ARISTOTELE

A cura di Diego Fusaro

PROTREPTICO

Il tuo desiderio di sapere e i tuoi sforzi, mio caro Temisone, per conseguire l'eccellenza e una vita felice, mi sono noti per sentito dire, ed io sono convinto (B1) che nessuno è in condizioni più propizie delle tue per accostarsi alla filosofia, dal momento che tu sei ricco, sicchè puoi prodigare del denaro a questo scopo, e la tue posizione è eminente. Ora la maggioranza delle persone pensa che una vita felice si fondi sul possesso dei beni esterni, e non del tutto senza ragione, perchè vediamo che ad alcuni tutto procede per il meglio, e il successo arride, sebbene siano stolti. Ma certamente tu hai anche sperimentato dei casi in cui accade il contrario. Sia, quindi, dalla tua conoscenza del passato, che per la tua personale esperienza ti verranno in mente molti casi in cui l'orgogliosa grandezza è caduta in rovina; tu hai conosciuto degli uomini che riponevano troppa fiducia nella ricchezza, nella felicità e nel potere, e che quindi dovettero provare una repentina caduta nell'infelicità. Quanto maggiore fu il loro successo, tanto più grave sentono l'insuccesso e l'infelicità, e si vergognano perchè la loro attuale posizione (B2) impedisce loro di prendere l'iniziativa di compiere ciò che considerano il loro dovere. E poichè vediamo le disgrazie di queste persone, dovremmo evitare una sorte simile, e tenere presente che la felicità della vita non consiste nel possesso di grandi sostanze, quanto piuttosto nel trovarsi in una buona condizione dell'anima. Anche per quanto riguarda il corpo, nessuno dirà che è favorito perchè è avvolto in abiti magnifici, ma piuttosto si dice così di quello che è dotato di buona salute e si trova in buona condizione, dovessero pure mancargli tutti quegli ornamenti esterni. Allo stesso modo, si può chiamare felice soltanto quell'anima che sia educata, e soltanto l'uomo educato, non colui che è ornato di splendidi beni esterni, ma che personalmente non vale nulla. Così è anche per un cavallo; può portare un morso d'oro e finimenti preziosi, ma se per il resto non vale nulla, non lo apprezziamo affatto, e diamo invece la preferenza a quello che possiede delle buone qualità. (B3) Inoltre accade che, quando gente dappoco giunge in possesso di grandi sostanze, spesso apprezzi queste proprietà perfino più dei beni dell'anima, che è la cosa fra tutte più vergognosa. Se un signore apparisse da meno del suo servo, sarebbe oggetto di derisione; allo stesso modo, bisogna considerare uomini meschini coloro per i quali l'acquisizione di qualche ricchezza è più importante del loro carattere. (B4) Così è in realtà; poichè, come dice il proverbio, sazietà genera insolenza; e quando la mancanza di educazione si accompagna al potere, ne nasce la megalomania. A coloro la cui anima è mal disposta, nè la ricchezza, nè la forza, nè la bellezza sono utili, ma invece quanto più abbondantemente essi posseggono queste cose, tanto più profondamente e per modi più numerosi questo possesso li danneggia, se non è accompagnato da saggezza. Il detto " al bambino non dare un coltello" significa " non dare potere alle persone da poco". (B5) La saggezza filosofica per contro - su questo punto tutti concorderanno - è il risultato del proprio più serio impegno e della ricerca di quelle cose che la filosofia ci pone in grado di cercare; perciò dobbiamo dedicarci alla ricerca filosofica senza cercar scampo in pretesti. (B6) L'espressione "filosofare" significa da un lato chiedersi se bisogna dedicarsi alla filosofia, e dall'altro dedicarsi alla filosofia. (B7) Poichè ci rivolgiamo a uomini, e non a quegli esseri la cui vita è divina, allora dobbiamo aggiungere a quelle anche altre esortazioni che siano di utilità pratica nella vita sociale. Si dirà dunque così. (B8) Ciò che abbiamo a disposizione per vivere, cioè il corpo, e ciò che serve al corpo, costituisce per noi come una sorta di strumento. L'uso di questi strumenti è esposto a pericolo: per le persone che non li sanno usare nel modo retto, essi producono per lo più l'effetto opposto. Noi dobbiamo dunque aspirare a quella forma di sapere che ci possa aiutare ad adoperare nel modo migliore tutti questi strumenti, dobbiamo conseguirla ed usarla in modo appropriato. Dobbiamo diventare filosofi, se vogliamo attendere rettamente agli affari dello stato e ordinare utilmente la nostra vita privata. (B9) Esistono, ora diversi tipi di conoscenza; quella conoscenza che produce i beni della vita, e quella che se ne serve. Un'altra partizione è questa: ci sono tipi di conoscenza subordinati, ed altri che impongono l'ordine. Questi ultimi occupano il posto più elevato, e presso di loro si trova il bene in senso autentico. Se ora soltanto quella sorta di sapere che è capace di esprimere un giudizio esatto, che usa la ragione ed ha di mira il bene nella sua totalità, vale a dire la filosofia, sa servirsi di tutti gli altri tipi di conoscenza e dirigerli in accordo ai princìpi della natura, questo è un ulteriore argomento che indica che dobbiamo dedicarci alla filosofia. Infatti soltanto la filosofia include in sè l'esattezza di giudizio e l'infallibile saggezza, la quale ha la capacità di determinare con i suoi ordini che cosa bisogna fare e che cosa no. (B10) Cerchiamo ora di penetrare più addentro nel nostro problema, e consideriamolo da un punto di vista teleologico, per arrivare alla stessa esortazione. (B11) Fra le cose che si generano, alcune devono la loro esistenza a una riflessione e a una capacità "degli uomini", per esempio una casa o una nave - presupposto di entrambe sono una capacità e un progetto - mentre altre non nascono in grazia di una capacità degli uomini, bensì per natura: la natura infatti è l'autrice degli animali e delle piante, e tutte le cose di questa specie si generano per natura. Ma ci sono anche cose che avvengono per caso. Nulla di ciò che si produce per caso esiste in vista di un qualsiasi scopo, nè ha un proprio fine; le cose, invece, che sono prodotte da una capacità umana hanno un fine ed uno scopo (perchè la persona che possiede la capacità ti saprà sempre spiegare perchè ha scritto una cosa e in vista di quale scopo), e questo scopo è migliore di ciò che si genera in vista di quello. Parlo di cose la cui causa è la capacità per sè, e non soltanto in via accidentale; perchè la medicina è certamente l'autrice della salute piuttosto che della malattia, e così l'architettura è causa della casa piuttosto che della sua demolizione. Dunque, tutto ciò che si genera grazie ad una capacità umana si genera per un certo scopo, e questo scopo costituisce il suo fine e l'ottimo. Invece ciò che si realizza per caso nasce senza un proprio scopo. Qualche cosa di buono può per altro generarsi in seguito a un caso, tuttavia questa cosa non è buona grazie