PETER FREDERICK STRAWSON

 

A cura di Marcello di Bello

 




STRAWSON


 

 

Biografia intellettuale

 

I primi anni di studio e la guerra

 

Peter Frederick Strawson nacque ad Ealing, un sobborgo di Londra, nel 1919, da una famiglia di insegnanti. Le materie predilette durante i suoi studi superori furono inglese, francese, latino e storia. In particolare, il suo insegnante di inglese, J. H. Taylor, gli comunicò una devozione per la poesia e la prosa. All’età di 17 anni, grazie ad una borsa di studio, entrò al John College di Oxford, per seguire corsi di argomento storico e letterario.

 

All’ultimo momento, però, cambiò idea, e preferì dedicarsi alla politica, all’economia e alla filosofia. Le ragioni di questa improvvisa decisione furono molteplici. Strawson sentiva minacciato il futuro della civiltà europea, e scegliere di studiare economia e politica gli sembrò utile per chiarirsi le idee. Nello stesso tempo iniziava a farsi strada in lui una “spinta” alla filosofia, maturata con la lettura di Du Contract Social (1762) di J. J. Rousseau.

 

Durante gli anni universitari, la sua passione per le lettere non venne però meno: lesse molta poesia moderna e contemporanea, in particolare T. S. Eliot, e contribuì con alcuni suoi componimenti ad una antologia di giovani poeti, pubblicata nel 1930, col titolo The Thresold, “La soglia”. Dopo il primo semestre universitario dovette convincersi che l’economia non lo interessava, la politica solo nella sua parte storica, e che invece la filosofia gli era davvero congeniale.

 

In particolare, nei tre anni come undergraduate student, scelse di dedicarsi alla logica, che allora comprendeva la filosofia del linguaggio, l’epistemologia e la metafisica, e alla filosofia di Kant. Suoi tutor furono il cortese J. D. Mabbott e H. P. Grice, che Strawson definì “uno dei più intelligenti e dotati pensatori dei nostri tempi” (“Intellectual Autobiography”, in The Philosophy of P. F. Strawson, a cura di L. E. Hahn, Open Court, 1998, p. 5). Rispetto all’attività di tutoraggio, Strawson mantenne sempre un giudizio altamente positivo durante tutta la sua vita: “penso¾egli scrive¾che non ci sia metodo migliore e mutuamente vantaggioso per imparare la filosofia che lo scambio faccia-a-faccia nell’attività di tutoraggio” (ibi, pp. 7-8).

 

Al termine dei tre undergraduate years, Strawson conosceva già il suo desiderio più grande: insegnare filosofia all’università. Purtroppo, il risultato dell’esame finale non fu lusinghiero, con grande meraviglia dei suoi tutor. Così lasciò l’università: era l’estate del 1940, in piena seconda guerra mondiale. Strawson fu chiamato nell’esercito e mandato nel Sussex per alcuni corsi di preparazione. Nel 1942 entrò nel Royal Electrical and Mechanical Engineers. Come militare non fu particolarmente brillante, ma raggiunse il grado di capitano: quel che preferiva fare era difendere e alleggerire le pene che la corte marziale intendeva infliggere ai soldati. Nel 1945 fu mandato in Italia e poi in Austria, e nello stesso anno chiese alla sua fidanzata, Grace Hall Martin, di sposarlo: “probabilmente l’azione più giudiziosa della mia vita”, commentò molti anni dopo (ibi, p. 5).

 

I primi anni dell’insegnamento: logica e linguaggio

 

Nel 1946, di nuovo libero dagli obblighi militari, poté tornare alla carriera accademica. Non fu tuttavia possibile ritornare ad Oxford per proseguire gli studi, come avrebbe voluto. Allora, su consiglio del suo precedente tutor, John Mabbott, Strawson fece domanda per un posto di Assistant Lecturer in Philosophy all’University College of  N. Wales. La sua domanda venne accolta ed ottenne il posto. Dovette preparare le sue prime lezioni, per le quali lesse freneticamente Russell, Moore, Ramsey, C. I. Lewis, Kant e Leibniz. Inoltre, in quell’anno scrisse i suoi due primi paper. Il primo tentava di risolvere i paradossi dell’implicazione, ed apparse in seguito su Mind (1948) col titolo “Necessary Propositions and Entailment Statements”. Il secondo era un attacco all’intuizionismo etico, ed apparse in seguito su Philosophy (1949) col titolo “Ethical Intuitionism”.

 

Al 1949 risale un altro importante articolo, “Truth”, in cui Strawson pretende di fornire una nuova definizione di verità, di tipo pragmatico e performativo. A questo articolo ne seguiranno molti altri, come “Truth: a Reconsideration of Austins’s View” (1965), fino a confluire tutti nel volume Logico-Linguistic Paperes (1971).

