BURKE, SULLA RIVOLUZIONE FRANCESE


Non sarà inutile informare il lettore che le seguenti Riflessioni sulla Rivoluzione francese trassero origine da uno scambio epistolare tra l'Autore ed un giovane gentiluomo parigino, che l'onorò col richiederne l'opinione riguardo alle importanti vicende che dal momento in cui si verificarono hanno costantemente occupato l'attenzione di tutti gli uomini. (...)

È impossibile non osservare come, dalla Magna Charta fino alla Dichiarazione dei Diritti, sia stata politica uniforme della nostra costituzione esigere e asserire le nostre libertà come inalienabile eredità trasmessa a noi dai nostri antenati, e trasmissibile alla nostra posterità, come proprietà appartenente in modo speciale al popolo di questo regno, senza alcun riferimento a qualsiasi altro diritto più generale o antecedente. In questo modo la nostra Costituzione preserva l'unità pur nella grande diversità delle sue parti. Abbiamo una corona ereditaria, un aristocrazia ereditaria, ed una Camera dei Comuni ed un popolo eredi di privilegi, franchige e libertà derivati loro da antichissimi antenati.

Questa linea di condotta mi appare frutto di profonda riflessione; o piuttosto l'effetto felice di una conformità con la natura in cui si manifesta una saggezza nativa superiore alla riflessione. Lo spirito di innovazione è in genere il risultato di un temperamento egoista e di vedute limitate. I popoli che non si volgono indietro ai loro antenati non sapranno neanche guardare al futuro. Inoltre il popolo inglese sa bene che l'idea ereditaria fornisce un principio sicuro di conservazione ed un principio sicuro di trasmissione, senza affatto escluderne uno di miglioramento. Lascia piena libertà di acquisire mentre garantisce il possesso di ciò che si acquisisce. (...)

In questo modo la nostra libertà si trasforma in nobile indipendenza, di aspetto imponente e maestoso, dotata di genealogia e di illustri antenati, di divisa araldica e di cotta d'armi, di galleria di ritratti, di iscrizioni monumentali, di documenti, prove e titoli. In tal modo procuriamo riverenza alle nostre istituzioni civili per le stesse ragioni per cui la natura ci insegna a riverire gli uomini: per la loro età e per i loro antenati. Tutti i vostri sofisti non potranno mai produrre niente di più adatto alla preservazione di una libertà razionale e vigorosa del cammino scelto da noi, che abbiamo preferito fare depositari dei nostri diritti e privilegi la natura ed il cuore piuttosto che affidarci a speculazioni astratte e ritrovati ingegnosi.

Avreste potuto facilmente profittare del nostro esempio, dando alla libertà da voi testé recuperata una corrispondente dignità. I vostri privilegi, seppure sospesi, non erano scomparsi dalla memoria del popolo. La vostra costituzione ebbe a soffrire, è vero, durante il vostro allontanamento dal potere, grandi scempi e dilapidazioni; ma è pur vero che avevate ancora una parte delle mura e certo tutte le fondamenta di un nobile e venerabile castello. Avreste potuto riparare quelle mura. costruire su quelle vecchie fondamenta. (...)

Nei vostri antichi Stati voi avevate tutti questi vantaggi: ma avete preferito agire come se non aveste mai conosciuto la società civile, come se doveste ricominciare tutto dai primi elementi. Così avete cominciato male, perché avete cominciato col disprezzare tutto quello che vi apparteneva. (...) Dal rispetto dei padri avreste appreso il rispetto di voi stessi. Non avreste allora scelto di considerare il popolo francese come un popolo nato ieri, come una nazione composta, fino alla emancipazione del 1789, da servi di nascita vile. Non vi sareste lasciati dipingere come una banda di schiavi mori, liberati all'improvviso dalla loro schiavitù, e quindi perdonabili per ogni abuso di quella libertà a cui non erano abituati ed a cui erano poco disposti; ciò solo per fornire ai vostri panegiristi, a spese del vostro onore, una qualche scusa per alcune cospicue enormità da voi commesse. (...)

