Cassirer, Teologia, matematica e logica nella filosofia di Cusano

Ernst Cassirer (1874-1945) mette in evidenza il rapporto complesso fra teologia e matematica che prende corpo nella filosofia di Cusano. Elementi che hanno la loro origine nella tradizione filosofica medievale possono trasformarsi in una riflessione rilevante anche per l'uomo dei nostri giorni: quella sul “Lógos che è in noi stessi”, cioè sulle caratteristiche, i limiti e le facoltà della nostra ragione. È necessario prestare molta attenzione ai termini “intelletto” e “ragione” - Cassirer li usa nel loro significato kantiano -: “intelletto” (in Kant e in Cassirer Verstand), infatti, traduce il latino ratio, mentre con “ragione” (Vernunft) traduce il latino intellectus. Ratio, dal verbo reri (“calcolare”), è la facoltà della mente umana di giungere a una conoscenza “esatta”, “certa” e “incontrovertibile”, come quella delle scienze matematiche; e questa conoscenza - per Kant, come per Cusano - è data - usando le parole di Cassirer - dalla nostra capacità “di vagliare e di raggruppare, secondo le concordanze rintracciabili fra i suoi singoli membri, il materiale dato dalle percezioni”. Questa capacità è l'“intelletto”. Ma siccome - seguiamo ancora Cassirer - “il pensiero, nelle sue creazioni spontanee, al di là di tutti i limiti del percepibile, mira a figure esatte e “precise””, ad abbracciare “in un unico sguardo l'unità del principio e la molteplicità indeterminata delle conseguenze che esso racchiude”, la mente umana deve fare ricorso a un'altra sua facoltà, la “ragione”, che Cusano chiama intellectus, ed è in grado di fornire quella “intuizione intellettuale” (visus intellectualis) che evoca chiaramente la nóesis di cui parla Platone nella Repubblica (509 d-511 e) o, ancora piú precisamente, la noús alethés della Settima lettera (342 c).

 

È di grande importanza il fatto inaspettato che una tendenza di pensiero che parte dal concetto di Dio e che mira ad esso costantemente, si riveli direttamente feconda per la scoperta e la formazione di singole nozioni matematiche. Qual è la mediazione concettuale che rende possibile questo processo, e la particolare categoria logica che collega l'uno all'altro i due estremi del sapere, e che produce di conseguenza una vera e propria “coincidenza degli opposti”, in senso metodico?

Questo problema si presenta in forma ancora piú acuta e piú urgente se si osserva che questa unione di matematica e filosofia, agli inizi dell'attività letteraria del Cusano, non è ancora stabilita, ma viene acquistata e consolidata solo a poco a poco. Le prime opere, soprattutto il De docta ignorantia, si muovono ancora interamente nello schema tradizionale della comparazione. La certezza propria della conoscenza matematica non serve ad altro scopo che a trovare con il suo aiuto simboli piú adatti per il rapporto tra l'uno assoluto e la molteplicità del mondo. [...] Ma via via che la speculazione del Cusano si fa piú ricca e piú autonoma, anche il suo pensiero assume una nuova posizione di fronte alla matematica. La nuova direzione del suo interesse ci è già rivelata esteriormente dal fatto che esso ora non si rivolge ai rapporti dell'infinitamente grande, ma a quelli dell'infinitamente piccolo. L'unità delle cose non è una conseguenza del fatto che i loro limiti si estendano all'infinito, per confluire alla fine l'uno nell'altro, ma del fatto che noi risaliamo agli elementi da cui esse si generano nella loro peculiarità. La relazione, che prima ci stava davanti come uno scopo irraggiungibile, ora entra nel campo del finito stesso, che viene considerato e giudicato da un nuovo punto di vista nella particolarità dei suoi rapporti concreti. Tutto ciò che è concesso all'uomo di conoscere nel campo della matematica, egli lo raggiunge in questo modo. Mentre prima si cercava di perfezionare la teologia attraverso la matematica, ora al contrario è la matematica che, solo attraverso il passaggio attraverso la teologia, può venir sollevata al piú alto grado della sua perfezione. La mathematica perfectio diventa lo scopo essenziale della speculazione.