 

L’anno successivo fece domanda per la Jonh Locke Sholarship e risultò vincitore. L’articolo che scrisse impressionò la giuria, composta, tra gli altri, da Gilbert Ryle, il quale lo raccomandò come tutor presso i College di Oxford. Fu così che nel 1947, all’età di 28 anni, Strawson fece ritorno ad Oxford con la carica di College Lecturer.

 

Nei primi anni di insegnamento oxoniense, Strawson si concentrò sui temi della filosofia della logica e del linguaggio: in particolare, lo interessavano i problemi sollevati dal riferimento singolare, dalla predicazione e dai loro oggetti. Nel 1948 tenne un corso dal titolo “Names and Description”, nel quale i lavori di Russell, Moore, Kneale, e di pochi altri, venivano discussi e criticati. Su invito di Gilbert Ryle, raccolse le sue idee in un celeberrimo articolo, “On Referring”, subito apparso su Mind (1950). L’obbiettivo polemico dell’articolo era la teoria delle descrizioni definite di Russell, esposta in “On Denoting” (Mind, 1908): l’errore di Russell consisterebbe nel trascurare gli aspetti pragmatico, contestuale e comunicativo, coinvolti nell’uso di espressioni con riferimento singolare.

 

Nel frattempo, Strawson venne invitato a tenere lezioni di logica per undergraduate students. Su questi temi uscirà, nel 1952, il volume Introduction to Logical Theory, accolto con una lunga recensione su Mind a firma di W. O. Quine. L’intento del libro era duplice: primo, fornire una introduzione elementare alla logica formale; secondo, mostrare che la moderna logica formale non è uno strumento completo per la spiegazione dell’uso del linguaggio.

 

Nasce l’interesse per la metafisica: la pubblicazione di Individuals

 

Subito dopo questa pubblicazione, l’interesse del pensiero di Strawson prese una nuova direzione: da logico-linguistico divenne metafisico, vale a dire passò dal ‘riferimento’ al ‘riferito’. Nelle sue lezioni, Strawson iniziò a leggere l’operazione del riferimento in chiave metafisica e ontologica. Questo nuovo interesse porterà alla pubblicazione di Individuals (1959), un’opera dalla genesi spezzata e complessa, che non è qui possibile ricostruire.

 

Negli anni ’50 Strawson si recò per la prima volta negli Stati Uniti, alla Duke University in North Carolina e in altre università americane. Negli stessi anni, partecipò ad una assemblea di filosofi francesi ed anglofoni il cui intento era di far incontrare studiosi di orientamento analitico e continentale. A questo periodo risalgono alcuni paper che conviene ricordare: “Analysis, Science and Metaphysics” (poi pubblicato nel 1967), “Carnap’s View on Constructed Systems versus Natural Languages in Analytical Philosophy” (poi pubblicato nel 1963) e “Propositions, Concepts and Logical Truth” (1957).

 

A questi anni di intesa attività accademica e ricchi di numerosi contatti, risale la stesura di Individuals, che si divide in due parti. Nella prima, si mostra che la condizione di possibilità del riferimento è l’esistenza di particolari di base, collocati spazio-temporalmente e detti sostanze. Questi particolari sono distinti in corpi materiali e persone. Nella stessa parte sono analizzate alcune ipotesi filosofiche, come l’esistenza di un mondo puramente uditivo, il solipsismo cartesiano e l’ontologia leibniziana delle monadi, per concludere con la loro generale insensatezza e impossibilità.

 

Nella seconda parte, invece, è dimostrato il nesso tra la nozione di oggetto di riferimento o soggetto logico (lato linguistico-referenziale) e quella di particolare in generale (lato ontologico). Più precisamente, è analizzata, da una parte, la distinzione grammaticale soggetto e predicato¾distinzione che ha come corrispettivo, nella teoria del riferimento, l’atto del riferire e quello del predicare¾e, dall’altra, la distinzione ontologica tra particolare e universale. I particolari non possono essere predicati, mentre gli universali possono essere sia termini di predicazione sia oggetti di riferimento: se si accetta l’assunto per cui essere un oggetto di riferimento implica essere un’entità, allora sarebbe auspicabile abbandonare qualsiasi ansia nominalistica ed accogliere gli universali nell’ontologia.

 

Inoltre, in Individuals venne introdotta la celebre distinzione tra metafisica descrittiva e correttiva. La prima si occupa di “descrivere l’effettiva struttura del nostro pensare sul mondo” (Individuals, Introduction); la seconda “di produrre una struttura migliore” (ibidem). Il sottotitolo dell’opera dichiara l’orientamento della trattazione di Strawson (An Essay in Descriptive Metaphysics), che si ispira esplicitamente ad Aristotele e Kant, in opposizione ai metafisici correttivi, quali Descartes, Leibniz e Berkeley.

 

Quando Individuals venne pubblicato, nel 1959, A. J. Ayer successe ad Austin sulla cattedra di Logica ad Oxford, posto per il quale si era candidato anche Strawson, che non se la prese troppo per l’esclusione, anzi preferì continuare più liberamente il suo lavoro di tutor e di undergraduate teacher.

