BENJAMIN, SUL CONCETTO DI STORIA

 

II.

 

«Una delle peculiarità più notevoli dell'animo umano, - dice Lotze, - è, accanto a un così grande egoismo nel singolo, la generale mancanza d'invidia di ogni presente per il proprio futuro». Questa riflessione comporta che l'immagine di felicità che custodiamo in noi è del tutto intrisa del colore del tempo in cui ci ha oramai relegati il corso della nostra esistenza. Felicità che potrebbe risvegliare in noi l'invidia c'è solo nell'aria che abbiamo respirato, con le persone a cui avremmo potuto parlare, con le donne che avrebbero potuto darsi a noi. In altre parole, nell'idea di felicità risuona ineliminabile l'idea di redenzione. Ed è lo stesso per l'idea che la storia ha del passato. Il passato reca con sé un indice segreto che lo rinvia alla redenzione. Non sfiora forse anche noi un soffio dell'aria che spirava attorno a quelli prima di noi? Non c'è, nelle voci cui prestiamo ascolto, un'eco di voci ora mute? Le donne che corteggiamo non hanno delle sorelle da loro non più conosciute? Se è cosi, allora esiste un appuntamento misterioso tra le generazioni che sono state e la nostra. Allora noi siamo stati attesi sulla terra. Allora a noi, come ad ogni generazione che fu prima di noi, è stata consegnata una debole forza messianica, a cui il passato ha diritto. Questo diritto non si può eludere a poco prezzo. Il materialista storico ne sa qualcosa.

 

IV.

 

La lotta di classe, che è sempre davanti agli occhi di uno storico che si è formato su Marx, è una lotta per le cose rozze e materiali, senza le quali non si danno cose fini e spirituali. Queste ultime, però, sono presenti nella lotta di classe altrimenti dall'idea di una preda che tocca al vincitore. In questa lotta esse sono vive come fiducia, coraggio, gaiezza, astuzia, perseveranza, e operano a ritroso nella lontananza del tempo. Esse metteranno sempre di nuovo in discussione ogni vittoria che mai sia toccata a chi è al potere. Come i fiori volgono il capo verso il sole, così, per un eliotropismo di natura misteriosa, ciò che è stato tende a rivolgersi verso quel sole che sta per sorgere nel cielo della storia. Di questo, che tra tutti i mutamenti è il meno appariscente, deve intendersi il materialista storico.

 

VI.

 

Articolare storicamente il passato non significa conoscerlo «proprio come è stato davvero». Vuole dire impossessarsi di un ricordo così come balena in un attimo di pericolo. Per il materialismo storico l'importante è trattenere un'immagine del passato nel modo in cui s'impone imprevista nell'attimo del pericolo, che minaccia tanto l'esistenza stessa della tradizione quanto i suoi destinatari. Per entrambi il pericolo è uno solo: prestarsi ad essere strumento della classe dominante. In ogni epoca bisogna tentare di strappare nuovamente la trasmissione del passato al conformismo che è sul punto di soggiogarla. Il messia infatti viene non solo come il redentore, ma anche come colui che sconfigge l'Anticristo. Il dono di riattizzare nel passato la scintilla della speranza è presente solo in quello storico che è compenetrato dall'idea che neppure i morti saranno al sicuro dal nemico, se vince. E questo nemico non ha smesso di vincere.

 

IX.

 

C'è un quadro di Klee che si chiama Angelus Novus. Vi è rappresentato un angelo che sembra in procinto di allontanarsi da qualcosa su cui ha fisso lo sguardo. I suoi occhi sono spalancati, la bocca è aperta, e le ali sono dispiegate. L'angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Là dove davanti a noi appare una catena di avvenimenti, egli vede un'unica catastrofe, che ammassa incessantemente ma­cerie su macerie e le scaraventa ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e riconnettere i frantumi. Ma dal paradiso soffia una bufera, che si è impigliata nelle sue ali, ed è cosi forte che l'angelo non può più chiuderle. Questa bufera lo spinge inarrestabilmente nel futuro, a cui egli volge le spalle, mentre cresce verso il cielo il cumulo delle macerie davanti a lui. Ciò che noi chiamiamo il progresso, è questa bufera.

 

XII.

 

Il soggetto della conoscenza storica è di per sé la classe oppressa che lotta. In Marx essa figura come l'ultima classe resa schiava, come la classe vendicatrice, che porta a termine l'opera di liberazione in nome di generazioni di sconfitti. Questa coscienza, che si è fatta ancora valere per breve tempo nella Lega di Spartaco, fu da sempre scandalosa per la socialdemocrazia, che nel corso di tre decenni è riuscita a cancellare quasi del tutto il nome di un Blanqui, il cui suono squillante aveva scosso il secolo precedente. Essa si compiacque di assegnare alla classe operaia il ruolo di redentrice delle generazioni future. E recise così il nerbo della sua forza migliore. La classe disapprese, a questa scuola, tanto l'odio quanto la volontà di sacrificio. Entrambi infatti si alimentano all'immagine degli antenati asserviti, non all'ideale dei discendenti liberati.

