Cicerone, Sapienza e giustizia

         Cicerone si dichiara convinto che l’impegno sociale e politico sia preferibile alla ricerca individuale della sapienza e quindi alla filosofia, almeno come essa era intesa dai Greci dell’età ellenistica. La tradizione romana è superiore a quella greca.

 

De officiis, I, 153-155

 

1      Si stabilisce pertanto che sono piú consentanee a natura quelle azioni doverose determinate dal sentimento sociale di quelle derivanti dalla sapienza, il che si può confermare con questo argomento: se toccasse in sorte ad un sapiente tal genere di vita che, in mezzo all’abbondanza di ogni cosa, [sebbene] egli potesse meditare e contemplare tra sé e sé in massima tranquillità tutti quei problemi che sono degni d’indagine; se però anche tanta fosse la sua solitudine da non poter vedere ombra d’uomo: egli allora si potrebbe uccidere. Quella sapienza [sapientia] che è regina di tutte le virtú, e chiamata dai Greci sophía – con il termine di prudenza [prudentia], che i Greci chiamano phrónesis intendiamo un’altra qualità, consistente nella scienza [scientia] del desiderare o fuggire determinati oggetti –, quella sapienza, dico, che ho chiamato la prima virtú, è la scienza delle cose umane e divine, la quale abbraccia le relazioni e la stessa reciproca società degli dèi e degli uomini; e se essa è, come lo è sicuramente, la massima virtú, il dovere [officium] piú grande è quello che deriva da questi rapporti stessi. Infatti la conoscenza e la contemplazione dell’universo sarebbe in certo senso manchevole ed embrionale, se non vi tenesse dietro alcuna attività. Siffatta attività si manifesta soprattutto nella tutela dei vantaggi propri dell’uomo, e pertanto interessa la società del genere umano; e quindi è da preporre alla sapienza [cognitio].

2      Ogni uomo per bene [optimus] pensa cosí e lo dimostra con i fatti. Chi infatti è tanto infervorato nella contemplazione e nella conoscenza della natura, non abbandonerebbe tutto questo, nel caso gli venisse annunziato all’improvviso, mentre si occupa e contempla oggetti degnissimi di conoscenza, un qualche pericolo o rischio della sua patria, alla quale egli sarebbe in grado di sovvenire e portare aiuto? Non butterebbe via tutto, anche se pensasse di essere in grado di contare le stelle o misurare la grandezza del mondo? Ed il medesimo egli farebbe nell’occorrenza o nel pericolo del padre, di un amico. Da ciò si capisce come allo studio ed al dovere della conoscenza [scientia] vada anteposto il dovere della giustizia, che interessa la stessa utilità umana, della quale nulla vi può essere di piú caro per un uomo. [...]

 

(Cicerone, Opere politiche e filosofiche, UTET, Torino, 1953, vol. I, pagg. 408-409)