 

Gli anni ’60: la cattedra di Metafisica

 

Gli anni ’60 furono ricchi di svolte e novità. Nel 1960 Strawson, appena eletto membro nella British Academy, presentò un paper dal titolo “Freedom and Resentment” (1960), che rappresenta la sua prima incursione in temi di filosofia morale. Nel 1961 venne invitato all’università di Princeton dove tenne lezioni sulla filosofia della logica e del linguaggio, il riferimento e la predicazione, le forme e le costanti logiche; le sue lezioni vennero seguite da personalità di primo piano come Hempel, Benacerraf e Vlastos.

 

Negli anni immediatamente successivi, accanto alle lezioni di filosofia del linguaggio e di metafisica, Strawson iniziò ad occuparsi della Kritik der Reinen Vernuft di Immanuel Kant. Queste lezioni sulla prima critica kantiana confluiranno nel volume The Bounds of Sense (1966). L’interesse di Strawson per Kant da allora non si è mai spento. Basti ricordare alcuni articoli apparsi negli anni successivi: “Kant’s new Foundation of Metaphysics” (1988), “Sensibility, Understanding and the Doctrine of Synthesis” (1989) e “The Problem of Realism and the A Priori in Kant” (1994).

 

Finalmente, nel 1968, Strawson successe a Ryle sulla cattedra di Metafisica ad Oxford. Il nuovo impegno accademico lo obbligò a pensare un corso di lezioni che illustrasse la sua visione complessiva della filosofia. Nacque allora una serie di lezioni, “Analysis and Metaphysics: an Introduction to Philosophy”, che Strawson userà, con qualche aggiunta e variazione, dal 1968 al 1987, anno del suo ritiro dall’insegnamento per limiti di età. Queste lezioni faranno il giro del mondo: nel 1985 Strawson le proporrà al College de France; l’estate dello stesso anno a Monaco; nel 1987 alla Catholic University of America; infine, nel 1988, alla Sino-British Summer School in Philosophy presso Beijing. Il testo sarà pubblicato prima in francese, col titolo Analyse et metaphysique (1985), e poi  in inglese col titolo Analysis and Metaphysics (1992).

 

Ma ritorniamo al 1968, quando Strawson ottenne la cattedra di Metafisica. Nella sua lezione inaugurale, “Meaning and Truth” (1969), due sono gli aspetti di attenzione: primo, raccogliere l’eredità del suo predecessore, Gilber Ryle, che possiamo definire un “geografo dei concetti”, in linea con l’idea di metafisica descrittiva di Strawson; secondo, ritornare sulla necessità di considerare gli aspetti pragmatici nella teoria del significato, tesi già esposta in “On Referring” (1950).

 

Nel 1969 nacque per Strawson un nuovo interesse e una nuova direzione di ricerca, già latente nei suoi studi: la grammatica del linguaggio. Dopo la lettura di Chomsky, Aspects of the Theory of Syntacs (1957), scrisse “Grammar and Philosophy” (1969), letto come intervento presidenziale alla Aristotelian Society, nel quale sostenne che non è possibile alcuna teoria generale della grammatica che non leghi intimamente considerazioni sintattiche e semantiche. Sui temi legati alla grammatica del linguaggio, Strawson tornerà nell’articolo “The asymmetry of Subject and Predicate” (1970), sino alla pubblicazione del volume Subject and Predicate in Logic and Grammar (1974).

 

Gli anni ’70: in giro per il mondo

 

Gli anni ’70 sono da ricordare per i numerosi articoli in dialogo con i più importanti filosofi contemporanei di area analitica e per i viaggi in Spagna, India, Israele e Iugoslavia. Nell’articolo “Categories” (1970), la distinzione di Ryle tra errori categoriali e non categoriali è discussa e criticata. In “Austin and ‘Locutory’ Meaning” (1973) è discussa la teoria di Austin degli atti ‘illocutori’, esposta in How to Do Things with Words (1962). La posizione si Strawson nei confronti di Quine è invece ambigua: inizialmente, in “Positions for Quantifiers” (1974), Strawson sostenne che le variabili per la quantificazione fossero in numero maggiore di quelle ammesse da Quine, tali cioè da includere anche i predicati; in seguito sembrò, invece, avvicinarsi a Quine, benché rimanga la differenza del nominalismo dell’uno e del realismo in tema di universali dell’altro.

 

Accanto alle discussioni con i colleghi filosofi, si trovano molti articoli che fanno incursione in temi non familiari a Strawson. In due articoli, “Causation in Perception” (1975) e “Perception and its Objects” (1979) si occupò del sempre stimolante tema della percezione. Al suo viaggio in Spagna, nel 1973, risale “Does Knowledge Have Foundation?” (1974), nel quale criticò le teorie fondazionali della conoscenza.

