DESCARTES, LA RES EXTENSA

 

Cominciamo dalla considerazione delle cose più comuni, e che noi crediamo di comprendere nel modo più distinto, cioè i corpi che tocchiamo e vediamo. Io non intendo parlare dei corpi in generale, perché queste nozioni generali sono d’ordinario più confuse, ma di qualche corpo in particolare. Prendiamo, per esempio, questo pezzo di cera, che è stato proprio ora estratto dall’alveare: [...]che cos’è questa estensione? Non è, essa pure, sconosciuta, poiché nella cera che si fonde aumenta, e si trova ad essere ancora più grande quando è intieramente fusa, e molto più grande ancora, quando il calore aumenta di più? Né io concepirei chiaramente e secondo verità che cosa è la cera, se non pensassi ch’essa è capace di ricevere maggior numero di variazioni, secondo l’estensione, di quel che io non abbia mai immaginato. Bisogna, dunque, che ammetta che con l’immaginazione non saprei concepire che cosa sia questa cera, e che non v’è se non il mio intelletto che la concepisca: io dico questo pezzo di cera in particolare, poiché, per la cera in generale, la cosa è ancor più evidente. Ora, qual è questa cera, che non può essere concepita se non dall’intelletto o dallo spirito? Certo è la stessa che io vedo, tocco, immagino, e la stessa che conoscevo fin da principio. Ma, e questo è da notare, la percezione, o l’azione per mezzo della quale la si percepisce, non è una visione, né un contatto, né un’immaginazione, e non è mai stata tale, benché per lo innanzi così sembrasse, ma solamente una visione della mente [solius mentis inspectio], la quale può esser imperfetta e confusa, come era prima, oppure chiara e distinta, com’è adesso, secondo che la mia attenzione si porti più o meno verso le cose che sono in essa, e di cui essa è composta.

 

(Descartes, Meditazioni metafisiche)