 

XIII.

 

La teoria socialdemocratica, e ancor più la prassi, fu determinata da un concetto di progresso che non si atteneva alla realtà, ma aveva una pretesa dogmatica. Il progresso, come si rappresentava nelle teste dei socialdemocratici, era, in primo luogo, un progresso dell'umanità stessa (e non solo delle sue abilità e cono­scenze). Era, in secondo luogo, un progresso interminabile (in corrispondenza a una perfettibilità infinita dell'umanità). Esso valeva, in terzo luogo, come un progresso essenzialmente inarrestabile (come quello che descrive spontaneamente un percorso diritto o a spirale). Ciascuno di questi predicati è controverso, e a ciascuno potrebbe applicarsi la critica. Però, se si fa sul serio, essa deve risalire a monte di questi predicati e indirizzarsi a qual­cosa che è loro comune. L'idea di un progresso del genere umano nella storia è inseparabile dall'idea che la storia proceda percorrendo un tempo omogeneo e vuoto. La critica all'idea di tale procedere deve costituire il fondamento della critica all'idea stessa di progresso.

 

XIV.

 

«Origine è la meta». Karl Kraus

 

La storia è oggetto di una costruzione il cui luogo non è costituito dal tempo omogeneo e vuoto, ma da quello riempito dell'adesso. Così, per Robespierre, l'antica Roma era un passato carico di adesso, che egli estraeva a forza dal continuum della storia. La Rivoluzione francese pretendeva di essere una Roma ritornata. Essa citava l'antica Roma esattamente come la moda cita un abito d'altri tempi. La moda ha buon fiuto per ciò che è attuale, dovunque esso si muova nel folto di tempi lontani. Essa è il balzo di tigre nel passato. Solo che ha luogo in un'arena in cui comanda la classe dominante. Lo stesso salto, sotto il cielo libero della storia, è il salto dialettico, e come tale Marx ha concepito la rivoluzione.

 

XVIIa.

 

Nell'idea della società senza classi, Marx ha secolarizzato l'idea del tempo messianico. Ed era giusto così. La sciagura sopravviene per il fatto che la socialdemocrazia elevò a «ideale» questa idea. Nella dottrina neokantiana l'ideale veniva definito come il «compito infinito». E questa dottrina è stata la scolastica del partito socialdemocratico [...]. Una volta definita la società senza classi come un compito infinito, il tempo omogeneo e vuoto si trasformò, per cosi dire, in un'anticamera nella quale si poteva attendere, con maggiore o minore tranquillità, l'ingresso della situazione rivoluzionaria. In realtà non vi è un solo attimo che non rechi con sé la propria chance rivoluzionaria - essa richiede soltanto di essere intesa come una chance specifica, ossia come chance di una soluzione del tutto nuova, prescritta da un compito del tutto nuovo. Per il pensatore rivoluzionario la peculiare chance rivoluzionaria trae conferma da una data situazione politica. Ma per lui non trae minor conferma dal potere delle chiavi che un attimo possiede su di una ben determinata stanza del passato, fino ad allora chiusa. L'ingresso in questa stanza coincide del tutto con l'azione politica; ed è ciò per cui essa, per quanto distruttiva possa essere, si dà a riconoscere come un'azione messianica.

 

A.

 

Lo storicismo si accontenta di stabilire un nesso causale fra momenti diversi della storia. Ma nessuno stato di fatto è, in qualità di causa, già perciò storico. Lo è diventato, postumamente, attraverso circostanze che possono essere distanti migliaia di anni da esso. Lo storico che muove da qui cessa di lasciarsi scorrere tra le dita la successione delle circostanze come un rosario. Egli afferra la costellazione in cui la sua epoca è venuta a incontrarsi con una ben determinata epoca anteriore. Fonda così un concetto di presente come quell'adesso, nel quale sono disseminate e incluse schegge del tempo messianico.

 

B.

 

Il tempo che gli indovini interrogavano, per carpirgli ciò che celava nel suo grembo, da loro non era certo sperimentato né come omogeneo né come vuoto. Chi tiene presente questo forse giunge a farsi un'idea di come il tempo passato è stato sperimentato nella rammemorazione: e cioè proprio così. E noto che agli ebrei era vietato investigare il futuro. La Torah e la preghiera li istruiscono invece nella rammemorazione. Ciò liberava per loro dall'incantesimo il futuro, quel futuro di cui sono succubi quanti cercano responsi presso gli indovini. Ma non perciò il futuro diventò per gli ebrei un tempo omogeneo e vuoto. Poiché in esso ogni secondo era la piccola porta attraverso la quale poteva entrare il messia.