JACQUES DERRIDA



" Ora, se c’è uno spirito del marxismo cui non vorrei mai rinunciare, non è solamente l’idea critica o l’atteggiamento questionante […]. È piuttosto una certa affermazione emancipatrice e messianica, una certa esperienza della promessa che si può tentare di liberare da ogni dogmatica e persino da ogni determinazione metafisico-religiosa, da ogni messianismo " (Spettri di Marx, pp. 115-116)



SPETTRI DI MARX

Spettri di Marx viene pubblicato da Jacques Derrida nel 1993 al centro dello scritto, che nasce come rielaborazione di una conferenza, troviamo l’idea del “comunismo postmoderno”, in riferimento al tema della “decostruzione”. Cerchiamo dapprima di sintetizzare il contenuto del libro per poi analizzarne alcuni punti teoreticamente fondamentali. Gli “spettri di Marx” a cui allude il titolo devono essere intesi in un doppio senso: da un lato, Marx come spettro; dall’altro, nel senso di spettri che ossessionavano Marx quand’era ancora in vita. L’idea di Derrida è che, per tutta la sua vita, Marx fu un ghostbuster impegnatissimo a dar la caccia a fantasmi: ne affiora allora l’immagine di un fantasma ossessionante e, al tempo stesso, ossessionato dai fantasmi. Il tema affiora bene nella convinzione marxiana secondo cui la realtà in cui viviamo è una realtà spettrale, per capire la quale occorre non già una ontologie, bensì una hantologie, vale a dire una messa al bando del fantasma. Si tratta di una realtà spettrale nel senso che il modo capitalistico di produzione è un mondo di automi senza soggetti, un mondo nel quale i morti (le merci) dominano sui vivi (gli uomini), i tavoli ballano, il capitale assume la forma di un vampiro che succhia il sangue ai lavoratori e il mondo stesso è fantasmaticamente capovolto. Ma – come nota acutamente Derrida – se ci si lascia prendere dalla foga del dare la caccia al fantasma, si finisce fatalmente per essere dominati da esso: in altri termini, se credi che coi fantasmi la si possa facilmente fare finita, ben presto ti ritrovi ad essere loro vittima. E Marx, soprattutto dopo il crollo del Muro di Berlino, è un fantasma che ci ossessiona: tutti – dal premier Berlusconi al papa – ne parlano come di uno spettro ossessionante. Questa, secondo Derrida, coincide con quella che Sigmund Freud chiamava la “fase giubilatoria della rielaborazione del lutto” e si configura, a ben vedere, come una forma di esorcismo. Detto altrimenti, chi annuncia a gran voce la morte di Marx, lo fa perché ossessionato dal suo spettro. Certo, un capitalismo che fosse forte, non avrebbe bisogno di fare ricorso a questo scongiuro. Anche in Derrida sembra tornare il fastidioso luogo comune dell’eccezionalità di Marx, come se non si trattasse di un cadavere (o di uno spettro) tra gli altri: e l’ossessione per il suo spettro è il sintomo di un capitalismo fragile. Il pensatore algerino insiste molto sul fatto che Marx rappresenti una delle più grandi ferite che l’umanità abbia ricevuto, alludendo al nesso tra marxismo e totalitarismo. Lo stalinismo sarebbe nato dalla paura dello spettro di Marx e, a sua volta, il nazismo avrebbe preso le mosse dalla paura di Stalin (lettura che non deve comunque essere accostata a quella proposta da Nolte, avverte Derrida). La grande falla del pensiero marxiano, dal punto di vista di Derrida, può così essere sintetizzata: Marx pensa la cosa giusta dal punto di vista sbagliato; pensa bene quando rileva che il mondo capitalistico è rovesciato, spettrale, abitato da cose vive e da uomini morti; ma Marx sbaglia, nella misura in cui – come vedremo tra poco – s’illude che esistano zone franche da fantasmi. Molto acutamente, Derrida fa notare che il grande spettro filosofico che ossessionava Marx era Max Stirner, contro il quale scrive ben tre quarti de L’ideologia tedesca (cosa che ben pochi interpreti mettono in risalto). Contro Stirner, che riconduce la realtà al singolo, Marx la riporta al genere umano: in comune, i due pensatori hanno il loro essere grandi esperti di spettri e nemici di essi, in nome della vita contro la morte, dell’essere umano contro il fantasma. Tutta la loro critica si risolve in esorcismo: essi credono di disincantare, ma in realtà riproducono lo spettro a intensità maggiore; e questo alla luce del fatto che essi sono convinti che il vero problema sia il fantasma e che esista un ambito di fenomeni non contaminato da esso (l’unico di Stirner, il genere umano di Marx). In particolare, nella prospettiva marxiana, non appena si va in avanti (società comunista) o indietro (società precapitalistiche), ecco che scompaiono i fantasmi (feticismo della merce, opacità della società, ecc.). Al contrario, Derrida è convinto che sia impossibile una zona libera da fantasmi: l’alone spettrale resta sempre e comunque. Ma, da pensatore postmtafisico e non arrogante, Derrida continua a criticare la società così com’è e lo fa in nome di Marx e del messianesimo. Derrida insiste poi su un tema a lui assai caro: quello dell’ospitalità. A ben vedere, la paura del fantasma è paura dell’altro; e un pensiero che, come quello marxiano, mira soltanto a fare la pelle ai fantasmi, porta in sé i germi del totalitarismo e vede la diversità e l’altro come spettri. La prospettiva di Derrida è tanto più lucida se si considera la sua straordinaria capacità di anticipare lo “spirito del tempo”: è infatti assolutamente vero che, dopol’89, Marx esiste soltanto come spettro, tanto presso i nemici dichiarati del marxismo quanto presso i suoi presunti amici (i partiti che a lui più o meno si richiamano). È bene soffermare l’attenzione su quattro dicotomie centrali per comprendere il discorso di Derrida:

 

1)    spirito – fantasma

 

2)    fine della storia – messianesimo

 

3)    diritto – giustizia

 

4)    vita – morte

 

 

Noi analizzeremo soprattutto la prima. Nella conferenza Dello spirito, egli aveva commentato alcuni luoghi in cui Martin Heidegger parlava di “spirito” (Geist) e ne aveva tratto la conclusione che il terreno su cui era potuto nascere il nazismo era la cultura, anche alla luce del fatto che le affermazioni più compromettenti e filo-naziste Heidegger le fa quando parla dello spirito. Ma che cos’ha di cattivo lo spirito? Il fatto di pretendersi sempre buono, cancellando le differenze; al contrario, il fantasma è sempre inteso come cattivo (solo Shakespeare sembra vederlo come positivo),ma in realtà è buono. Memore del suo passato di fenomenologo, Derrida cerca di unire il marxismo alla fenomenologia husserliana (operazione in cui si era già cimentato il filosofo vietnamita, Tran Duc Thao, scomparso enigmaticamente) e lo fa appellandosi al “segno”, come a dire che per fare la “riduzione eidetica” è pur sempre necessaria un po’ di materia. E se lo spirito è mero spirito, il fantasma ha sempre un po’ di materia (i fantasmi vengono immancabilmente raffigurati con le catene addosso), non è ubiquo (di solito vive in un castello): detto altrimenti, il fantasma è la versione materialistica dello spirito. Si pensi a quando Cristo resuscitato deve convincere i suoi discepoli di non essere un fantasma. Per quel che concerne la dicotomia fine della storia – messianesimo, Derrida si misura con la posizione di Fukuyama, che, com’è noto, sostiene che la storia è ormai finita: ma parlare di “storia finita” è, per Derrida, contraddittorio quanto parlare di “puro spirito”; infatti, anche se fosse finita, la storia ricomincerebbe, giacché ad ogni istante ne segue un altro. Proprio perché si aspetta sempre l’arrivo di qualche cosa, la storia va avanti, come già notava Husserl. La fine della storia, allora, non può coincidere con la fine del marxismo. Per quel che riguarda la dicotomia diritto – giustizia, Derrida preferisce curiosamente la giustizia, benché ci si sarebbe potuti aspettare che optasse per il diritto (che ha a che fare con la scrittura). La quarta dicotomia (vita – morte) rimanda al fatto che il vivere sia un sopravvivere e, in quanto tale, abbia un che di spettrale.

 

[ Questo estratto nasce da una mia rielaborazione della conferenza “Derrida interprete di Marx”, tenuta dal prof. Gaetano Chiurazzi, dal prof. Enrico Donaggio e dal prof. Maurizio Ferraris nel marzo del 2006 presso l’Università di Torino. Naturalmente eventuali errori e imprecisioni sono da attribuire al sottoscritto.   ]                     



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