al caso ed in quanto si genera per caso, perchè tutto ciò che avviene per caso è comunque indeterminato. (B13) Ciò che si genera secondo natura, si genera in vista di un certo scopo, e una cosa prodotta dalla natura ha sempre uno scopo migliore di un'altra prodotta da un'arte. Infatti non è la natura che imita le capacità umane, ma queste imitano la natura, e la capacità esiste per aiutare la natura e completare ciò che essa ha lasciato incompiuto. Infatti alcune cose la natura sembra in grado di compierle da sola, senza aver bisogno di aiuto; altre invece riesce compierle soltanto con sforzo, oppure ne è del tutto incapace. Qualcosa di simile si vede nella generazione degli esseri viventi: alcuni semi germinano senza la minima cura, in qualsiasi terreno siano caduti, altri invece richiedono anche l'abilità dell'agricoltore. Allo stesso modo, alcuni esseri viventi riescono a svilupparsi e a raggiungere la loro maturità completamente da soli, mentre l'uomo richiede tutta una serie di arti per la sua conservazione, a cominciare già dalla sua nascita, e in seguito per la sua nutrizione. (B14) Se dunque le capacità umane imitano la natura, allora è evidente che anche la caratteristica dei prodotti dell'arte umana di avere uno scopo dipende dalla natura; dovremmo cioè dire che tutto ciò che si genera rettamente nasce in vista di uno scopo. Infatti tutto ciò che produce qualcosa di bello è rettamente generato, e tutto ciò che si genera o si è generato produce, se il processo naturale si svolge normalmente qualcosa di bello. Ciò che è contrario alla natura, invece, è brutto, ed è opposto a ciò che è conforme a natura. La generazione normale e conforme a natura, dunque, si compie in vista di uno scopo. (B15) Ciò si può osservare in ogni singola parte del nostro corpo; se per esempio osservi la palpebra, noti subito che non è nata senza ragione, ma per riparare gli occhi, per assicurare ad essi il riposo e impedire che oggetti esterni possano penetrare in essi. Intendiamo la stessa cosa quando diciamo delle cose naturali che esse sono nate in vista di uno scopo, come anche quando diciamo che le cose prodotte dall'arte sono state fabbricate per un determinato fine. Quando si tratta per esempio di costruire una nave da carico per trasporti sul mare, ecco con questo indicato lo scopo in vista del quale è prodotta. (B16) Ora gli esseri viventi appartengono, o tutti in generale o almeno o migliori e più nobili, a ciò che è generato dalla natura e in accordo con essa; e non significa nulla se qualcuno invece asserisce che la maggior parte degli animali sarebbe generata contro natura, cioè per far male e provocare danno. Il più nobile degli animali esistenti sulla terra è l'uomo, sicchè risulta chiaro che l'uomo è generato per natura e conformemente a natura. (B17) Se dunque 1) il fine è sempre migliore della cosa (perchè tutto si genera in vista dello scopo e il "ciò per cui" è sempre migliore e il meglio di tutto), se poi 2) il fine conforme a natura è ciò che viene raggiunto per ultimo nel processo del divenire, quando questo si sviluppi con continuità fino al compimento; se inoltre assumiamo 3) che nell'uomo prima giunge a compimento il corpo, e soltanto in seguito ciò che concerne l'anima, e che il compimento di ciò che è migliore è sempre successivo alla sua generazione; se dunque assumiamo che 4) l'anima viene all'essere sempre dopo il corpo, e che a sua volta all'interno dell'anima la facoltà della mente viene all'essere per ultima (poichè vediamo che questa per natura è l'ultima che si origina nell'uomo, e questa è la ragione per cui l'unico bene il cui possesso la vecchiaia reclami); 5) ammesso tutto questo, allora la facoltà della mente è per natura il nostro fine, ed il suo esercizio costituisce lo scopo ultimo in vista di cui siamo nati. Posto che noi siamo stati generati conformemente a natura, è allora anche chiaro che esistiamo per pensare ed imparare. (B18) Ed ora domandiamoci per quale fra gli oggetti di pensiero esistenti il dio ci ha prodotti. Quando a Pitagora fu posta questa domanda dagli abitanti di Fliunte, egli rispose: "per osservare il cielo." Egli usava definirsi un osservatore della natura, e diceva di essere nato per questo scopo. (B19) Di Anassagora, poi, si racconta che così abbia risposto alla domanda per quale scopo l'uomo potrebbe augurarsi di nascere e di vivere: "per osservare il cielo, e le stelle in esso, e la luna e il sole", come se per nulla altro valesse la pena. (B20) In accordo con questo argomento, Pitagora avrebbe dunque a ragion veduta affermato che ogni uomo è stato formato dal dio per conoscere e meditare. Se poi l'oggetto di questa conoscenza sia l'ordine del mondo oppure una qualche altra natura, sarà forse da esaminare in seguito; per il momento ci basta, come base, ciò che abbiamo detto. Se cioè conformemente a natura il fine è la facoltà della mente, allora non v'è dubbio che la cosa migliore è di esercitarla. (B21) E dunque bisogna fare ogni altra cosa in vista del bene che è presente nell'uomo stesso; e, fra queste cose a loro volta, quelle corporee in vista di quelle dell'anima, e la virtù in vista della facoltà della mente, perchè questa è la cosa più alta. (B22) Alla stessa meta ci porta quest'altra argomentazione. (B23) Dal momento che nella natura tutta domina l'ordine, essa non fa nulla a caso, ma tutto subordina a uno scopo. In quanto essa esclude il caso, si adopera per la realizzazione dello scopo in grado ancor maggiore di ogni arte umana, perchè, come già sappiamo, le capacità umane prendono a modello la natura. Poichè per natura l'uomo consta di anima e corpo, e l'anima vale più del corpo, e inoltre ciò che vale meno è sempre subordinato a ciò che è migliore in vista di uno scopo, così il corpo esiste in vista dell'anima. Già sappiamo che l'anima è in parte razionale, in parte invece irrazionale, e che la parte irrazionale ha minor valore; se ne ricava che la parte irrazionale esiste in vista di quella razionale. Alla parte razionale appartiene l'intelligenza; la dimostrazione dunque porta inevitabilmente alla conclusione che tutto esiste in vista dell'intelligenza. (B24) L'attività dell'intelligenza è quella di pensare, e il pensare consiste nella contemplazione degli oggetti del pensiero, così come l'attività dell'organo della vista è di vedere gli oggetti visibili. Sono quindi il pensiero e l'intelligenza che rendono ogni altra cosa desiderabile per l'uomo, perchè le altre cose sono desiderabili in vista dell'anima, e nell'anima l'intelligenza è ciò che vale di più, e in vista di cui esiste tutto il resto. (B25) Fra gli atti del pensiero, alcuni sono completamente liberi, quelli cioè che vengono compiuti per se stessi. Quegli atti del pensiero che producono una conoscenza in vista di qualcos'altro, sono