SETTE SAPIENTI

A cura di Diego Fusaro

 

 

Dei cosiddetti “Sette Sapienti” – tra cui viene annoverato lo stesso Talete di Mileto – è possibile dire ben poco di storicamente fondato. Delle sentenze che vengono loro attribuite alcune sono certamente spurie e, come se non bastasse, è arduo stabilire con esattezza quali delle autentiche appartengano all’uno e quali all’altro. Ad ogni modo, i “Sette Sapienti” rappresentano il momento dell’affiorare in primo piano dell’interesse morale prima del sorgere della filosofia morale. Nel suo scritto intitolato Protagora (343 A), Platone fornisce questo elenco:

 

“Tra gli antichi vi furono Talete di Mileto, Pittaco di Mitilene, Biante di Priene, il nostro Solone, Cleobulo di Lindo, Misone di Chene e settimo tra costoro si annoverava Chilone di Sparta: tutti quanti furono ammiratori, appassionati amanti e discepoli dell’educazione spirituale spartana. E che la loro sapienza fosse di tale natura lo si può capire considerando quelle sentenze concise e memorabili, che furono pronunciate da ciascuno, e che, radunatisi insieme, essi offrirono come primizie di sapienza ad Apollo, nel tempio di Delfi, facendo scolpire quelle sentenze che tutti celebrano: Conosci te stesso (Gnoti sautòn) e Nulla di troppo (Medèn agàn). Ma a che scopo io dico questo? Perché il metodo di filosofare degli antichi consisteva appunto in una concisione spartana. E, in particolare, di Pittaco era famoso questo motto, molto lodato dai sapienti: Difficile è l’essere buoni (Calepòn esthlòn èmmenai)”.

 

Lo stesso Platone scrive significativamente nella sua opera Carmide (164 D):

 

“Infatti io dico che la temperanza è proprio questo: ‘conoscere se stessi’, d’accordo in tale definizione con l’autore dell’iscrizione votiva di Delfi; [...] Infatti ‘Conosci te stesso’ e ‘Sii temperante’ sono la stessa cosa, come recita la scritta e come anch’io affermo, ma qualcuno potrebbe credere che abbiano un diverso significato, come mi sembra che sia capitato a quelli che, in seguito, consacrarono delle scritte del tipo ‘Niente di troppo’ e ‘Garanzia porta disgrazia’. Costoro, infatti, credettero che ‘Conosci te stesso’ fosse un consiglio pratico, non un saluto del dio a quanti entravano e così, per non essere da meno nel proporre suggerimenti, fecero porre queste iscrizioni”.

 

Sulle orme di Demetrio Falereo, Stobeo (Anthol., I, 172), anziché Misone, menziona Periandro, e ci dona la più ricca raccolta delle sentenze attribuite a questi sapienti. Dal momento che esse presentano il sunto della saggezza morale dei Greci prima del nascere della filosofia morale, è bene leggerle per intero.

 

 

Sentenze attribuite a Cleobulo

 

Cleobulo figlio di Evagora, di Lindo, disse:

1. La misura è la cosa migliore.

2. Si deve rispettare il proprio padre.

3. Bisogna stare bene nel corpo e nell’anima.

4. Bisogna essere desiderosi di ascoltare, e non chiacchieroni.

5. Avere molte e svariate conoscenze è come (o: è sempre meglio che) essere ignorante.

6. Mantenere la lingua pura da empietà.

7. Bisogna essere familiare della virtù, estraneo alla malvagità.

8. Odiare l’ingiustizia, custodire la pietà.

9. Consigliare le decisioni migliori ai concittadini.

10. Mantenere il controllo sul piacere.

11. Non fare nulla con la violenza.

12. Educare i figli.

13. Pregare la fortuna.

14. Risolvere le inimicizie.

15. Considerare un nemico di guerra il nemico del popolo.

16. Non litigare con la moglie e non manifestare troppo affetto verso di lei in presenza di estranei; infatti, il primo atteggiamento può comportare stoltezza, il secondo follia.

17. Non punire i servi sotto l’effetto del vino: altrimenti, sembrerai comportarti in modo sconveniente a causa dell’ubriachezza.

18. Sposarsi con una donna proveniente da una famiglia di pari condizioni: infatti, se ne sposerai una proveniente da una famiglia di condizioni superiori, acquisirai dei padroni, non dei parenti.

19. Non ridere alle battute di chi prende in giro la gente; risulterai antipatico, infatti, a coloro che vengono presi in giro.