Considerate cosa avete guadagnato con quelle stravaganti e presuntuose speculazioni che hanno insegnato ai vostri capi a disprezzare tutti i loro predecessori e i loro contemporanei ed infine sé stessi, fino al punto di esser divenuti veramente disprezzabili. La Francia, seguendo quei falsi lumi, ha comprato ovvie calamità ad un prezzo ben più alto di quello pagato da ogni altra nazione per l'acquisto di inequivocabili benedizioni. La Francia ha comprato la povertà col delitto! La Francia non ha sacrificato la propria virtù al proprio interesse, ma ha addirittura prostituito la propria virtù per abbandonare il proprio interesse! Tutte le altre nazioni hanno iniziato l'edificazione di un governo nuovo o la riforma di quello vecchio con l'istituire per la prima volta o col dar nuova forza a una qualche forma di rito religioso. Tutti gli altri popoli hanno ricercato le fondamenta della libertà civile in una maggiore severità di costumi ed in un sistema morale più austero e più virile. La Francia, allentando le redini dell'autorità regale, ha raddoppiato al tempo stesso la licenziosità di una feroce dissolutezza dei costumi e di una irreligiosità insolente nelle opinioni e negli atti; ed ha esteso a tutte le classi sociali, come se si trattasse di comunicare un privilegio o di far partecipi tutti di un beneficio prima occulto, tutta l'infelice corruzione che era usualmente la malattia esclusiva della ricchezza e del potere. Questo è uno dei nuovi princìpi d'eguaglianza in Francia. (...).

Tutto ciò era contro natura. Il resto è del tutto naturale. È stato proprio il successo dei loro piani a recar loro la peggiore punizione: le leggi infrante, i tribunali sovvertiti, l'industria svigorita, il commercio in declino, le tasse non pagate e il popolo impoverito, la Chiesa saccheggiata senza che lo Stato ne traesse beneficio, l'anarchia civile e militare elevata a costituzione del regno, ogni cosa umana e divina sacrificata all'idolo del credito pubblico, con la bancarotta nazionale come conseguenza; e a completamento di tutto ciò, le garanzie di carta di un potere nuovo, precario, vacillante, le screditate garanzie di carta della frode impoverita e della rapina ridotta alla mendicità usate come valuta a soccorrere un impero, in luogo dei due metalli che rappresentano da sempre il credito perenne e convenzionale dell'umanità, che sparirono nascosti nella terra da cui provenivano non appena fu sistematicamente sovvertito il principio di proprietà che li creò e che essi rappresentano.

Erano necessari tutti questi errori ? Erano forse il risultato inevitabile della lotta disperata di patrioti decisi, costretti a farsi largo tra il sangue ed il tumulto per guadagnarsi l'approdo alla quieta spiaggia di una tranquilla e prospera libertà? No, niente affatto! Le novelle rovine di Francia, che ci percuotono d'orrore dovunque rivolgiamo gli sguardi, non sono frutto della devastazione della guerra civile; esse sono il monumento triste ma istruttivo eretto ad opinioni sconsiderate ed ignoranti venute a turbare un'epoca di pace profonda. Esse sono la conseguenza di un'autorità imprudente e presuntuosa, perché irresistibile e non osteggiata. (...)

Quel che mi colpì subito della convocazione degli Stati Generali fu un grande cambiamento sopravvenuto nella prassi tradizionale. La rappresentanza del Terzo Stato era composta di seicento membri, eguale quindi alla rappresentanza degli altri due ordini presi insieme. Se gli Stati avessero deliberato separatamente il numero non avrebbe avuto importanza, eccetto che nel comportare una spesa maggiore. Ma quando divenne chiaro che i tre Stati dovevano riunirsi a deliberare insieme, allora il motivo di questa rappresentanza numerosa, e l'effetto che ne sarebbe derivato, divenne d'un tratto ovvio. Una diserzione minima dei membri degli altri due ordini avrebbe riversato il potere di ambedue nelle mani del terzo. Infatti, l'intero potere della nazione venne presto a trovarsi in un solo corpo, il Terzo Stato. La composizione di esso assunse quindi importanza di primo piano. (...).