simili a servitori. Ciò che viene fatto per se stesso, ha sempre maggior pregio di ciò che viene fatto come mezzo per qualcos'altro; e così anche ciò che è libero è superiore a ciò che non lo è. (B26) Quando nelle nostre azioni ci serviamo della riflessione, seguiamo la guida di questa anche se colui che riflette ha di mira la propria utilità, e determina la sua azione da questo punto di vista. Costui usa il proprio corpo come un servitore, e deve lasciare perfino uno spazio notevole al caso; in generale egli compie bene quelle azioni in cui la riflessione ha un ruolo dominante, anche se nella maggioranza delle azioni egli deve usare il proprio corpo come uno strumento. (B27) Dunque, il pensiero puro e non subordinato ad alcuno scopo ha maggiore nobiltà e maggiore pregio del pensiero che serve per mirare a qualcosa d'altro. Il pensiero puro è nobile per se stesso, e desiderabile è in esso la sapienza dell'intelletto, così come la saggezza pratica è desiderabile in vista dell'azione. Il bene ed il valore più nobile si trovano dunque, innanzi tutto, nel pensiero filosofico, ma in verità, non in qualsiasi pensiero di tal sorta; [perchè non ogni idea semplicemente è nobile; soltanto del pensiero di un maestro di filosofia, quando contempla il principio che domina in tutto l'universo, si può supporre che sia prossimo alla sapienza, e sia sapienza in senso proprio] (B28) Privato della percezione e dell'intelligenza, l'uomo diventa simile ad una pianta; se gli si sottrae l'intelligenza soltanto, si trasforma in un animale; se è liberato, invece, dall'irrazionale, ma persiste nell'intelletto, diventa simile a dio. (B29) Perchè nell'intelligenza, che è ciò che ci differenzia dagli altri esseri viventi, si manifesta con pieno diritto soltanto in quella forma di vita che non conosce il caso e ciò che è privo di valore. Certo anche negli animali ci sono piccole scintille di saggezza e di intelligenza, ma tuttavia essi non hanno minimamente parte della sapienza filosofica. Questa infatti tocca solo agli dei e all'intelletto negli uomini. Per altro aspetto, l'uomo è largamente superato da diversi animali quanto ad acutezza di percezioni sensoriali e istinti naturali. (B30) La vita dell'intelligenza è in realtà l'unica che non può essere separata dal bene, e generalmente si riconosce che essa è inclusa nella concezione del bene. Infatti l'uomo eccellente, che nella sua vita segue la ragione, non cade vittima del caso, ma invece, più di tutti gli altri uomini, sa liberarsi da ciò che è sottomesso al caso. Se dai la tua adesione a questo tipo di vita con piena convinzione, puoi avere buona fiducia. (B31) Noi tutti scegliamo ciò che contemporaneamente è raggiungibile e utile; bisogna dunque che sia riconosciuto che la filosofia possiede entrambe queste qualità, e che la difficoltà di conseguirla è minore dell'utilità che essa procura, perchè tutti facciamo più volentieri uno sforzo per ciò che è più facile. (B32) E' facile addurre la prova che noi siamo capaci di conseguire la scienza del giusto e del conveniente, come anche la scienza della natura e dell'altra realtà che veramente è. (B33) Ciò che è primario e semplice è sempre meglio noto di ciò che è secondario e consta di esso; allo stesso modo, ciò che è superiore nella naturale scala di priorità è meglio noto di ciò che è inferiore. Il sapere si occupa piuttosto di ciò che è logicamente determinato e ordinato che del suo contrario, e piuttosto dei fattori fondamentali che di ciò che risulta da essi. Ora, le cose buone sono determinate ed ordinate in misura maggiore delle cose cattive, per esempio un uomo eccellente a paragone di persone dappoco; contrari come questi debbono avere le stesse differenze. Ciò che è primario ha il carattere di una causa più di ciò che è secondario; perchè se si toglie quello, si toglie anche ciò che da quello ha avuto il suo essere: le linee, se si tolgono i numeri, i piani, se si tolgono le linee, i corpi, se si tolgono i piani; e anche la parola, se si tolgono le sillabe, e le sillabe se si tolgono le lettere. (B34) Quindi, se l'anima vale più del corpo (perchè per sua natura l'anima è l'elemento che comanda) e se esistono delle capacità umane e delle scienze in relazione al corpo, come ad esempio la medicina e la ginnastica (noi le chiamiamo rami della scienza e riteniamo che esistano degli uomini che ne sono padroni), allora è chiaro che deve esserci anche in relazione all'anima e alla sua virtù una qualche cura ed un'arte, e che noi siamo in grado di conseguirla; perchè ci possiamo appunto impadronire della scienza di cose nelle quali la nostra ignoranza è ancora maggiore, e che sono più ardue da conoscere. (B35) Lo stesso vale anche per la scienza della natura; è di gran lunga più necessario aver conoscenza dei fattori fondamentali e degli elementi più semplici in natura che di ciò che ne risulta secondariamente. Infatti ciò che è di questo genere non appartiene alle cose fondamentalmente prime, nè da esso ciò che è primario deriva dalla sua stessa esistenza, ma è invece evidente che il resto nasce da ciò che è primario ed esiste grazie a quello. (B36) Siano dunque il fuoco, o l'aria, o il numero, o una qualche altra natura i fattori fondamentali, primari in relazione al resto, in ogni caso è escluso che si possa conoscere alcunchè delle altre cose se prima non si conoscono quelli. Giacchè, come si potrebbero capire le parole che si dicono, se non si conoscono le sillabe, o le sillabe se non si sa nulla delle lettere? (B37) Sull'esistenza di una scienza della verità, e di una eccellenza dell'anima, e sulla nostra capacità di acquisirle entrambe, basti quel che si è detto. (B38) Che poi questa conoscenza dei princìpi sia il più grande dei beni e più utile di ogni altra cosa, risulta da quanto segue. Siamo tutti concordi nel riconoscere che l'uomo eticamente superiore e per natura sua più capace deve governare, e inoltre che la legge soltanto è reggitrice e sovrana, quella legge, intendo, che nel suo dettato è espressione di un pensiero saggio. (B39) Inoltre: chi può costituire una misura ed un punto di riferimento più preciso, per noi, dell'uomo dotato di intelligenza morale? Le cose per cui egli si decide, quando fa la sua scelta sulla base della riflessione e del suo sapere, sono buone, e cattivo è il loro contrario. (B40) Tutti gli uomini decidono a favore di ciò che ha maggiore consonanza con il loro carattere, così per esempio il giusto sceglie la vita giusta, il valoroso la vita valorosa, l'uomo temperato la vita secondo la temperanza. Similmente è chiaro che l'uomo dotato di capacità intellettuali si deciderà per la filosofia, perchè il filosofare è compito di quella capacità. Da questo giudizio, espresso con la maggiore sicurezza possibile, risulta chiaramente che la capacità