PIERRE DUHEM: SALVARE I FENOMENI

 

LA CONCEZIONE DI PLATONE

Se vogliamo trovare l'origine della tradizione di cui pretendiamo seguire il corso bisogna rivolgersi a Platone.

Le opinioni di Platone riguardanti le ipotesi astronomiche, accettate e messe in pratica da Eudosso, sono state raccolte negli scritti di Eudosso da un discepolo diretto di Aristotele, Eudemo; questi le ha esposte nel secondo libro della sua Storia astrologica; Sosigene, filosofo e astronomo che fu maestro di Alessandro di Afrodisia, le ha mutuate da questa Storia astrologica e le ha trasmesse a Simplicio dal quale ci sono state tramandate. Ecco dunque in quali termini si trova formulata, nel Commento di Simplicio, questa tradizione platonica:

"Platone ammette in generale che i corpi celesti si muovano di moto circolare, uniforme e costantemente regolare; egli allora pone ai matematici questo problema: quali sono i movimenti che conviene prendere come ipotesi per poter salvaguardare le apparenze presentate dai pianeti?"

Questo problema è anche quello che ha sollecitato gli sforzi di Eudosso e Callippo. Salvare le apparenze è il solo scopo in vista del quale essi hanno proposto le loro ipotesi.

Lo spirito umano non è forse in diritto di esigere una cosa diversa? Non può forse scoprire e analizzare alcuni caratteri della natura dei corpi celesti?

ARISTOTELE E IL METODO DEL FISICO

Accanto al metodo dell'astronomo, così chiaramente definito da Platone, Aristotele ammette l'esistenza e la legittimità del metodo del fisico. Il metodo dell'astronomo è perfettamente familiare ad Aristotele ma, da parte sua, egli ne applica un altro.Egli pretende che l'universo sia sferico, che le orbite celesti siano solide, che ciascuna abbia un movimento circolare e uniforme intorno al centro del mondo, che questo centro sia occupato da una terra immobile. Queste sono altrettante condizioni restrittive che egli impone alle ipotesi degli astronomi ed egli non esiterebbe a rifiutare una combinazione di movimenti che pretendessero di fare a meno di qualcuna di queste condizioni. C'è qualche vantaggio a introdurre questo nuovo metodo? Potrebbe venire il dubbio che il metodo dell'astronomo non fosse in grado di dare una risposta esente da ambiguità; non si dovrà forse, per la scelta tra differenti combinazioni di moti circolari uniformi egualmente soddisfacenti a giudizio dell'astronomo, ricorrere alla decisione del fisico?

E' possibile salvare egualmente le apparenze mediante combinazioni differenti dei moti circolari e uniformi; uno stesso moto relativo può essere ottenuto per mezzo di moti assoluti differenti; ipotesi differenti possono essere egualmente adatte a rappresentare i fenomeni.

IL TEOREMA DI IPPARCO

Ipparco ha dimostrato che si poteva rappresentare egualmente bene il cammino del sole sia supponendo che questo astro descrivesse un cerchio eccentrico rispetto alla terra, sia ammettendo che esso seguisse un cerchio epiciclico, purché la rivoluzione di questo epiciclo si compisse esattamente nel tempo in cui il suo centro percorreva un cerchio concentrico alla terra.

Sistema eccentrico

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Sistema epiciclico

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Sicuramente non vi è che una sola ipotesi che sia conforme alla natura delle cose (katà physin). Tra queste differenti ipotesi spetta al fisico decidere. Questo è quanto lo storico Posidonio affermava. Sui rapporti dell'astronomia e della fisica il platonico Dercillide la pensa esattamente come lo stoico Posidonio. Dercillide non lascia al matematico la facoltà di fare a meno di questi principi che il fisico stabilisce e formula.

ADRASTO DI AFRODISIA E TEONE DI SMIRNE

Ad Adrasto di Afrodisia e Teone di Smirne un'ipotesi sembra compatibile con la natura delle cose allorché un abile tornitore può realizzarla col metallo o col legno. Essi accettano che un pianeta descriva un epiciclo il cui centro percorre un cerchio concentrico al mondo. E' un'ipotesi che il fisico può accogliere, in contrasto con le proprietà della quinta essenza aristotelica, ugualmente bene che il sistema delle sfere omocentriche di Eudosso, di Callippo e di Aristotele.

