Berdjaev, Sull’intelligencija

L’analisi dell’intelligencija russa è l’argomento specifico della raccolta di scritti filosofici Vechi (1909). Uno dei saggi che ne fanno parte è stato scritto da Nikolaj Berdiaev. In questa lettura il filosofo russo osserva che, piú che essere interessata ad un confronto serio, critico, libero con le varie scuole filosofiche, l’intelligencija russa assoggettò la filosofia a scopi “utilitaristico-sociali”. Essa applicò in modo esclusivo e dispotico il criterio: tutto a favore del “dio-popolo” e contro il diavolo-assolutismo”.

 

N. Berdjaev, La verità filosofica e il vero dell’intelligencija

 

In un’epoca di crisi dell’intelligencija, di riconoscimento dei propri errori e di riesame delle vecchie ideologie, è necessario meditare anche sui nostri rapporti con la filosofia. L’atteggiamento tradizionale dell’intelligencija russa verso la filosofia è piú complesso di quanto possa sembrare a prima vista e la sua analisi può servire a scoprire i tratti spirituali fondamentali del mondo dei nostri intellettuali. Parlo dell’intelligencija nel senso tradizionale russo di questa parola, delle nostre chiesuole intellettuali, artificialmente separate dalla vita del resto della nazione. Questo mondo sui generis, che ha vissuto finora una sua propria vita chiusa sotto la duplice pressione del burocratismo esteriore del potere reazionario e del burocratismo interiore dell’inerzia del pensiero e del conservatorismo dei sentimenti, non senza fondamento è chiamato “intellettualoide” a differenza dell’intelligencija nel senso largo della parola proprio a tutta la nazione e alla sua storia comune. Infatti quei filosofi russi, che l’intelligencija russa non vuole riconoscere, che essa riferisce ad un mondo diverso e ostile, anch’essi appartengono all’intelligencija, ma sono estranei al mondo “intellettualoide”. E quale fu, da parte della nostra intelligencija chiusa nei circoli, l’atteggiamento tradizionale verso la filosofia, rimasto immutato, nonostante il rapido succedersi delle mode filosofiche? Il conservatorismo e l’inerzia, pur costituendo la nostra fondamentale struttura spirituale, erano in noi associati all’inclinazione verso le novità, verso le ultime correnti europee, che mai venivano assorbite profondamente. Ciò accadde anche riguardo alla filosofia.

La cosa che, prima di tutte, salta agli occhi è che l’atteggiamento verso la filosofia fu grossolano come quello verso gli altri valori spirituali: un valore indipendente della filosofia veniva negato, la filosofia veniva assoggettata a scopi utilitaristico sociali. Il dominio esclusivo e dispotico del criterio utilitaristico-morale e quello, ugualmente esclusivo e soffocante, dell’amore del popolo e del proletariato, l’adorazione del “popolo”, della sua utilità e dei suoi interessi, l’avvilimento spirituale causato dal dispotismo politico fecero sí che il livello della cultura filosofica fosse da noi molto basso, le conoscenze filosofiche e lo sviluppo filosofico poco diffusi nell’ambito della nostra intelligencija. Un’alta cultura filosofica si poteva trovare solo presso persone isolate che con ciò stesso si distinguevano dal mondo degli “intellettualoidi”. Ma da noi non solo regnava la scarsezza di conoscenze filosofiche – questa disgrazia è correggibile – da noi imperavano una disposizione spirituale e un modo di apprezzare le cose, tali che la vera filosofia doveva restare chiusa e incomprensibile, mentre la creazione filosofica doveva sembrare fenomeno d’un mondo diverso e misterioso. Può darsi che alcuni leggessero anche dei libri filosofici e capissero superficialmente ciò che leggevano, ma interiormente comunicavano altrettanto poco col mondo della creatività filosofica come con quello della bellezza. Ciò si spiega non con la mancanza d’intelletto, ma con l’indirizzo della volontà che ha creato un ambiente ostinatamente tradizionalista, che ha assimilato nella carne e nel sangue la concezione del mondo populista e un modo utilitaristico di valutare le cose, ancor oggi non scomparso. Per lungo tempo da noi ritenevano quasi immorale dedicarsi alla creazione filosofica, in questo tipo di occupazioni vedevano un tradimento del popolo e della causa popolare. Chi s’immergeva troppo nei problemi filosofici veniva sospettato d’indifferenza per gli interessi dei contadini e degli operai. L’atteggiamento dell’intelligencija verso la creatività filosofica era quello di un ascetismo che esigeva un’astinenza in nome del suo dio-popolo e del risparmio delle forze per la lotta contro il diavolo-assolutismo.

 

AA. VV., La svolta. Vechi, L’intelligencija russa tra il 1905 e il 17, Jaka Book, Milano, 1970, pagg. 11-12