Enesidemo, I trópoi

I trópoi sono gli argomenti fondamentali con cui gli scettici sostenevano la loro posizione di assoluto agnosticismo. I dieci trópoi proposti da Enesidemo di Cnosso consentono di dire come le cose ci appaiono, ma non come esse sono nella realtà. Da ciò la necessità della sospensione del giudizio anche sul piano della conoscenza sensibile.

 

Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, I, 210

 

           1       Dieci modi ci son tramandati [...]. Questi son riconducibili a tre, derivanti dal soggetto giudicante, dall’oggetto giudicato e da entrambi [...]. A loro volta questi tre si riconducono a quello della relazione; sicché la relazione è il piú generale, son speciali i tre, subordinati i dieci.

           2       Il primo discorso è quello secondo il quale per la differenza fra gli animali non si han le stesse rappresentazioni dalle stesse cose. Questo inferiamo dalle differenze nella generazione loro e dalla diversità delle costituzioni dei corpi.

           3       È naturale dunque che tali disuguaglianze e diversità [...] producan grandi contrasti di affezioni [...] e grandissima discordia di rappresentazioni. E se le stesse cose appaiono dissimili per la diversità fra gli animali, potremo dire, sí, quale appare a noi l’oggetto; ma qual è in realtà sospenderemo di giudicare. Poiché non potremo farci giudici fra le rappresentazioni nostre e quelle degli altri animali, essendo noi stessi parte in causa, e per ciò piú bisognosi di un giudice, che capaci di giudicar noi.

           4       Il secondo modo [...] deriva dalla differenza fra gli uomini. Ché se anche per ipotesi si conceda che sian piú credibili gli uomini che le bestie, troveremo, anche per quanto riguarda le differenze fra noi, indotta la sospensione del giudizio. Delle due parti di cui dicesi composto l’uomo, anima e corpo, per entrambe differiamo fra noi [...]. Perciò anche nel bramare e fuggire le cose esterne c’è molta differenza [...] e della grande, anzi infinita differenza fra le menti degli uomini è massima prova la discrepanza fra le asserzioni dei dogmatici [...] anche su ciò che si debba cercare o evitare. E se le stesse cose muovon diversamente per la diversità fra gli uomini, sarà indotta naturalmente anche per ciò la sospensione.

           5       Ma poiché i dogmatici son tutti pieni di sé [...], anche limitando il discorso a un sol uomo, per esempio al sapiente sognato da loro [...], esaminiamo il terzo modo [...] proveniente dalla differenza fra le sensazioni. Che differiscan fra loro le sensazioni è evidente: le pitture alla vista paiono aver rientranze e sporgenze, non certo al tatto. Il miele appar gradevole alla lingua per alcuni, sgradevole agli occhi [...]. Perciò quale sia in realtà ognuna di queste cose, non possiam dire; possiam dire quale ci appaia di volta in volta [...]. E non riuscendo i sensi a comprender gli oggetti, neppur la mente ci riesce. Sicché anche per questo discorso pare concludersi la sospensione sugli oggetti esterni.

           6       Ma per conchiudere alla sospensione anche fermando il discorso a un solo senso o prescindendo dai sensi, prendiamo anche il quarto modo, detto delle circostanze, intendendo le nostre disposizioni. Diciamo che va considerato nei casi dello stato naturale o innaturale, della veglia e del sonno, dell’età, del muoverci o star fermi, dell’odiare o amare, dell’esser in bisogno o sazi, ubriachi o astemi, delle predisposizioni, dell’aver coraggio o paura, dolore o gioia. Essendoci cosí grandi disuguaglianze [...], è facile forse dire quale appaia ad ognuno ciascun oggetto, non quale sia. [...]

           7       Il quinto discorso riguarda posizioni e intervalli e luoghi: ché per ognuno di questi le stesse cose appaion differenti. Per esempio lo stesso portico visto da un’estremità pare restringersi, dal mezzo par tutto uguale [...]; lo stesso remo nel mare par spezzato, fuori diritto [...]; i colli delle colombe diversamente inclinati paion diversi di colore. Poiché dunque tutti i fenomeni si veggono in un luogo, da un intervallo, in una posizione [...] siam costretti anche da ciò a venire alla sospensione.

           8       Il sesto modo riguarda le mescolanze: onde concludiamo che, poiché nessun oggetto si coglie in se stesso, ma con altro, si può ben dire qual è la mescolanza dell’oggetto con ciò che è percepito insieme; ma non quale sia l’oggetto esterno in sé [...].

           9       Il settimo modo [...] riguarda le quantità e costituzioni degli oggetti, intendendo per costituzioni le composizioni [...]. Per esempio [...] i grani di sabbia a uno a uno paiono ruvidi, messi in mucchio danno impressione di morbidezza. [...] Cosí il rapporto di quantità e costituzione confonde la percezione degli oggetti esterni.

           10    L’ottavo modo è quello della relazione [...]. Questo si dica in due sensi: 1) rispetto al giudicante [...] 2) rispetto alle cose percepite insieme [...]. Che tutto è relativo s’è già detto: rispetto al giudicante, che tutto appare relativo a un dato animale, a un dato uomo, a un dato senso, a una data circostanza. Rispetto alle cose percepite insieme, che tutto appar relativo a una data mescolanza, località, composizione, quantità, posizione.

           11    Del modo che diciamo nono nella serie, della continuità o rarità degli incontri, questo su per giú diciamo: il Sole è certo molto piú impressionante che una cometa; ma poiché il Sole lo vediamo di continuo e la cometa di rado, dalla cometa siam colpiti sí da crederla segno divino, dal Sole niente. [...]. Concludiamo che quale ci appaia ciascuna cosa a seconda della continuità o rarità degli incontri, potrem dire; ma quale sia nudo e crudo ciascuno degli oggetti esteriori non siamo in grado di dire.

           12    Il decimo modo che concerne specialmente i fatti morali riguarda l’educazione, i costumi, le leggi, le credenze mitiche e le opinioni dogmatiche. [...] Non potrem dire quale sia di sua natura l’oggetto, ma quale appare a seconda dell’educazione, della legge, del costume ecc. Anche per ciò dunque ci tocca sospender il giudizio sulla natura della realtà esterna.

 

(R. Mondolfo, Il pensiero antico, La Nuova Italia, Firenze, 19613, pagg. 428-430)