MARIO PAGANO

A cura di Andrea Pili

 

 

Vita e opere

 

Francesco Mario Pagano nacque a Brienza, nei pressi di Potenza, l’8 dicembre 1748 da una famiglia di avvocati. Dopo essere rimasto orfano di padre, nel 1762 si trasferisce a Napoli, per intraprendere gli studi umanistici; impara la filosofia sotto la guida dello zio prete Gerardo degli Angioli, grazie da cui viene introdotto alla conoscenza di Vico.

Nella grande città borbonica, poi, studia alla facoltà di giurisprudenza ed ha modo di conoscere Antonio Genovesi, di cui fu allievo, e Gaetano Filangieri, suo amico, con il quale condivide l’interesse per la criminologia. Si laurea appena ventenne e Genovesi, che vede in lui un erede, lo invita a partecipare ad un concorso per la cattedra di etica che Pagano perderà, però un anno dopo la otterrà in sostituzione del suo maestro morto improvvisamente. Nel 1769 è già considerato come un grande esperto di cultura classica ed è chiamato “avvocato filosofo” per le sue arringhe ricche di citazioni intellettuali. Successivamente ottiene la cattedra di economia e poi quella di giurisprudenza. Attratto dalla riflessione sul rinnovamento della legislazione penale divenne “avvocato dei poveri”, una sorta di avvocato d’ufficio per i delinquenti più bisognosi; attività per cui sarà sospettato di attività sovversive.

Nel 1785 pubblica i “Saggi politici”, con la sua concezione dello Stato e della sua organizzazione. Sempre nello stesso periodo la sua attività dedicata al diritto lo porta a scrivere opere come “Considerazioni sul processo criminale” (1787) o “ Logica dei probabili o teoria delle prove” che lo pongono sullo stesso piano dei grandi illuministi italiani Beccaria e Filangieri e rappresentano il rinnovamento del pensiero giuridico illuminista del Settecento. Si impegna per abolire la tortura: "la confessione, estorta tra i tormenti, è l'espressione del dolore, non già l'indizio della verità".

Pubblica tre tragedie: “Gli esuli tebani” (1782), dedicata a Filangieri; “Agamennone” (1787), ambientata in Grecia; “Corradino” (1789) ambientato nel medioevo.

Nel 1792 nacque la “Società patriottica” a cui Pagano aderì; questa era una società di uomini illuminati, senza alcun fine rivoluzionario ma con la speranza di portare il sovrano all’interesse verso la cultura. Le autorità borboniche decisero in quegli anni una brusca svolta repressiva e nel 1794 tre giovani patrioti vengono processati per cospirazione antimonarchica e condannati a morte. La “Società” è sciolta ed inquisita e Pagano assumerà la sua difesa nel 1794 nella “Gran causa dei rei di Stato”. Si impegna a fondo per dimostrare l’infondatezza dell’accusa e il fine non eversivo dell’organizzazione; non riesce a salvare i tre giovani dal patibolo ma ne salva altri grazie alla sua abilità; tuttavia 48 persone saranno condannate all’ergastolo o all’esilio e dal ’94 al ’98 ci saranno ben tremila carcerazioni per altri nemici dei Borbone.

La sua bravura gli venne riconosciuta e fu nominato giudice del tribunale dell’Ammiragliato ma nel 1796 fa arrestare un avvocato corrotto che accusa Pagano di averlo fatto arrestare per la sua fedeltà al Re. Questo dà ai Borbone il pretesto per liberarsi di lui nonostante il suo prestigio; da tempo il sovrano aveva scatenato le sue spie contro il mondo della cultura napoletana. In febbraio dello stesso anno il filosofo viene arrestato e trattenuto per ben 29 mesi in carcere senza alcun processo; nel 1798, non essendosi trovate alcune prove contro di lui, viene liberato.

Dopo la scarcerazione si rifugiò a Roma, accolto con entusiasmo dalla Repubblica Romana che offrirà all’esule una cattedra di diritto pubblico con uno stipendio che gli consente a malapena di sopravvivere. Quando la Repubblica cade, Pagano va a Milano ma il 23 gennaio 1799 a Napoli viene abbattuta la monarchia e Pagano ritorna subito nella città e diviene membro del governo e presidente del Comitato di legislazione. Il filosofo è l’assoluto protagonista: da febbraio ad aprile fa approvare diverse leggi volte a rivoluzionare l’apparato del Regno di Napoli e dà alle stampe la Costituzione Repubblicana che tuttavia non entrerà mai in vigore a causa della breve durata della repubblica (cinque mesi). Il 5 giugno, infatti, il Governo provvisorio è costretto a richiamare alle armi la popolazione perché le armate reazionarie si stanno avvicinando, aiutate dagli inglesi. Anche Pagano combatte strenuamente per la difesa di San Martino ma purtroppo sarà costretto poco dopo a trattare la resa con gli inglesi del celebre Ammiraglio Nelson, l’artefice del crollo della Repubblica Partenopea. È una resa condizionata e la condizione, per Pagano, prevede la sua detenzione su una nave inglese in attesa di giudizio. I patti non saranno rispettati e Re Ferdinando IV si fa consegnare il filosofo da Nelson per rinchiuderlo a Castel Nuovo nel Maschio Angioino. Per fiaccarne le forze sarà messo dentro alla “fossa del coccodrillo”, la zona più buia e umida riservata ai criminali più pericolosi. In seguito sarà rinchiuso a Poggioreale assieme ad altri 119 rivoltosi. Il processo a cui viene sottoposto è già segnato: il giudice gli disse che non avrebbe preso atto della sua dichiarazione in quanto sia la Corte, sia il popolo volevano la sua morte. Pagano rispose che auspicava un futuro in cui il popolo avrebbe parlato attraverso di sé e non per i suoi rappresentanti così bugiardi e corrotti come il giudice del suo processo.