 

Nel 1975-76 fece due viaggi a Gersulamme: al primo, risale “May Bes and Might Have Beens” (poi pubblicato nel 1979) nel quale sono trattati  la possibilità epistemica e problematiche di logica modale; al secondo viaggio, in occasione del trecentenario della morte di Spinosa, risale “ Liberty and Necessity” (poi pubblicato nel 1983) nel quale Strawson addusse un robusto argomento per provare che il determinismo è compatibile con la  responsabilità e il giudizio morali. Sempre nel 1975-76, Strawson compì la sua prima visita in India, dove tenne lezioni e seminari a Calcutta e Nuova Deli. Ecco un ricordo di viaggio: “In generale fui incantato da questo paese vario e grandioso, dalla bellezza che là si può trovare, e dal calore e dalla vivacità dei miei ospiti” (“Intellectual Autobiograhy”, op. cit., p. 15).

 

Al 1977 risale il suo viaggio nella non ancora divisa Iugoslavia, dove tenne lezioni a Belgrado, Sarajevo e Zagabria. “Ho notato una certa differenza di atmosfera in questi tre posti”, commentò (ibi, p. 16). A Belgrado e Sarajevo gli intellettuali gli sembrarono sufficientemente liberi e senza ostacoli. A Sarajevo, invece, successe un fatto curioso e indicativo. Un uomo nel pubblico disse a Strawon che i suoi discorsi rivelano una impronta borghese; Strawson rispose di essere un borghese, un “élitist liberal bourgeois” (ibidem); l’uomo replicò che allora “essi lo avrebbero invidiato”.

 

Gli anni ’80: il ritiro dall’insegnamento

 

Gli anni ’80 videro la pubblicazione delle prime due raccolte di saggi su Strawson e furono ancora ricchi di viaggi. Nel 1980 e nel 1981 uscirono due collezioni di saggi critici: il volume Philosophical Subjects (1980) e il numero monografico della rivista Philosophia (1981). Nel 1982 Strawson pubblicò “If and É” (1982), che è una risposta al tentativo di Grice di dimostrare che il significato dell’implicazione nel linguaggio ordinario (if) e in quello formale (É) si equivalgono.

 

Tra i numerosi viaggi compiuti, in Francia, Germania, Cina, Spagna, India è da ricordare quello negli Stati Uniti, dove tenne le Woodebridge Lectures alla Columbia University nel 1983. Gli argomenti di quelle lezioni confluiranno nel volume Skepticism and Naturalism: Some Varietis (1985). Il libro si compone di quattro capitoli: nel primo, si mostra, sulla scia di Wittgenstein e Hume, che il tentativo di combattere con argomenti razionali il dubbio scettico circa l’esistenza del mondo esterno è inutile e insensato; negli altri capitoli la nozione di naturalismo è sottoposta ad analisi serrata, con conclusione che esistono più forme di naturalismo (quello scientifico e quello umanistico o ‘liberal’, ad esempio), le quali sono, da differenti punti di vista, framework inoltrepassabili.

 

Il 1987 segnò una data storica per la vita di Strawon: la fine del suo insegnamento all’università di Oxford. Tuttavia, egli racconta con serenità che “la pensione in nessun modo portò con sé la fine dei viaggi accademici e delle discussioni” (“Intellectual Autobiography”, op. cit. p. 18).  Ancora oggi Strawson è protagonista della discussione filosofica nel mondo anglosassone e analitico.

(Fonte: Strawson P. F (1998), “Intellectual Autobiography”, in The Philosophy of P. F. Strawson, a cura di L. E. Hahn, Open Court.)

 

 

 

Capisaldi del pensiero

 

Strawson è uno dei maestri della filosofia del Novecento. Si è formato ad Oxford prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, in un ambiente filosofico in cui le figure dominanti erano J. L. Austin (1911-1960) e G. Ryle (1900-1976). Da Austin ha ereditato l’attenzione per gli aspetti pragmatici e contestuali del linguaggio; da Ryle, l’interesse per il chiarimento delle strutture concettuali del nostro pensiero, oltre la superficie del linguaggio. Attenzione all’aspetto pragmatico e descrizione delle strutture concettuali del pensiero, possono essere considerate le direttrici costanti della filosofia di Strawson.

 

Nell’esporre i capisaldi del suo pensiero seguiremo un percorso tematico, che in parte coincide con quello storico. Passeremo in rassegna le posizioni in teoria della verità, teoria del riferimento, in filosofia della logica, in metafisica e in filosofia morale.

 

La verità performativa

 

Uno dei primi articoli di Strawson, “Truth” (Analysis, 1949), si propone di fornire una nuova definizione di verità. Quando pronunciamo frasi che contengono un comando, come “Alzati, Marco!”, non stiamo asserendo stati di cose, ma esprimendo il nostro desiderio che alcuni stati di cose siano in accordo con quel che diciamo: dicendo “Alzati, Marco!” esprimiamo accordo con lo stato di cose desiderato per cui Marco è alzato. In maniera analoga, quando pronunciamo frasi come “È vero che Marco è alzato”, non facciamo altro che esprimere accordo con la proposizione “Marco è alzato”. Il predicato di verità implica perciò un “fare”, un assumere un atteggiamento pragmatico di accordo o di appoggio.

