Aristotele, la vita ultraterrena

 

In questo passo l’esperienza estatica, - come il sonno in altri frammenti -, viene presentata come un’esperienza "limite", una situazione simile alla morte o di morte apparente. L’anima del re greco si era in una certa misura distaccata dal corpo, ma non in modo tale da causarne la morte. In questa condizione l’anima di questo re ha potuto acquistare una conoscenza che non può essere posseduta dai comuni mortali. Ciò implica, tra l’altro, che il giovane Aristotele (ancora vicino a Platone e all'Accademia) considerava il corpo come un impedimento per l’anima nell’attuazione di una "potenzialità" di cui essa potrebbe essere provvista. L’anima qui è rappresentata, infatti, come ostacolata nelle sue operazioni dal legame col corpo, che lo ostacola nell’acquisizione della conoscenza.

Aristotele racconta di un re greco, la cui anima era riuscita a raggiungere lo stato di estasi e che per parecchi giorni rimase in uno stato che non era né di vita né di morte. Quando ritornò in sé egli riferì agli astanti varie cose del mondo invisibile e raccontò ciò che aveva visto: anime, forme e angeli; ed egli dette la prova di ciò preannunciando di conoscere quanto a lungo ciascuno di loro sarebbe vissuto. Tutto questo egli disse per dare la prova e nessuno superò lo spazio della vita che egli aveva assegnato. (...) E ogni cosa accadde come egli aveva detto: Aristotele afferma che la ragione di ciò era nel fatto che la sua anima aveva acquistato tali conoscenze, appunto perché era stata sul punto di liberarsi dal suo corpo ed era stata in certa misura separata da esso e così aveva potuto vedere ciò che aveva visto. E quali meraviglie di gran lunga più grandi del mondo celeste egli avrebbe potuto vedere, se egli avesse realmente abbandonato il suo corpo.

 

(Aristotele, Eudemo, fr. 11, tramandato da Al-Kindi)