ROBERTO CASATI, Buchi e altre superficialità

 

1. Introduzione
Noi tutti parliamo di buchi, li contiamo, li descriviamo e li misuriamo. Spieghiamo certi comportamenti delle persone e degli animali attribuendo loro intenzioni e altri atteggiamenti il cui contenuto comporta un riferimento a dei buchi, o una loro rappresentazione. Si fanno certe cose perché si crede di essersi imbattuti in un buco, perché si vuole scavare un buco, passare attraverso un buco, balzare al di là di un buco, uscire da un buco, o nascondervisi dentro. I buchi sono qualcosa su cui ragioniamo comunemente e - come tanti altri oggetti, fra cui per esempio i tavoli, le pietre, le gocce d'olio - sembrano indispensabili nella spiegazione di certe interazioni causali. Un buco in un secchio ne lascia uscire l'acqua; una galleria in una montagna permette al treno di attraversarla. E' la forma del buco che fa sì che il dado si avviti sul bullone. In effetti i buchi sembrano essere essenziali per certi oggetti: una ciambella, un salvadanaio, o un pezzo di vero Emmenthal. Un colabrodo, un ago, una serratura o un flauto non sarebbero quel che sono - e non potrebbero funzionare come funzionano - se non avessero dei buchi. Persino la distinzione di senso comune fra dentro e fuori, fra interno ed esterno, è legata in qualche misura alla nozione di buco. Tutto questo sembra suggerire che si debbano accogliere i buchi - e altre entità affini, come cavità, rientranze, crepe, fessure e fenditure - nel nostro inventario ontologico di base, assieme ai tavoli, alle pietre e alle gocce d'olio. Ma i buchi sono più scomodi da sistemare, ed è più difficile convivere con loro. Forse soltanto un filosofo austero si azzarderebbe a mettere in discussione la realtà dei tavoli e delle pietre. Basta chiedere però a una persona qualunque che cosa siano i buchi - i buchi «veri», della realtà quotidiana, non i buchi astratti della geometria - ed ecco che comincerà probabilmente a parlarci di assenze, di non entità, del nulla, di cose che non esistono. Ma esistono queste cose? [...] Che cosa sono dunque i buchi: i buchi veri, come abbiamo detto? Man mano che si amplia la gamma degli esempi e della casistica, l'interrogativo apre una finestra su una grande varietà di problemi filosofici. Un sistema per dare forma alla nostra ricerca è quello di studiare il modo in cui percepiamo i buchi e la complessità delle convinzioni che attribuiamo alle persone o agli animali quando ragionano (o sembrano ragionare) sui buchi. Questo compito implica una varietà di prospettive, non solo diverse ma a volte complementari fra loro. Ragionare sui buchi significa ragionare sulle forme di certi oggetti, ma anche sulle loro disposizioni o capacità a interagire con altri oggetti; sul modo in cui un buco è o può essere generato, modificato, usato, distrutto; e, ancora, sul modo in cui è o può essere percepito, identificato, reidentificato. Seguiremo tutti questi indizi. Finirà gradualmente per emergerne un quadro, complesso e forse anche un po' curioso, ma tutto sommato abbastanza regolare e unitario: una teoria dei buchi, insomma, piuttosto che una definizione esplicita di che cos'è un buco. Prendiamo la forma, tanto per cominciare. Se pensiamo a un buco, spesso pensiamo alla forma di qualcosa. A volte si pensa alla forma del corpo o oggetto in cui il buco è ospitato (e i cui cambiamenti di forma possono evidentemente incidere sul buco); altre volte, più spesso, si pensa alla fonna del corpo o oggetto ospitato nel buco: si descrive la forma di un buco attraverso la forma del suo «tappo» ideale, di quell'oggetto immaginario che potrebbe essere usato per riempire perfettamente il buco. Al tempo stesso, c'è un senso chiaro in cui possiamo dire che i buchi hanno una forma tutta loro che noi possiamo riconoscere, misurare, comparare e modificare. Consideriamo, in secondo luogo, quanto siano importanti per la nostra ricerca i concetti disposizionali. Possedere il concetto di buco significa possedere un concetto intrinsecamente disposizionale. Questo bicchiere è vuoto, ma potrebbe essere pieno. I buchi connettono all'ambiente, in modo controfattuale, l'oggetto che li ospita: essi danno origine a una serie di connessioni relazionali fra l'oggetto e ciò che può circondarlo. Se si può pensare a un buco, si deve anche poter pensare che il buco può o no essere riempito, che certe cose si muoverebbero in modi diversi solo perché il buco è presente o meno, che una cosa sarebbe inutile se non fosse per il suo buco, o addirittura che una cosa non sarebbe ciò che è senza il suo buco. In ognuna di queste speculazioni controfattuali, la causalità svolge un ruolo importante, poiché la spiegazione di questi tratti disposizionali è tipicamente una spiegazione causale. In terzo luogo, consideriamo l'ipotesi che ragionare sui buchi significhi ragionare sul modo in cui si creano o si possono creare i buchi, su come li si può maneggiare e su come li si può distruggere. A volte si progettano e si eseguono intere serie di azioni i cui oggetti sono buchi o implicano buchi; i buchi sono il risultato di processi di cui noi siamo gli attori primari.

 

(Roberto Casati, Buchi e altre superficialità)