 

Questa concezione della verità può essere definita performativa, concordemente con la distinzione di Austin constativo/performativo (cfr. How to Things with Words, 1960). La concezione performativa della verità si oppone a quella corrispondentista, secondo cui un enunciato è vero se corrisponde ai fatti: Strawson, invece, ritiene che i fatti non siano qualcosa a cui gli enunciati si riferiscono ma, al contrario, che i fatti siano ciò che gli enunciati (quando sono veri) affermano.

 

La teoria del riferimento

 

Nel 1950 appare su Mind uno degli scritti più celebri di Strawson, “On Referring”, che intende rispondere alla domanda canonica di ogni teoria del riferimento: in che modo le parole si riferiscono alle cose?

 

La filosofia analitica, fin dai suoi esordi con Frege e Russell, ha tentato di rispondere a questa elementare domanda. L’articolo di Strawson ha la pretesa di fornire anch’esso una risposta, ed ha come obiettivo polemico una celebre teoria del riferimento, quella delle descrizioni definite di  Bertrand Russell (cfr. “On Denoting”, Mind, 1905).

 

I punti di polemica possono essere ridotti a due.

 

Il primo è il seguente. Il presupposto della teoria di Russell è che le espressioni referenziali (nomi o descrizioni definite) si riferiscono alle cose in virtù del loro significato. Un enunciato perciò è vero o falso in funzione del significato delle espressioni che lo compongono. Si tratta di una posizione ovvia e quasi ingenua.

 

Strawson attacca questa posizione con un argomento semplice ed efficace, ormai diventato quasi un luogo comune, distinguendo tra livello enunciativo e livello assertivo. Il primo livello si limita a porre il contenuto semantico, il secondo livello è pragmatico e contestuale, facendo riferimento a chi parla, in quali condizioni, in quale contesto spazio-temporale. Questa distinzione vale sia per le espressioni che per le frasi.

 

Consideriamo il caso di una espressione, come ‘il re di Francia’: a livello enunciativo essa esprime un significato determinato; a livello assertivo, cioè considerando il suo uso in una cornice o in contesto differenti, essa assumerà un riferimento diverso (ad esempio, ‘Luigi XVI’ se siamo alla vigilia della Rivoluzione Francese, oppure ‘Francesco I’ se siamo nel ‘500). Analogo discorso vale per una frase, come il ‘Il presidente del consiglio è un ladro’: a livello solo enunciativo ha un significato determinato e costante; invece, a livello assertivo, è vera o falsa a seconda del contesto spazio-temporale in cui viene usata.

 

Strawson quindi distingue tra due livelli espressivi (enunciativo/assertivo) e, ad un tempo, tra due funzioni di un’espressione e di un frase: quella di significare, e quella di riferirsi (per un’espressione) o di essere vera o falsa (per una frase). Nelle parole di Strawson: “Il significato è una funzione dell’espressione o della frase; la denotazione o il riferimento, e la verità o falsità, sono funzioni dell’uso di una frase o espressione” (“On Referring”, Mind, 1950). La ridsposta alla domanda iniziale è dunque questa: le parole, espressioni o frasi, si riferiscono alla cose in funzione del contesto del loro uso.

 

Il secondo aspetto di polemica riguarda l’asserzione di esistenza che, secondo Russell, sarebbe implicita in una descrizione definita. Russell analizza la frase “Il re di Francia è calvo” nella forma “esiste x, che è unico, che è re di Francia e che è calvo”: la frase, così analizzata, può essere o vera o falsa, ed in questo momento è falsa, perché non esiste nessun re di Francia. Per Strawson, invece, la descrizione definita non asserisce l’esistenza di una x, ma la presuppone: solo nel caso in cui la presupposizione sia soddisfatta, allora la frase potrà essere essere o vera o falsa, altrimenti il suo valore di verità rimarrà indeterminato.

 

Dal punto di vista storico è interessante notare la perfetta concordanza tra la posizione di Strawson e quella di Frege, il quale distingue tra asserzione ed enunciato, ed ammette casi in cui una frase possa aver un valore di verità indeterminato (cfr. Über Sinn und Bedeutung, 1892).

 

La filosofia della logica

 

È del 1952 la pubblicazione di Introduction to Logical Theory, in cui Strawson si confronta direttamente con la logica formale. Come recita il titolo del libro, si tratta di una introduzione alla logica ma, nello stesso tempo, di una critica ad essa. È di questo secondo aspetto, cui è dedicato l’intero capitolo VIII, che ci occuperemo qui.

