BENJAMIN, LETTERA A FLORENS CHRISTIAN RANG

 

9 dicembre 1923

 

Caro Christian,

ti ringrazio di cuore per la lealtà con cui mi hai spinto a controllare la mia situazione, con riguardo alla mia "lettera". Ho seguito il tuo suggerimento, mettendomi direttamente in contatto con Francoforte, e dal mio silenzio fino a oggi puoi arguire che anche di li è giunta conferma. Naturalmente non si tratta di una conferma da parte "ufficiale", ma poiché proviene da Gottfried Salomon,1 che è bene al corrente della situazione, mi deve bastare. Ultimamente non ho più ricevuto bozze: perché ti ho già mandato il mio contributo? o perché è prossima la pubblicazione dello scritto? Spero che si tratti del secondo caso, poiché non sono il solo impaziente di vedere quale effetto farà su di me nel suo complesso – per quanto ho potuto ho anche destato, qui, il più vivo senso di attesa. Non so se ti ho già detto, nella lettera precedente, come la testimonianza di Hofmannsthal a favore del tuo appello abbia fatto su di me una buona e profonda impressione. Desidero solo che egli mantenga ciò che le sue parole prospettano, a mio avviso questo significherebbe molto proprio per lui e per il suo giudizio. Questa mattina ho cominciato a leggere Das gerettete Venedig [Venezia salvata], che egli aveva composto anni fa ispirandosi al dramma omonimo di Thomas Otway, in funzione del mio lavoro sul dramma. Lo conosci? Nel frattempo gli ho risposto, naturalmente, accettando, e gli ho anche mandato il Baudelaire, che è appena uscito. E problematico privilegio di tutti coloro che mi sono amici, dover ancora aspettare questo dono che spetta a tutti loro – e quindi anche e soprattutto a te.

Sembra proprio che Weissbach [con un trucco giuridico di prim’ordine (che è impossibile esporre per iscritto)] voglia privarmi di quasi tutte le copie gratuite e dell’intero onorario. La cosa si chiarirà presto. Dopo aver spedito lo scritto a Hofmannsthal, è sorto in me il dubbio che potesse essere riuscito troppo formale, nonostante tutta la reverente gratitudine che esprime. In particolare, nel mio primo scritto ho ancora avuto difficoltà a parlare per parte mia delle cose di Heinle, che egli non ha toccato, per non sembrare insistente. Credo di poterti forse pregare di interrogarlo in proposito, se si presentasse la occasione, e qualora non ne dovesse parlare egli stesso tra non molto, con me o con te. E anche in un altro senso ti prego di riprendere per un momento (e già nella prossima lettera) la tua parte di mediatore. Si tratta di rimandarmi 1) il saggio per gli "Argonauten" e specialmente 2) il lavoro sulle Affinità elettive,2 perché devo ancora averlo in mano prima che vada in tipografia. Infatti qui non ho né il manoscritto né una copia del lavoro, e ho bisogno urgente di consultare certe sue parti per il mio lavoro attuale. Per quanto concerne quest’ultimo, è strano come da alcuni giorni esso mi assilli proprio con quei problemi che nella tua ultima lettera mi apparivano come espressione di un tuo confronto con le idee. Poter parlare con te, a voce, di questo argomento, sarebbe per me infinitamente importante, tanto più che soffro di una certa solitudine a cui mi hanno costretto circostanze esterne e l'oggetto del mio lavoro. Sono intrigato da questo pensiero: qual è il rapporto delle opere d’arte con la vita storica? Dove sono certo che non c’è storia dell’arte. Mentre il concatenamento dell'accadere temporale per la vita umana, per esempio, non produce solo effetti essenziali di causalità, ma senza tale concatenamento nello sviluppo, maturità, morte e altre categorie la vita umana, secondo la sua essenza, non esisterebbe affatto, la situazione dell'opera d'arte è completamente diversa. È, nella sua essenza, astorica. Il tentativo di inserire l’opera d’arte nella vita storica non apre prospettive che portino nel suo nucleo più profondo, diversamente, ad esempio, dallo stesso tentativo nei confronti dei popoli, che porta alla prospettiva delle generazioni e ad altri strati essenziali. Le ricerche della storia dell’arte corrente conducono sempre soltanto alla storia degli argomenti, dei motivi, o alla storia della forma, per cui le opere d’arte offrono solo esempi, in certo modo modelli; mentre una storia delle stesse opere d'arte è esclusa. Esse non hanno nulla che le congiunga le une alle altre in modo insieme estensivo ed essenziale – mentre nella storia di un popolo tale legame estensivo ed essenziale è dato dal rapporto di discendenza delle generazioni. Il nesso essenziale tra le opere d’arte resta intensivo. Da questo punto di vista le opere d’arte hanno una posizione analoga a quella dei sistemi filosofici, nel senso che la cosiddetta " storia " della filosofia o è una storia priva di interesse di dogmi o persino di filosofi, oppure è una storia di problemi, e in questo caso minaccia sempre di perdere il contatto con l’estensione temporale e di trasformarsi in un atto atemporale, intensivo – nell’interpretazione. Anche la storicità specifica delle opere d’arte è tale da non dischiudersi in una " storia dell'arte", ma solo nell’interpretazione. E infatti nell’interpretazione vengono in luce connessioni fra diverse opere d’arte che sono atemporali, e tuttavia non mancano di rilevanza storica. Poiché le stesse forze che nel mondo della rivelazione (e la storia è questo) diventano esplosivamente ed estensivamente temporali, nel mondo della chiusura, del riserbo (e tale è quello della natura e delle opere d’arte) vengono in luce intensivamente.