LE IPOTESI DI TOLOMEO

Il progresso dell'astronomia rese ben presto insostenibile la posizione assunta da Adrasto e da Teone. Dal giorno in cui Tolomeo per rappresentare le irregolarità del movimento dei pianeti fece muovere ogni pianeta lungo un epiciclo il cui centro descriveva un cerchio eccentrico al mondo, il congegno di sfere immaginato da Adrasto e Teone divenne incapace di rappresentare un simile movimento. Questa incapacità aumenta a ciascuna delle complicazioni che Tolomeo fu costretto ad apportare alle ipotesi primitive di Ipparco al fine di salvare i fenomeni. E' chiaro dunque che i partigiani di Tolomeo erano obbligati a liberare le ipotesi astronomiche dalle condizioni alle quali i fisici le avevano generalmente asservite. Per Tolomeo l'astronomo che cerca delle ipotesi scientifiche per salvare i movimenti apparenti degli astri non conosce altra guida che la regola della maggiore semplicità, ma la complessità del sistema non dovrà essere un motivo per respingerlo, se esso si accorda con le osservazioni. E' dunque una follia voler imporre ai movimenti dei corpi celesti l'obbligo di lasciarsi rappresentare mediante meccanismi. I movimenti multipli che Tolomeo compone nella sua Sintassi per determinare la traiettoria di un astro non hanno alcuna realtà; il movimento risultante è il solo che si produca nel cielo. L'atteggiamento di Tolomeo riguardo al teorema di Ipparco segna nettamente la rottura con i principi cui si richiamavano Adrasto e Teone.

La fisica di Aristotele era incompatibile con l'esistenza degli epicicli.

La dottrina esposta da Tolomeo sembra essere stata pienamente accettata da Proclo. Proclo afferma che dobbiamo accontentarci del pressapoco nelle cose. L'astronomia non coglie l'essenza delle cose celesti, essa ne dà solo un'immagine. La dottrina di Proclo è molto lontana dalla fisica ambiziosa del De Coelo e della Metafisica. Proclo lascia alla ragione umana lo studio degli elementi e dei corpi misti che formano il mondo sublunare; di essi noi possiamo conoscere la natura e quindi possiamo costruire una fisica.

Simplicio si è attenuto ad una posizione mediana tra l'opinione di Aristotele e l'opinione di Proclo.

 

L'ASTRONOMIA DEGLI ARABI

Gli arabi non hanno ricevuto in eredità l'ingegno prodigioso dei Greci; non hanno inoltre conosciuto la precisione e la sicurezza del loro senso logico. Essi non hanno apportato che dei piccolissimi perfezionamenti alle ipotesi per mezzo delle quali l'astronomia greca era giunta a risolvere in movimenti semplici il cammino complicato dei pianeti. E, d'altra parte, quando hanno esaminato queste ipotesi, quando hanno cercato di scoprirne la vera natura, la loro vista non ha potuto eguagliare in penetrazione quella di un Posidonio, di un Tolomeo, di un Proclo o di un Simplicio; schiavi dell'immaginazione essi hanno cercato di vedere e di toccare ciò che i pensatori greci avevano dichiarato essere fittizio ed astratto; essi hanno voluto rendere reali, mediante sfere solide che girano in mezzo ai cieli, gli eccentrici e gli epicicli che Tolomeo e i suoi successori davano come artifici di calcolo.

Il bisogno di discutere le ipotesi astronomiche, d'altra parte, sembra essersi sviluppato tardi nelle menti degli astronomi arabi. Per lungo tempo coloro che hanno studiato l'Almagesto si sono limitati ad esporlo, a riassumerlo, a commentarlo, a costruire delle tavole che permettessero di applicarne i principi, senza esaminare in alcun modo il senso e la natura delle supposizioni che reggono tutto il sistema di Tolomeo.