Il 29 ottobre 1799 un Pagano ormai distrutto anche fisicamente dalla dura prigionia viene impiccato in piazza Mercato assieme a Domenico Cirillo, Giorgio Pigliacelli ed Ignazio Ciaja. Per uno strano ricorso storico, l’illuminista sarà impiccato lo stesso giorno (29 ottobre 1268) e nello stesso punto in cui venne impiccato Corradino di Svevia, a cui Pagano aveva dedicato una tragedia.

 

 

Pensiero

 

 

·        Saggi politici

 

I Saggi politici (1783-85) sono l’opera principale di Mario Pagano. Vogliono tracciare una filosofia della storia in ripresa della Scienza Nuova di Vico. A dispetto del titolo, non si tratta di un’opera formata da più saggi distaccati uno dall’altro ma di un libro strutturato organicamente in sette saggi.

Il primo di questi ci offre uno scenario in cui si dilata tutta la storia umana; in secondo, influenzato da Rousseau, tratta dello stato selvaggio; nel terzo si esaminano le società barbariche, primitive, costituite da principi elementari; nel quarto e quinto saggio l’autore ci indica il progresso delle società barbariche e di quelle evolute. Il sesto saggio ci mostra le società giunte al culmine del proprio sviluppo, che danno vita alle produzioni artistiche. Nella settima e ultima parte dei Saggi viene analizzata la teoria vichiana dei corsi e ricorsi storici: le società giunte ormai al culmine del proprio sviluppo e divenute, grazie all’arte e alla cultura, delle civiltà splendide potrebbero regredire alla barbarie.

Come prefazione al secondo volume apparve un saggio dedicato alle calamità naturali. Infatti, nello stesso periodo in cui stava lavorando al suo capolavoro, in Calabria era capitato un grave terremoto che sarebbe finito per sconvolgere i costumi e il modo di pensare dei cittadini colpiti. Pagano si basa su questo per spiegare come le catastrofi naturali possano provocare dei disastri morali e come in una società possa nascere la superstizione, sottolineando gli aspetti del fatalismo. Per questo saggio fu accusato di aver dato troppa importanza alla materialità e di istigare all’eliminazione di ogni principio di autorità; seppe ben difendersi, da abile avvocato, con un’apologia. Nel 1795 uscirà la seconda edizione dei Saggi, infarciti da Pagano da una totale condanna della monarchia.

Pagano intende la natura come forza e dinamismo; la natura è in continuo divenire nel mondo umano. Anche l’uomo tende a progredire ed alla sua evoluzione in nuove forme di vita, grazie al suo istinto. Il divenire storico della natura e dell’uomo, tuttavia, non è caotico ma si svolge secondo delle leggi e per questo in Pagano non c’è divisione tra natura e storia essendo entrambe sottoposte a leggi. Con queste tesi si mette in contrasto con il giusnaturalismo, che sostenne una natura statica, contro l’Illuminismo che vedeva una netta frattura  tra natura e storia. Con Vico, invece, diverge sul modo di evoluzione della civiltà; secondo il filosofo della Scienza Nuova, le società progredivano grazie alla sapienza dei filosofi e non, come Pagano, per il divenire della natura nel mondo civile.

Il divenire storico non è un progresso continuo ma si passa faticosamente da uno stato ad un altro, si passa attraverso una rottura. Il divenire è soggetto a due forze contrapposte: una che porta alla disgregazione e l’altra che porta all’unione ed all’accentramento; inoltre queste due forze non si verificano secondo dei tempi prestabiliti perché il divenire è discontinuo. Senza una vera logica, si alternano momenti di grave dispersione e catastrofi a momenti in cui tutto sembra convergere verso un centro, momenti di unione.

L’uomo è un animale sociale teso alla perfettibilità. Gli uomini hanno molti più motivi di socialità rispetto a quelli elementari degli animali; a questi se ne aggiungono progressivamente altri, partendo da quelli naturali presenti anche negli animali, volti ad unire gli uomini tra loro. Una sempre maggiore socialità porta ad un superiore perfezionamento della società; l’uomo realizzando la propria essenza sociale si discosta dall’animalità.

