Braudel, I filosofi e il nostro lavoro

F. Braudel (1902-1985) storico francese di fama internazionale, è stato direttore della prestigiosa rivista Annales. Egli definisce il tempo come una realtà a n dimensioni e ritiene che esso abbia sostanzialmente tre ritmi, uno lento (le epoche), l’altro medio (il piú consono alla misura umana) e l’altro ancora brevissimo (un giorno, un’ora).

In questa lettura Braudel afferma che da una parte le nostre curiosità si allargano, ponendo sempre nuovi problemi e facendo aumentare piú i dubbi che le certezze, dall’altra i filosofi, invece di accompagnare gli storici nel loro lavoro, li seguono a cinquant’anni di distanza.

 

F. Braudel, La Méditerranée et le monde méditerranéen à l’époque de Philippe II, Paris, 1049, Conclusione; trad. it. di C. Pischedda, Einaudi, Torino, 19532, pag. 498

 

Storici e filosofi mi hanno chiesto che cosa diventi, in questo gioco, la libertà degli uomini. Alle loro domande ho risposto piuttosto male e in maniera contraddittoria. Non sono filosofo, o lo sono soltanto per porre a me stesso le difficili domande che mi si chiede di risolvere. Lucien Febvre lo diceva: “Veder nascere l’alba dal crepuscolo”, essere in un punto dominante della storia e della vita degli uomini, è un bel sogno, ma un sogno. La nostra funzione, di noi storici, è quella di essere innanzitutto a fior di terra, a contatto delle cose e degli esseri, di ciò che si vede, si prova, si stabilisce obiettivamente. Ora, è colpa nostra se, nel crocevia dove si trovano oggi le brancolanti scienze sociali, tutti i contatti stabiliti con i fatti, le cifre, le statistiche aumentano i nostri dubbi piú che le nostre certezze; se le nostre curiosità allargate sembrano porre, piú che risolvere, nuovi e appassionanti problemi nei quali non si sa quale parte esatta possono rappresentare le misteriose leggi del numero? Se i filosofi, come ci insegnavano a scuola, fossero sempre gli uomini di avanguardia, se ci accompagnassero, anziché seguirci (quando ci seguono) a cinquant’anni di distanza, ci aiuterebbero in questa ricerca angosciosa. Ma essi non ci seguono affatto, e io dubito che ci raggiungano, salvo che le scienze umane non segnino un lungo tempo di arresto. Al presente, nell’assenza di una filosofia, di una sistemazione del nostro mestiere da parte degli specialisti del ben pensare, contentiamoci di quella che, artigiani, noi forniamo con le nostre mani maldestre; e consoliamoci pensando che alle gloriose scienze del reale capita la stessa cosa. Nel nostro secolo, ciascuno filosoferà per sé, ancora per molto tempo.

 

Novecento filosofico e scientifico, a cura di A. Negri, Marzorati, Milano, 1991, vol. V, pag. 45