THABHIT IBN QURRAH E IBN-AL-HAITAM

Per scoprire un autore che abbia discusso la natura dei meccanismi concepiti da Tolomeo dobbiamo arrivare alla fine del IX secolo. Thahit Ibn Qurrah e Ibn-al-Haitam sono della stessa famiglia intellettuale di Adrasto e Teone. Quando essi hanno rappresentato queste ipotesi per mezzo di solidi che si lasciano tornire e scolpire e che possono ruotare gli uni sugli altri, la loro immaginazione, i cui bisogni sono soddisfatti, viene presa per ragioni e credono di aver penetrato la stessa natura delle cose. L'opera di Ibn-al-Haitam andava a fornire dei modelli meccanici del sistema di Tolomeo e in tal modo contribuiva grandemente ad assicurare il trionfo di questo sistema tra i cristiani di Occidente. Hanno avuto la pretesa che le ipotesi che essi formulavano corrispondessero ai movimenti dei corpi solidi o fluidi esistenti realmente; da allora essi hanno reso queste ipotesi giudicabili dalle leggi poste dalla fisica. Ora, la fisica professata dalla maggior parte dei filosofi dell'Islam era la fisica peripatetica, da molto tempo opposta all'astronomia degli eccentrici e degli epicicli. Il realismo degli astronomi arabi doveva necessariamente spingere i peripatetici dell'Islam ad una lotta accesa e senza quartiere contro le dottrine dell'Almagesto. La lotta continua per tutto il XII secolo. Ibn Baggia (l'Avempace degli scolastici latini) aveva respinto gli epicicli come incompatibili con i principi della fisica di Aristotele. Abu Bakr Ibn Tufayl (Abubacer) aveva tentato di costruire una astronomia dalla quale gli epicicli e gli eccentrici fossero banditi.

AVERROE'

Averroè era soggetto in modo particolare all'influenza degli scienziati che respingevano le ipotesi dell' Almagesto. La sua formazione culturale lo predisponeva alla lotta contro il sistema di Tolomeo. Il commento al De Coelo composto da Averroè non si accontenta di esporre il sistema delle sfere omocentriche e di sostenerlo con tutte le ragioni che può fornire la fisica dello Stagirita; esso contiene pure una critica assai ferma e profonda del sistema sviluppato nell'Almagesto. Egli non si accontenta di una teoria scientifica di questo genere. Egli pretende che la scienza dei moti celesti tragga i suoi principi dagli insegnamenti della fisica e della sola fisica che ai suoi occhi sia vera, cioè quella di Aristotele.

AL-BITURGI

Averroè non ebbe il piacere di intraprendere il compito che egli riteneva necessario di costruire un sistema astronomico che non fosse solamente in grado di salvare le apparenze, ma anche che fosse fondato su ipotesi conformi alla natura delle cose, cioè sui principi dedotti dalla fisica e dalla metafisica di Aristotele. Questo compito fu portato a termine dal suo contemporaneo e condiscepolo di Abubacer , Al-Biturgi (Alpetragio). Questi intende sostituire con un nuovo sistema le dottrine dell'Almagesto. In verità la metafisica cui si rifanno i principi posti da Al-Biturgi alla base della sua astronomia non ha che una lontanissima affinità con la filosofia prima dello Stagirita. Essa deriva direttamente dalle dottrine poste nel libro De Causis che gli arabi attribuivano ad Aristotele e sulla cui vera origine gli Scolastici erano incerti fino a che Tommaso d'Aquino non vi ha riconosciuto una raccolta composta da frammenti ricavati da Proclo.

Il sistema astronomico di Al-Biturgi, composto per mezzo di sfere omocentriche come quello di Aristotele fu in grande auge verso la fine del Medioevo e all'inizio del Rinascimento presso gli aristotelici intransigenti più gelosi di conservare i principi del filosofo e del suo Commentatore che di salvare i fenomeni celesti anche negli aspetti più minuti, ma piaceva pure a coloro la cui immaginazione pretendeva una teoria che potesse essere rappresentata per mezzo di corpi modellati mediante l'arte del tornitore; nove strati sferici concentrici incastrati esattamente gli uni negli altri rappresentavano l'intera macchina celeste. Fino al tempo di Copernico il saggio di Al-Biturgi e i tentativi dei suoi imitatori contenderanno al sistema di Tolomeo il favore degli Averroisti latini e spesso giunsero pure ad ottenerlo.

MOSE' MAIMONIDE

Tra gli scritti composti in lingua araba, nel grande trattato di filosofia e teologia che l'ebreo Mosè Mamonide (Mosè ben Maimun) compose nel XII secolo, l'idea che domina tutte le discussioni astronomiche, idea nuova in seno all'aristotelismo semitico è l'idea che Tolomeo aveva indicato e che Proclo aveva sviluppato: la conoscenza delle cose celesti, della loro essenza, della loro vera natura, supera le forze dell'uomo. Le cose sublunari sono le sole accessibili alla nostra debole ragione.