 

La logica formale tratta di quegli enunciati passibili di essere veri o falsi, che Strawson definisce enunciati da asserzione. Esistono, tuttavia, tanti altri tipi di enunciati, come quelli che contengono giuramenti, ordini, saluti, scuse, ecc., che non sono compatibili con una verifica della verità o falsità. Pensare che esistano solo enunciati del primo tipo, perché di essi si occupa la logica, e non considerare gli altri, sarebbe una riduzione ingiustificata: Strawson propone perciò di affiancare alla logica formale la logica del linguaggio ordinario, impareggiabile per ricchezza e complessità.

 

La differenza fondamentale tra logica formale e linguaggio ordinario consiste nel fatto che la prima ignora l’aspetto referenziale presente nel secondo. Per essere più precisi, la logica non è attenta agli elementi referenziali. Come già sottolineato in “On Referring”, l’aspetto referenziale è funzione dell’uso della frase, è cioè dipendente da variabili temporali o relative alla deissi del soggetto logico. Ora, la logica formale, per togliere ogni ambiguità, non considera le variabili temporali e deittiche, eliminando così ogni attenzione per la fluidità pragmatica della referenzialità.

 

Per esempio, la proposizione logicamente vera “A implica B” significa che se A è vera in ogni circostanza e tempo allora B è vera in ogni circostanza e tempo. Come si nota, l’aspetto dell’uso è totalmente assente, cosa che non accade in molte frasi pronunciate nel linguaggio ordinario, senza che per questo possano dirsi prive di logica. Secondo Strawson, trascurare l’aspetto referenziale ha portato a dimenticare in logica formale la distinzione tra livello enunciativo ed assertivo, perché gli enunciati logici si collocano in un contesto d’uso idealizzato, e quindi in un non-contesto. Nel momento in cui questa distinzione è dimenticata e si pretende, con i soli strumenti della logica formale, di spiegare l’uso del linguaggio ordinario si incorre in riduzioni e semplificazioni inaccettabili.

 

La metafisica

 

Il testo fondamentale per conoscere la metafisica di Strawson è Individuals. An Essay in Descriptive Metaphysics (1959). Subito nell’Introduzione Strawson chiarisce la sua idea di metafisica, distinguendo tra metafisica correttiva e descrittiva: la prima ha la pretesa di produrre una struttura migliore delle cose o di interpretare in senso “revisionista” alcuni dati di senso comune; la seconda, invece, si limita a descrivere l’effettiva struttura concettuale con cui gli esseri umani pensanti intenzionano il mondo. La metafisica descrittiva potrebbe essere assimilata ad una analisi del linguaggio ordinario. Non basta: la metafisica descrittiva deve cercare di andare oltre il linguaggio, rintracciando quel nucleo di idee e concetti che rimangono più o meno immutati, quell’equipaggiamento concettuale proprio di tutti gli esseri umani.

 

In questo senso, aggiunge Strawson, la metafisica descrittiva non dice nulla di nuovo, se non svelare ciò che sta nell’implicito di ogni attività umana. La metafisica cerca ed enuncia certe relazioni e categorie fondamentali e immutabili, in un linguaggio invece sempre mutevole. Questa idea non è molto distante dall’idea di philosophia perennis, per la quale alcune verità fondamentali sono già state trovate ed esposte dai classici del pensiero: ai moderni e ai contemporanei spetta di ridirle sempre e nuovamente.

 

Vediamo ora in che cosa consiste questo equipaggiamento concettuale minimale. Di questo si occupa la prima parte di Individuals. Il punto di partenza consiste nella constatazione che siamo in gradi di identificare le cose particolari, cioè di riferirci ad esse tramite un’espressione linguistica. Secondo un modo di argomentare trascendentale, che ricerca quindi le condizioni di possibilità di un dato iniziale, Strawson si interroga su come l’atto del riferire sia possibile. L’unica spiegazione plausibile sembrerebbe assumere l’esistenza di unp schema concettuale spazio-temporale: i particolari a cui ci riferiamo sono collocati su di esso e ad essi sono assegnate delle coordinate univoche, grazie alle quali l’identificazione è resa possibile. Tuttavia, continua Strawson, noi siamo in grado, non solo di identificare, ma anche di re-identificare in successivi momenti il medesimo particolare: ciò impone che, primo, lo schema di riferimento sia unico e permanente, e che, secondo, si diano dei particolari tra gli altri aventi una funzione di riferimento.

 

Questi ultimi sono detti particolari di base. I particolari di base sono assimilabili alla nozione aristotelica di sostanza come sostrato. Nel mutare dei particolari, alcuni permangono relativamente, benché non assolutamente, rispetto agli altri: questa loro relativa permanenza permette le reidentificazione di alcuni particolari, tramite il riferimento ai particolari di base. Un esempio portato da Strawson è quello degli eventi: essi sono particolari, ma non di base; infatti, la loro reidentificazione nel tempo è resa possibile dai particolari di base di cui essi sono composti.