(...) C'erano, sì, alcune eccezioni degne di nota; ma la massa era composta di oscuri avvocati di provincia, di amministratori di piccole giurisdizioni locali, di procuratori di campagna, di notari e dell'intera baracca degli arbitri delle liti municipali, dei fomentatori e capi delle guerriglie vessatorie del villaggio. Dal momento in cui lessi la lista vidi distintamente quel che ne sarebbe seguito, e con grande esattezza. (...)

In seduta di apertura degli Stati Generali il Cancelliere di Francia affermò, preso dalla foga oratoria, che tutte le occupazioni sono onorevoli. Se con questo egli avesse inteso dire che nessuna forma di onesto impiego è disonorevole, certo non si sarebbe allontanato dal vero. Ma vi sono delle distinzioni da tener presenti, proprio in onore del vero, prima di poter asserire che tutte le occupazioni sono onorevoli. Non si può dire, ad esempio, che le attività di parrucchiere o di candelaio apportino particolare onore, per non dire di innumerevoli altre attività più servili di queste. Queste categorie di persone non dovrebbero certo soffrire oppressione dallo Stato; ma lo Stato viene certo oppresso se queste stesse persone, individualmente o collettivamente, sono messe al controllo della cosa pubblica. Con affermazioni di questo genere, mentre credete di battervi contro il pregiudizio combattete contro il naturale ordine delle cose. (...)

Tornando alla composizione di una adeguata rappresentanza dello Stato, non potremo ritener tale un'assemblea ove assieme all'abilità non sia ugualmente presente la proprietà. E dirò di più: i rappresentanti della proprietà devono predominare per numero nell'assemblea, essendo l'ingegno un principio vigoroso ed attivo e la proprietà inoperosa, inerte e timida e quindi totalmente esposta agli attacchi dell'ingegno. (...)

Nella rappresentanza dovrà quindi essere presente anche la grande proprietà, a maggior protezione del generale principio della proprietà. (...)

Si sostiene che ventiquattro milioni dovrebbero predominare sopra duecentomila. Vero, se la costituzione di uno Stato fosse un problema di aritmetica. Un discorso del genere si presta singolarmente bene all'ebrietà della lanterna, ma cade nel ridicolo più assoluto se esaminato da uomini che ancora possono ragionare. (...)

Questa gente deve distruggere, o le sembra di non aver ragione d'essere (...). Ai loro occhi, l'esperienza è la povera saggezza degli illetterati; quanto al resto, esempi tratti dall'antico, precedenti, statuti, atti parlamentari, tengono pronta sottoterra una mina che li farà saltar tutti per aria con una sola immensa esplosione. Questa mina si chiama "i diritti dell'uomo". Contro questi non v'è usanza che conservi il suo valore prescrittivo, non v'è trattato che obblighi; non ammettono né mitigamenti né compromessi: ogni piccola detrazione dell'assolutezza delle loro pretese costituisce frode ed ingiustizia. Alla nuova luce dei diritti dell'uomo, nessun governo si ritenga protetto dalla sua lunga esistenza o dalla giustizia e mitezza della sua amministrazione. Se la sua forma non quadrerà con le teorie dei nostri interessati ragionatori, poco gli varrà l'esser vecchio e benigno; avrà lo stesso destino della più violenta tirannia o della più recente usurpazione. (...)