In che modo si libererà il pensatore da questa perplessità? Nel modo indicato da Posidonio, Gemino, Tolomeo, Proclo e Simplicio. E' privo di senso tentare la costruzione di una fisica celeste che pretende, mediante i suoi principi, avere una conoscenza della quinta essenza.

LE INCERTEZZE DEI REALISTI

Quale dottrina astronomica conviene adottare? Bisogna fare uso del sistema di Tolomeo? Bisogna fidarsi della teoria di Al-Biturgi? La scolastica cristiana del XIII secolo è incerta tra questi due sistemi astronomici

Il minorita Bernardo di Verdun espone a fondo il dibattito tra i due sistemi astronomici, dopo di che dà la vittoria al sistema di Tolomeo. Per lui le ipotesi che sostengono questo sistema sono vere e la loro verità è dimostrata dall'accordo che, dopo così lungo tempo, si mantiene tra le conseguenze e i movimenti osservati.

E' una follia credere che il controllo dell'esperienza possa trasformare in verità di percezione immediata le ipotesi sulle quali si basa una teoria; è una follia ancora più grande che restare attaccati ad un sistema metafisico fino al punto da sostenerne le conseguenze a dispetto delle smentite dell'esperienza. Questo, tuttavia è l'eccesso al quale sembra essersi ridotto Ruggero Bacone. La sua predilezione è per l'astronomia fondata sui principi della fisica, cioè per l'astronomia di Al-Biturgi ma finisce per riconoscere che essa è incompatibile con un certo numero di fatti.

Le imprudenti certezze di Bernardo, non meno che le oscillazioni di Ruggero Bacone, dimostrano l'ignoranza nella quale questi due francescani si trovano a riguardo della vera natura delle teorie astronomiche. Il loro santo confratello, Bonaventura, sembra avere scorto una specie di riflesso della saggezza di un Simplicio. Ne fa uso contro coloro che, forti delle conferme dell'esperienza, hanno preteso trasformare il sistema di Tolomeo in una verità dimostrata. San Bonaventura non sa dove far cadere la sua scelta.

TOMMASO D'AQUINO

Tommaso d'Aquino abbozza i fondamenti filosofici di una teoria astronomica che ammette solamente delle rotazioni uniformi attorno al centro dell'universo. [teoria aristotelica] Questa teoria delle rivoluzioni celesti salva tutti i principi della metafisica peripatetica, ma possiamo dire che essa si accorda con le osservazioni astronomiche? Tommaso d'Aquino sa bene che ciò non è vero. Già Eudosso, Callippo e Aristotele sono stati obbligati a rendere estremamente complesso il sistema delle sfere omocentriche e molte delle complicazioni non trovano giustificazione nella filosofia dello Stagirita. A maggior ragione si può dire altrettanto degli eccentrici e degli epicicli immaginati da Ipparco e da Tolomeo. Tommaso adotta le idee che abbiamo sentito esprimere da Simplicio. I principi posti da s. Tommaso d'Aquino hanno permesso agli astronomi di usare senza scrupolo le ipotesi di Tolomeo, anche quando le loro opinioni metafisiche li avessero costretti a respingere queste ipotesi.

I TOLEMAICI VIENNESI

La scuola di Vienna, accettando senza discuterli principi del sistema di Tolomeo, consacrò tutti i suoi sforzi a perfezionare le teorie nei dettagli.

GLI AVERROISTI PADOVANI

Gli Averroisti della scuola di Padova, ammiratori fanatici degli insegnamenti del Commentatore, attaccavano con eccitazione le dottrine che erano state da lui combattute. Essi vogliono costruire il loro sistema su principi dimostrati mediante la fisica. Ma si sono guardati bene dall'innalzare l'edificio fino alla sommità, evitando quindi di offrire dettagli tali del loro sistema che lo si potesse ridurre in tavole e si confrontassero le indicazioni di queste tavole con i protocolli degli osservatori.

Coloro che tra essi si credevano astronomi tentavano di sostituire alla teoria dell'Almagesto una teoria esclusivamente fondata sull'impiego delle sfere omocentriche. Nicolò Cusano, che aveva studiato a Padova, fece un primo tentativo di questo genere, ma ebbe il buon senso di tenerlo segreto. Alessandro Achillini non si preoccupò di mantenere la stessa riserva.

Se gli averroisti erano vittime dell'illusione di poter dedurre una teoria astronomica da una dottrina metafisica, i fautori del sistema tolemaico credevano che l'esatta constatazione dei fenomeni potesse conferire certezza alle supposizioni destinate a rendere conto di questi fatti.

