Crizia, L’invenzione degli dèi

Quella di Crizia sull’invenzione degli dèi è una teoria famosa, ripresa di tanto in tanto nei secoli seguenti (ad esempio da alcuni illuministi del Settecento). Vale la pena riportare il passo per intero.

Secondo la testimonianza di Sesto Empirico, Crizia sarebbe stato l’autore di un dramma satiresco intitolato Sisifo, nel quale è esposta la sua concezione sull’origine della religione: Crizia sostiene che la religione è un prodotto assolutamente artificiale dell’uomo; la stessa cosa Prodico sostiene a proposito della legge. Opposta è invece la concezione che i due filosofi hanno della natura umana: per Prodico fondata sull’uguaglianza, per Crizia su uno stato permanente di guerra di tutti contro tutti, che troverà espressione nella celebre formula homo homini lupus, usata da Plauto (Asinaria, v. 495) e ripresa nel XVII secolo dal filosofo inglese Thomas Hobbes. La legge – secondo Crizia – si fonda sulla forza, unico strumento per garantire la giustizia. Ma lo stato basato esclusivamente sulla propria capacità repressiva non può esercitare un controllo efficace e continuo su tutti gli uomini (la forza repressiva è di gran lunga meno idonea a garantire l’ordine che non la capacità persuasiva dei discorsi!). Per questo, secondo Crizia, fu necessario “inventare” la religione, come strumento per garantire l’ordine e la legalità. Anche Crizia, quindi, dimostra di essere stato un attento studioso dei risvolti psicologici della natura umana.

 

Fr. 88 B 25 DK (Sesto Empirico, Contro i matematici, IX, 54)

 

Tempo ci fu, quando disordinata era la vita degli uomini, e ferina, e strumento di violenza, quando premio alcuno non c’era pei buoni, né alcun castigo ai malvagi. In seguito, parmi che gli uomini leggi punitive sancissero, sí che fosse Giustizia assoluta signora <egualmente di tutti> e avesse ad ancella la Forza; ed era punito chiunque peccasse. Ma poi, giacché le leggi distoglievan bensí gli uomini dal compiere aperte violenze, ma di nascosto le compivano, allora, suppongo, <dapprima> un qualche uomo ingegnoso e saggio di mente inventò per gli uomini il timor <degli dèi>, sí che uno spauracchio ci fosse ai malvagi anche per ciò che di nascosto facessero o dicessero o pensassero. Laonde introdusse la divinità sotto forma di Genio, fiorente di vita imperitura, che con la mente ode e vede, e con somma perspicacia sorveglia le azioni umane, mostrando divina natura; il quale Genio udirà tutto quanto si dice tra gli uomini e potrà vedere tutto quanto da essi si compie. E se anche tu mediti qualche male in silenzio, ciò non sfuggirà agli dèi; ché troppa è la loro perspicacia. Facendo di questi discorsi, divulgava il piú gradito degli insegnamenti, avvolgendo la verità in un finto racconto. E affermava gli dèi abitare colà, dove ponendoli, sapeva di colpire massimamente gli uomini, là donde sapeva che vengono gli spaventi ai mortali e le consolazioni alla loro misera vita: dalla sfera celeste, dove vedeva esserci lampi, e orrendi rombi di tuoni, e lo stellato corpo del cielo, opera mirabilmente varia del sapiente artefice, il Tempo; là donde s’avanza fulgida la massa rovente del Sole, donde l’umida pioggia sovra la Terra scende. Tali spaventi egli agitò dinanzi agli occhi degli uomini, e servendosi di essi, costruí con la parola, da artista, la divinità, ponendola in un luogo a lei adatto; e spense cosí l’illegalità con le leggi. [...] Per tal via dunque io penso che in principio qualcuno inducesse i mortali a credere che vi sia una stirpe di dèi.

 

(I Presocratici, Laterza, Bari, 19904, pagg. 1026-1027)