Il principio che presiede alla formazione del governo civile non è quello dei diritti naturali, che possono esistere ed in effetti esistono indipendentemente da esso; ed esistono con molta maggiore chiarezza e ad un assai maggiore livello di perfezione astratta: ma proprio la loro perfezione in astratto costituisce il difetto in pratica. Perché avendo diritto a tutto vogliono tutto. Il governo è un espediente della saggezza umana per provvedere ai bisogni umani. Gli uomini hanno il diritto di aspettarsi che codesta saggezza provveda ai loro bisogni. E tra questi bisogni si trova quello, che denota una società civile, di porre sufficiente freno alle proprie passioni. Il viver sociale richiede non solo che le passioni degli uomini siano tenute sotto controllo, ma anche che nell'insieme dei singoli, così come avviene per ogni singolo, le inclinazioni degli uomini debbano essere frequentemente contrastate, la loro volontà controllata e le loro passioni soffocate. Questo può essere ottenuto soltanto da un potere esterno a loro e libero, nell'esercizio delle sue funzioni, da quel volere e da quelle passioni che suo ufficio imbrigliare e domare. In questo senso i freni posti agli uomini vanno annoverati, al pari delle loro libertà, tra i loro diritti. Ma siccome le restrizioni e le libertà variano con i tempi e con le circostanze ed ammettono infinite modificazioni, non possono essere stabilite una volta per tutte in una codificazione astratta; e niente è più sciocco che discuterle su un principio astratto. (...)

I diritti di cui vociferano questi teorici sono tutti estremi: veri in quanto assoluti, metafisici, ma falsi se trasposti su un piano morale e politico. I veri diritti dell'uomo risiedono in una zona media, difficile a definire ma non impossibile a percepire. I diritti dell'uomo, in una società civile, sono i suoi stessi vantaggi; e questi non vengono mai espressi in assoluto, ma risiedono in equilibrate gradazioni di buono o addirittura in quanto talvolta equivale ad un compromesso tra buono e cattivo, e, perché no, anche tra due forme di cattivo. La ragione politica è un principio di calcolo: è una lunga serie di somme, sottrazioni, moltiplicazioni e divisioni, operazioni tutte morali, e non metafisiche o matematiche, compiute su fattori squisitamente morali.

È quindi per evitare i mali dell'incostanza e della volubilità, diecimila volte peggiori di quelli dell'ostinazione e del pregiudizio più cieco, che abbiamo santificato lo Stato. Noi l'abbiamo santificato perché nessuno abbia la temerità di rivelasse i difetti o la corruzione se non con la massima cautela, o speri di riformarlo attraverso la sovversione ma piuttosto ne riguardi le mancanze con lo stesso pietoso rispetto e tremante sollecitudine con cui ci avviciniamo alle ferite di un padre. Questo saggio pregiudizio ci insegna a riguardare con orrore quei cittadini troppo solleciti nel tagliare a pezzi il corpo del loro vecchio genitore per porlo nella pentola del mago, nella speranza che erbe velenose e strani incantesimi possano ridargli salute e vigore.

È vero che la società è un contratto, ma un contratto di ordine superiore. Si possono sciogliere a piacere dei contratti minori per merci di interesse occasionale. Ma quando si tratta lo Stato con la stessa capricciosità che distingue i piccoli interessi passeggeri, quando lo si dissolve a piacere delle parti, allora lo si considera davvero alla stregua di un qualsiasi contratto concernente lo scambio di pepe, caffé, mussolina o tabacco. Bisogna guardare allo Stato con ben altra riverenza, perché è questo un contratto che riguarda ben altre esigenze di quelle pertinenti agli interessi animali di una natura effimera e corruttibile. E questo un contratto che ha in sé tutte le arti, tutte le scienze, tutte le virtù e la più grande perfezione. E siccome il fine di tale contratto non è perseguibile che nel corso di molte generazioni, ecco che questo contratto non svincola solo i vivi, ma i vivi, i morti e coloro non ancora nati. (...)