GLI UMANISTI ITALIANI

Mentre i filosofi averroisti e gli astronomi seguaci di Tolomeo si ostinavano, da versanti opposti, ad attribuire alle ipotesi astronomiche un grado di realtà inammissibile, gli umanisti e gli spiriti liberi, che sconfinavano volentieri nel platonismo, si accordavano facilmente quando discutevano la natura di queste ipotesi con l'opinione di Proclo; il loro dilettantismo e il loro scetticismo, d'altra parte, si adattavano molto bene con tale posizione. Per Giovanni Gioviano Pontano di Cerreto, nato nel 1426 e morto nel 1503, la determinazione numericamente esatta dei movimenti celesti è il vero scopo dell'astronomia; gli eccentrici, gli epicicli e le altre ipotesi dell'astronomia non sono che artifici.

NICOLO' CUSANO

Per Nicolò Cusano è impossibile che un'intelligenza finita possa acquisire alcuna verità esatta. Egli attribuisce agli astri una natura del tutto simile a quella dei quattro elementi; per lui dunque la distinzione stabilita da Proclo perde ogni senso. Purtuttavia egli continua a distinguere due fisiche, ma le oppone in maniera del tutto nuova. la prima di queste fisiche è la conoscenza delle essenze e delle cause. Essa, inaccessibile all'uomo, è la scienza di Dio. La seconda è eterogenea alla prima come il poligono è eterogeneo rispetto al cerchio. Essa ignora le vere cause e le vere essenze e, fisica delle finzioni e delle astrazioni, è la sola che sia consentita all'uomo. Cusano sposta l'opposizione che i pensatori greci avevano posto tra la fisica e l'astronomia; egli la pone tra la fisica assoluta delle essenze reali e la fisica perfettibile delle cause fittizie.

L'UNIVERSITA' DI PARIGI

Se mettiamo assieme i pensieri di Luigi Coronel con quelli di di Giovanni di Jandun e di Lefèvre d'Etaples siamo autorizzati a formulare la questa conclusione: dagli inizi del XIV secolo fino agli inizi del secolo XVI l'Università di Parigi ha offerto al riguardo del metodo della fisica, degli insegnamenti la cui correttezza e la cui profondità supereranno di gran lunga tutto ciò che si sentirà proporre al riguardo fino alla metà del XIX secolo. In particolare la Scolastica parigina ha proclamato un principio potentemente fecondo, riconoscendo che la fisica del mondo sublunare non era eterogenea rispetto alla fisica celeste. Esse seguivano ambedue lo stesso metodo perchè le ipotesi dell'una e le ipotesi dell'altra avevano come unico scopo quello di salvare i fenomeni.

Copernico e Retico

L'idea così chiara al riguardo della natura delle ipotesi fisiche, che molti avevano concepito nel Medioevo e all'inizio del Rinascimento, finisce per oscurarsi, un po' alla volta, nelle epoche successive. Essa perde posizioni proprio quando l'astronomia e la fisica faranno nuovi e rapidi progressi, il che ci fa concludere che i più grandi artisti non sono sempre coloro che teorizzano meglio la loro arte.

Il 24 maggio 1543 Copernico moriva mentre il suo immortale capolavoro, il De revolutionibus orbium celestium, veniva dato alle stampe. L'astronomo di Torun l'aveva dedicato al papa Paolo III con una lettera nella quale manifestava al Pontefice il percorso e le tendenze del suo pensiero. Copernico concepisce il problema astronomico allo stesso modo dei fisici italiani di cui è stato uditore o discepolo; esso consiste nel salvare le apparenze per mezzo di ipotesi conformi ai principi della fisica. Alla questione così posta gli Averroisti come i seguaci di Tolomeo hanno dato solo una mezza risposta; gli Averroisti hanno adottato ipotesi fisicamente accettabili ma non sono riusciti a salvare i fenomeni. I seguaci di Tolomeo hanno salvato abbastanza esattamente le apparenze, ma le loro supposizioni contraddicono la scienza della natura. Per costruire un'astronomia che sia pienamente soddisfacente bisogna edificare su ipotesi vere, che l'astronomo di Torun si è proposto di ricercare. Copernico ha provato l'ipotesi del movimento della terra a titolo di supposizione puramente fittizia ed ha constatato che essa era n grado di salvare i fenomeni. Si è accontentato forse di aver stabilito questo enunciato? Egli ha voluto provare la verità della sua ipotesi e ha creduto di esservi riuscito.