20. Quando va bene, non essere superbo; quando va male, non avvilirsi.

 

 

Sentenze attribuite a Solone

 

Solone, figlio di Essecestide, ateniese, disse:

1. Nulla di troppo.

2. Non sedere come giudice, altrimenti risulterai nemico dell’accusato.

3. Fuggi il piacere che produce dolore.

4. Mantieni la virtù della condotta, più affidabile di un giuramento.

5. Poni il sigillo ai discorsi con il silenzio, e al silenzio con il momento opportuno.

6. Non mentire, bensì di’ la verità.

7. Curati delle cose oneste.

8. Non dire cose più giuste dei genitori.

9. Non acquisire amici in fretta, e quelli che hai eventualmente acquisito, non lasciarli in fretta.

10. Apprendendo a essere comandato, imparerai a comandare.

11. Se consideri giusto che gli altri rendano conto del loro operato, assoggéttati anche tu al rendiconto.

12. Consiglia ai concittadini non le cose più piacevoli, ma le migliori.

13. Non insuperbire.

14. Non metterti in compagnia di viziosi.

15. Mantieni relazioni con gli dèi.

16. Venera gli amici.

17. Non dire quello che non sai.

18. Se sai, sta’ zitto.

19. Sii mite con i tuoi.

20. Fornisci indizî evidenti per le cose invisibili.

 

Sentenze attribuite a Chilone

 

Chilone, figlio di Damageta, spartano, disse:

1. Conosci te stesso.

2. Mentre bevi, non fare molte chiacchiere: sbaglieresti.

3. Non minacciare le persone libere: non è giusto.

4. Non parlare male del tuo prossimo: altrimenti, sul tuo conto sentirai dire cose di cui dovrai addolorarti.

5. Récati lentamente ai banchetti degli amici; va’ invece incontro velocemente alle loro sventure.

6. Celebra nozze alla buona.

7. Dichiara beato solo chi è morto.

8. Onora chi è più anziano.

9. Odia chi si immischia in quello che non lo riguarda.

10. Scegli una perdita, piuttosto che un guadagno turpe: la prima, infatti, addolorerà una sola volta; l’altro, sempre.

11. Non ridere di chi è sfortunato.

12. Anche se sei impulsivo, cerca di comportarti in modo tranquillo, perché la gente di te abbia rispetto, piuttosto che paura.

13. Sovrintendi alla tua propria casa.

14. La tua lingua non corra avanti rispetto al pensiero.

15. Cerca di contenere l’ira.

16. Non desiderare cose impossibili.

17. Per strada, non affrettarti ad andare avanti.

18. E non gesticolare: denota follia.

19. Obbedisci alle leggi.

20. Se subisci un’ingiustizia, fa’ pace; se subisci un oltraggio, véndicati.

 

 

Sentenze attribuite a Talete:

 

Talete, figlio di Essamia, di Mileto, disse:

1. Dai garanzia, e appresso c’è sventura.

2. Ricòrdati degli amici, presenti e assenti.

3. Non adornare il tuo aspetto esteriore, ma sii bello negli atti.

4. Non arricchirti malamente.

5. Non ti comprometta il tuo discorso nei confronti di quanti ripongono in te la loro fiducia.

6. Non esitare ad adulare i genitori.

7. Non prendere dal padre quello che è vizioso.

8. Quali servigi tu abbia reso ai genitori, tali aspettati di ricevere a tua volta, in vecchiaia, dai figli.

9. È difficile conoscere se stesso.

10. Piacevole in massimo grado è ottenere quello che desideri.

11. La pigrizia è una sciagura.

12. L’intemperanza è una cosa dannosa.

13. Cosa molesta è l’ignoranza.

14. Cerca di imparare e di apprendere il meglio.

15. Non essere pigro, neppure se sei ricco.

16. I mali, nascondili in casa.

17. Fatti invidiare, piuttosto che commiserare.

18. Avvàliti della misura.

19. Non credere a tutti.

20. Incominciando, adorna te stesso.

 

 

Sentenze attribuite a Pittaco

 

Pittaco, figlio di Irra, di Lesbo, dice:

1. Riconosci il momento opportuno.

2. Non dire quello che hai intenzione di fare: se non avrai fortuna, sarai deriso.

3. Avvàliti di ciò che è conveniente.

4. Tutto quello che disapprovi nel tuo prossimo, non farlo tu stesso.

5. Non biasimare un indolente: su gente simile incombe già la vendetta degli dèi.

6. Rendi i depositi.

7. Sopporta, se sei danneggiato dal prossimo in piccola misura.

8. Non dire male dell’amico, e nemmeno bene del nemico: poiché un simile comportamento è illogico.

9. È tremendo conoscere il futuro, sicuro conoscere il passato.

10. La terra è una cosa affidabile, il mare è una cosa infida.

11. Insaziabile è il guadagno.

12. Impadronirsi delle cose proprie.

13. Coltiva la pietà, l’educazione, la temperanza, la saggezza, la verità, la fiducia, l’esperienza, la destrezza, l’amicizia, la sollecitudine, la gestione della casa, l’arte.