dell'intelletto è il più alto di tutti i beni. (B41) Con ancora maggiore chiarezza la verità di questa tesi risulta dai seguenti argomenti. La riflessione e la conoscenza sono desiderabili dagli uomini di per sè, in quanto senza di esse non è possibile vivere una vita degna di un uomo. Ma esse sono anche utili per la vita pratica, perchè nulla ci appare buono, se non è portato a compimento con la riflessione e mediante un'attività avveduta. Ora, la vita felice, può consistere nella gioia e nel benessere, o nel possesso dell'eccellenza morale, o nell'esercizio della capacità intellettuale: in ognuno di questi casi, comunque, bisogna dedicarsi alla filosofia, perchè un giudizio chiaro su queste cose si può conseguire soltanto mediante la filosofia. (B42) Chi cerca da ogni forma di scienza un risultato diverso da essa ed esige che ogni scienza debba essere utile, ignora completamente quale fondamentale differenza ci sia tra ciò che è buono e ciò che è necessario; è, infatti, una differenza straordinariamente grande. Perchè quelle cose che noi desideriamo in vista di qualcos'altro, e senza le quali non è possibile vivere, le chiamiamo necessarie e concause; ciò , invece, che desideriamo per se stesso, anche se non ci procura null'altro, lo chiamiamo bene in senso proprio. Infatti una cosa non è desiderabile sempre in vista dell'altra, e così avanti all'infinito: da qualche parte ci deve essere un punto fermo. E', di fatto, completamente ridicolo cercare ovunque un'utilità che sia diversa dalla cosa stessa, e chiedersi: "quale vantaggio ne abbiamo?", e "a cosa può servire?". Chi parla così, in nessun modo, come s'è detto, risulta simile a colui che conosce il bello ed il bene e sa distinguere tra causa e concausa. (B43) La verità di quanto dico risulterebbe nel modo più chiaro se qualcuno ci portasse con il pensiero nelle isole dei beati. Là non avremmo alcun bisogno, e nessuna delle altre cose ci procurerebbe alcuna utilità; rimarrebbero unicamente il pensiero e la filosofia, quindi ciò che appunto ora chiamiamo la vita libera. Se questo è vero, come sarebbe possibile non vergognarsi a ragione, se, quando si ha la possibilità di trasferirsi nell'Isola dei beati, se ne è incapaci per colpa propria? Non è affatto da disprezzare, perciò la ricompensa che la conoscenza offre agli uomini, e il bene che ne risulta non è cosa da poco. Proprio come dicono i sapienti tra i poeti, che cioè noi raccogliamo i frutti della giustizia nell'Ade, così anche dobbiamo supporre che i frutti della filosofia li raccogliamo nell'Isola dei Beati. (B44) Non dobbiamo perciò preoccuparci se la filosofia non si dimostra utile o vantaggiosa perchè non affermiamo innanzi tutto che sia vantaggiosa, ma piuttosto che è buona, e che la si debba scegliere non per qualcos'altro, ma per se stessa. Infatti come noi andiamo ad Olimpia per lo spettacolo dei giochi in sè, anche senza averne alcun altro vantaggio (perchè lo spettacolo vale in sè più di molto denaro), e come non guardiamo le rappresentazioni drammatiche delle feste Dionisie in base al calcolo di ricevere qualcosa dagli attori - anzi siamo proprio noi a pagare - e come valutiamo molti altri spettacoli più di una gran somma di denaro, così anche valuteremo la contemplazione dell'universo più che non tutte quelle cose, che ci si dia molta pena per andare a vedere delle persone che sulla scena si presentano come donne e schiavi, oppure lottano o gareggiano in corse ad Olimpia, e d'altra parte si consideri che non si debba contemplare senza un compenso la natura delle cose e della verità. (B45) Così ora abbiamo preso le mosse dal finalismo della natura per un'esortazione alla filosofia, convinti che il dedicarsi alla filosofia costituisca un bene ed è nobile cosa già per sè, anche se non ne dovesse derivare alcuna utilità per la vita pratica. (B46) Che però la speculazione filosofica sia realmente utile anche per la vita pratica di ogni giorno si comprenderà facilmente se lo si esemplifica con le arti e le professioni. Tutti i medici intelligenti e la maggior parte dei maestri di ginnastica dichiarano unanimemente che chi desidera diventare un buon medico ed un buon ginnasta deve conoscere bene la natura. Così anche i buoni legislatori devono avere conoscenza della natura, e anzi in misura molto superiore a quegli altri. I primi infatti esplicano la loro abilità professionale promuovendo l'eccellenza del corpo, questi invece si occupano dell'eccellenza dell'anima e pretendono di insegnare la via per la felicità o l'infelicità all'intera comunità. Ad ancora maggior ragione hanno bisogno della filosofia. (B47) Nelle altre attività artigianali i migliori attrezzi sono scoperti mediante l'osservazione della natura; così, per esempio, nell'arte di costruire il piombino, la riga e l'attrezzo con cui si traccia il cerchio; per alcuni strumenti ci offre un modello di osservazione l'acqua, per altri l'osservazione della luce e dei raggi del sole. Con l'aiuto di questi strumenti noi stabiliamo che cosa è diritto e piano in misura sufficiente per i nostri sensi. Allo stesso modo anche il politico deve avere certi termini di riferimento, che desume dalla natura stessa e dalla verità, con l'aiuto dei quali potrà giudicare che cosa è giusto, che cosa è bello e che cosa è conveniente. Infatti, come gli strumenti del tipo di cui abbiamo parlato sono i migliori nelle attività professionali, così anche il miglior termine di riferimento è quello che in massimo grado si conformi alla natura. (B48) Nessuno invece che non abbia praticato la filosofia, e conosciuto la verità, può raggiungere questo. In altre professioni non si giunge al possesso degli strumenti a ai più precisi ragionamenti prendendo le mosse dai princìpi primi, bensì da ciò che ne è lontano di due o tre gradi; per questa ragione il loro sapere è soltanto approssimativo, ed esse basano le loro considerazioni sull'esperienza. Il solo filosofo imita direttamente le cose esatte, poichè egli osserva le cose stesse e non le loro imitazioni. (B49) Ora, dunque, come non può essere un bravo costruttore chi non usa il filo a piombo e altri simili strumenti, ma semplicemente fa delle case al modo delle altre, così anche è verosimile che non sarà un buon legislatore nè un uomo eccellente chi promana leggi per la comunità, o esplica attività politica nella città, soltanto prendendo in considerazione ed imitando azioni altrui o altre comunità umane, siano esse quelle degli Spartani, dei Cretesi o di altri. Infatti l'imitazione di qualcosa che non è bello non può esser bella, e l'imitazione di ciò che per sua natura non è divino nè stabile non può risultare immortale nè stabile. Fra tutte le professioni, soltanto quella del filosofo è tale, che le sue leggi sono stabili e le azioni giuste e nobili. (B50) Infatti