Il regresso improvviso che si può verificare dopo la maturazione e lo sviluppo delle società, riporta i popoli non alla barbarie (come sosteneva Vico) ma alla schiavitù, alla sottomissione per mano di altri popoli a causa dell’evoluzione di una civiltà mondiale.

Le società “mature” devono basarsi sulla legge ed abolire il privilegio. Compito della legge è quello di tutelare la libertà civile contro l’insolenza. Bisogna impedire però che la legge, per impedire l’insolenza, non si trasformi in una società militarizzata che imponga la sua autorità con le armi e opprima il cittadino; ciò porterebbe ad un’uguale distruzione della libertà civile e la legge avrebbe fallito la sua funzione. La maniera migliore per tenere libera una società consiste nel far intervenire, tempestivamente e con rigore, la giustizia nel momento in cui la legge viene violata.

La pena per Pagano deve avere un forte carattere dissuasivo, deve essere un monito affinché nessuno ripeta più il gesto del condannato. La legge deve agire con fermezza contro l’insolenza, una volta che questa è insorta, ma deve lavorare in modo quasi invisibile poiché i cittadini non devono sentirsi oppressi da essa.

 

·        La Costituzione Napoletana

 

Il 1° aprile 1799, Pagano diede alle stampe il progetto di Costituzione dopo aver lavorato nei due mesi precedenti a modificare le leggi borboniche. Ispirato da Filangieri e Campanella, Pagano aveva abolito i fedecommessi con i quali i patrimoni feudali passavano al primogenito senza che la proprietà possa essere divisa e diffusa in favore di tutta la società; abolì le servitù feudali, il testatico (una tassa demenziale imposta per il solo fatto di esistere attaccata da Campanella oltre due secoli prima); abolì la tortura e le carcerazioni segrete; abrogò tutte le tasse sugli alimenti popolari. Inoltre la sua riforma complessiva di tutto l’ordinamento giudiziario, previde che ogni cittadino fosse dotato di difesa legale anche non potendosi permettere un avvocato.

 

La Costituzione della Repubblica Partenopea doveva essere stesa da una commissione di cinque giuristi di cui fece parte anche il nostro Mario Pagano. Oggi sappiamo con certezza che il filosofo di Brienza la scrisse interamente da solo. Il progetto costituzionale anche se ispirato al modello francese ha una propria impronta; si può dire che fosse più napoletana che francese.

La prima parte è dedicata ai diritti e doveri. A differenza della “Carta dei diritti” francese non include i soli diritti dell’uomo ma anche quelli del popolo, del cittadino e dei magistrati. I diritti sono elencati come norme legislative e non come indicazioni di tipo filosofico e morale, come in Francia. La carta dei doveri è del tutto nuova: si ispira al pensiero napoletano del Settecento (Genovesi e Gravina) e non a Robespierre il quale si rifiutò di inserire anche i doveri nella propria costituzione, per paura che potesse essere restaurata una sorta di autorità; i doveri saranno inseriti in Francia solo nel 1795. Pagano, ispirato dalla concezione del Genovesi e non da quella francese del ’95, sostiene che l’uomo in quanto portatore di istanze morali, se deve essere libero, deve farsi portatore di doveri. I doveri nascono dal principio di uguaglianza; poiché tutti gli uomini sono uguali e simili tra di loro, ciascuno deve comportarsi nei confronti dell’altro come si comporterebbe verso di sé: deve avere lo stesso senso di solidarietà e gli stessi affetti che ha verso se stesso. Sono presenti il dovere del rispetto verso l’altro, di soccorrere gli altri e nutrire i bisognosi. L’articolo 20 ci sembra quasi precursore del pensiero mazziniano: “E’ obbligato ogni uomo d’illuminare e d’istruire gli altri”. L’articolo 26 ci mostra invece il dovere dei Funzionari, dunque chi detiene il governo dello Stato: “Ogni pubblico Funzionario deve consecrare sé, i suoi talenti, la sua fortuna, e la sua vita per la conservazione e per lo vantaggio della Repubblica”. Il cittadino deve, con le proprie opere, collaborare al mantenimento dell’ordine sociale. Per questo ha obbligo di prestare servizio militare.

Sono interessanti due diritti fondamentali: quello dell’uomo a migliorarsi (art 2) e quello del cittadino ad essere premiato in proporzione ai suoi meriti (art 11).

Infine si prevedono due istituzioni: la censura e l’eforato. La censura serve a prevenire gli attacchi alla democrazia e che i costumi sfarzosi non prevalgano sulla miseria e giungano ad offendere il cittadino. Gli efori invece devono vigilare sull’equilibrio ed il regolare funzionamento dei tre poteri fondamentali: legislativo, esecutivo e giudiziario; sono i garanti della Costituzione.

 

·        Altri lavori

 

Come sappiamo, Pagano scrisse anche alcune tragedie. Queste hanno un fine pedagogico perché, secondo lui, il teatro non deve solo dilettare ma anche insegnare. Per arginare il pericolo dell’oscurantismo è necessario che la filosofia si mostri mascherata sul teatro per attirare l’attenzione del pubblico.

 

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