Berkeley, Verso lo scetticismo

Nel dialogo fra il materialista e lo spiritualista la perdita della conoscenza della sostanza porta ad un sapere “che non è socratico, ma scettico”.

G. Berkeley, Dialoghi fra Hylas e Philonus, Dialogo III

 

Philonous. - Ditemi, Hylas, quali sono i frutti della meditazione di ieri? Vi ha confermato nella stessa intenzione in cui eravate quando ci dividemmo?

Hylas. - In verità la mia opinione è che tutte le nostre opinioni sono egualmente vane e incerte. Quelle che approviamo oggi, le condanniamo domani. Ci agitiamo intorno alla conoscenza, e spendiamo la vita a ricercarla mentre, ahimé, frattanto non conosciamo niente; né io credo possibile per noi conoscer mai nulla in questa vita. Le nostre facoltà sono troppe ristrette e troppo poche. La natura certo non ci dispose alla speculazione.

Ph. - E che! voi dite che non conosciamo nulla, Hylas?

H. - Non c’è una sola cosa al mondo, di cui possiamo conoscere la reale natura, o ciò che essa è in se stessa.

Ph. - Mi direte che non conosco realmente che cosa è il fuoco o l’acqua?

H. - Voi potete infatti conoscere che il fuoco appare caldo, e l’acqua fluida: ma questo non è niente piú che conoscere quali sensazioni si producono nella vostra mente quando si applicano il fuoco e l’acqua ai vostri organi di senso. Su la loro interna costituzione, la loro vera e reale natura, voi siete interamente all’oscuro quanto al che cosa.

Ph. - Non conosco che questa su cui sto è una pietra reale, e che ciò che vedo davanti ai miei occhi è un albero reale?

H. - Conoscere? No, è impossibile che voi o qualsiasi uomo in vita lo conosca. Tutto ciò che voi conoscete è che avete una certa idea o apparenza siffatta nella vostra mente. Ma che è quest’idea rispetto all’albero o alla pietra reale? Io vi dico che il colore, la figura e la durezza che voi percepite, non sono le reali nature di quelle cose, o simili a loro. Lo stesso si può dire di tutte le altre cose reali o sostanze corporee che compongono il mondo. Nessuna ha in se stessa qualcosa di simile a quelle qualità sensibili da noi percepite. Non dovremmo perciò pretendere di affermare o conoscere qualcosa di esse come esse sono nella loro natura.

Ph. - Ma certamente, Hylas, io posso distinguere l’oro, per esempio, dal ferro: e come potrei se non conoscessi veramente che cosa sono l’uno e l’altro?

H. - Credetemi, Philonous, voi potete solo distinguere tra le vostre idee. Quel color giallo, quel peso, e le altre qualità sensibili, pensate voi che siano realmente nell’oro? Esse sono soltanto relative ai sensi, e non hanno nessuna esistenza assoluta in Natura. E pretendendo di distinguere le specie delle cose reali dalle apparenze nella vostra mente, può darsi che voi agiate cosí saggiamente come chi concludesse che due uomini sono di specie differente perché i loro vestiti non sono dello stesso colore.

Ph. - Sembra allora che noi siamo interamente impediti dalle apparenze delle cose, e false anche. La carne che io mangio e il vestito che indosso non hanno in sé niente di simile a ciò che vedo e tocco.

H. - Perfino questo.

Ph. - Ma non è strano che tutto il mondo sia cosí ingannato e cosí sciocco da credere ai suoi sensi? Eppure io non so come, ma gli uomini mangiano, dormono e compiono tutti gli atti della vita cosí comodamente e convenientemente come se realmente conoscessero le cose di cui sono informati.

H. - Sí, ma voi sapete che la pratica ordinaria non richiede una squisitezza di conoscenza speculativa. Quindi il volgo conserva i suoi errori, e con tutto ciò trova il mezzo di destreggiarsi nelle faccende della vita. Ma i filosofi conoscono meglio le cose.

Ph. - Voi intendete che essi sanno di non saper niente.

H. - Che è proprio la vetta e la perfezione dell’umana conoscenza.

Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1968, vol. XIII, pagg. 728- 729