il filosofo soltanto vive mirando costantemente alla natura ed al divino. Come il buon capitano di una nave, egli ormeggia la sua vita a ciò che è eterno e costante, là getta l'ancora e vive padrone di sè. (B51) Ora questa conoscenza è di per sè teoretica, però ci offre la possibilità di regolare su di essa ogni nostra azione. Come cioè, la vista non crea nè produce nulla, perchè la sua funzione è soltanto quella di distinguere a rendere evidenti ognuna delle cose visibili, però ci pone in grado di fare certe cose ricorrendo ad essa, e ci offre l'aiuto più importante per l'azione (infatti saremmo pressochè completamente incapaci di muoverci, se non la possedessimo), così anche risulta chiaro che mediante questo sapere noi compiamo innumerevoli azioni, sebbene esso sia teoretico; con il suo aiuto decidiamo se una certa cosa deve essere ricercata, un'altra evitata; ma soprattutto, mediante questa conoscenza, conseguiamo tutto ciò che è buono. (B52) Chi si propone di verificare ciò che abbiamo detto, deve avere ben chiaro che tutto ciò che per l'uomo è buono e utile alla vita sta nell'esercizio e nell'azione, e non nella sola conoscenza del bene. Rimaniamo in buona salute non perchè conosciamo le cose che ci assicurano la salute, ma perchè le forniamo al corpo; non siamo ricchi in conseguenza del fatto che sappiamo che cosa è la ricchezza, bensì del fatto che abbiamo acquistato grandi sostanze; e infine, ciò che importa più di tutto, non viviamo una vita più bella e più nobile perchè conosciamo qualcosa dell'essere, ma piuttosto perchè il nostro agire è buono; questa infatti è veramente la vita felice. Ne consegue che anche la filosofia, se è davvero utile come noi asseriamo, o è un esercizio di azioni rette, oppure è giovevole per tali azioni. (B53) Quindi non bisogna fuggire la filosofia, se davvero la filosofia è, come io credo, acquisizione e applicazione della sapienza, e si annovera la sapienza tra i beni più alti. Se per amore del denaro si viaggia fino alle colonne d'Eracle e ci si espone a molti rischi, perchè non si dovrebbe affrontare qualche fatica e qualche spesa per la filosofia? E' tipico dell'uomo comune, in realtà, di desiderare la vita e non la vita buona, di seguire le opinioni del volgo invece di aspettarsi che sia esso a dare ascolto alla sua opinione, di essere avido di denaro, ma di non occuparsi per nulla delle cose nobili. (B54) L'utilità e l'importanza dell'oggetto mi sembrano ormai sufficientemente provate. Ci si dovrebbe poi convincere che è molto più facile conseguire la conoscenza filosofica che qualsiasi altro bene in base a quanto segue. (B55) Coloro che si dedicano alla filosofia non ne hanno dagli uomini una ricompensa che li possa spronare a tali sforzi. Essi possono aver dedicato molta fatica per conseguire altre capacità, e tuttavia in tempo minore compiono rapidi progressi verso la scienza esatta; questo mi sembra indicare con quale facilità si può conseguire la conoscenza filosofica. (B56) Un ulteriore argomento è che tutti gli uomini si sentono a loro agio nella filosofia, e volentieri si dedicano ad essa, mentre lasciano ogni altro interesse. Anche questo costituisce una prova non piccola che è un piacere occuparsi di essa, giacchè, se fosse semplicemente una fatica, nessuno si tormenterebbe a lungo con essa. Inoltre l'attività filosofica ha un altro grande vantaggio rispetto a tutte le altre; non si ha cioè bisogno di un particolare strumento, nè di una sede particolare per esercitarla, ma in qualunque punto della terra uno si ponga all'opera con il pensiero, dovunque gli sarà allo stesso modo possibile afferrare la verità, come se essa fosse presente. (B57) Così dunque è provato che è possibile dedicarsi alla filosofia, che essa è il maggiore di tutti i beni, e che è facile conseguirla. Per tutti questi motivi, vale la pena di coltivarla con passione. B58) Affrontiamo ora il problema del compito specifico della conoscenza filosofica, e per quale motivo a essa tutti aspiriamo. Vorrei giungere a una risposta procedendo da un diverso punto di partenza. (B59) Noi uomini constiamo di anima e corpo; l'una parte comanda, l'altra obbedisce; l'una utilizza, l'altra esiste come strumento. L'uso dell'oggetto che è comandato, vale a dire dello strumento, si trova sempre in una relazione determinata con ciò che gli da degli ordini e lo utilizza. (B60) Nell'anima c'è una parte, la ragione, che conformemente alla sua natura comanda e ha potere di decidere su di noi, dall'altra l'elemento che obbedisce e per sua natura riceve gli ordini; tutto è in una condizione buona quando ogni parte dell'anima raggiunge la sua eccellenza; l'averla conseguita costituisce il bene. (B 61) E' vero in primo luogo che si instaura un ordine perfetto quando la parte dell'anima che è la migliore, la più autorevole e più venerabile raggiunge la sua perfezione. Quanto migliore è una cosa per sua natura, tanto migliore è la sua perfezione conforma a natura. Ora è più prezioso ciò che per sua natura è più autorevole e più atto a comandare, come ad esempio l'uomo a paragone degli animali; così anche l'anima vale di più del corpo (perchè è più atta a comandare); e all'interno dell'anima c'è una parte superiore, che è quella che possiede la ragione e la facoltà del pensiero. Di questa natura è l'elemento che impartisce ordini e proibizioni e prescrive cosa si debba e che cosa non si debba fare. (B62) Qualunque possa essere, ora, l'eccellenza di questa parte dell'anima, deve comunque essere la cosa più desiderabile per tutti semplicemente e per noi; perchè davvero si dovrebbe, a mio giudizio, ritenere che questa parte, o da solo o più d'ogni altra, costituisca il nostro vero io. (B63) Inoltre, soltanto quando una cosa assolve nel modo migliore quello che per natura è il suo compito (e non accidentalmente, ma proprio per sua natura) è giusto dire che quest'opera è buona; e quell'eccellenza che rende ogni cosa capace di compiere appunto quest'opera noi la chiamiamo la sua più alta e specifica eccellenza. (B64) Se ora l'uomo nel suo complesso è un essere semplice, e la sua qualità di uomo è determinata dal possesso della ragione e della mente, allora egli non ha altri compiti al di fuori di quello di conseguire la più esatta verità, cioè la scienza vera delle cose che sono. Se invece gli appartengono parecchie capacità, allora la funzione più preziosa tra queste capacità è quella mediante la quale è capace di realizzare il massimo; così, per esempio, l'opera del medico è la salute, e quella del capitano della nave è un viaggio sicuro. Io non so indicare un'opera più pregevole per il pensiero, o per la parte pensante dell'anima, della ricerca della verità. La verità costituisce dunque realmente l'opera propria di questa parte dell'anima. (B66) Quest'opera è compiuta