LEOPOLD VON RANKE

 

A cura di Enrico Gori

 

 

 

 

 

Leopold von Ranke (21 dicembre 1795 - 23 maggio 1886) fu uno storico tedesco, considerato il fondatore della moderna ricerca storiografica sulle fonti. Von Ranke pose le basi per molta produzione storiografica successiva, introducendo idee quali l’importanza delle fonti primarie, l’enfasi sulla storia narrativa e sulle vicende di politica estera, l’imperativo di scrivere la storia “nella sua essenza fattuale”, come lui stesso diceva: “non [si ha] il dovere di giudicare il passato né di insegnare ai contemporanei per il futuro, ma solo di mostrare i fatti come furono”. Leopold von Ranke nacque nell’Elettorato di Sassonia. La sua educazione si compì parte in casa, parte nel Gymnasium di Schulpforta. Nei primi anni, egli sviluppò una grande passione per le lingue classiche e per il luteranesimo. Nel 1814 entrò all’Università di Lipsia, come studente di Antichità e Teologia luterana. Qui, von Ranke divenne esperto nella filologia e nella traduzione dei classici in tedesco. Egli prediligeva Tucidide, Livio, Dionigi di Alicarnasso, Goethe, Fichte, Niebuhr, Kant, Schelling e Schlegel. Aveva scarsa fiducia nella storiografia a lui contemporanea, giudicandola una mera congerie di fatti assembrata dagli storici. Tra il 1817 ed il 1825, Leopold von Ranke fu professore di Antichità a Francoforte sull’Oder. In questo periodo si appassionò alla Storia, vuoi per la ricerca di un campo di ricerca più professionale, vuoi per il desiderio di trovare la mano di Dio nello svolgersi della Storia. Le sue opere più importanti sono le seguenti: Geschichte der romanischen und germanischen Völker von 1494 bis 1514 (1824), Serbische Revoluzion (1829), Fürsten und Völker von Süd-Europa im sechzehnten und siebzehnten Jahrhundert, Die römischen Päpste in den letzen vier Jahrhunderten (1834-1836), Neun Bücher preussischer Geschichte (1847-1848), Französische Geschichte, vornehmlich im sechzehnten und siebzehnten Jahrhundert (1852-1861), Die deutschen Mächte und der Fürstenbund (1871-1872), Ursprung und Beginn der Revolutionskriege 1791 und 1792 (1875), Hardenberg und die Geschichte des preussischen Staates von 1793 bis 1813 (1877), Weltgeschichte - Die Römische Republik und ihre Weltherrschaft (1886, in due volumi). Nel suo primo libro, la Storia dei popoli germanici e latini dal 1494 al 1514, von Ranke utilizzò una mole di fonti insolita per uno storico del tempo: diari, ricordi, dispacci, missive formali e non, testimonianze oculari, applicando così i criteri filologici senza trascurare la letteratura “comune” in favore di reperti più antichi e particolari. Von Ranke inizia la sua opera affermando di voler dimostrare l’unità delle esperienze delle nazioni germaniche, Scandinavia, Germania e Inghilterra, e delle nazioni latine, Italia, Spagna e Francia attraverso le suggestioni della migrazione di popoli, le Crociate e la colonizzazione che, secondo Ranke, avrebbe unito tutte le nazioni, formando così la moderna civiltà europea. Nonostante le premesse, Ranke esamina separatamente tutte le nazioni fino alle guerre italiane del 1494. L’affermazione: “raccontare le cose come andarono effettivamente” è il principio guida di molti storici, anche se ha suscitato alcuni dibattiti: alcuni pensano che la frase denoti la necessità di narrare i fatti senza che lo storico intervenga con osservazioni proprie; altri sono invece dell’avviso che lo storico debba sì dire le cose come stanno ma anche ricercare la questione generale che fa da sfondo e cornice al momento storico. Secondo Ranke, bisognava ricercare il geroglifico sacro, la mano divina, con  un occhio all’universale e godendo del particolare. Reinhart Koselleck ha messo in luce (cfr. Futuro passato) come Ranke resti legato al modo classico – soprattutto greco – di intendere la narrazione storica: in particolare alla triplice idea – tematizzata soprattutto dal Come si deve scrivere la storia di Luciano di Samosata – dello storico come “specchio” imparziale che riflette gli accadimenti, come “apolide” (ossia slegato a ogni partito e a ogni ideologia), e come amante della “nuda verità”. In questo senso – precisa Koselleck – Ranke resta poco sensibile all’idea, tipicamente moderna e precorsa da Chladenius, secondo cui la verità storica è essa stessa storicizzata e dipende dall’evolvere dei tempi e dal “punto di vista” (Sehepunkt) assunto. In seguito al successo della sua prima opera, il Ranke ottenne un posto all’Università di Berlino, dove fu profondamente coinvolto nella disputa tra i seguaci del professor Savigny e gli hegeliani: i primi sostenevano la diversità e la particolarità di ogni periodo storico; i secondi ritenevano che la Storia fosse il dispiegarsi dell’universale “Spirito del mondo” (Weltgeist), di cui le singole epoche non erano altro che tappe transeunti e subordinate al telos finale dell’affermazione dello stesso “Spirito del mondo”. Ranke si schierò al fianco di Savigny, criticando la visione hegeliana della storia e accusandola di univocità. Nell’ateneo berlinese, von Ranke fu il primo a usare i 47 volumi dell’archivio diplomatico di Venezia nel XVI e XVII secolo, prediligendo l’uso di fonti primarie. Più tardi, egli avrà modo discrivere:

 

“Verrà il tempo in cui la Storia si baserà non più sui relati degli storici, sia pure contemporanei, a meno che non siano in possesso di conoscenze dirette sui fatti, e ancor meno su documenti distanti dagli eventi; bensì su fonti originali e genuine”.

