Adorno, Le contraddizioni del progresso

Emerge in questo brano la capacità di Adorno di mettere in evidenza lo stretto legame fra il progresso e le possibilità di “una guerra per la prima volta realmente totale”, e quindi il rapporto dialettico fra la realtà dell’uomo e il progresso tecnologico.

 

Th. W. Adorno, È superato Marx?

 

L’elemento fittizio che oggi snatura la soddisfazione di ogni bisogno viene spontaneamente percepito senza che se ne abbia coscienza: e costituisce forse l’attuale disagio della cultura. Ma anche piú importante ancora dell’equivoco, pressoché impossibile da evitare, tra bisogno, soddisfazione e interesse del profitto, è la minaccia permanente di quel bisogno del quale inevitabilmente dipendono tutti gli altri; quello della mera sopravvivenza. Inserita entro un orizzonte in cui ad ogni momento può esplodere la Bomba, anche la piú opulenta offerta di beni di consumo ha qualcosa di beffardo. Ma gli antagonismi internazionali, che aumentano sino alla prospettiva di una guerra per la prima volta realmente totale, sono palesemente connessi con i rapporti di produzione, nel senso piú stretto del termine. Difficilmente questi potrebbero affermarsi cosí persistentemente senza l’inevitabile scoppio di crisi economiche sempre piú gravi, se una parte straordinariamente grande della produzione sociale – la quale altrimenti non troverebbe alcun altro mercato – non venisse fatta dipendere dalla fabbricazione di mezzi di distruzione. Anche nell’Unione Sovietica, malgrado l’economia di mercato sia stata sconfitta, avviene la stessa cosa. Le cause economiche di ciò sono evidenti: il bisogno di un rapido accrescimento della produzione in un paese arretrato ha favorito la formazione di un’amministrazione rigorosamente dittatoriale. Dallo scatenamento delle forze produttive ebbero luogo rinnovati rapporti di produzione di carattere imitatorio: la produzione divenne un fine in sé e impedí il raggiungimento del fine reale, della realizzazione di una libertà integrale. È davvero demoniaco il modo in cui, in entrambi i sistemi, il concetto borghese di lavoro socialmente utile si trasforma in una parodia, in quanto sul mercato esso si trasforma in profitto e non appare mai come utile agli uomini o alla loro felicità. Questo dominio dei rapporti di produzione sugli uomini presuppone ancora una volta un certo grado di sviluppo delle forze produttive. Da qui la difficoltà che, mentre gli uni devono venir distinti dalle altre, se si vuol comprendere quanto una tale situazione abbia di demoniaco, la comprensione dei primi richiede sempre quella delle seconde. La sovraproduzione, che ha portato al tipo di espansione mediante la quale un bisogno apparentemente soggettivo è stato imprigionato e sostituito, viene mantenuta ulteriormente da un apparato tecnico emancipatosi al punto da divenire irrazionale, cioè non profittevole, al di là di un certo volume di produzione; è dunque necessariamente condizionata dai rapporti sociali. Soltanto nella prospettiva di un annientamento totale i rapporti di produzione hanno evitato di paralizzare le forze produttive. Tuttavia, i metodi dirigistici mediante i quali, e malgrado tutto, si tengono aggiogate le masse, conducono a una concentrazione e a una centralizzazione che non ha soltanto un aspetto economico, ma anche – come è facile vedere dall’impiego dei mezzi di comunicazione di massa – un aspetto tecnologico: il fatto cioè che sia divenuto possibile, a partire da pochi punti, unificare la coscienza di innumerevoli persone anche soltanto mediante la scelta e la presentazione delle notizie e dei commenti.

 

C. Bordoni e Alfredo De Paz, La critica della società nel pensiero contemporaneo, G. D’Anna, Messina-Firenze, 19842, pagg. 162-163