dalla parte pensante quando essa consegue la conoscenza, e tanto meglio, quanto più preziosa è la conoscenza; il fine più alto del sapere è la conoscenza filosofica. Quando cioè fra due cose una è desiderabile in vista dell'altra, in questo caso la più pregevole e desiderabile è quella in vista della quale anche l'altra era desiderabile, come per esempio, il piacere in rapporto alle cose che lo procurano, e la salute in rapporto alle cose che l'assicurano; infatti si dice che conseguiamo l'una attraverso l'altra. (B67) Non c'è nulla di più pregevole della saggezza filosofica, che definiamo come la capacità più alta delle funzioni della nostra anima, se paragoniamo l'una con l'altra le diverse funzioni dell'anima. Infatti la parte conoscitiva dell'anima, è di per sè sola o in connessione con le altre parti, più pregevole di tutto il resto dell'anima, e la sua eccellenza è il sapere. (B68) Sicchè nessuna delle virtù particolari, di cui si parla comunemente, costituisce l'opera della saggezza filosofica; infatti essa è superiore a tutte queste. Il fine conseguito è sempre superiore alla conoscenza mediante la quale lo si consegue. Per altro non ogni eccellenza dell'anima è un risultato della saggezza filosofica, e neppure la vita felice. Se infatti la saggezza filosofica fosse produttiva, allora produrrebbe qualcosa di diverso da se stessa, così come l'architettura fabbrica le case, pur senza essere una parte della casa; la saggezza filosofica, invece, è una parte dell'eccellenza dell'anima e della vita felice. Infatti io affermo che la vita felice, o ne deriva, oppure è essa stessa. (B69) In base a questo argomento, la saggezza filosofica quindi non può essere una scienza produttiva; il fine deve stare al di sopra della via che conduce ad esso; ma non esiste nulla di più alto della vita filosofica, se non forse una delle cose che abbiamo menzionato prima, cioè eccellenza e vita felice: ma la loro opera non è niente altro che la vita filosofica. Bisogna quindi tener per fermo che la conoscenza di cui parliamo è teoretica, dal momento che il suo fine non può essere una produzione. (B70) La conoscenza e il pensiero filosofico costituiscono dunque il compito proprio dell'anima. Questa è la cosa più desiderabile per noi, paragonabile, io credo alla vista, che certamente si apprezzerebbe anche nel caso in cui grazie ad essa non si ottenesse altro risultato se non appunto e soltanto il vedere. (B71) Lo si potrebbe provare in questo modo. Se qualcuno ama una cosa perchè essa ha qualche cosa d'altro come qualità aggiuntiva, è allora chiaro che ancor di più amerà quella cosa che possiede in misura più elevata quella qualità. Se, per esempio, una persona ama camminare perchè è un esercizio salutare, allora, se correre è un esercizio più salutare ancora ed egli ne è capace, lo preferirà, e l'avrebbe già prima preferito, se solo l'avesse saputo prima. Citiamo un argomento ulteriore. Se un'opinione vera è simile alla conoscenza scientifica (perchè noi ammettiamo che un'opinione vera è desiderabile in quanto è simile alla conoscenza scientifica grazie al suo contenuto di verità), e se questo contenuto di verità è proprio in misura superiore della conoscenza scientifica, allora il conoscere risulta più apprezzabile dell'opinare rettamente. (B72) Il fatto poi che noi amiamo la facoltà della vista per se stessa, costituisce una prova sufficiente che tutti gli uomini amano in misura elevatissima il pensare e il conoscere, (B73) perchè amano la vita, e perciò amano anche il pensare e il conoscere. Per nessun altro motivo la vita appare loro apprezzabile, se non per la percezione dei sensi, e innanzi tutto per la vista. Questa facoltà è da essi apprezzata sopra ogni misura, perchè essa è, a paragone delle altre percezioni sensoriali, proprio come una sorta di conoscenza. (B74) Ora che la vita si distingue dall'assenza della vita per la percezione: definiamo infatti la vita con la presenza della percezione e la facoltà del percepire. Se si abolisce questa facoltà, la vita non è degna di essere vissuta; è come se la vita stessa fosse annientata insieme con la percezione. (B75) Fra gli organi della percezione spicca la facoltà della vista, perchè è la più acuta. Questo è anche il motivo per cui la apprezziamo più delle altre. Ogni percezione è una facoltà di conoscere qualcosa mediante il corpo, come ad esempio l'udito percepisce i suoni mediante le orecchie. (B76) Se dunque la vita è degna di essere scelta grazie alla percezione, e la percezione è una sorta di conoscenza, e se noi preferiamo la vita in quanto l'anima, attraverso la percezione, può conseguire la conoscenza. (B77) Inoltre, come abbiamo già detto or ora, se fra due cose è sempre preferibile quella che possiede la stessa qualità desiderata; allora risulta che tra le percezioni dei sensi la vista è necessariamente quella più desiderabile e più nobile, ma che più desiderabile ancora di essa e di tutte le altre percezioni e della vita stessa, è la conoscenza filosofica, perchè essa è signora della verità. Questo è il motivo per il quale tutti gli uomini aspirano al conoscere più di ogni altra cosa. (B78) Che coloro che scelgono una vita intellettuale possono vivere in modo sopra tutti piacevole risulterà da quanto segue. (B79) Pare che si possa parlare della vita in un duplice senso: nel senso, cioè, della sua possibilità e nel senso della sua realtà. Diciamo che "vedono" tutte quelle creature che hanno gli occhi e sono dotate di facoltà visive, sia che abbiano casualmente gli occhi chiusi, sia che si valgano delle loro facoltà visive e guardino qualcosa. La stessa cosa vale anche per la conoscenza ed il sapere. Una cosa intendiamo l'uso della facoltà e l'effettivo pensiero, un'altra il processo della facoltà e l'aver scienza. (B80) Se dunque distinguiamo la vita dall'assenza di vita secondo il possesso o l'assenza delle facoltà percettive, e se parliamo della percezione in un duplice senso, vale a dire, nell'accezione comune dell'uso effettivo della percezione, ma anche nell'accezione della possibilità di percepire (per cui, a quanto pare, diciamo che anche chi dorme ha delle percezioni), risulta chiaro allora che parliamo della vita in un duplice significato. Di chi è sveglio diciamo che vive in un senso vero e proprio, mentre di chi dorme diciamo che vive nel senso che possiede delle facoltà di passare dal sonno all'attività, che costituisce il senso della veglia e dell'effettiva percezione delle cose. In base a ciò, e tenendo presente questa differenza tra potenzialità ed attualità, siamo autorizzati a dire che chi dorme vive. (B81) Se dunque usiamo la stessa parola in un duplice significato, da una parte nel senso di "essere attivo qui ed ora", dall'altra nel senso di "trovarsi in una condizione", diremo allora