Bodei, Hegel e l'indifferenza della natura

Remo Bodei, professore di storia della filosofia all'Università di Pisa, coglie nelle pagine del Diario di Hegel che descrivono le sue escursioni sulle Alpi bernesi un atteggiamento freddamente illuminista. Le innegabili influenze kantiane nella formazione hegeliana si limitano evidentemente all'aspetto teoretico e a quello pratico, escludendo però da quest'ultimo ogni elemento finalistico della Natura e del mondo. La Natura non ha alcun fine, è completamente indifferente: sono gli uomini che, in maniera minima, cercano di finalizzarla al loro utile. E il distacco intellettuale dalla Natura ridimensiona anche gli aspetti straordinari, che passano in secondo piano rispetto al rigido meccanicismo dei fenomeni naturali. L'unica cosa viva - e degna di interesse - in mezzo alle Alpi bernesi sono gli uomini che quotidianamente contro la Natura combattono per sopravvivere.

Il Diario fu scritto dal 25 al 31 luglio 1796, quando Hegel si trovava a Berna a fare il precettore; è stato pubblicato per la prima volta nel 1844 da K. Rosenkranz, come appendice alla sua Vita di Hegel.

 

R. Bodei, Prefazione a G. W. F. Hegel, Viaggio sulle Alpi bernesi

 

Nel Diario di viaggio sulle Alpi bernesi Hegel coglie - con puntualità, ma senza pedanteria - i luoghi attraversati e i percorsi compiuti nel loro incessante variare prospettico e negli improvvisi mutamenti di scenario riguardo allo spettatore e al viandante nelle diverse ore del giorno. In termini moderni, è come se una macchina da presa pensante, attenta ai dati esterni, ci accompagnasse costantemente in quanto lettori.

Il suo non è certo un “viaggio sentimentale” e l'amore smisurato per la natura o per ciò che è primitivo vi hanno ben poco spazio. Hegel cerca le tracce delle attività e del lavoro dell'uomo nel loro inserirsi è senza scalfirla piú di tanto è in una natura indomita, entro cui sono incastonati, cosí da rallegrare e, insieme, spaesare il viaggiatore: “Le valli molto strette sono qui ricche di prati fertili, disseminati di numerosissimi alberi da frutta, in particolare di noci e ciliegi che offrono sempre una veduta agreste, graziosa e ristoratrice. Ma l'angustia delle valli, là dove i monti lo privano di ogni veduta in lontananza, suscita in lui [nel viaggiatore] l'effetto di una compressione inquietante. Egli desidera costantemente che lo spazio si allarghi, si estenda, ma il suo sguardo continua a urtare contro le rocce”.

Il suo interesse verte su quelli che chiamerà, nella celebre lettera a Schelling del 2 novembre 1800, i “bisogni piú subordinati degli uomini”, quelli per la conquista e il miglioramento della propria vita materiale e spirituale al livello del desiderio e della religione. [...] I ghiacciai non hanno per lui niente di particolarmente affascinante, grandioso e piacevole, se si toglie la semplice idea di esservi fisicamente tanto vicino da toccarli: “Si può solo dire che è un nuovo tipo di veduta, che però non offre assolutamente nessun'alta occupazione allo spirito se non la constatazione di trovarsi nel pieno della calura estiva a cosí breve distanza da masse di ghiaccio che un caldo simile non riesce a fondere se non in misura trascurabile”. Cosí pure la vista delle Alpi: “La ragione nel pensiero della durata di queste montagne, o nel tipo di sublimità che si ascrive loro, non trova nulla che le si imponga e le strappi stupore e meraviglia. La vista di questi massi eternamente morti a me non ha offerto altro che la monotona rappresentazione, alla lunga noiosa, del: è cosí”.

L'elemento selvaggio, smisurato, in cui la natura esibisce sensibilmente l'infinito spaziale e temporale, insieme all'immenso e incontrollabile potere delle sue energie, che umilia e rischia di schiacciare l'uomo, è legato al sentimento del sublime è una categoria, questa, che persino nella tarda Estetica delle lezioni berlinesi Hegel dimostra di non apprezzare - e, in questo caso, kantianamente, al “sublime dinamico”.

[...]

Il nucleo teorico piú consistente - abbozzato con un tocco leggero che non appesantisce né intralcia la narrazione del viaggio - è quello relativo al contrasto fra la necessità della natura e gli espedienti e la fatica degli uomini per sottrarvisi ed emanciparsi utilizzando i suoi stessi mezzi e ritorcendo le sue energie contro se stessa, secondo lo schema osservato della forza dell'acqua che, urtando contro le stesse rocce per millenni, ne smussa i margini aguzzi. In zone di alta montagna, in cui la riduzione del calore e la povertà del suolo rendono inospitale ogni soggiorno, si dimostra la “nobilitate” della specie umana, capace non solo di abitarvi, ma anche di ricavare ingegnosamente il rifugio e il sostentamento da quel poco che trovano e che riescono a strappare alla natura.

[...] Anche attraverso la lettura di Spinoza, Hegel ha appreso che la natura non ha scopo per l'uomo. Non è né madre, né matrigna: è soltanto indifferente. Egli riesce a dominarla unicamente quando usa i suoi elementi e le sue energie gli uni contro gli altri, mutandone il ruolo senza intaccarne le leggi. In ragione della sua acidità, il presame o caglio - tolto dallo stomaco dei vitelli e inserito nel latte - provoca la coagulazione di una parte solida e la separazione del siero. La natura non aveva tuttavia di mira il formaggio come prodotto finito, il cui beneficio è destinato agli uomini. Allo stesso modo il fiore di genziana cresce spontaneamente in alta montagna, ma questo semplice fatto non autorizza a istituire alcuna relazione intrinseca fra la pianta e la preparazione del liquore, opera dell'inventiva e del lavoro umano. Cosí, infine, anche i fattori distruttori e pericolosi per il corpo relativamente fragile dell'uomo, come “i blocchi turriformi di granito”, possono venire utilizzati per costruire un riparo dalle intemperie, sfruttando le medesime leggi di gravità che possono farli cadere rovinosamente. L'ingegnosità umana ha escogitato un'enorme quantità di stratagemmi per sopravvivere anche dinanzi a una natura dominante non ancora sottomessa (si considerino due osservazioni marginali riportate nel Diario: i montanari hanno posato pietre sui tetti perché le tempeste non li scoperchino e utilizzano anche i piccoli “fazzoletti di terra” in montagna facendovi pascolare le capre che per loro sono utilissime).

La casualità per l'uomo e l'assenza di scopi della natura viene in tal modo trasformata dal lavoro in finalità artificiale, seguendo il corso, opportunamente indirizzato, della natura stessa.

 

(G. W. F. Hegel, Viaggio sulle Alpi bernesi, Ibis, Como-Pavia, 1990, pagg. 12-15, 20-22)