Aristotele, In medio stat virtus (etica nicomachea)

Il quinto capitolo del secondo libro dell’Etica nicomachea cerca di rispondere al quesito: che cosa sia la virtú, quale tipo di natura essa abbia. Per Aristotele la virtú ha le caratteristiche della medietà, si pone fra l’eccesso e il difetto. Questa dottrina ha avuto un tale successo nei secoli seguenti, che ancora oggi ricordiamo a questo proposito frasi famose come: “In medio stat virtus” e “Aurea mediocritas”.

 

Etica nicomachea, 1106a 26-1106b 35

 

           1       [1106a] Come questo sarà, già l’abbiamo detto, ma in piú sarà chiaro anche in questo modo: se considereremo di che specie è la natura della virtú.

           2       Ora, in tutto ciò che è continuo, vale a dire divisibile, si può prendere il piú, il meno e l’uguale; e queste determinazioni possono essere o secondo l’oggetto stesso o in relazione a noi.

           3       L’uguale è una sorta di medio tra l’eccesso e il difetto. Chiamo medio della cosa il punto che dista ugualmente da ciascuno dei due estremi, punto che è unico ed identico per tutti; chiamo invece medio rispetto a noi ciò che né eccede né difetta. Questo non è unico né identico per tutti. Ad esempio, [1106b] se il dieci è troppo e il due è poco, si prende il sei come medio secondo la cosa: infatti supera ed è superato di un’uguale quantità. Questo medio è secondo la proporzione aritmetica. Ma il medio rispetto a noi non va preso cosí: infatti se per un uomo mangiare dieci mine è troppo e due mine è poco, il maestro di ginnastica non gli prescriverà sei mine; forse infatti anche questa quantità è troppa, o poca per la persona che l’assorbe. Per Milone infatti è poca, ma per un principiante di esercizi ginnici è troppa. Parimenti è per la corsa e per la lotta.

           4       Cosí pertanto ogni persona che ha conoscenza fugge l’eccesso e il difetto; invece è il giusto mezzo che cerca ed è questo che sceglie: il mezzo non dell’oggetto, ma in rapporto a noi.

           5       Pertanto, se ogni scienza cosí esegue bene il suo compito, fissando lo sguardo sul mezzo ed indirizzando ad esso le sue opere (donde siamo soliti dire per le opere ben riuscite che non vi è nulla da togliere e nulla da aggiungere, supponendo che eccesso e difetto rovinano la perfezione, mentre la via di mezzo la salvaguarda, e i buoni artigiani, come diciamo, lavorano fissando lo sguardo sul medio); e se la virtú è piú esatta di ogni arte ed è migliore, come pure la natura, allora essa tenderà al medio. Intendo la virtú etica: questa infatti ha per oggetto le passioni e le azioni, e in queste vi sono eccesso, difetto e il mezzo. Ad esempio, avere paura, esser coraggiosi, desiderare, adirarsi, avere pietà, in generale provare delle sensazioni e provare dolore ammettono un troppo e un poco, ed ambedue non vanno bene. Ma provare queste passioni quando si deve e nelle circostanze in cui si deve e verso le persone che si deve in vista del fine che si deve e come si deve, è realizzabile il medio e al tempo stesso l’eccellenza: il che è proprio della virtú.

           6       Parimenti anche per ciò che concerne le azioni vi sono eccesso, difetto ed il mezzo.

           7       D’altronde la virtú ha per oggetto passioni ed azioni, nelle quali l’eccesso costituisce un errore e il difetto è biasimato, mentre il mezzo è lodato ed ha successo: e queste sono, ambedue, caratteristiche della virtú. La virtú è dunque una sorta di medietà, perché appunto tende al mezzo.

           8       Inoltre, l’errare ha molte forme (infatti il male si trova nella colonna dell’illimitato, come immaginavano i Pitagorici, mentre il bene in quella del limitato), invece il riuscire ne ha una sola – per questo il primo è facile, il secondo è difficile: è facile fallire il bersaglio, ma è difficile l’andare a segno. Anche per queste ragioni, dunque, l’eccesso e il difetto sono propri del vizio, la medietà della virtú:

           9       “Buoni infatti si è in un unico modo, cattivi in modi svariati ...”.

                    [...]

10      La virtú è dunque una disposizione che orienta la scelta deliberata, consistente in una via di mezzo rispetto a noi, determinata dalla regola, vale a dire nel modo in cui la determinerebbe l’uomo saggio. È una medietà tra due vizi, uno per eccesso e l’altro per difetto. E lo è, inoltre, per il fatto che alcuni vizi difettano, altri eccedono ciò che si deve sia nel campo delle passioni che delle azioni, mentre la virtú e ricerca e sceglie deliberatamente il medio.

           11    Perciò secondo la sua sostanza e la definizione che ne esprime l’essenza la virtú è una medietà, ma secondo l’eccellenza e la perfezione è un estremo.

           12    Però non ogni azione né ogni passione ammette la via di mezzo: per alcune infatti già il nome implica la malvagità, ad esempio la malevolenza, l’impudenza, l’invidia e, nel caso delle azioni, l’adulterio, il furto, l’omicidio. Infatti tutte queste passioni e azioni, e quelle del medesimo genere, hanno quei nomi per il fatto di essere in se stesse cattive, non i loro eccessi né i loro difetti.

 

(Aristotele, Etica Nicomachea, Rizzoli, Milano, 1986, vol. I, pagg. 163-167)