 

 

Sentenze attribuite a Biante

 

Biante, figlio di Teutamo, di Priene, disse:

1. La grande maggioranza degli uomini è cattiva.

2. Guardandoti allo specchio – disse –, se appari bello, devi fare cose belle; se appari brutto, devi correggere con la virtù le mancanze della natura.

3. Accìngiti con lentezza a fare qualcosa; ma, in quello che tu abbia incominciato, persévera con costanza.

4. Odia il parlare senza ponderazione, per non sbagliare; segue, infatti, il pentimento.

5. Non essere né sempliciotto, né di cattivi costumi.

6. Non accogliere la stoltezza.

7. Ama la saggezza.

8. Riguardo agli dèi, afferma che esistono.

9. Rifletti sul tuo operato.

10. Ascolta molto.

11. Cerca di parlare a proposito.

12. Se sei povero, non criticare i ricchi, a meno che tu non ne ricavi un grande giovamento.

13. Non elogiare per la sua ricchezza un uomo indegno.

14. Cerca di ottenere in forza della persuasione e non della violenza.

15. Tutto ciò che tu faccia di bello, attribuiscilo agli dèi, non a te stesso.

16. Nella giovinezza, acquisire prosperità; nella vecchiaia, invece, sapienza.

17. Avrai memoria grazie all’esercizio, circospezione grazie al riconoscimento di quanto è opportuno, nobiltà grazie ai modi, temperanza grazie alla fatica, pietà grazie al timore, amicizia grazie alla ricchezza, persuasione grazie al ragionamento, decoro grazie al silenzio, giustizia grazie all’assennatezza, valore grazie al coraggio, potenza grazie all’azione, supremazia grazie alla fama.

 

 

Sentenze attribuite a Periandro

 

Periandro, figlio di Cipselo, di Corinto, disse:

1. Abbi cura di tutto.

2. La tranquillità è una cosa bella.

3. La temerarietà è una cosa pericolosa.

4. Il guadagno è una cosa turpe.

5. * un’accusa della natura.

6. La democrazia è una cosa migliore della tirannide.

7. I piaceri sono mortali; la virtù, immortale.

8. Quando hai fortuna, sii moderato; quando invece hai sfortuna, sii saggio.

9. È meglio morire rispettato, piuttosto che rimanere vivo trovandosi nel bisogno.

10. Renditi degno dei genitori.

11. Cerca di essere lodato da vivo e considerato beato una volta morto.

12. Compòrtati allo stesso modo con gli amici fortunati e sfortunati.

13. Ciò su cui tu sia risultato d’accordo, osservalo; è cosa malvagia, infatti, il trasgredire.

14. Non rivelare discorsi segreti.

15. Rimprovera in maniera tale da risultare ben presto un amico.

16. Quanto alle leggi, attiéniti a quelle antiche; quanto ai cibi, invece, consuma quelli freschi.

17. Non limitarti a castigare quelli che hanno commesso una colpa, ma cerca anche di impedire quelli che stanno per commetterne una.

18. Se sei sfortunato, cerca di nasconderlo, per non fare rallegrare i nemici.

 

 

Come siamo venuti dicendo in precedenza, queste sentenze sono fondamentali per adombrare i caratteri e i limiti della “riflessione morale” nel suo stadio – se così si può dire – prefilosofico.  Esse sono il prodotto di una lunga e travagliata esperienza, ma sono slegate le une rispetto alle altre, non sono sorrette da un “principio” unificatore, non sono motivate con argomentazioni, e quindi non sono giustificate; stanno quindi al di qua della filosofia, la cui essenza sta – in ultima istanza – nel “rendere ragione” (logon didonai) di ogni cosa, senza lasciare alcunché di immotivato. Il fatto che Talete di Mileto sia annoverato fra i “Sette Sapienti” è, sotto questo profilo, particolarmente interessante. Egli ha fondato la filosofia come indagine fisica e cosmologica (ravvisando nell’acqua l’arché dell’intera realtà), ma non la “filosofia morale”. Del resto, non solo Talete, ma tutti i filosofi “presocratici” come moralisti non andarono oltre il piano della “sentenza” intuitivamente colta: e ciò è dovuto al fatto che essi indagarono il “principio del cosmo”, ma non la “natura dell’uomo in quanto uomo”. Perché potesse sorgere la “filosofia morale” occorreva che l’uomo come tale diventasse oggetto di riflessione della filosofia. Era cioè necessario che venissero determinati l’essenza e il significato dell’uomo in quanto uomo. Cosa che, evidentemente, non accadde con i “Sette Sapienti”. Era altresì necessario che dall’essenza dell’uomo in quanto tale si ricavasse  il concetto di “virtù” (areté). A ciò si addivenne tramite un percorso che, avviato dai Sofisti (i primi a spostare il baricentro dell’indagine filosofico dal cosmo all’uomo, dal cielo alla terra), giunse a compimento con Socrate.

 


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