 

I particolari di base sono distinti da Strawson in due categorie: corpi materiali e persone. Ai primi compete la proprietà delle bruta permanenza materiale, alle seconde la congiunzione di proprietà mentali e fisiche. La concezione della persona di Strawson è stata molto dibattuta e conviene qui tracciarne l’idea generale.

 

La definizione di persona secondo Strawson può essere così formulata: soggetto di attribuzione di predicati mentali o di coscienza e di predicati fisici, che si dà contestualmente nel rapporto con altre persone. Gli elementi in gioco sono dunque due: non dualismo della persona, e sua immediata relazione con altre persone. Vediamo all’opera questi aspetti.

 

Il punto di partenza è ancora un dato innegabile: ci sono particolari, corrispondenti a noi e agli altri, a cui attribuiamo indistintamente stati mentali e fisici. Come spiegare questo comportamento linguistico apparentemente paradossale? Strawson considera l’ipotesi dualista cartesiana e quella dello “spossessamento” [no-ownership],  secondo cui gli stati mentali si riducono a quelli fisici, ma conclude con l’autocontraddittorietà di entrambe. Rimane l’ipotesi dell’esistenza di particolari dotati della capacità di essere termini di attribuzione per entrambi i tipi di predicati: si tratta delle persone. In realtà, la spiegazione di Strawson non è una vera spiegazione: si limita a postulare entità primitive che rendano ragione di una evidenza nella pratica linguistica. Ciò è del resto coerente con l’indirizzo descrittivo della sua metafisica.

 

La nozione di persona permette di discutere alcuni problemi relativi al rapporto anima/corpo. Strawson ritiene che i problemi nascono dal tenere troppo separate la dimensione privata e pubblica del riferimento. Quando mi attribuisco uno stato mentale, posso farlo se ne attribuisco uno analogo ad un altro soggetto, diverso da me. Ma come faccio ad attribuire uno stato mentale ad un altro soggetto se non interpretando gli stati fisici del suo corpo? Ora, la possibilità di interpretare questi stati fisici come segni di quelli mentali, mi è possibile solo confrontandoli con il mio vissuto. Si crea così un intreccio, tra pubblico e privato, tra me e gli altri, tra mentale e fisico, che sarebbe fuorviante separare con inutili ipostatizzazioni.

 

La filosofia morale

 

Trattando della metafisica di Strawson ci siamo avvicinati a temi di antropologia filosofica. Il passo verso la filosofia morale è breve. Occorre notare che il contributo del nostro filosofo a questo campo è assai limitato: è perciò giusto parlare di semplici “incursioni” o ipotesi di lavoro. Nell’articolo “Freeedom and Resentment” (1960), Strawson si inserisce nel vivace dibattito tra compatibilisti e incompatibilisti. I primi sostengono che la tesi del determinismo è compatibile con quella della libertà umana; i secondi che se la tesi del determinismo è vera, allora l’uomo non è libero. Entrambe le tesi (determinismo e libertà umana) sono importanti: la prima perché consegue dai risultati delle scienze, la seconda perché prima facie l’uomo si esperisce libero.

 

La posizione di Strawon è in parte compatibilista. Egli ritiene che il punto importante riguardi la possibilità di giudizi morali e di attribuzioni di colpa, merito e responsabilità agli agenti. Gli incompatibilisti o pessimisti sosterrebbero che se il determinismo è vero allora i giudizi morali non hanno fondamento, attaccando alla radice tutti gli ordinamenti giuridici delle nostre società che si basano sulla nozione di agente libero e responsabile.

 

Strawson per tentare di risolvere il grave problema distingue tra attitudini reattive ed oggettive. Ad esempio, se un altro mi colpisce facendomi cadere io posso reagire in due modi: o incolpandolo o perdonandolo per il gesto compiuto, a seconda che lo abbia fatto intenzionalmente o meno, oppure trattando l’accaduto come un puro dato “oggettivo” nel caso ritenga questa persona un soggetto anormale o con seri problemi. Le attitudini oggettive sembrano le più adeguate alla situazione in cui il determinismo sia vero, e rappresentano anche l’atteggiamento più scientifico nella valutazione morale.

 

Il problema allora diventa: sapere che il determinismo è vero mi porterebbe a smettere atteggiamento reattivi nei confronti delle azioni delle altre persone? La risposta è no. Ciò significa che, anche dato per vero il determinismo, rimane una distinzione tra i due atteggiamenti di valutazione morale. Pur ammettendo la verità della tesi del determinismo, gli atteggiamenti rettivi, che attribuiscono meriti e colpe, avrebbero ancora senso e legittimità, perché risulta inconcepibile a livello pragmatico un essere umano privo di atteggiamenti reattivi. Strawson precisa che questa inconcepibilità è pragmatica e non teorica, non è una autocontraddizione: del resto, essendo in ambito morale, l’uso di una siffatta inconcepibilità è del tutto legittimo.