che la prima accezione è quella che rende più esattamente il significato proprio del termine. Così, per esempio, "egli sa" può significare che egli utilizza la sua conoscenza, oppure che la possiede; "egli vede" può significare che vede qualcosa, oppure che possiede la facoltà della vista; in entrambi i casi la prima accezione esprime un valore superiore. (B82) Perchè parlando delle cose per le quali esiste uno ed un solo termine noi diciamo "più" non soltanto nel senso di una maggiore quantità, ma anche della priorità logica. Per esempio, diciamo che la salute è un bene maggiore delle cose che la procurano, e che ciò che è in sè per sua natura desiderabile è un bene maggiore di ciò che produce un qualche bene. Tuttavia osserviamo che la stessa parola "buono" vien detta di entrambe le cose, sebbene non in un significato identico, perchè diciamo "buono" sia delle cose utili che anche dell'eccellenza. (B83) Siamo quindi autorizzati ad affermare che chi è desto vive in grado maggiore di chi dorme, e chi ha l'anima in attività in misura superiore di chi semplicemente possiede l'anima. Se teniamo presente la priorità logica possiamo dire che quest'ultimo vive perchè vive il primo, perchè si trova in uno stato tale, da poter vivere in modo attivo o passivo. (B84) Essere attivo in ogni caso significa questo: se qualcuno è capace di esercitare semplicemente un'attività, e la esercita allora diciamo che è attivo ; se egli possiede parecchie facoltà, allora diciamo che è attivo se egli esercita la più degna di queste facoltà, per esempio quando un auleta suona il doppio flauto; inoltre, quando suona il flauto può essere semplicemente attivo, oppure può esserlo in grado superiore cioè può suonar bene; lo stesso accade anche negli altri casi in cui usiamo le parole "essere attivo" . Dobbiamo quindi affermare che chi opera bene opera anche in misura superiore; infatti che esercita un'attività bene e con esattezza, ha uno scopo (cioè il bene) ed opera in modo naturale vale a dire, fa ciò che la natura gli ha prescritto. (B85) Come ho già detto, l'attività umana consta o esclusivamente o in modo preminente del pensiero e della riflessione. E' dunque facile indurre, ed è una conclusione che ognuno può trarre facilmente, che vive in più alto grado chi pensa rettamente, e vive nel grado più alto di tra tutti chi si occupa al grado massimo della verità; e questo fa l'uomo che pensa e professa la filosofia sulla base della conoscenza più esatta. E la vita perfetta esiste per coloro che posseggono la conoscenza filosofica, quando svolgono attività filosofica. (B86) Se ora per ogni essere vivente la vita coincide con l'essere, è dunque palese che tra tutti gli uomini il filosofo raggiunge la più alta intensità dell'essere nel vero senso della parola, particolarmente quando esercita la filosofia e applica il suo pensiero a ciò che tra tutti gli enti è più accessibile alla conoscenza. (B87) Inoltre l'attività perfetta e libera da impedimenti porta già in sè gioia, e perciò l'attività filosofica è certo quella che procura gioia maggiore. (B88) Ma la gioia può porsi in relazioni diverse con l'attività. Bere con gioia e darsi al bere con gioia non sono la stessa cosa. Infatti nulla impedisce a uno di bere senza essere assetato, ma di bere così qualcosa che non gli dà alcun piacere, e di provare tuttavia gioia, non nel bere, ma perchè, occasionalmente, mentre sta seduto da qualche parte, considera qualcosa, o è oggetto di considerazione. Diremo di lui che prova gioia, e che beve con gioia, ma la sua gioia non viene dal bere, nè trova nel bere la gioia. Allo stesso modo diciamo che camminare, star seduti, imparare ed ogni altro tipo di movimento sono piacevoli o dolorosi, non perchè fortuitamente proviamo gioia o dolore, mentre ci dedichiamo appunto a queste attività, ma perchè proviamo gioia o dolore per il fatto stesso di dedicarci ad esse. (B89) Parimenti chiamiamo vita felice quella vita felice la cui presenza dà felicità alle persone che la vivono; non parliamo di vita felice nel caso di persone che nel vivere hanno gioia da qualche cosa, ma nel caso di coloro per i quali la vita stessa costituisce una gioia, e che appunto provano gioia nel vivere. (B90) In base a queste considerazioni, diciamo che chi è desto vive in maggior grado di chi dorme, chi è intelligente in maggior grado di chi manca di intelligenza, e riteniamo che la gioia nella vita dipenda dall'uso che si fa dell'anima; l'attività dell'anima costituisce realmente la vita. (B91) Si può essere attivi con l'anima in diversi modi, però l'attività più importante di tutte è comunque quella di pensare quanto più intensamente si può. E' un punto acquisito, quindi, che la gioia che deriva dal pensiero costituisca l'unica, o la più eminente delle gioie della vita. Vivere felicemente e provare la vera gioia è dunque una prerogativa esclusiva o preminente del filosofo. Infatti l'esercizio dei nostri pensieri più veri, che traggono alimento dai più alti princìpi dell'essere e custodiscono continuamente e con saldezza la compiutezza che a essi è accordata, è proprio quella che procura in massimo grado la gioia della vita fra tutte le altre attività. (B92) Proprio per gustare le gioie vere e buone gli uomini intelligenti devono dunque dedicarsi alla filosofia. (B93) La vita intellettuale rende felici gli uomini? Non soltanto considerando le singole parti che costituiscono la vita felice, ma anche penetrando più a fondo nel problema e considerando la felicità della vita nel suo complesso, possiamo raggiungere la stessa conclusione. Chiariamo innanzi tutto un punto: quale è la relazione tra la vita intellettuale e la felicità, tale è anche la sua relazione con il nostro carattere, secondo cioè che siamo uomini di valore o dappoco. Infatti tutti gli uomini trovano desiderabile o ciò che conduce alla felicità, o ciò che della felicità è una conseguenza; oltre a ciò, delle cose che ci rendono felici le une sono necessarie, le altre piacevoli. (B94) Definiamo la felicità della vita o come la forza della mente e una specie di sapienza, oppure come eccellenza etica, o come il massimo della gioia, o come tutte queste cose insieme. (B95) Se la felicità della vita coincide con l'altezza dell'intelligenza, è allora chiaro che soltanto ai filosofi è riservata la vita felice; se essa è costituita dall'eccellenza dell'anima, o dalla vita colma di gioia, allora essa tocca ugualmente a essi, o esclusivamente, o in misura preminente. Ora, l'eccellenza è l'elemento dominante su tutto ciò che è in noi, e ciò che ci procura maggior gioia, se paragoniamo una cosa con l'altra, è la capacità della mente. Anche nel caso che qualcuno affermi che tutte queste cose insieme costituiscono la felicità della vita, bisogna comunque che nella sua definizione la mente