BODIN, DEI CORPI, COLLEGI, STATI E COMUNITA'

Dopo aver parlato della famiglia e delle sue parti, (della sovranità e dei magistrati) bisogna parlare dei corpi e dei collegi, che nell'ordine naturale tengono dietro alla famiglia, fonte e origine di ogni comunità. (...) La differenza fra la famiglia e i corpi e collegi, e fra questi e lo Stato, è come quella del tutto rispetto alle parti: poiché la comunità di più capi di famiglia, o di un villaggio, di una città, di una contrada, può sussistere senza lo Stato altrettanto bene che la famiglia senza collegio; e così come molte famiglie strette fra loro da legami di amicizia sono membri di un corpo e di una comunità, così più corpi e comunità, stretti insieme dal vincolo del potere sovrano, formano uno Stato. La famiglia è una comunità naturale, il collegio è una comunità civile; lo Stato ha, in più, che è una comunità governata con potere sovrano; ma può essere tanto ristretto da non comprendere né corpi né collegi, ma soltanto un certo numero di famiglie. Perciò la parola comunità si applica insieme alla famiglia, al collegio e anche allo Stato; mentre per corpo, propriamente, s'intende l'insieme di più famiglie o di più collegi, o di più famiglie e collegi.

(…) I primi corpi e collegi, quelli che hanno maggior potere nello Stato, sono i collegi dei giudici e dei magistrati; poiché essi hanno potere non solo sulla loro minoranza, a nome dell'insieme, e sui membri singolarmente presi, ma anche sugli altri che, senza far parte del collegio, sono soggetti alla sua giurisdizione. La differenza fra questi collegi e gli altri è notevole, perché gli altri sono istituiti ciascuno per il governo di ciò ch'è comune ai suoi membri, essi in primo luogo per gli altri sudditi, e anche per porre norme agli altri collegi e correggerli se trasgrediscono le leggi e gli statuti.

(…) Per concludere questa trattazione circa il potere degli stati, corpi e comunità leciti, diremo che generalmente in ogni Stato vige la legge di Solone, che è approvata dai giureconsulti e dai canonisti: è cioè permesso a tutti i corpi e collegi leciti di fare ordinanze solo a patto di non derogare alle leggi pubbliche, apponendo ad esse una pena a piacere del collegio, ma poi successivamente, con statuti e ordinanze sia dei collegi sia dello Stato, tale potere è stato quasi ovunque ridotto a una leggera ammenda. E io non ritengo, come vorrebbero alcuni, che il collegio possa stabilire ordinanze pur senza apporre ad esse alcuna pena. Una legge, un'ordinanza, uno statuto diventano ridicoli se non vi sia apposta una pena contro i trasgressori, o se non si disponga espressamente in esse che colui che fa l'ordinanza ha il potere di farla osservare infliggendo pene a suo arbitrio. In molti luoghi, per esempio, vediamo che le corporazioni dei mestieri, che hanno diritto di comunità, hanno sempre qualche facoltà di coercizione, possono ispezionare i prodotti e le mercanzie, requisirle, farle distruggere o confiscarle se si è fatto qualcosa contro alle ordinanze; salvo sempre il diritto del magistrato di giustizia a intervenire in caso di opposizione. Quando poi dico diritto di comunità, intendo che i corpi e i collegi possono trattare nelle loro assemblee solamente ciò ch'è loro comune; ma non è permesso trattare altri affari, meno di non incorrere nella pena stabilita contro i corpi e collegi illeciti.

(…) Ma la monarchia legittima, al contrario, non ha nessun fondamento più sicuro che gli stati del popolo, i corpi e i collegi. Se c'è bisogno di levare imposte in denaro, riunire forze per la guerra, mantenere saldo lo Stato contro i nemici, tutto ciò non si può fare meglio che per mezzo degli stati del popolo e di ciascuna provincia, città, comunità. Quegli stessi che vorrebbero abolire gli stati dei loro sudditi, al momento del bisogno non trovano altro di meglio da fare che ricorrere ad essi; e stati e comunità, unendosi insieme, si rendono più forti per la difesa dei loro principi. Così pure agli stati generali di tutti i sudditi, in presenza del principe, si trattano gli affari riguardanti il corpo universale dello Stato e i suoi singoli membri; è là che si ascoltano i giusti lamenti dei poveri sudditi, che non possono in altro modo giungere alle orecchie del principe, là si rivelano i latrocinii, le concussioni, le ruberie che vengono perpetrate a nome del principe senza che questo ne sappia niente. Ed è incredibile quanto i sudditi siano felici di vedere il loro re presiedere alle loro assemblee, quanto siano fieri di essere visti da lui: e se egli ascolta i loro lamenti e accoglie le loro richieste, anche se poi queste non siano esaudite, sono pur sempre superbi di aver avuto accesso al loro re.

(Bodin, “Dello Stato”, III, cap. 7)