Agostino, Lo spirito umano come memoria, intelligenza e volontà

Il ricorso al pensiero noetico – cioè a strumenti della nostra mente non strettamente logico-scientifici (epistemici) – è presente in diverse opere di Agostino e, in particolar modo, nel De Trinitate: nelle prime pagine di quest’opera egli sottolinea l’importanza della preparazione spirituale, che è fatta di meditazione, umiltà, amore per la verità, e che costituisce la precondizione indispensabile per affrontare un argomento di grande difficoltà come quello della Trinità di Dio. Particolarmente interessante è la parte dell’opera in cui Agostino, spinto dalla convinzione che lo spirito umano sia stato fatto “ad immagine e somiglianza di Dio”, ne studia le caratteristiche specifiche.

 

De Trinitate, X, 17-19

 

1      Lasciando per il momento da parte le altre cose che lo spirito riconosce in sé con certezza, consideriamo in modo del tutto particolare queste tre: la memoria, l’intelligenza, la volontà. È da questo triplice punto di vista infatti che si è soliti esaminare le doti naturali dei fanciulli per farsi un’idea del loro temperamento. Quanto piú un fanciullo ha la memoria tenace e facile, quanto piú la sua intelligenza è penetrante ed il suo gusto al lavoro ardente, tanto piú ci si dovrà felicitare delle sue doti naturali. Quando invece si tratta del sapere di un uomo, non si esamina con quanta tenacia e facilità ricordi, con quanto acume comprenda, ma che cosa ricordi e che cosa comprenda. E poiché l’uomo non è solo da lodarsi in base al suo sapere, ma anche alla sua bontà, si deve tener conto non soltanto di ciò che ricorda e di ciò che comprende, ma anche di che cosa vuole; non dell’ardore con cui lo vuole, ma anzitutto dell’oggetto e poi dell’energia del volere. Infatti l’anima che ama con ardore è degna di lode quando ciò che ama deve essere amato con ardore. Nella prima dunque di queste tre cose: capacità, dottrina, uso, si considera di che cosa sia capace ciascuno con la sua memoria, intelligenza, volontà. Nella seconda, la dottrina, si considera che cosa ciascuno abbia raccolto nella memoria e nell’intelligenza lavorando con amorosa volontà. La terza cosa, l’uso, è proprio della volontà e consiste nel servirsi delle cose contenute dentro la memoria e l’intelligenza, sia per riferirle come mezzi ad altre cose, sia per compiacersi e riposarsi in esse come in un fine raggiunto. Infatti far uso di una cosa è porla a disposizione della volontà, fruirne invece è usarne con la gioia non già della speranza, ma del possesso. Perciò chiunque fruisce di una cosa, ne fa uso, ne dispone infatti ad arbitrio della volontà, tenendo per fine il diletto. Invece non sempre chi fa uso di una cosa ne fruisce, se la cosa che pone a libera disposizione della sua volontà non la desidera per se stessa, ma per un altro fine.

2      Queste tre cose dunque: memoria, intelligenza, volontà, non sono tre vite, ma una vita sola; né tre spiriti, ma un solo spirito; di conseguenza esse non sono tre sostanze, ma una sostanza sola. La memoria, in quanto si dice vita, spirito, sostanza, si dice in senso assoluto; ma come memoria si dice in senso relativo. Lo stesso si può affermare per l’intelligenza e la volontà perché anche l’intelligenza e la volontà si dicono in senso relativo. Ma considerata in sé ognuna è vita, spirito ed essenza. E queste tre cose sono una cosa sola, per la stessa ragione per la quale sono una sola vita, un solo spirito, una sola essenza. Ed ogni altra cosa che si dice di ciascuna di esse in senso assoluto, anche di tutte insieme la si predica non al plurale ma al singolare. Invece esse sono tre cose per la stessa ragione per cui sono in reciproca relazione tra loro. E se non fossero uguali, non solo ciascuna a ciascuna, ma anche ciascuna a tutte, esse non si includerebbero a vicenda. Infatti non soltanto ciascuna è contenuta in ciascuna, ma anche tutte sono contenute in ciascuna. Infatti ho memoria di aver memoria, intelligenza e volontà. Ho intelligenza di intendere, volere e ricordare. Ho volontà di volere, di ricordare, di intendere. Con la mia memoria abbraccio insieme tutta la mia memoria, intelligenza e volontà. Infatti ciò che nella mia memoria non ricordo, non è nella mia memoria. Ma niente è tanto nella memoria, come la memoria stessa. Dunque me la ricordo tutta intera. Cosí tutto ciò che intendo so di intenderlo e so di volere tutto ciò che voglio; ora tutto ciò che so, lo ricordo. Dunque mi ricordo di tutta la mia intelligenza, di tutta la mia volontà. Allo stesso modo quando intendo queste tre cose, le intendo tutte intere insieme. Non c’è infatti cosa intellegibile che io non intenda, se non ciò che ignoro. Ma ciò che ignoro nemmeno lo ricordo, neppure lo voglio. Tutto ciò che di intelligibile invece ricordo e voglio, per questo fatto stesso lo intendo. Anche la mia volontà contiene la mia intelligenza tutta intera, e la mia memoria tutta intera quando faccio uso di tutto ciò che intendo e ricordo. In conclusione quando queste tre cose si contengono reciprocamente, e tutte in ciascuna e tutte interamente, ciascuna nella sua totalità è uguale a ciascuna delle altre nella sua totalità e ciascuna di esse nella sua totalità è uguale a tutte considerate insieme e nella loro totalità: tutte e tre costituiscono una sola cosa, una sola vita, un solo spirito, una sola essenza.

3      Dobbiamo noi, dunque, da questo momento con tutta la forza dell’attenzione, qualunque essa sia, elevarci a quell’essenza suprema ed altissima di cui lo spirito umano è un’immagine imperfetta, ma tuttavia sempre immagine? O dobbiamo studiare ancora piú chiaramente queste tre potenze dell’anima ricorrendo agli oggetti che si percepiscono all’esterno con i sensi del corpo, dove in maniera transitoria si imprime la conoscenza delle cose corporee? Lo spirito ci è apparso, nella memoria, nell’intelligenza, e nella volontà che ha di sé, tale che, intendendo noi che non cessa di conoscersi, che non cessa di volersi, intendessimo nello stesso tempo che non cessa di ricordarsi di sé, che non cessa di intendersi e di amarsi sebbene non sempre si pensi distinto da quelle cose che non sono ciò che esso è. [...]

 

(Agostino, La Trinità, Città Nuova, Roma, 1973, pagg. 419-421)