Bloch, L’uomo è proiettato verso il non_ancora

Secondo Bloch nell’uomo c’è una spinta interiore che lo porta a non accontentarsi di quello che ha ed a ricercare sempre il non-ancora, il che-cosa che egli ancora non ha. L’uomo ha fame di senso; a lui appartiene il “bisogno utopico”.

 

E. Bloch, Ateismo nel cristianesimo

 

Per quanto opaca sia ancora questa nostra vita, tuttavia qualcosa ci dà una spinta. La fame si annuncia con i suoi colpi. Nessuna cosa avuta sazia a lungo quel “non” che le è proprio e che essa non è in grado di possedere. Cosí questo “non”, questa caverna, intorno a cui ogni cosa si edifica, spinge verso il non-ancora ed il “che-cosa” che ancora non ha. Se nei giorni sconvolti e contrastati la voce di questo “che-cosa” si affievolisce non per questo diminuisce la fame temporale, e nella mancanza di pane non è il suo mancare che preme con maggior violenza, ma il pane stesso. Ma l’“a-che-scopo” per amor del quale mangiamo, l’“a-che-scopo” della fatica della vita nel suo insieme e dell’affermato coraggio di vivere, diventa sempre piú precario, se vien meno – nonostante il pane quotidiano – l’altro pane della vita, l’ulteriore “che-cosa” del “verso-dove” e dell’“a-che-scopo”. Preoccuparsi per uno scopo ulteriore non ha certo valore, o comunque non ne ha uno reale nei tuguri e negli slum, finché la miseria soffoca tutto meno che se stessa. Non ha alcun valore neppure in un quadro molto diverso, dove la caccia al profitto (basata in gran parte ancora sulla miseria, anche se questa si è fatta piú esotica), non colma il “verso dove” e l’“a-che-scopo” solo con il lavoro affannoso, anche per il borghese che secondo Marx non vede al di là del proprio naso. Il denaro rende avidi, il denaro contante ride. Per saldo basta il successo, e in questa parvenza non giunge certo a contrastarlo nessun altro avere che manca. Tranne che nel momento in cui il prodotto finale e conchiuso della vita dominante e dello sforzo ritorna dal funerale di un affine compagno di affari e di destino; a questo punto invero la domanda innata sul senso e sullo scopo trova anche qui la possibilità di festeggiare una resurrezione; ma per nulla gioiosa essa è, e fantastica, tanto è grande la sua inquietudine a causa di quell’“a-che-scopo in genere” che le manca. Con tutto ciò non è confutabile l’altra fame di vita ben altrimenti insaziata, e neppure il coraggio di vita, cosí incessantemente esplosivo nel suo porsi di fronte al reale avere umano sempre come ad un non-avere, ancora-non-avere. E si pone dunque di fronte alla questione sul senso, senza placare la fame di senso ed il non-senso della morte mediante l’oppio del popolo e nemmeno mediante i sogni di un accomodamento nell’aldilà, ma con un lavoro incessante dell’incorruttibile e non deviato diventar coscienti e sulla autentica realizzazione del bisogno utopico. Solo cosí vi è – non nelle ideologie apologetiche delle classi di volta in volta dominanti, ma piuttosto nelle utopie del desiderio e dell’attesa, irremissibili nel loro tendere morale e finale, che attraversano la storia macchiata di sangue e sconvolta dalla mancanza di patria – solo cosí dunque vi è, ed anzitutto nella biblica musica della fine, quel sogno sovversivo-radicale, che eo ipso non discende dall’oppio, ma dalla vigilanza per il futuro, quella dimensione di luce di cui il mondo è gravido e può essere gravido.

 

E. Bloch, Ateismo nel cristianesimo, Feltrinelli, Milano, 19836, pagg. 323-324