risulti la caratteristica più importante. (B96) perciò tutti coloro che ne sono in grado devono dedicarsi alla filosofia. Infatti questa costituisce di per sè la vita perfetta, oppure, se si vuol ricordare un solo fatto, conduce le anime il più vicino possibile ad essa. (B97) Potrebbe ora essere il momento di chiarire il nostro argomento adducendo le opinioni comunemente riconosciute. (B98) Certo risulta evidente a tutti che nessun uomo vorrebbe scegliere una vita provvista sì di grandi ricchezze e grandi opere, in cui però egli fosse privo delle facoltà intellettive e pazzo; non lo farebbe neppure se potesse godere dei piaceri più violenti e vivere come alcuni folli. E' evidente a tutti che gli uomini fuggono più di ogni altro male l'insensatezza; ma questa è, a quanto sembra, l'opposto dell'intelligenza, e fra i due opposti si fugge l'uno e si sceglie l'altro. (B99) Infatti, mentre fuggiamo la malattia, ricerchiamo la salute; quindi, anche sulla base di questa argomentazione la capacità della mente risulta essere il bene più desiderabile, e non in quanto produca qualcosa di diverso da se stesso. [lo attesta l'opinione comune]. Infatti, se anche qualcuno possedesse tutto, ma fosse irrimediabilmente malato nella parte pensante dell'anima, la vita non sarebbe per lui un bene desiderabile, perchè neanche le altre sue prerogative gli sarebbero di alcuna utilità. (B100) Perciò tutti gli uomini, nella misura in cui si accostano alla filosofia, e sono in grado di gustarla, ritengono che le restanti cose non abbiano alcun valore; per questo motivo nessuno di noi sopporterebbe di trascorrere tutta la vita nell'ubriachezza, o di rimanere per sempre un bambino. (B101) Per lo stesso motivo anche il sonno è una cosa estremamente piacevole, ma niente affatto da preferire all'essere desti, perfino se ammettiamo che chi dorme goda di tutte le gioie possibili; infatti l'anima di chi è desto ha delle rappresentazioni vere, mentre quelle di chi dorme sono false. La veglia e il sonno, infatti, non si differenziano se non per il fatto che l'anima durante la veglia spesso coglie la verità, mentre nel sonno si inganna sempre; infatti tutti i sogni sono soltanto immagini e false parvenze. (B102) Anche la paura della morte che è propria dell'uomo comune attesta il desiderio di conoscenza dell'anima. Essa infatti fugge ciò che le è ignoto, l'oscurità ed il mistero, e per sua natura cerca ciò che è visibile e conoscibile. prima di tutto per questo motivo diciamo che dobbiamo onorare più di ogni altro coloro a cui siamo debitori di vedere la luce del sole, e che dobbiamo provare reverenza per nostro padre e nostra madre, perchè essi sono gli autori dei nostri beni più preziosi; infatti sono essi, così mi sembra, la causa del fatto che noi conosciamo qualcosa e vediamo. Per la stessa ragione riceviamo gioia dagli oggetti e dagli uomini a noi più familiari, e per l'appunto, chiamiamo amici queste persone a noi note. Tutto questo dimostra che amiamo ciò che è conoscibile ed evidente; e se amiamo ciò che è conoscibile, visibile e chiaro, necessariamente amiamo il conoscere ed il pensare. (B103) Inoltre, come nel caso della proprietà non sono le stesse cose che gli uomini acquistano semplicemente per poter vivere e quelle che acquistano per vivere bene, così accade anche nel caso della capacità della mente: l'intelligenza che ci serve semplicemente per vivere, voglio dire, non è la stessa che ci serve per vivere perfettamente. Alla generalità delle persone si può ben perdonare, se arriva soltanto a quella; certo costoro pregano di avere una vita felice, ma sono già paghi se hanno almeno la possibilità di vivere. Chi però pensa che non si debba sopravvivere a qualunque prezzo, risulta veramente ridicolo, se non si accolla qualunque fatica e non si adopera in ogni modo per conseguire quella capacità della mente, che gli consenta di conoscere la verità. (B104) Si potrebbe capire questa stessa cosa anche in base a ciò che diremo ora, se soltanto si considerasse la vita umana spassionatamente. Allora si scoprirebbe che tutte quelle cose che appaiono importanti agli uomini, altro non sono che un gioco delle vane ombre. Perciò a ragione si dice anche a ragione che l'uomo è un nulla, e che nulla delle cose umane ha stabilità. Infatti la forza, la grandezza e la bellezza sono cose risibili, e prive di ogni valore; esse ci appaiono tali soltanto perchè non siamo in grado di vedere nulla rettamente. (B105) Se qualcuno potesse vedere con l'acutezza che si dice avesse Linceo, che riusciva a vedere attraverso le pareti e gli alberi, potrebbe mai trovare sopportabile di guardare un uomo come il tanto celebrato Alcibiade, se riuscisse a vedere anche la totale miseria di cui questi è composto? Onore e reputazione, le cose a cui solitamente l'uomo aspira più che ad ogni altra, sono piene di indescrivibile stoltezza; infatti chi ha visto qualcuna delle realtà eterne giudica assurdo faticare per tali scopi. Che cosa c'è tra le cose umane che viva a lungo o abbia una durata consistente? Soltanto per la nostra debolezza e per la brevità della nostra vita, a mio giudizio, anche queste ci appaiono grandi. (B106) Se si prende in considerazione ciò, chi potrebbe allora pensare di essere felice e beato, - chi fra noi, che tutti, fin dal principio (come si dice quando si è iniziati ai misteri), siamo costruiti dalla natura come se dovessimo portare una pena? Perchè davvero divina è la parola degli antichi, quando dicono che l'anima deve pagare una pena, e che noi viviamo per l'espiazione di un qualche grande peccato. (B107) Mi sembra che questa immagine esprima bene l'unione dell'anima con il corpo: come si racconta che i prigionieri dei Tirreni spesso vengono sottoposti alla tortura di essere legati vivi a dei cadaveri, con il viso contro il viso e le membra unite insieme con le membra, allo stesso modo anche l'anima sembra distesa e incatenata a tutte le membra sensibili del corpo. (B108) Per gli uomini non c'è dunque nulla di divino e di beato, all'infuori di quell'unica cosa che sola merita i nostri sforzi, cioè quanto esiste in noi di intelligenza e capacità della mente. Di tutto ciò che è nostro, questo solo sembra incorruttibile, questo solo divino. (B109) Grazie alla nostra possibilità di partecipare di questa facoltà, la nostra vita, sebbene per natura misera e penosa, è così magnificamente ordinata che l'uomo, a paragone di degli altri esseri viventi, sembra essere un dio. (B110) Perchè giustamente dicono i poeti che "il nous è il dio in noi", e la "vita umana conserva qualche parte di un dio in sè". Si deve dunque filosofare, oppure congedarsi dalla vita e dipartirsi di qui; perchè ogni altra cosa appare soltanto chiacchiera insensata e vana diceria.

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