Gioacchino Retico ammette che il suo maestro, nel formulare le sue nuove ipotesi, non ha fatto solamente opera di geometra, ma anche di fisico.

Dalla prefazione di Osiander alla riforma gregoriana del calendario

Paradossalmente lo stesso libro nel quale Copernico esponeva la sua teoria astronomica diffondeva a riguardo delle ipotesi che sostengono la teoria delle idee assolutamente opposte a quelle che sembrano aver ispirato Copernico e Retico. Questo libro infatti si apriva con una prefazione anonima in cui si sostiene che nessuno deve aspettarsi dall'astronomia, a riguardo delle ipotesi, insegnamenti certi; essa non sarebbe in grado di fornirli. L'autore di questa prefazione è Andrea Osiander.

L'opinione di Osiander a riguardo delle ipotesi astronomiche in generale non era affatto isolata. Possiamo trovare l'esempio più convincente di questo stato d'animo studiando gli scritti di Erasmo Reinhold. Egli ammira la semplicità e la praticità delle costruzioni geometriche proposte dal nuovo sistema, che ritiene più atte al calcolo delle combinazioni della Sintassi matematica.

Reinhold insegnava con Filippo Melantone all'Università di Wittemberg; sotto l'influsso di questi due maestri si formarono una pleiade di discepoli che condividevano le opinioni dei loro professori sulle ipotesi astronomiche. Anche l'insegnamento di Schreckenfuchs formò a Norimberga discepoli che non attribuivano alcuna realtà alle ipotesi astronomiche e che chiedevano ad esse solamente di fornire tavole esatte. Essi sanno che da premesse false si può ottenere una conclusione vera; sanno pure che differenti cause possono produrre effetti identici.

Lo stato d'animo della maggior parte degli astronomi durante i venti o trenta anni che hanno seguito la pubblicazione del libro di Copernico ci appare in tutta chiarezza. L'opera dell'astronomo di Torun attira vivamente la loro attenzione perché essa appare loro molto adatta alla costruzione di tavole astronomiche esatte. Essi lasciano al fisico il compito di discutere se le ipotesi di Copernico sono vere, verosimili o puramente fittizie. Si comportano nel modo in cui Osiander aveva loro raccomandato di fare.

Troviamo la stessa opinione, nel medesimo periodo, anche presso i teologi. Lutero per primo aveva dichiarato guerra nel nome delle scritture alle ipotesi copernicane; il suo fedele discepolo Melantone non poteva mancare di seguirlo su questo terreno.

Non abbiamo incontrato alcun testo che ci permettesse di conoscere l'opinione dei teologi cattolici contemporanei di Melantone sulle ipotesi astronomiche; tuttavia un fatto assai significativo ci farà capire che essa in generale era assai simile al pensiero del dottore protestante. I calcoli che permisero a Gregorio XIII di completare nel 1582 la riforma del calendario furono fatti con l'aiuto delle Tabulae prutenicae; di certo nell'usare queste tavole costruite per mezzo delle teorie di Copernico il papa non intendeva assolutamente aderire anche alla ipotesi della rotazione della terra; egli guardava alle ipotesi astronomiche come ad artifici destinati unicamente a salvare i fenomeni.

Tuttavia man mano che il tempo passa si vede crescere l'ostilità dei teologi e dei filosofi nei riguardi delle ipotesi copernicane; come Melantone essi considerano queste ipotesi false in campo filosofico ed eretiche in campo teologico ma, ancora più intolleranti di Melantone, essi non tollerano più che siano usate in astronomia. E' chiaro che un mutamento d'opinione si sta preparando tra coloro che si interessano di astronomia. Ormai si esigerà che una ipotesi, prima di essere usata in astronomia, sia certa o almeno probabile. e in conformità con la natura delle cose. L'astronomia sta per essere posta sotto la dipendenza della filosofia e della teologia.

DIFFUSIONE DEL REALISMO

L'opinione che le ipotesi astronomiche siano semplici artifici, durante il mezzo secolo che va dalla riforma del calendario alla condanna di Galileo, noi la vediamo relegata nell'oblio e anche violentemente combattuta in nome di un generale realismo. Questo realismo esige che le ipotesi si accordino con le dottrine della fisica e con i testi della Scrittura.