Ma questo scopo può essere raggiunto solo perché la totalità del sapere matematico viene ora assegnata e sottoposta a una nuova facoltà conoscitiva. Nella prima fase del sistema è l'intelletto, la ratio, che, conformemente al suo principio fondamentale del terzo escluso, provvede e presiede alla formazione delle conoscenze matematiche [“Questo è alla base di tutte le asserzioni dell'intelletto, che cioè non sia possibile raggiungere la coincidenza degli opposti” (De conjecturis, II, 1, fol. 51b)]. Ma questa connessione non può essere mantenuta a lungo, poiché l'“intelletto” nel sistema di Cusano indica la facoltà di astrazione della conoscenza delle cose. La sua funzione vera e propria consiste nel confrontare e coordinare le percezioni date secondo le diverse classi di somiglianza. Ma di conseguenza gli sfugge proprio quel momento che, come appare sempre piú chiaramente, costituisce la prerogativa logica essenziale del pensiero matematico. Qui non si tratta semplicemente di vagliare e di raggruppare, secondo le concordanze rintracciabili fra i suoi singoli membri, il materiale dato dalle percezioni; il pensiero, nelle sue creazioni spontanee, al di là di tutti i limiti del percepibile, mira a figure esatte e “precise”. Questa funzione fondamentale rimanda a un principio particolare, che non viene compreso ed esaurito dal principio di contraddizione. E cosí la matematica passa a poco a poco dalla parte dell'“intelletto” alla parte della “ragione”, e non è piú la ratio, ma l'intellectus in senso specifico che deve garantire per essa. Non è piú la ratio, ma l'“intuizione intellettuale” (visus intellectualis) che ci fa conoscere il rapporto tra la curva e la retta, su cui si basa ogni quadratura e misurazione delle curve. Solo tale intuizione intellettuale ci rende sicuri dell'identità tra la minima corda e il minimo arco che rimane sempre celata al pensiero “discorsivo comune”. [...] Solo l'intellectus abbraccia in un unico sguardo l'unità del principio e la molteplicità indeterminata delle conseguenze che esso racchiude; il suo segno distintivo, infatti, non è di procedere da membro a membro per semplice enumerazione, ma di possedere e di dominare fin dal principio la loro totalità nella conoscenza del fondamento generale da cui si generano.

Si chiude cosí finalmente l'anello che, per il Cusano, unisce l'una all'altra la speculazione metafisica e quella matematica. Ciò che la matematica, nella sua forma fondamentale, ha già raggiunto, è raggiungibile anche dalla teologia. Come in quella la scissione, apparentemente insuperabile, tra il finito e l'infinito, tra la retta e la curva, era stata colmata mediante continue mediazioni, ora si tratta di colmare, con un analogo movimento del pensiero, l'abisso che divide il necessario e il casuale, Dio e l'uomo. Questo era il problema che la mistica del Medioevo si era sforzata di risolvere: mostrare, cioè, come l'elevazione dalla finitezza all'infinità si compia proprio nello spirito umano. L'io stesso diventa la culla della divinità. [...] Il processo della “redenzione” non indica piú un atto storico, avvenuto una volta per tutte, al di fuori dell'individuo, ma viene trasportato proprio nella sua interiorità. [...] Ora risulta chiara la categoria che unifica, mediandoli, i due aspetti del pensiero filosofico del Cusano. Nell'idea dell'emanazione, che dall'epoca del neoplatonismo aveva dominato l'intera metafisica, egli scopre di nuovo il principio metodico fondamentale della deduzione pura. L'“emanazione”, infatti, rappresenta, seppure in forma oggettiva, l'esigenza generale di superare l'isolamento del particolare, facendolo derivare da una causa prima intellettuale. Essendo il Cusano ritornato a questo significato originario del concetto, determinazioni che prima sembravano appartenere unicamente alla teologia, si mutano in lui impercettibilmente in espressione di rapporti logici. La concezione generale del panteismo dinamico, che sia possibile comprendere il mondo solo procedendo dal tutto alle parti, e non dalle parti al tutto, ora si trasforma in una importante e feconda caratteristica del continuo matematico. In questa trasformazione si annuncia in realtà una nuova epoca. La matematica doveva essere assoggettata alla teologia per fornirle simboli convenienti e calzanti, ma il suo contenuto di pensiero ha acquistato ormai una vita autonoma, ed è quello che ora dà una nuova impronta all'ontologia.

Il Cusano si riallaccia alla filosofia greca, al suo sviluppo dell'opposizione tra l'“uno” e i “molti” [...] e affronta il problema in questi termini [nei termini dialettici proposti da Platone]; il suo sguardo indugia soprattutto sulla difficoltà insita nel concetto di Trinità, dell'unità delle tre persone divine. Proprio questo costituisce il suo interno legame con il Medioevo e particolarmente con Anselmo d'Aosta e Giovanni Scoto Eriugena. Ma, quanto piú profondamente egli si addentra nel dogma della trinità, tanto piú è spinto a comprendere e a spiegare il rapporto che esiste, nella nostra coscienza, tra l'intelletto, l'oggetto intelligibile e la loro unità nell'atto della conoscenza. Cosí il contenuto, che dalla filosofia greca era passato alla teologia, ritrova la sua autonomia. Il Cusano, superando i limiti della formulazione teologica, ritorna al problema universalmente valido del “Lógos in noi stessi” e alla considerazione della sua particolare natura eterna.

 

(E. Cassirer, Storia della filosofia moderna, vol. I, Einaudi, Torino, 1964, pagg. 68-77)