JOSEPH-ERNEST RENAN

 

 

A cura di Diego Fusaro

 

 

RENANL’influenza che il “positivismo” di Auguste Comte esercitò nella Francia del XIX secolo fu decisiva e onnipervasiva, arrivando a interessare gli ambiti più disparati: ci fu chi (Emile Littré, 1801-1881) tentò di applicare il positivismo comteano alla linguistica, chi (Hyppolite Taine, 1828-1893) cercò di impiegarlo come chiave di accesso all’estetica, e chi addirittura azzardò ad applicarlo alla storia delle religioni. È questo il caso di Joseph-Ernest Renan, nato il 28 febbraio 1823 a Tréguier da una famiglia cattolica: il padre era un capitano di un battello che, a seguito della sua morte avvenuta in mare, aveva lasciato la famiglia in uno stato di forte miseria. All’età di nove anni, nel settembre 1832, il nostro autore entra alla Scuola ecclesiastica della sua cittadina, dove la sua vivacità d’ingegno si manifesta nei brillanti successi scolastici per i quali ottiene i premi del migliore allievo della classe in tutte le materie. Nel 1838, il quindicenne futuro scrittore riesce ad ottenere, grazie all’interessamento di sua sorella Henriette, una borsa di studio che gli permette di accedere a un seminario minore parigino, quello di Saint-Nicolas-du-Chardonnet, la cui direzione era affidata all’abate Dupanloup, del quale Renan serberà sempre un ricordo non particolarmente piacevole a causa del suo spirito acritico in campo teologico e del suo desiderio di ottenere un certo prestigio mondano. Nonostante che venisse considerato non credente dal suo insegnante di filosofia e mostrasse forti esitazioni a riguardo della sua futura carriera ecclesiastica - siamo ormai agli inizi degli anni '40, quando il futuro saggista avrà già cambiato una prima volta istituto religioso - , il nostro autore nel 1843 si trasferisce presso il seminario di Saint-Sulpice, dove tuttavia i segni di crisi e, anzi, di decisa insofferenza religiosa tendono ad acuirsi.
Dopo un soggiorno nella sua amata Bretagna, il 9 ottobre 1845, rientrato a Parigi, lascia Saint-Sulpice, rimanendo però in buoni rapporti con i suoi maestri, coi quali anzi avrebbe continuato a instaurare una vivace corrispondenza. Dopo aver ottenuto il premio dell’Institut de France per il suo Essai historique et théorique sur les langues sémitiques (1847) - un riconoscimento che testimonia la sua perizia in siffatto genere di studi - la sua fama ai livelli più alti della cultura francese si era sicuramente rafforzata. Per tale ragione, quattro anni più tardi, Renan potrà iniziare la sua sistematica collaborazione con “La Revue des deux mondes”, pubblicando un articolo sulle origini dell’islamismo e la figura di Maometto. Ma l’evento centrale della sua esistenza è indubbiamente la missione in Fenicia che il governo di Napoleone III gli affida nel maggio 1860: Renan e sua sorella Henriette giungono così a Beirut pochi mesi più tardi, verso la fine di ottobre. Durante questo viaggio scientifico, egli concepisce l’opera che gli avrebbe portato successo e gloria, ma anche un forte coro di condanne e di invettive le quali costituiscono, in verità, un intenso segnale per comprendere come la diffusione del testo in Francia, ma ben presto anche in Italia e in gran parte dell’Europa, non è assolutamente trascurabile.