La posizione assunta dallo scienziato gesuita Cristoforo Clavio di Bamberg può essere definita da queste proposizioni: le ipotesi astronomiche devono salvare i fenomeni il più esattamente e il più agevolmente possibile, ma ciò non è sufficiente per accoglierle; prima di accoglierle non si pretenderà che esse siano vere, ma si può esigere che esse siano probabili; affinché siano probabili bisogna che non siano incompatibili con i principi della fisica; bisogna inoltre che esse non siano in contraddizione con gli insegnamenti della Chiesa e con i testi della Sacra Scrittura. In tal modo vengono imposte a tutte le ipotesi astronomiche che vorranno entrare nella scienza due condizioni di accettabilità: non dovranno essere false in filosofia, non dovranno essere erronee nella fede, né, a maggior ragione, formaliter haereticae.

Sono gli stessi criteri ai quali nel 1633 l'Inquisizione sottoporrà le due ipotesi fondamentali del sistema di Copernico ed è perché esse appariranno ambedue falsae in philosophia ed una sembrerà ad minus, erronea in fide, che il Santo Uffizio proibirà a Galileo di sostenerle.

Tre anni prima che questi due criteri fossero indicati dal Clavio, erano formulati e applicati dal protestante Tycho Brahe, nel 1577. I principi posti da Osiander nella sua celebre prefazione sembrano a Tycho solo dei sotterfugi destinati ad evitare le censure teologiche. Le ipotesi astronomiche non devono solo salvare i fenomeni; esse devono altresì accordarsi sia con i principi della filosofia aristotelica che con i testi della Scrittura, proprio perché non esprimono delle finzioni, ma delle realtà. Le ipotesi di Copernico devono essere respinte.

Le opinioni professate da Tycho Brahe sulla natura delle ipotesi astronomiche si diffusero in Germania verso la fine del XVI secolo e nei primi anni del XVII. Gli avversari del sistema di Copernico si appoggiavano sempre più saldamente al seguente principio: le ipotesi astronomiche esprimono realtà fisiche. Sembra che questo principio avrebbe dovuto spingere i copernicani a prendere l'atteggiamento opposto. Ma essi abbracciarono il realismo. Con assai più impeto dei seguaci di Tolomeo, essi si misero ad affermare che le ipotesi astronomiche dovevano essere vere e che le supposizioni di Copernico erano solamente conformi alla realtà.

GIORDANO BRUNO

Non è solo con impeto che Giordano Bruno combatte in uno dei suoi scritti più antichi l'opinione di Osiander; egli lo attacca anche con grossolana brutalità. Malgrado il pessimo gusto dei suoi sarcasmi, Giordano Bruno ha ragione quando denuncia la contraddizione che esiste tra la prefazione di Osiander e la lettera di Copernico al papa Paolo III. Il realismo professato dal filosofo di Nola si inserisce bene nella tradizione di Copernico e di Retico.

Giovanni Keplero è senza dubbio il più deciso e il più illustre rappresentante di questa tradizione. Egli indica ai copernicani la via che saranno d'ora in avanti obbligati a seguire: come realisti essi vogliono che le loro ipotesi siano conformi alla natura delle cose; come cristiani ammettono l'autorità del testo sacro. Eccoli dunque costretti a fare i teologi. Per Keplero l'astronomia è una parte della fisica e non si deve lasciare agli astronomi la completa libertà di fingere qualsiasi cosa; bisogna cercare i fondamenti dell'astronomia in una scienza più elevata, nella fisica o nella metafisica. Non è qui il caso di dire quali strane fantasticherie Keplero designasse con questi due nomi. Esigeva inoltre che le ipotesi astronomiche non fossero contraddette dalla Scrittura. Oltre a ciò vediamo affermarsi negli scritti di Keplero una nuova ambizione: fondata su ipotesi vere, l'astronomia può contribuire con le sue conclusioni al progresso della fisica e della metafisica che le hanno fornito i principi.