 

 

Bibliografia

 

Volumi

 

Introduction to Logical Theory (1952), Methuen, London (trad. it di A. Visalberghi, Introduzione alla teoria logica, Einaudi, Torino, 1961).

 

Individuals: An Essay in Descriptive Metaphysics (1959), Methuen, London (trad. it. di E. Bencivenga, Individui: un saggio di metafisica descrittiva, Feltrinelli, Milano, 1978).

 

The Bounds of Sense: An Essay on Kant’s Critique of Pure Reason (1966), Methuen, London (trad. it di M. Palumbo, Saggio sulla Critica della ragion pura di Kant, Laterza, Roma-Bari, 1985).

 

Logico-Linguistic Papers (1971), Methuen, London.

 

Freedom and Resentment and Other Essays (1974), Methuen, London.

 

Subject and Predicate in Logic and Grammar (1974), Methuen, London.

 

Skepticism and Naturalism: Some Varieties (1985), Columbia UP and Methuen, New York and London.

 

Analyse et métaphysique (1985), J. Vrin, Paris.

 

Analysis and Metaphysics: An Introduction to Philosophy (1992), Oxford UP, Oxford.

 

Entity and Identity (1997), Oxford UP, Oxford.

 

Articoli scelti

 

“Necessary Propositions and Entailment Statements” (1948), Mind.

 

“Ethical Intuitionism” (1949), Philosophy.

 

“Truth” (1949),  Analysis.

 

“On Referring” (1950), Mind.

 

“Propositions, Concepts and Logical Truth” (1957), Philosophical Quarterly, 7.

 

“Freedom and Resentment” (1960), in Proceeding of Britisth Academy, 48.

 

“Carnap’s View on Constructed Systems versus Natural Languages in Analytical Philosophy” (1963), in The Philosophy of Rudolf Carnap, a cura di P. A. Schlipp, Open Court.

 

“Truth: a Reconsideration of Austin’s View” (1965), Philosophical Quartely, 15.

 

“Analysis, Science and Metaphysics” (1967), in The Linguistic Turn, a cura di R. Rorty, Chicago UP.

 

“Meaning and Truth” (1969), Proceeding of the Brititish Academy.

 

“Grammar and Philosophy” (1969), Proceeding of the Aristotelian Society, 70.

 

“The asymmetry of Subject and Predicate” (1970), in Language, Belief and Metaphysics, a cura di H. E. Kiefer and M. K. Munitz, New York UP.

 

“Categories” (1970), in Ryle: A Collection of Critical Essays, a cura di O. P. Wood and G. Pitcher, Doubleday.

 

Austin and ‘Locutory’ Meaning” (1973), in Essays on J. L. Austin, a cura di I. Berlin, Clarendon Press.

 

“Positions for Quantifiers” (1974), in Semantics and Philosophy, a cura di M. K. Munitz e P. K. Nunger, New York UP.

 

“Does Knowledge Have Foundation?” (1974),  in Conociemento y Creencia.

 

“Causation in Perception” (1975), in Fact, Value and Perception.

 

“May Bes and Might Have Beens” (1979), in Meaning and Use, a cura di A. Margalit, Reidel.

 

“Perception and its Objects” (1979), in Perception and Identity: Essays Presented to A. J. Ayer, a cura di G. F. Macdonald, Macmillan.

 

“If and É” (1982), in Philosophical Grounds of Rationality, Intention, Categories, Ends, a cura di R. E. Grand e Richard Warner.

 

Liberty and Necessity” (1983), in Spinoza, His Thoughts & Work, a cura di Nathan Rotenstreich e Norman Schneider, The Israele Academy of Sciences and Humanities.

 

“Kant’s new Foundation of Metaphysics” (1988), in Metphysik nach Kant, a cura di Dietere Henrich e R. P. Horstmann, Klett-Cotta.

 

“Sensibility, Understanding and the Doctrine of Synthesis” (1989). In Kant’s Transcendental Deduction, a cura di E. Foster, Stanford UP.

 

“The Problem of Realism and the A Priori in Kant” (1994), in Kant and Contemporary Epistemology, a cura di Paolo Parrini, Kluwer Academy Publishers.

 

Pubblicazioni su Strawson

 

Riverso E. (1977), Riferimento e struttura. Il problema logico-analitico e l’opera di Strawson, Armando.

 

Corvi R. (1979), La filosofia di P. F. Strawson, Vita e Pensiero.

 

Philosophical Subjects: Essays Presented to P. F. Strawson (1980), a cura di  Zak Van Staaten, Clarendon Press.

 

Numero monografico di Philosophia (1981), 10.

 

The Philosophy of P. F. Strawson (1995), a cura di P. K. Sen e R. R. Verma, Indian Council of Philosophical Research.

 

The Philosophy of P. F. Strawson (1998), a cura di L. E. Hahn, Open Court.

 

Urbani Ulivi L. (2003), “La metafisica descrittiva di P. F. Strawson: osservazioni in margine a Individuals”, in Rivista di filosofia neoscolastica.

 



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