Son convinto che tra i capi popolari dell'Assemblea nazionale esistano uomini di grandi qualità. Di essi, alcuni mostrano eloquenza nei discorsi e negli scritti, il che non avviene mai senza la scorta di considerevole talento ed educazione. Ma l'eloquenza può esistere anche senza una corrispondente proporzione di saggezza. Quando parlo di abilità, devo fare una distinzione. Quando essi hanno compiuto a sostegno del loro sistema rivela uomini non comuni. Ma nel sistema in sé stesso, in quanto piano teorico di una repubblica costruita allo scopo di procurare la prosperità e la sicurezza dei cittadini e per promuovere la forza e la grandezza dello Stato, confesso di non riuscire a trovare niente che dimostri, sia pure in un solo dettaglio, l'opera di una mente vasta e organizzatrice e neppure le caratteristiche proprie di una comune prudenza. (...)

Non trovo niente di tutto questo in coloro che sono prominenti nell'Assemblea nazionale. Forse essi non sono così miserevolmente deficienti come appaiono. Quasi lo credo, perché ciò li metterebbe al di sotto del comune livello dell'intelligenza umana. (...)

Ma sono io così irragionevole da non veder niente che meriti lode negli indefessi travagli dell'Assemblea? Non nego che tra gli infiniti atti di violenza e di follia alcuni possano essere stati buoni. A chi distrugge tutto certo capiterà di rimuovere anche qualche ingiustizia. A chi edifica tutto nuovo, non mancherà certo il destro di far qualcosa di benefico. Ma per dar loro credito di quanto hanno fatto in virtù di un' autorità usurpata, o per scusarli dei crimini in virtù dei quali si sono impadroniti di quell'autorità, dovrebbe essere manifesto che quelle cose non avrebbero potuto farsi senza fare anche una rivoluzione. E questo non è vero; perché quasi tutte le norme sancite da loro, che non siano molto ambigue, rientravano già o nelle concessioni del re, fatte volontariamente quando si riunirono gli Stati Generali, o nelle istruzioni agli Stati. Alcuni usi sono stati giustamente aboliti; ma erano tali, che se anche fossero rimasti com'erano per tutta l'eternità, avrebbero detratto poco dalla felicità e prosperità di qualunque Stato. I miglioramenti dell'Assemblea nazionale sono superficiali, i suoi errori fondamentali.

Quali che essi siano, vorrei che i miei concittadini raccomandassero ai nostri vicini l'esempio della costituzione britannica piuttosto che prendere a modello la loro per il miglioramento della nostra. Perché in essa possediamo un tesoro inestimabile. I miei concittadini non mancano, credo, di cause per qualche apprensione e lagnanza; ma queste non son dovute alla costituzione del loro paese, ma alla loro propria condotta. Ritengo che la nostra felice condizione derivi dalla nostra costituzione, ma dall'insieme di essa; non da alcune delle sue parti presa singolarmente, e in gran misura da quel che di essa abbiamo lasciato immutato nel corso di diverse revisioni e riforme, oltre che quello che vi abbiamo alterato ed aggiunto. Il nostro popolo troverà ampio impiego per uno spirito veramente patriottico, libero e indipendente, nel difendere da violazioni quanto già possediamo. Non escluderei del tutto le alterazioni, ma anche se dovessi mutare, muterei per preservare. Grave dovrebbe essere l'oppressione per spingermi al mutamento. E nell'innovare, seguirei l'esempio dei nostri avi. Farei la riparazione attenendomi il più possibile allo stile dell'edificio. La prudenza politica, un'attenta circospezione, una timidezza di fondo morale più che dovuta a necessità, furono tra i princìpi normativi dei nostri antenati nella loro condotta più risoluta. Non illuminati dalla luce di cui i gentiluomini di Francia si dichiarano così abbondantemente pervasi, agirono con una alacre coscienza della ignoranza e fallibilità del genere umano. Colui che li aveva creati così fallibili volle ricompensarli per aver agito conformemente alla umana natura. Imitiamo la loro cautela, se vogliamo meritare la loro fortuna o conservare il loro legato. Aggiungiamo, se cosi vogliamo, ma conserviamo quanto ci hanno lasciato; e restando sul saldo terreno della costituzione britannica, contentiamoci di guardare con meraviglia, piuttosto che cercare di seguire nei loro voli disperati, gli aeronauti di Francia.