Cyrano de Bergerac, La solitudine di Dio nel Paradiso terrestre

Cyrano immagina di arrivare sulla Luna, che rappresenta il Paradiso, dove incontra il profeta Elia, il quale gli narra come Adamo ed Eva, cacciati dal Paradiso (cioè dalla Luna), fossero giunti sulla Terra, che ad Adamo - che viveva sulla Luna - appariva lontana e luminosa come per noi la Luna; e come Enoch, aiutato da Dio, fosse tornato in Paradiso (cioè sulla Luna).

 

S. de Cyrano de Bergerac, L’altro mondo o gli Stati e gli imperi della Luna

 

“Sappiate, dunque, che dopo di aver gustato entrambi della mela vietata, Adamo, temendo che Iddio, irritato dalla sua presenza, aggravasse la pena, considerò la Luna, e cioè la vostra Terra, come il solo rifugio in cui poter trovare riparo dalla persecuzione del suo creatore. Ora, in quel tempo, l’immaginazione dell’uomo era sí forte, per non essere stata ancora corrotta né dagli stravizi, né dalla crudità degli alimenti, né dall’alterazione prodotta dalle malattie, che essendo allora eccitata dal violento desiderio di raggiungere quell’asilo, ed essendo il corpo divenuto leggiero per il fuoco di quell’entusiasmo, vi fu tratto allo stesso modo, onde si son visti dei filosofi, tesa fortemente l’immaginazione a qualche cosa, esser portati in aria, in quei rapimenti che voi chiamate estatici. Eva, che la debolezza del suo sesso rendeva piú debole e men calda, non avrebbe certamente avuto l’immaginazione tanto vigorosa, da vincere, con la forza della volontà, il peso della materia, ma poi ch’era passato pochissimo tempo da che era stata tratta dal corpo di suo marito, la simpatia, mediante la quale detta metà era ancora legata al tutto, la trasse verso di lui, man mano che saliva, come l’ambra si fa seguire dalla paglia, come la calamita si volge al settentrione, donde è stata strappata; ed egli attirò quella parte di se stesso, come il mare attira i fiumi che son da esso usciti, e insieme arrivati alla vostra Terra, s’adattarono a vivere fra la Mesopotamia e l’Arabia. Gli Ebrei lo hanno conosciuto col nome di Adam, e gli idolatri con quello di Prometeo, che i poeti finsero aver rapito il fuoco dal cielo, a causa dei discendenti che generò forniti di un’anima non meno perfetta di quella di cui Dio l’aveva dotato. Cosí fu che per abitar il vostro mondo, il primo uomo lasciò questo diserto. Ma il Sapientissimo non volle che una dimora cosí felice restasse priva di abitanti; egli permise, pochi secoli dopo, che a Enoch, stanco della compagnia degli uomini, la cui innocenza si corrompeva, venisse voglia di abbandonarli. Quel santo personaggio non ravvisò alcun ritiro sicuro dall’ambizione dei suoi parenti, che già si sgozzavano per spartirsi il vostro mondo, tranne la terra felicissima di cui una volta Adamo, suo nonno, gli aveva parlato. Ma come arrivarci? La scala di Giacobbe non era stata ancora inventata! A ciò supplí la grazia dell’Altissimo, la quale condusse Enoch ad avvedersi che il fuoco del cielo discendeva sugli olocausti dei giusti e di quelli che erano graditi davanti alla faccia del Signore, secondo la parola da lui pronunziata: “L’odore dei sacrifici del giusto è salito sino a me”. Un giorno che quella fiamma divina s’infervorava a consumare una vittima che egli offriva all’Eterno, del vapore che se ne esalava riempí due grandi vasi che sigillò ermeticamente, e se li attaccò sotto le ascelle. Tosto il fumo, che tendeva a salir direttamente a Dio, e che non poteva, a meno d’un miracolo, attraversare il metallo, spinse i vasi in alto, e questi sollevarono in tal modo il sant’uomo con loro. Quando fu salito sino alla Luna, ed ebbe gettato lo sguardo su questo bel giardino, un’esplosione di gioia quasi soprannaturale gli fece conoscere che esso era il Paradiso terrestre, in cui suo nonno aveva un tempo abitato. Slegò prontamente i vasi, che aveva cinti a mo’ d’ali attorno alle spalle, e lo fece con tale slancio, che era sí e no a quattro tese dalla Luna, che già aveva preso congedo dai suoi sostegni. L’altezza, tuttavia, era tale che avrebbe potuto ferirsi gravemente, se non fosse stato per la gran ruota della sua veste, in cui s’ingolfò il vento, e l’ardore del fuoco della carità che lo sostenne fin ch’ebbe posato il piede a terra. Quanto ai due vasi, essi salirono finché Dio non li ebbe incastonati nel cielo, dove sono rimasti: e sono ciò che noi oggi chiamiamo le Bilance”.

 

(Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1968, vol. XII, pagg. 863-865)