Nel 1862 Renan è nominato per decreto professore al Collège de France; nondimeno è costretto a sospendere i corsi che stava avviando, a seguito della discutibile prolusione che tenne davanti ai membri dello stesso Collège: infatti il suo discorso, intitolato De la part des peuples sémitiques dans l'histoire de la civilisation, ha sì suscitato il plauso dell’uditorio liberale, che si è anzi dimostrato entusiasta per il modo con cui Renan ha dipinto Gesù, ma le polemiche nondimeno si sono fatte decisamente molto accese: il mondo cattolico non poteva certo apprezzare l’idea di un Gesù “umanizzato”. Per il nostro autore, infatti, il Cristo sarebbe stato un uomo senza dubbio incomparabile, e persino talmente grande che certo non sarebbero per nulla da biasimare quanti lo riconoscono e lo venerano come Dio, nonostante, evidentemente, non sia altro che un uomo eccezionale. L’ordinanza di interruzione delle attività didattiche giunge direttamente dal ministro della Pubblica Istruzione, il quale coglie la pericolosità del discorso. Le dottrine divulgate dal filosofo comteano sono state considerate infatti come nocive e offensive per la fede cristiana, in quanto, oltre a essere totalmente false, sarebbero capaci, almeno virtualmente, di sollevare forti opposizioni popolari, secondo almeno quanto afferma la critica più reazionaria: la gente comune, difatti, potrebbe vedere nelle parole che lo scrittore ha pronunciato, rispecchiate le proprie inclinazioni più nascoste, e soprattutto potrebbe con assoluta facilità passare da una rivendicazione della libertà religiosa - già di per sé temibile - implicita nell’idea di un Gesù umano, a richiedere addirittura l’emancipazione da qualsiasi forma di autoritarismo politico e da qualunque ordine costituito: i ricordi dei moti del 1848, quando lo stesso Renan seguiva con grande attenzione lo svolgersi degli avvenimenti politico-sociali e mostrava tutto il suo entusiasmo per la gioventù liberale, non erano ancora cancellati. Ma il governo, pur mostrandosi preoccupato dagli scritti e dalle parole di Renan, non riesce a condannarlo al silenzio. Renan si spense nel 1892.

L’audace tentativo compiuto da questo filosofo è quello di trovare un campo di applicabilità al positivismo anche in sede di scienze storico-filologiche e, in particolare, in sede di storia delle religioni. Renan fu avviato in gioventù dalla famiglia agli studi seminariali: ma ben presto smarrì la fede in Cristo per trovare quella nella nuova “religione” positivistica fondata da Comte. In particolare, il nostro autore si propone di applicare alle discipline storico-filologiche il principio di Comte secondo cui ogni elemento soprannaturale o metafisico dev’essere rigettato, nel tentativo di ricondurre la spiegazione storica a fenomeni meramente empirici e, dunque, verificabili scientificamente. È sulla base di questi presupposti positivistici che Renan scrive la sua celebre Vita di Gesù, del 1863. In quest’opera, pur difendendo l’esistenza storica del Cristo, Renan ne nega la divinità e riconosce al suo insegnamento un mero valore esemplare. Detto altrimenti, come già aveva sostenuto (seppur in un altro contesto e con diverse prospettive) David Friedrich Strauss nella sua Vita di Gesù (1835), Cristo, lungi dall’essere il figlio di Dio, è inteso come il paradigma dell’uomo eticamente perfetto, un modello da imitare nel tentativo di avvicinarsi asintoteticamente a lui. Quando vide la luce, il libro non potè non suscitare una forte indignazione e un acceso senso di astio, in un’epoca in cui la Chiesa giocava un ruolo ufficiale sia a livello politico (i cardinali infatti erano di diritto senatori), sia nell'ambito della fede. Renan stesso temeva che la sua opera cadesse sotto le maglie di quella giustizia che certo non si era dimostrata tenera nei riguardi del celebre romanzo di Flaubert Madame Bovary e della raccolta baudelairiana Fleurs du Mal. Ma lo straordinario successo dell’opera – nell’arco di appena due mesi erano state vendute ben 25000 copie del testo – avrebbe suscitato forse maggiori rimostranze di protesta qualora essa avesse subito la condanna da parte del potere ecclesiastico per eresia, e fosse stata proscritta così definitivamente ai lettori: perciò i cattolici furono costretti a temporeggiare e ad assumere un atteggiamento di momentanea oscillazione, grazie al quale la Vita di Gesù poteva circolare ancor meglio. Renan aveva già scritto un Essai psychologique sur Jésus-Christ nel maggio 1845, a due anni esatti dal solenne rimprovero che il suo professore di filosofia gli aveva mosso, accusandolo di non essere per nulla un cristiano; successivamente, nel 1857, avrebbe dato alle stampe le sue Études d'histoire religieuse. La Vita di Gesù costituisce il primo dei sette volumi in cui è articolata la Storia delle origini del Cristianesimo (1863-1881). Anche quest’opera fu scritta seguendo i principi positivistici fissati da Comte; e così fu anche per la successiva Storia del popolo d’Israele, in cinque volumi, che Renan compose dal 1887 fino alla sua morte.  non si può dubitare che sotto il profumo della leggenda si nasconda uno spessore storico non irrilevante.

 

INDIETRO