essere sin dall’inizio la sua concreta posizione. E questo è il retroterra spirituale e culturale di Emmanuel Mounier quando - a partire dal Natale del ’29 - sente la necessità di uno strumento per intervenire nella radicale crisi della società che lo circonda. Ma, come argutamente annoterà più tardi, “a noi pianisti di venticinque anni, mancava un piano”. Frattanto ha “sacrificato” la passione musicale, ha detto addio per sempre all’Università, non ha ambizioni di carriera e di soldi e si prepara con un gruppo di amici a fondare una rivista. È convinto che non sarà “una rivista nel senso comune della parola, ma la punta e il quadrante di una attività molteplice”, un vero laboratorio di formazione e di nuove soluzioni che occupi necessariamente un ben preciso spazio da difendere con coerenza, un osservatorio disponibile per inchieste nel politico e nel sociale. Si susseguono pressoché quotidiane riunioni di lavoro tra pochi amici o gruppi più numerosi, talvolta nei piccoli caffè presso la Borsa o vicino a Saint Sulpice, in appartamenti, persino nel capannone di una fabbrica, o all’aria aperta sotto gli abeti. Ecco il manifesto che annuncia la pubblicazione di “Esprit” e il congresso di fondazione a Font-Romeu. “Come non essere in continua rivolta contro le tirannie del nostro tempo?” si chiede il gruppo: visto che la scienza è separata dalla saggezza e isterilita in preoccupazioni utilitaristiche, la filosofia mendicante dalla scienza una verità relativa, l’uomo subordinato alla macchina, una vita privata dilaniata e fuorviata, l’evidente materialismo, l’uomo sottomesso ai sistemi e alle istituzioni. Occorre salvare l’uomo ridonandogli la coscienza di ciò che egli è, ricostruirlo a partire dal primato dello spirituale; “è ora di liberare l’eroismo dall’acredine e la gioia dalla mediocrità” (Estratti dal Manifesto). Questa strategia comporta la nascita di un movimento e di gruppi in tutte le città, intorno alla rivista, perché nessuno può rimanere indifferente alle conseguenti azioni culturali e politiche. Ma “che la facciata non abbia più importanza della casa”. La rivista non è una rivista cattolica (“anche se si può essere insieme integralmente cattolici e sinceramente rivoluzionari”), è diversa da una organizzazione di partito. In particolare Mounier mai vorrebbe correre il pericolo di diventare “un produttore di carta stampata... un funzionario della rivoluzione spirituale”. “Per quanto riguarda Esprit non ho l’ambizione che si dica, neanche per i migliori di noi: “Che dinamismo!” bensì: “Che luce!”. Avremo possibilità di essere più vicini a Dio”. Per Mounier si tratta di integralità, non di integralismo. Crede nella distinzione tra spiritualità e moralità (che ricorda da vicino quell’altra tra Religione e Morale tanto cara a Ignace Lepp). Così, in un clima di euforia e di difficoltà, viene stampato nell’ottobre del ’32, a Lilla, il primo numero di “Esprit”. Le reazioni e le recensioni sono subito favorevoli, certi consensi arrivano all’entusiasmo. Si vanno definendo i temi: rottura tra il cristianesimo e il mondo borghese, rapporti col cristianesimo russo, confronto con la Troisième Force; il lavoro e l’uomo, progetto per il rinnovamento economico, la filosofia della persona, ed altri. Occorrerebbe seguire le annate della rivista, i numeri speciali, i saggi, le contemporanee opere di Emmanuel Mounier per capire la portata spirituale e culturale di questa generazione ricca di filosofi, politici, artisti, ma soprattutto di impegno civile, profondità esistenziale, purificazione cristiana senza etichette e formalità, convinzione che il cattolicesimo è incompatibile col “disordine costituito”, apertura ai non-credenti all’interno di un sistema fondato sulla persona umana. Le difficoltà economiche, le tensioni dell’impegno assunto, le ostilità di certi ambienti cattolici (interessante il Rapporto privato - 1936 - con cui Mounier difende “Esprit” davanti al pericolo di una condanna da parte del Vaticano), soprattutto la guerra, con l’invasione tedesca della Francia, la soppressione della rivista e la successiva riammissione, l’imprigionamento del direttore, le partenze, le morti di amici contrappuntano questa straordinaria avventura. Mentre “la cristianità moderna continua a preparare la sua morte” e “l’inferno matura le sue opere e aggroviglia le sue trame in una confusione dove nulla è riconoscibile. Silenzio ai confini dell’orrore”. La storia di “Esprit” coincide con la vicenda umana di Emmanuel Mounier. In un mondo duro di spirito, è riuscito a coltivare amicizie (“C’è forse proporzione tra un’opera letteraria e un gesto di amicizia?”), ha mantenuto pura e imperturbabile la fede religiosa, vivendo fino in fondo la propria avventura cristiana, ha amato, convinto che “l’amore umano insegna molte cose riguardo alle vie dell’amore di Dio”, ha scelto la povertà, ha saldato in modo esemplare vita pubblica e privata mettendosi al servizio dello spirito, ha accettato le sofferenze (“Le spiegazioni non diminuiscono il grande scandalo della sofferenza. La sua grandezza sta nella accettazione... Non ci resta altro che amare ... e amare intensamente quelli che Egli spezza per amore”), le lettere alla moglie Paulette Leclercq testimoniano un rapporto fecondo sul piano umano e spirituale. Ma è soprattutto nella prova di Françoise, la sua piccola bambina malata di encefalite progressiva, che Emmanuel Mounier (lui che diceva che “i bambini hanno il cielo nei loro occhi” ma anche che “niente assomiglia di più al Cristo dell’innocenza sofferente”) manifesta il grande spessore della propria fede e la capacità di abbandono all’Assoluto, che ridona rassegnazione, colma il mistero e fa ritrovare quel che pare perduto. “... Dall’amore della nostra bambina che si trasforma dolcemente in offerta, in una tenerezza che la oltrepassa, che parte da lei, ritorna a lei, ci trasforma con lei ...”. “Ciò nonostante, Françoise è la nostra corona, per un disegno misterioso. Essa dà, secondo me, un senso concreto, vicino, familiare, all’al di là: luogo nel quale ci diamo appuntamento, nel quale saremo un’altra volta padre e madre di un essere assolutamente sconosciuto, non toccato dal male”. Emmanuel Mounier morirà prematuramente d’infarto miocardico nella notte del 22 marzo 1950. Che cosa può insegnare oggi, con gli scenari che mutano e le imprevedibili scoperte biotecnologiche, l’esperienza di “Esprit”? Mounier non è arrivato sulle bacheche delle chiese e non ha il busto scultoreo nelle anticamere delle sedi di un partito ed è difficile che appaia, anche nella ricorrenza del cinquantenario della morte, sulle pagine patinate delle riviste. Uno che scrive: “Ci troviamo sospesi, tra cielo e terra, sulla corda che non si flette del cristiano; e l’equilibrio può essere mantenuto solo in alto” non può - e non vuole certo - essere l’ispiratore di un movimento politico o un filosofo in cattedra. Ma può ancora parlare alla coscienza e al cuore incoraggiandoci a continuare l’avventura cristiana.

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