Ti prego di perdonare questi pensieri insufficienti e provvisori. Avevano solo lo scopo di condurmi qui dove spero di incontrarti: le idee sono le stelle, in contrasto col sole della rivelazione. Non brillano nel giorno della storia operano solo invisibilmente in esso. Brillano solo nella notte della natura. Ora le opere d'arte sono state definite come modelli di una natura che non attende nessun giorno e quindi neanche un giorno del giudizio, come modello di una natura che non è teatro della storia né residenza degli uomini. La notte salvata. Ora, nella prospettiva di questa riflessione (dove essa è identica con l’interpretazione e opposta a tutti i metodi correnti di considerazione dell’arte), la critica è esposizione di un'idea. La loro infinità intensiva caratterizza le idee come monadi. Voglio definire la critica in questo modo: è mortificazione delle opere. Non è potenziamento della coscienza presente in esse (romanticismo!), ma insediamento in esse del sapere. La filosofia deve nominare le idee come Adamo la natura, per superarle – esse che sono natura ritornata. - La concezione complessiva di Leibniz, di cui adotto, per la determinazione delle idee, quel concetto di monade che tu stesso evochi, equiparando le idee ai numeri - poiché per Leibniz la discontinuità dei numeri interi è stata un fenomeno decisivo per la dottrina delle monadi – mi sembra rappresentare la sintesi di una teoria delle idee: il compito dell’interpretazione delle opere d’arte è di raccogliere la vita creaturale nell’idea. Fissarla. - Perdonami, se tutto ciò non dovesse essere chiaro. La tua concezione fondamentale mi ha senz'altro convinto. Mi si presenta in ultima analisi in questa appercezione: che ogni sapere umano, se vuole essere responsabile, deve avere la forma dell’interpretazione e nessun’altra, e che le idee sono gli strumenti dell’accertamento interpretativo. A questo punto occorrerebbe una teoria delle diverse specie di testi. Nel Convito e nel Timeo Platone ha identificato l’ambito della dottrina delle idee con quello dell’arte e della natura; l’interpretazione di testi storici o sacri forse non è stata prevista, finora, da nessuna dottrina delle idee. Se queste riflessioni, nonostante la loro insufficienza, dovessero darti la possibilità di esprimere il tuo pensiero, la cosa mi farebbe molto piacere. In ogni caso dovremo ancora incontrarci spesso su questo terreno. - La defezione di [Eugen] Rosenstock offre ora un tardivo svincolo delle parole che avevo allora pubblicato su di lui Non mi ha mai fatto piacere, trovare il suo nome all’inizio dello scritto Dunque ora lo ha moralmente cancellato egli stesso. Ancora auguri cordiali per voi e per Helmuth da parte di noi tutti.

 

Tuo Walter

 

[apparso in Lettere 1913-1940. Raccolte e presentate da G. G. Scholem e T. W. Adorno, Einaudi, Torino 1978, pp. 70-4]