GALILEO

Galileo, da principio, aveva adottato le ipotesi di Tolomeo. Quando abbracciò il sistema di Copernico lo fece con lo stesso spirito che lo aveva animato allorquando parteggiava per il sistema tolemaico; volle che le ipotesi del nuovo sistema non fossero degli artifici adatti al calcolo delle tavole, ma proposizioni conformi alla natura delle cose; volle che esse venissero stabilite con le ragioni della fisica. Si può anche dire che questa conferma delle ipotesi copernicane da parte della fisica è il centro verso il quale convergono le ricerche più disparate di Galileo; è verso questo scopo che concorrono sia le sue osservazioni di astronomo che le sue teorie meccaniche. D'altra parte, poiché voleva che i fondamenti dell'astronomia copernicana fossero delle verità e poiché non pensava minimamente che una verità potesse contraddire la Scrittura, di cui riconosceva l'ispirazione divina, fu indotto a conciliare le sue affermazioni con i testi della Bibbia; a sua volta divenne teologo.

Con la pretesa che le ipotesi esprimessero verità fisiche e dichiarando che esse non gli sembravano contraddire le sacre scritture, Galileo era pienamente, come Keplero, nella tradizione di Copernico e di Retico. Egli si trovò in contrasto con quelli che rappresentavano la tradizione del protestante Tycho Brahe e del gesuita Cristoforo Clavio. Ciò che questi avevano detto intorno al 1582, i teologi del Santo Uffizio lo proclamarono solennemente nel 1616. Essi si impadronirono di queste due ipotesi fondamentali del sistema copernicano: A. sol est centrum mundi et omnino immobilis motu locali; B. terra non est centrum mundi nec immobilis, sed secundum se totam movetur, etiam moto diurno. Si chiesero se queste proposizioni erano contraddistinte dai due caratteri che, di comune accordo, i coperncani e i seguaci di Tolomeo, richiedevano ad ogni ipotesi astronomica accettabile: queste proposizioni erano compatibili con la sana fisica? erano conciliabili con la Scrittura? Le due ipotesi incriminate erano stultae et absurdae in philosophia. Quanto alla Scrittura, i consiglieri del Santo Uffizio si rifiutavano di accogliere qualsiasi interpretazione che non fosse sostenuta dall'autorità dei Padri; la risposta anche alla seconda domanda era quindi inevitabile: la prima proposizione era formaliter haeretica, la seconda era ad minus in fide erronea. In tal modo il Santo Uffizio proibiva a Galileo di insegnare in alcun modo la dottrina di Copernico.

La condanna inflitta era la conseguenza dello scontro tra due realismi. Questo urto violento avrebbe potuto essere evitato se si fosse dato ascolto ai saggi precetti riguardanti la natura delle teorie scientifiche.

BELLARMINO E URBANO VIII

Si ebbero tuttavia delle voci autorevoli per far capire nuovamente i precetti formulati da Posidonio, da Tolomeo, da Proclo, da Simplicio. Una di queste voci fu quella del cardinale Bellarmino, proprio colui che nel 1616 avrebbe esaminato gli scritti copernicani di Galileo e di Foscarini.

Galileo ha quasi la stessa opinione sul valore del metodo sperimentale e sul modo di usarlo di Francesco Bacone; immagina la prova di un'ipotesi analogamente alla dimostrazione per assurdo usata in geometria; l'esperienza, confutando come errato un sistema, conferisce certezza al sistema opposto. La scienza positiva progredisce mediante un sistema di dilemmi ciascuno dei quali è risolto con l'aiuto di un experimentum crucis.

Anche al tempo di Galileo tutte le osservazioni che si potevano invocare in favore del sistema di Copernico non erano forse salvabili altrettanto bene dal sistema di Tycho Brahe?

Gli avvertimenti così ragionevoli e così prudenti di Bellarmino e di Urbano VIII riuscirono a convincere Galileo e a distoglierlo dalla sua fiducia esagerata sull'importanza del metodo sperimentale? Sembra lecito dubitarne.

Urbano VIII la prese male e in risposta al realismo impenitente di Galileo diede libero corso al realismo intransigente degli aristotelici del Santo Uffizio. La condanna del 1633 venne a confermare la sentenza del 1616.

CONCLUSIONE

La logica era dalla parte di Osiander, Bellarmino e Urbano VIII e non dalla parte di Keplero e di Galileo. I primi avevano compreso l'esatto valore del metodo sperimentale; questi ultimi in proposito si erano ingannati.

Con buona pace di Keplero e di Galileo noi oggi crediamo, con Osiander e Bellarmino, che le ipotesi della fisica non sono che artifici matematici destinati a salvare i fenomeni; ma grazie a Keplero e Galileo domandiamo ad esse di salvare contemporaneamente tutti i fenomeni dell'universo inanimato.

 


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