 

Un progetto che – inutile sottolinearlo – era destinato a restare in larga parte utopico. A partire dal 1831, su incarico del governo prussiano, von Ranke fondò e diresse lo Historisch-politisch Zeitschrift, la “rivista storico-politica”. Di vedute conservatrici, lo storico usò la rivista per attaccare duramente le posizioni liberali. Nell’articolo del 1833, Le Grandi Potenze, e nel 1836 con il Dialogo sulla politica, Ranke affermava che ogni Stato aveva ricevuto da Dio una precisa configurazione morale, e gli individui dovevano tendere al compimento dell’idea del proprio Stato. Così esortava i cittadini a essere leali allo Stato prussiano e a rifiutare le idee della Rivoluzione Francese, che si adattavano, secondo il Ranke, meglio alla Francia che non alla Prussia. Tra il 1834 e il 1836, von Ranke produsse la sua Storia dei Papi di Roma nel XVI secolo, Chiesa e Stato in più volumi. Ranke non poteva, essendo protestante, prendere visione degli archivi vaticani, ma riuscì a scrivere la storia del papato nel ‘500 servendosi di carte private a Venezia e Roma. Nell’opera, lo storico prussiano coniò il termine Controriforma e delineò vivaci ritratti di Paolo IV, Ignazio di Loyola e Pio V. Il papato la condannò come anticattolica, i protestanti perché eccessivamente neutrale. Tuttavia, von Ranke fu molto apprezzato dagli storici per aver inserito la chiesa del XVI secolo nel suo contesto cronologico e per aver evidenziato la particolare temperie nelle questioni politiche e religiose del tempo. Lo storico cattolico britannico Lord Acton in particolare, elogiò l’opera di Ranke come il più equilibrato e corretto lavoro mai scritto sul papato cinquecentesco. Seguì, nel 1845-47, una Storia della Germania al tempo della Riforma, anch’essa in più volumi, per cui utilizzò i 96 volumi della Dieta Imperiale di Francoforte per spiegare la Riforma in Germania quale risultato di politica e religione. Nel 1841 Leopold von Ranke fu nominato Storiografo Reale alla Corte prussiana. Nel 1849 pubblicò le Memorie della casata di Brandenburgo e Storia della Prussica, in cui si esaminavano le fortune degli Hohenzollern dal Medioevo al regno di Federico il Grande. Molti nazionalisti prussiani si sentirono offesi dall’opera, che dipingeva la Prussia come un tipico stato tedesco di media grandezza e non come una Grande Potenza. In una serie di conferenze tenute per il futuro re Massimiliano di Baviera, Ranke dichiarò che “ogni epoca è prossima a Dio”, volendo dire che ogni periodo storico è unico e deve essere compreso nel suo contesto, senza essere ricondotto a una presunta Totalità, secondo quello che invece era stato il metodo hegeliano. Dio osserva la Storia nel suo insieme, e considera uguali tutte le età. Von Ranke respingeva l’idea teleologica di Storia, per cui ogni epoca è inferiore a quella che la segue. Così, il Medioevo non è inferiore al Rinascimento, bensì diverso. Lo storico deve quindi comprendere i periodi nei loro contesti e individuare le idee generali che animano il dato periodo. La Storia non è il registro del progresso umano, poiché “dopo Platone non può esservi un altro Platone”. L’idea di progresso resta per Ranke un’illusione dell’Illuminismo. Il Cristianesimo era, per Ranke, già moralmente perfetto e non poteva migliorare ulteriormente. Infine, la storia per Ranke non è un tribunale. Nel 1865 gli fu conferita la nobiltà, nel 1882 divenne Consigliere e nel 1885 ottenne la cittadinanza onoraria di Berlino. Nel 1884 fu il primo membro onorario dell’American History Association. Dopo il suo ritiro nel 1871, von Ranke continuò a occuparsi di vari temi inerenti alla storia tedesca, come le guerre rivoluzionarie francesi, Albrecht von Wallenstein, Karl August von Hardenberg, e il re di Prussia Federico Guglielmo IV. Von Ranke iniziò nel 1880 una monumentale Storia universale in 6 volumi che cominciava con l’antico Egitto e gli Ebrei. Alla morte dello storico (1886) l’opera era giunta al XII secolo. I suoi assistenti usarono in seguito i suoi appunti per giungere fino al 1453.

 

 

METODOLOGIA

 

Leopold von Ranke non credeva che le teorie generali potessero valere in ogni  spazio e tempo; egli trattava la cronologia utilizzando fonti primarie; diceva infatti:

 

“Intendo le ‘idee guida’ come tendenze dominanti in ogni secolo. Queste possono però essere solo descritte, non ricondotte ad un concetto”.

 

La polemica contro la filosofia della storia, quella hegeliana nella fattispecie, si basava sulla scarsa considerazione della stessa per l’azione umana, troppo importante per essere definita con una sola parola o con una sola idea o racchiusa in un concetto. Questa mancanza di enfasi sull’unificazione delle teorie portò alcuni a criticare il “cieco empirismo” di Ranke. Nel XIX secolo le sue idee sulla deontologia dello storico furono frequentemente copiate. Nel XX secolo qualche storico, come E.H. Carr, svalutò l’empirismo di Ranke come ingenuo, datato e poco interessante. Fernand Braudel può essere considerato un moderno oppositore della storiografia di Ranke: per Braudel infatti, la Storia si definisce nel momento in cui è scritta. 



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